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Anche nel pensiero settecentesco, nonostante l'amore per le scoperte scientifiche, i terremoti, unitamente alle eruzioni vulcaniche, tendevano a rappresentare nell’immaginazione collettiva l’ostilità e la violenza della natura nei confronti dell’uomo. Anche quando la ricerca scientifica cominciò a progredire, tentando di comprendere i meccanismi naturali che stanno alla base di questi fenomeni, ne venivano sottolineati gli aspetti spaventosi e ingestibili; era la loro imprevedibilità ad essere considerata il fulcro dell'interesse, lo scatenarsi improvviso e imprevedibile, insieme alla distribuzione casuale. Si sarebbe dovuta attendere la seconda metà del XIX secolo, affinché la sismologia raggiungesse un grado di tecnologia tale da costruire gli strumenti capaci di registrare permanentemente i movimenti del suolo, si può dunque ben comprendere quanto nel Settecento la conoscenza delle strutture del pianeta fosse del tutto approssimativa. Tuttavia è proprio nel corso del Settecento che presero avvio, in particolar modo dopo il terremoto di Lisbona del 1755, tutta una serie di studi, indagini ed esperimenti di natura sismologica che seppure in maniera embrionale, contenevano delle interessanti intuizioni per le future scoperte scientifiche del Diciannovesimo secolo.

Il terremoto portoghese segnò, come è noto, l’inizio di un’intensa attività scientifico-divulgatoria, ad opera di studiosi di tutto il mondo che –

attraverso ricognizioni dirette o attraverso resoconti indiretti – iniziarono ad occuparsi dell’evento, dei suoi luoghi e delle sue popolazioni.

Le cosiddette scienze della terra cercavano faticosamente di trovare una propria dignità scientifica affrancandosi definitivamente dall’influenza che i testi biblici fino allora erano riusciti ad esercitare. È all’interno di una tradizione consolidata che trovava i propri padri in Aristotele e Platone, e che tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento trova una nuova giovinezza nei lavori di Burnet, di Leibniz, di Buffon, ed altri, che gli scienziati ritrovano concezioni scientifiche ritenute alquanto valide specialmente alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Partendo dal tentativo di rispondere alla domanda sul perché le terre emerse siano disposte in maniera così caotica e irrazionale, vengono ad essere nuovamente tenute in considerazione le numerose teorie catastrofiste che prevedevano nella storia della terra diversi momenti distruttivi, sia causati dall’acqua, che genera sedimentazioni e fermentazioni, sia prodotti dal fuoco che essendo un materiale attivo e plastico tutto forgia e tutto modifica. Viene quindi a riproporsi, su nuove basi scientifiche, lo scontro tra “nettunisti”, che vedevano la genesi delle montagne legata ai fondi oceanici, e i “plutonisti”, che ne collegavano l’origine alla risalita di un magma dall’interno della Terra. Entrambe le elaborazioni venivano supportate dai progressi della paleontologia (che all’epoca inizia ad occuparsi dei frequenti ritrovamenti di fossili marini sulle montagne) e dalla petrografia (che

dimostrava l’origine magmatica di molte rocce).

Tali teorie tuttavia avevano un carattere essenzialmente congetturale, date le conoscenze parziali, poco verificabili, largamente ipotetiche, a cui gli scienziati doveva fare riferimento, conoscenze a cui spesso si associavano elementi di osservazione precisa mescolati ad altri di pura credenza popolare. Gli unici metodi di analisi utilizzati degli scienziati erano di tipo analitico-descrittivi, essi si basavano prevalentemente sullo studio della fisica terrestre, e dei fenomeni fisico-climatici correlati agli eventi disastrosi – era di prassi compiere serie analisi su tutti gli aspetti fisico-climatici che precedevano immediatamente gli eventi con una particolare attenzione ai fulmini, ai tuoni, al colore del cielo e alla natura delle rocce –71. Tutte le ipotesi tuttavia poiché mancanti di riscontri scientifici utili risultavano essere allo stesso modo tanto valide quanto errate, e su questa aleatorietà si svolgevano le grandi dispute tra gli appartenenti alle diverse scuole di pensiero.

