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Nel corso del Settecento giungono a maturazione tutti i processi di consolidamento e legittimazione (anche istituzionale) dei saperi. Una rivoluzione scientifica in cui le diverse branche del sapere cominciano ad assumere una loro specificità, di metodo, linguaggio, e contenuto, raggiunge nel XVIII secolo la sua piena legittimazione, anche istituzionale e la scienza diviene oggetto di analisi epistemologica definendo nuovi confini culturali. Le lotte condotte dai numerosi, astronomi, matematici, artisti, medici, durante i due secoli precedenti per rivendicare una autonomia, originalità e utilità sociale delle diverse discipline rispetto alle onnicomprensive scienze teologiche, filosofiche, giuridiche e letterarie di stampo ancora medioevale, costituiscono un passaggio fondamentale nella storia dell’evoluzione del pensiero umano. Ma è a partire dall’Inghilterra che la scienza inizia ad affrancarsi dalle imposizioni culturali previste da Concilio di Trento. Londra diviene, nel corso del Seicento, il fulcro di quella rivoluzione culturale che trova nella funzione utilitaristica del sapere, nella sua capacità di produrre ricchezza, di migliorare i commerci e la qualità di vita, la propria giustificazione. La comparsa alla metà del secolo XVII, dell’Accademia del Cimento a Firenze, della Royal Society a Londra e dell’Académie royale des

sciences a Parigi, costituisce l’origine di una vera e propria rivoluzione

scientifica. Le Accademie infatti, specialmente dei paesi protestanti, assumono una funzione centrale in questo processo rappresentando le sedi istituzionali del nuovo fermento culturale; attraverso la loro mediazione avviene il riconoscimento della ricerca scientifica come professione e l’attività degli scienziati acquista credito internazionale. Un passaggio fondamentale per il passaggio dall'approccio del natural philosopher di stampo baconiano, alle nuove forme di professionalizzazione e di specializzazione della scienza incarnate dal savant parigino, coincide con il progressivo prestigio assunto dall’Académie Royale des sciences38 francese. «Le premier tribunal de l’Europe pour les sciences» - così la definiva Lagrange nel 1787 – costituirà, durante il Settecento, il modello di istituzione culturale, sul modello del mecenatismo rinascimentale, a cui ogni

savant al servizio dello Stato aspirava di far parte per la realizzazione dei

propri studi. Attraverso essa si impose quel precetto scientifico che nessun esperimento doveva essere accettato o creduto se prima non fosse stato riprodotto e i risultati verificati scientificamente.

Fu l’Académie a costituire il punto di riferimento a cui tendere da parte di tutte le Accademie che successivamente sorsero grazie al “mecenatismo” dei diversi stati europei. Il bisogno infatti da parte delle monarchie di costituire

38 Centri di ricerca altrettanto prestigiosi erano la Société de médecine e l’Observatoire. In particolare quest’ultimo costituisce nella storia della ricerca astronomico-geografica settecentesca un punto di riferimento assoluto. Nell’Osservatorio lavorarono alcuni tra i più grandi astronomi e cartografi di tutti i tempi dal Cassino al Baily al Lalande.

un corpo intellettuale organicamente inserito all’interno del sistema istituzionale statale, derivava da un’esigenza non tanto di controllo sulle forme di pensiero, quanto quello di poter coordinare e incentivare lo sviluppo economico e tecnologico della nazione attraverso una strategia di magistrature tecniche, oppure di assecondare la ricerca nel campo delle innovazioni militari39.

Compito delle Accademie, divenute una vera e propria istituzione dello Stato, era quello di svolgere attività di ricerca e di consulenza scientifica assai simili a quelle praticate da un moderno organo tecnico-scientifico di consultazione: raccolta e valutazione delle principali novità scientifiche in patria e all’estero; controllo e indirizzo delle attività di ricerca; incentivazione di attività di ricerca sperimentali. L’agire accademico, inoltre, garantiva l’esistenza di una sorta di utopica rete culturale internazionale, fatta di scambi e di legami scientifici al fine di raggiungere una omogeneità culturale per il progresso mondiale. A garantire la coesione di questa comunità culturale non vi era solo la comune fiducia sul progresso e sulla sua funzione sociale, ma anche su una comune identità legata al metodo scientifico, ossia una sostanziale uguaglianza di linguaggi, analisi razionale e verifica sperimentale dei risultati.

