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3.2 Il Venture Capital

I fondi VC sono stati creati, come anticipato nel capitolo precedente, sia per apportare risorse finanziarie alle imprese innovative, sia per mettere a disposizione delle stesse imprese una vasta gamma di servizi ad alto valore aggiunto, con il fine di aumentarne il valore ed ottenere un

capital gain maggiore sull’investimento.

In generale si distinguono 4 tipologie di fondi VC, da cui derivano caratteristiche peculiari e modelli di investimento differenti:

- Indipendent Venture Capital: ci si riferisce al cosiddetto modello “tradizionale”, inteso come quel modello in cui una società di investimento specializzata raccoglie capitale da vari attori, quali banche, fondi pensione, ecc.;

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- Corporate Venture Capital: fondo il cui gestore è una corporation; - Bank Venture Capital: fondo il cui gestore è una banca;

- Public Venture Capital: fondo il cui gestore è un soggetto pubblico.

Dopo questa breve classificazione, prima di concentrarsi sul CVC, si ritiene opportuno analizzare il modello VC tradizionale, l’opzione che risulta maggiormente diffusa.

In questo caso il punto di partenza è costituito dal fatto che una persona, o un numero limitato di persone, facenti capo ad un gruppo di Private Equity (PE), fondano una limited liability

partenership (LLP) e raccolgono capitale da un gruppo di investitori. La LLP ha una vita

limitata, solitamente dura un decennio, ed è in sostanza un fondo chiuso di investimento. I manager del fondo generalmente sono definiti general partner, mentre gli investitori sono conosciuti come limited partner.

Tra gli investitori si trovano tutti quei soggetti che, sulla base della loro capacità finanziaria, possono sottoscrivere il fondo, come ad esempio fondi pensione, banche e società di assicurazione.

Normalmente le operazioni vengono finanziate con una parte di capitale e quattro parti di finanziamento; in questo caso i prestiti vengono raccolti presso banche e altre istituzioni finanziarie specializzate in questo genere di operazioni.

I fondi di PE generalmente acquisiscono una quota di controllo nel capitale delle singole iniziative investite, con una parte offerta anche ai manager (tecnicamente tale meccanismo è definito Stock Options14) che successivamente provvedono a vendere, in genere entro pochi anni, ad altre imprese, altre società di PE, oppure a piccoli investitori attraverso la quotazione in borsa e la conseguente suddivisione del capitale in piccole quote.

I general partner possono generare guadagni a favore della loro società in due modi diversi: attraverso l’addebito sul fondo di commissioni periodiche a titolo di costi di gestione, in genere tali commissioni annue ammontano al 2% del commitment del fondo, o attraverso altre commissioni sul capitale che gestiscono, come ad esempio i carried interest (una forma di profitto riconosciuta al gestore quando vengono raggiunti determinati obiettivi di redditività, calcolata come percentuale, di solito 20%, della plusvalenza netta, da corrispondere solo per la parte eccedente il rendimento minimo prefissato, detto hurdle rate).

14Il meccanismo delle stock options, se correttamente utilizzato, presenta la peculiarità di costituire un importante

moltiplicatore di intensità dell'azione incentivante. La proprietà da parte dei manager di azioni delle società in portafoglio infatti rafforza l'emulazione dello status di azionista poiché, condividendone gli obiettivi (allineamento), se ne condividono anche l'intensità dei vantaggi e dei rischi.

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Gli investitori che decidono di sottoscrivere quote del fondo non hanno alcun potere di gestione nei confronti del relativo patrimonio, in quanto delegano la società ad effettuare le scelte d’investimento che ritiene più opportune, ma hanno il diritto di vedere investite le somme versate, conformemente alle politiche d’investimento e agli scopi del fondo e in linea con il livello teorico di rendimento-rischio illustrato nel regolamento del fondo stesso.

La raccolta di capitali del fondo avviene tramite il management team, che si fa promotore per trovare investitori che investano risorse economiche (commitment) nel fondo.