71 Immanuel Kant nella Storia e descrizione naturale degli straordinari eventi del terremoto afferma: «Noi conosciamo in modo abbastanza compiuto la superficie terrestre nella sua estensione. Tuttavia al di sotto dei nostri piedi c’è un mondo intero di cui, allo stato attuale, sappiamo ben poco. I crepacci montani che dischiudono varchi abissali rispetto al nostro scandaglio, le caverne che incontriamo nelle viscere delle montagne, i pozzi profondi delle miniere, che noi nei secoli continuiamo a scavare, sono di gran lunga inadeguati a darci conoscenze certe sulla struttura della grande zolla che abitiamo. La profondità maggiore a cui sono scesi gli uomini al di sotto della superficie del suolo non raggiunge le 500 tese ossia nemmeno la sei millesima parte della distanza dal centro della terra.» Occorre ricordare che la tesa tedesca di Vienna corrispondeva a 1,896406 metri. Quindi Kant si riferisce ad una misura inferiore ai 1000 metri di profondità. È opportuno ricordare che la sfericità media della Terra è di poco superiore ai 6.000 km; 6.378.160 km all’equatore e 6456,778km ai poli. Kant I., Geschichte und Naturbeschreibung der merkwürdigsten Vorfälle des Erdbebens, welches an dem Ende des 1755sten Jahres einen grossen Theil der Erde erschüttert hat, in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L’illuminismo e la filosofia del disastro, Mondadori, Milano 2004, p. 63.

Particolarmente farraginose erano le teorie sulle cause terremoti, le quali oltre ad ipotizzare l’esistenza sotterranea di vuoti ipogei dovuti ad un non meglio definito restringimento della terra dopo il diluvio universale72 – in questo modo venivano spiegati gli scoscendimenti -, individuavano nella presenza fra le componenti del terreno di materie esplodenti quali metalli o nitrati, o nella presenza di non meglio precisati fuochi ipogei, i fattori sismici scatenanti73 – in questo modo venivano spiegate le esplosioni e i rumori sotterranei avvertiti durante i terremoti –. Una sintesi delle diverse teorie ce la offre Immanuel Kant nella sua Storia e descrizione naturale

degli straordinari eventi del terremoto che a seguito del terremoto di

Lisbona sviluppa una sua teoria particolarmente originale e progredita. Egli partendo dalle conoscenze in possesso dell’uomo sulle caverne sotterranee, sui pozzi, sui cunicoli minerari afferma:

« I terremoti ci hanno dimostrato che la superficie della terra è piena di volte e di caverne e che sotto i nostri piedi si estendono ovunque miniere nascoste con un labirinto di cunicoli ciechi. […] La causa che ha prodotto queste cavità è la stessa che ha generato i fondali marini. Non v’è dubbio, infatti, se guardiamo alle tracce della passata presenza che l’oceano ha lasciato su tutta la superficie terrestre – dagli innumerevoli cumuli di conchiglie, che si trovano persino nelle viscere delle montagne […] – io 72 Alla fine dell’800 dominano ancora teorie che fanno risalire l’alternanza di zone depresse e di catene montuose a processi di raffreddamento in atto nel pianeta, la cui crosta, per questo motivo si contrarrebbe e si piegherebbe riempiendosi di rughe e di vuoti.

73 Placanica A., Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, Torino 1985, p. 69.

dico […] non si potrà non ammettere che un tempo il mare ricopriva tutta la terra, che questa situazione è durata a lungo e che è più antica dello stesso diluvio universale, e che infine non vi è altro modo possibile di immaginare come le acque si siano potute ritirare se non supponendo che il suolo si sia sprofondato, formando qua e là delle cavità, e predisponendo delle profonde insenature in cui tali acque sono rifluite tra argini che tuttora le contengono, mentre i dintorni più in quota di questi margini sprofondati si sono tramutati in terraferma, percorsa tuttavia al suo interno da caverne sotterranee […] Tali caverne racchiudono tutte un fuoco sempre ardente o per lo meno quelle esche infiammabili cui basta una minima sollecitudine per divampare violentemente scuotendo il suolo superiore o addirittura spaccandolo»74.