39 Nella seconda metà del Settecento operavano in Occidente circa settanta tra accademie e società pubbliche e un centinaio di private. Tra di esse esisteva una sorta di struttura gerarchica in base all’importanza e dell’autorevolezza delle ricerche condotte. Una sorte di piramide che vedeva al vertice le grandi accademie statali di Francia, Inghilterra, Prussia, Russia e Svezia. Subito dopo venivano le accademie e le società di Bordeaux, Edimburgo, Digione, Montpallier, Gottinga, Torino, Napoli, Mannheim, Filadelfia.

L’Italia, pur con la sua importante tradizione portata avanti dall’Accademia dei Lincei o del Cimento, risultava essere nel Settecento in netta arretratezza culturale, solo verso la fine del secolo il circuito europeo, di pubblicazioni, scambi scientifici, macchinari, inizia a compenetrarsi nella cultura italiani. Prima fra tutte le accademie è quella di Torino che poteva contare su una lunga tradizione scientifica specialmente di carattere militare, seguivano i centri universitari d’avanguardia come Pavia dove operavano il Boscovich, il Volta, lo Spallanzani ed altri, ma non meno attive erano i centri di Toscana e dell’Emilia. La situazione nel Mezzogiorno era profondamente diversa. Nonostante infatti, i cospicui fondi investiti dal sovrano nella Reale accademia di scienze e belle lettere, sul modello di quella berlinese, gli scienziati napoletani non riuscirono mai a raggiungere i livelli di efficienza e produttività delle altre accademie europee. L’organizzazione infatti si impantanò in una conduzione di tipo cortigiano e clientelare che non solo portò al sostanziale fallimento dell’istituzione nel giro di pochi anni, ma allontanò per decenni la scienza del Sud d’Italia dal resto d’Europa. Questo stato di cose è chiaramente dimostrato dalla Reale Accademia delle scienze e belle lettere40, inaugurata a Napoli il 5 luglio 1780. Grazie al favore dei regnanti e alla loro benevolenza illuminata, anche il Regno si dotava di una

40 Le fonti archivistiche relative all’Accademia sono assai lacunose, fondamentale quindi diviene il primo ed unico volume degli Atti edito nel 1788, oltre che agli statuti pubblicati nel 1780 e a pochi fascicoli di corrispondenze sottratti all’incendio che ha distrutto parte del fondo di Casa reale antica dell’Archivio di Stato di Napoli.

istituzione che, nelle intenzioni, si candidava a competere con le altre più importanti d’Europa. I sovrani meridionali, seguendo l’esempio di altri loro pari europei, avevano deciso di sostenere «le diligenze, le opere e l’esplorazioni de’ sudditi pensatori»41, con lo scopo di favorire il progresso scientifico affinché ne potesse beneficiare l’intera nazione. A partire dagli anni Settanta, nel Regno di Napoli ebbe inizio un periodo di grandi opportunità culturali e scientifiche grazie a scelte politiche favorevoli alla collaborazione fra cultura e potere. La comunità culturale trovava la propria legittimazione nei confronti dell’assolutismo illuminato grazie ad un'ideologia del compromesso e dell’integrazione che premetteva la conciliazione, senza traumi, di tradizione ed innovazione, di privilegi legati alla nascita e di carriera basata sul talento. La questione dell'appartenenza cetuale quindi avrebbe potuto essere lentamente superata dalla priorità del valore sociale e civile da attribuire ai risultati raggiunti. La progressiva specializzazione delle conoscenze ed una maggiore professionalizzazione delle attività scientifiche portò alla fine del XVIII secolo, alla presa di coscienza, seppure non istituzionale o linguistica – si ricordi che solo alla fine del XIX secolo il mondo anglosassone accantonò definitivamente anche dal punto di vista linguistico il natural philosopher per abbracciare il moderno scientist.