Una volta che gli investitori avviano il processo di selezione ricevono la documentazione che mostra i rendimenti e le performance precedenti del fondo, ma soprattutto chiedono di conoscere approfonditamente la formazione e le esperienze del management team.

Il passo successivo è la sottoscrizione da parte dell’investitore dell’impegno a fornire i capitali promessi quando essi saranno necessari al gestore.

Infine il fondo viene chiuso appena raggiunge sottoscrizioni di capitali per una somma totale predeterminata.

Dopo la chiusura del fondo, quest’ultimo passerà un periodo alla ricerca di imprese in cui vale la pena investire, e solo dopo averle individuate inizierà realmente a richiamare il capitale dagli investitori.

In alcuni casi può verificarsi l’eventualità che il capitale sottoscritto non arrivi ad essere richiamato totalmente in quanto i tiraggi di capitali sono spostati molto avanti negli anni e i richiami possono essere coperti direttamente con flussi di cassa derivanti da operazioni in uscita.

Terminato il periodo di investimento i manager non possono investire ulteriore capitale in nuove società, hanno solo il compito di gestire e liquidare gli investimenti effettuati in precedenza.

L’insieme dei flussi di cassa raggiunti alla fine del ciclo di vita del fondo, serve a remunerare il capitale investito inizialmente, e a generare un capital gain in capo all’investitore (in caso di risultati positivi).

Al fine di ottenere una liquidazione che sia in grado di valorizzare al meglio il valore creato negli anni, i del fondo possono chiedere agli investitori un’estensione della durata del fondo di ulteriori due anni, che sarà possibile solo se approvata a maggioranza dagli stessi.

Molto spesso, all’interno del contratto sottoscritto dagli investitori, si trovano anche clausole di protezione per gli stessi, che, dopo l’approvazione dell’investimento lasciano tutte le decisioni

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in mano al gestore. Un esempio di clausola può essere quella che lega i gestori del fondo al fondo stesso, infatti essendo questi determinanti per le performance del fondo, si dà la possibilità agli investitori di recedere dal contratto nell’ipotesi in cui il management dovesse cambiare, in quanto la scommessa principale è proprio sulla bravura del management.

Un’altra clausola di comune accettazione è quella di non permettere ai gestori di investire più di una certa percentuale dei capitali raccolti, di solito il 15-20% circa, in un’unica impresa. Infine, pur essendo gli unici decisori sugli investimenti realizzati, i gestori del fondo sono tenuti a rendere conto periodicamente agli investitori dell’andamento della gestione tramite una reportistica che fornisce gli aggiornamenti circa le strategie e le operazioni che i manager stanno attuando in ogni impresa.

L’ultima fase di vita del fondo, ossia il momento in cui vengono disinvestite le partecipazioni assunte durante la fase di investimento, rappresenta un momento molto delicato in quanto da essa dipende la possibilità di realizzare o meno guadagni in conto capitale, scopo principale dei gestori.

Le problematiche connesse alle attività di disinvestimento, comprendono sostanzialmente due aspetti: l’individuazione del timing migliore per effettuare l’exit e la scelta del canale per mettere in pratica lo smobilizzo.

Riassumendo, le modalità di disinvestimento possono essere distinte come di seguito: - la vendita delle azioni sul mercato borsistico (Initial Public Offering);

- la cessione della partecipazione a un socio di natura industriale (trade sale); - la cessione della partecipazione a un atro operatore di PE o VC

(replacement o secondary buy out);

- il riacquisto della partecipazione da parte del socio originario (buy back); - l’azzeramento della partecipazione a seguito del fallimento (write off).

In termini numerici il principale canale di disinvestimento, e anche il preferito dal PE, è il mercato di borsa; questa tipologia di exit è molto utilizzata nei mercati più strutturati e con un mercato di borsa più sviluppato, a differenza dell’Italia dove per ragioni culturali gli imprenditori sono molto restii ad aprire la proprietà del capitale di rischio a terzi.

Per un fondo l’uscita dall’investimento tramite IPO è una soluzione molto interessante perché permette di liquidare il proprio investimento quasi totalmente nel giro di breve tempo, di solito tra i 12 e i 24 mesi.

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