Kant va oltre e, riconoscendo l’assoluta intenzionalità del meccanismo che governa gli accadimenti naturali, azzera ogni forma di antropocentrismo che interpreti i fenomeni naturali in base all’utilità per l’uomo e che lo pone come fine ultimo della natura. Per il filosofo l’uomo diviene un elemento della natura e come tale patisce tutti gli eventi che accadono:

«[…] l’uomo non può essere il fine ultimo della natura e per ciò stesso l’aggregato delle cose naturali organizzate sulla terra non può essere un sistema di fini, bensì perfino i prodotti naturali, dapprima ritenuti fini della 74 Immanuel Kant, Geschichte und Naturbeschreibung der merkwürdigsten Vorfälle des Erdbebens, welches an dem Ende des 1755sten Jahres einen grossen Theil der Erde erschüttert hat, trd. It, Storia e descrizione natural degli straordinari terremoti che alla fine del 1755 ha scosso gran parte della terra, in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L’illuminismo e la filosofia del disastro, Mondadori, Milano 2004, p. 64

natura, non hanno altra origine se non il meccanismo della natura»75.

Tuttavia l’essere umano proprio perché dotato di un’intelligenza superiore possiede, secondo Kant, tutte le potenzialità cognitive per comprendere i meccanismi catastrofici e, ove è possibile, disinnescarli, o altrimenti limitarne i danni. Tale concezione rappresentava un completo capovolgimento di posizione rispetto alla cultura precedente di origine medioevale e rinascimentale, per la quale non la natura, ma l’uomo, in sé e nei suoi rapporti con Dio, costituiva il centro del creato ed in cui erano le scienze morali ad influire sulle scienze naturali. Con l’avvento dell’Illuminismo – anche se le basi concettuali erano state impostate già nella seconda metà del Seicento, in particolare da Bacone – non più la filosofia e la teologia, ma la matematica, la fisica e la chimica diventano gli emblemi del trionfo delle scienze esatte nel pensiero moderno. Per comprendere fino in fondo un tale atteggiamento culturale occorre tener presente quanto il pensiero scientifico si fosse oramai radicato – pur con notevoli contraddizioni - nella società culturale europea. La fede assoluta, quasi dogmatica, nella unità e nella validità della ragione umana costituiva la premessa su cui gli illuministi impostavano uno dei loro assunti fondativi, ossia la necessità di liberare gli uomini dalla paura, attraverso la filosofia sperimentale di tradizione baconiana, per renderli padroni del mondo circostante76. Attraverso l’utilizzo dei dati offerti dall’esperienza e dal nuovo 75 Kant I., Critica della capacità di giudizio, 2 voll., a cura di L. Amoroso, Rizzoli, Milano 1995, vol. II, p.737.

metodo induttivo si riteneva che l’uomo potesse finalmente attuare il suo più grande sogno: conoscere le leggi che regolano la vita e in tal modo ottenere il dominio integrale della natura al fine di utilizzarla per i propri scopi. La stretta connessione derivata da Locke tra esperienza e ragione era divenuta il carattere fondamentale delle teorie illuministiche della conoscenza, «l’esperienza fornisce alla ragione il materiale indispensabile alla formazione delle idee e svolge una rigorosa funzione di controllo dei risultati e delle procedure d’analisi razionale»77. Partendo da questo principio tutte le questioni che si ponevano oltre i confini dell’esperienza, non solo erano impossibili da determinare, ma risultavano essere anche del tutto irrilevanti per la ricerca scientifica in quanto l’uomo è in grado di conoscere soltanto ed unicamente ciò che ricade all’interno della propria esperienza sensibile.