41 Statuti della Real Accademia delle Scienze e delle Belle Lettre eretta in Napoli dalla Sovrana Munificenza, Stamperia Reale, Napoli, 1780, p. 8.

Il problema assume oggi un'ampiezza maggiore, proprio perché gli studiosi si sono interrogati a lungo circa l’influenza avuta dall’illuminismo sulla scienza e viceversa. È indubbio che l’uomo di scienza abbia fornito al movimento illuminista gli strumenti, le basi concrete attraverso cui elaborare quel pensiero critico necessario all’elaborazione di una modifica radicale della società e di un nuovo sistema di valori. Tuttavia sarebbe riduttivo considerare il movimento scientifico e quello dei lumi come parti interagenti, in realtà essi furono due fenomeni autonomi in relazione alle motivazioni di fondo che li avevano determinati, anzi gli illuministi non vedevano nel sapere scientifico la soluzione definitiva alle problematiche umane. Nel corso del XVIII secolo molti filosofi da Voltaire a Condillac a Rousseau, portarono avanti uno studio critico della storia della scienza fin dalle sue origini, al fine di ricondurre la scienza sullo stesso piano di altri saperi. In quest'ottica, lo scienziato e l’illuminista, alla fine del Settecento, trovarono il modo di influenzarsi l’un l’altro fu soprattutto nella complessa riflessione che portò al passaggio dal campo religioso a quello laico del concetto di verità42. L’uomo di scienza dell’età dei lumi non aveva alcun dubbio a rivendicare come unica ed eterna verità quella della scienza e della ragione relegando definitivamente l’aspetto religioso in secondo piano. Questa mentalità influenzerà profondamente il secolo successivo, rendendo l’uomo di scienza il protagonista assoluto, nel bene e nel male, della storia e 42 Ferrone V., Rossi P., Lo scienziato nell’età moderna, Laterza, Bari 1994, p.126.

del progresso della società ottocentesca. Seppur con attribuzioni diverse di tipo laico o religioso, tutti gli illuministi rivendicavano, infatti, la ricerca della verità come strumento indispensabile per la conquista del pensiero e delle conoscenze.

L’enorme diffusione della pratica scientifica naturalmente portò ad un eccesso di “praticanti”, ossia ad un numero imponente di soggetti che esponeva teorie spesso non corroborate da verità scientifiche. Per questo motivo a partire dagli anni Ottanta del Settecento iniziò ad infuriare la polemica contro i ciarlatani, pseudo scienziati che proponevano una scienza dal “basso” ossia basata su semplici prove di matrice empirico-divinatoria che si contrapponevano ai complessi esperimenti chimico-meccanici portati avanti dalle Accademie. La nuova contrapposizione tra il letterato e lo scienziato si ritrova nelle opere degli illuministi napoletani Galanti e Filangeri. Limpide pagine scrisse sull’argomento Vittorio Alfieri nel sul Del principe delle lettere, con l’obiettivo di stabilire la «differenza tra le belle lettere e le scienze». Alfieri attaccava frontalmente lo scienziato denunciandone il tacito patto col potere, “il servaggio”, rivelando quella che era a suo parere la natura profonda di un sapere scientifico cui erano assolutamente indispensabili per vivere e progredire l’aiuto e il supporto economico delle grandi accademie di Stato. Ben altra cosa era invece il letterato, la cui attività non aveva l’assillo dei finanziamenti e poteva quindi

prescindere – se voleva – dal principe. Libero dall’abbraccio mortale, al letterato era infatti concessa una dimensione privata del proprio lavoro (garantita tra l’altro dal crescente successo della lotta a favore del riconoscimento dei diritti d’autore) che gli consentiva di denunciare il dispotismo , di predicare le virtù, di educare il popolo43.

43 Ferrone V., Rossi P., Lo scienziato nell’età moderna, Laterza, Bari 1994. 37