Secondo Judith Shklar gli eventi disastrosi del Settecento a partire dal terremoto di Lisbona segnavano nella storia culturale dell’uomo un momento di svolta verso una definitivo tramonto della natura quale “strumento” del volere di Dio:

« A segnare la nascita dell’età moderna sono stati molti eventi. Uno di essi […] è il terremoto di Lisbona del 1755. A fare di esso un disastro memorabile non è la distruzione della città ricca e splendida, né la morte di dieci-quindicimila persone sotto le macerie, bensì la reazione intellettuale 77 Cioffi F., Sensismo e materialismo, in Cioffi F., Luppi G., Vigorelli A., Zanette E., Il testo filosofico, tomo II, Ed Scolastiche Mondadori, Milano 2000, p. 1018.

innescatasi in tutta Europa. È stata l’ultima volta che i piani di Dio sull’uomo sono stati oggetto di un dibattito pubblico generale in cui si sono impegnate le mente più notevoli del tempo; fu l’ultima significativa protesta contro l’ingiustizia divina, che di lì a poco sarebbe divenuta intellettualmente irrilevante. […]Da allora in poi, la responsabilità delle nostre sofferenze fu cercata esclusivamente in noi o, caso mai, in un ambiente naturale a cui noi siamo indifferenti»78.

In piena età dei lumi “Dio viene secolarizzato e depotenziato”79 dalla presunzione di determinare e controllare gli eventi; l’uomo in questo modo si riappropriava della propria esistenza, asserviva la natura alle proprie esigenze. Essenziale quindi diviene “assoggettare” la natura alla ragione, stabilire i principi e le regole che sovraintendono i meccanismi naturali, sia della superficie terrestre che del mondo sotterraneo. Attraverso la comprensione delle leggi naturali, l’uomo come sosteneva d’Holbach si può comprendere quanto la natura sia fortemente organizzata nel suo interno e come ogni cosa sia parte di un enorme meccanismo di cui anche l’uomo è un ingranaggio: «L’uomo è opera della natura, esiste nella natura, è sottomesso alla sue leggi, non può affrancarsene, non può, anche col pensiero, uscirne […] Cessi dunque l’uomo di cercare fuori dal monso che

78 Shklar J. N., The faces of ingiustice, Yale, University Press, Yale 1990; tr. It. I volti dell’ingiustizia. Iniquità o cattiva sorte?, Feltrinelli , Milano 2000, p. 65, in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L’illuminismo e la filosofia del disastro, Mondadori, Milano 2004, p. XIX.

79 Placanica A., Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, Torino 1985, p. 225

abita degli esseri che procurano una felicità che la natura gli rifiuta; studi questa natura, apprenda le sue leggi, contempli la sua energia ed il modo immutabile in cui essa agisce; applichi le sue scoperte alla sua felicità; si disponga ad ignorare le cause avvolte per lui da un velo impenetrabile»80. Tuttavia il terremoto con la sua imprevedibilità difficilmente si concilia l’idea di una natura ordinata, spiegabile in base a cause misurabili e scompagina tutte le certezze apparentemente consolidate. Gli uomini del Settecento erano abituati a convivere con calamità di ogni genere, epidemie, carestie, guerre, che avevano profondamente segnato l’organizzazione di tutta Europa, tuttavia i terremoti che a partire dalla fine del XVII secolo avevano colpito l’intero emisfero boreale, dalla Giamaica, alla Sicilia, dal Perù, al Portogallo e alla Calabrie, costituivano un evento assolutamente diverso da ogni altro. Essi ponevano l’uomo in uno stato di totale impotenza, e questo per il secolo del progresso scientifico non era accettabile. Ecco perché intorno a scempi di cose e di uomini, di tale portata quale quelli prodotti dai movimenti tellurici della seconda metà del ‘700, non solo scienziati e filosofi ma anche poeti ed artisti rivolsero la loro opera nel tentativo di analizzare, spiegare razionalmente e descrivere, con ogni mezzo la natura e la portata della catastrofe. Il primato assegnato in generale all’osservazione, che consentiva di cogliere e indagare il fenomeno nella sua natura particolare; la concezione della conoscenza come elaborazione 80 Thiry d’Holbach P.-H., Sistema della natura, a cura di Antimo Negri, UTET, Torino1978, p. 87-88

induttiva dei risultati ottenuti per via empirica, spiega la profonda convinzione, diffusa tra gli scienziati settecenteschi di potere “conquistare e possedere” la natura. L’intera società civile si lasciò trasportare da questa fiducia ottimistica nel progresso umano, l’entusiasmo di fronte alla possibilità di potere contribuire attraverso le proprie osservazioni, esperienze, analisi a comprendere la causa di quei fenomeni distruttivi, aveva coinvolto tutti i ceti sociali così come bene riferisce Giuseppe La Pira: «non può rivocarsi in dubbio che il gusto dominante di questo secolo vedesi grandemente portato alle filosofiche ricerche per indagare la veritiera cagione di tutto il che nell’orbe terraqueo succede; di fatto, nelle funeste conseguenze de’ formidabili terremoti in quest’anno accaduti (1783) ognuno della gente incolta e rude ha fatto mostra del suo talento per rinvenire de’ terremoti la fisica cagione»81.

Ed in effetti la curiosità scatenatasi intorno all’evento aveva legittimato un meccanismo di cooperazione “scientifica”, di scambio di informazioni, più o meno dirette, intorno ad eventi, personaggi, fonti, analisi scientifiche e pseudo spiegazioni scientifiche.

Così come era stato per le catastrofi precedenti o anche in questo caso scienziati, viaggiatori, uomini di chiesa e semplici cittadini si sforzarono di ricostruire la vicenda metereologica dei mesi, dei giorni e degli istanti 81 La Pira G., Dissertazione fisico-chimica sulla causa mediata ed immediata de’ Tremuoti de Don G-L- P. vezzinese, Dottore in Filosofia e Medicina e Pubblico Lettore di Chimica nella singolar Università degli generali Studi di Catania, consacrata alla grandezza dell’illustrissimo Don Stefano Airoldi, ecc. Pulejo, Catania 1783, p. 1, in A. Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, Torino 1985, p. 67.

antecedenti l’evento.

Il piacere e il bisogno della ricerca e della scoperta era tale che divenne prassi comune durante il XVIII secolo lo scambio sistematico di informazioni tra scienziati di tutta Europa intorno ai più diversi problemi scientifici. A questo dibattito collettivo prese parte ogni sorta di studiosi, medici, amministratori, professori, avvocati, sacerdoti, insomma chiunque desiderasse far parte di quella “repubblica intellettuale”82 sorta nell’epoca dei Lumi. Tra gli scienziati di nazionalità interessati ai problemi naturalistici, e in particolare gli eventi sismici, si avviò un colloquio continuo, grazie anche al ruolo svolto dalle Accademie che si impegnarono a pubblicare molte relazioni di viaggi e indagini scientifiche.

La dilagante moda scientifica, vedeva protagonisti intellettuali, borghesi, dame dell’aristocrazia, regine e sovrani di tutto il continente: in tal modo veniva sancito ufficialmente il “trionfo della scienza” e la sua definitiva legittimazione agli occhi della nascente opinione pubblica.

È in questo contesto culturale che due orientamenti si impongono all’attenzione della scienza geologica e degli intellettuali: la teoria fuochista e la teoria elettricista. Entrambi le tesi partivano dallo stesso presupposto ossia che i boati che accompagnavano le scosse telluriche non fossero altro che il riverbero di una concomitante esplosione sotterranea di natura fisico- chimica, causata o da un fuoco preesistente o da una scintilla. Erano proprio 82 Placanica A., Scrupolo scientifico e cordialità umana nelle antologie tremuotiche del 1783, in “Memorie Critiche”, anno XII, n. 44/45, Luglio-Dicembre 1982, p. 138.

cause scatenati l’esplosione a costituire l’oggetto dello “scontro” fra coloro – i fuochisti - che attribuivano ad un incendio, sprigionato nelle viscere della terra, per la combustione di materiali infiammabili entrati in contatto con l’aria o l’acqua, la causa dei fenomeni geosismici e delle eruzioni vulcaniche, e coloro – gli elettricisti - che invece attribuivano ad un fulmine, seguito o meno da un incendio, la causa del processo fisico-chimico dei terremoti.