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In Italia il 5 febbraio 1783 rappresenta una data di notevole importanza specie per la storia del Meridione, quel giorno, infatti, nel primo pomeriggio, ebbe luogo un terremoto di tali proporzioni da sconvolgere la parte meridionale della Calabria e la città di Messina100. Un violento movimento tellurico letteralmente sconquassò l’intero territorio, si assistette alla comparsa di fratture sui terreni, al crollo di intere fiancate di monti, alla creazione di nuovi laghi e alla scomparsa di storici fiumi; nei pochi minuti della prima scossa – a cui ne succedettero numerose altre nei successivi due anni - ovunque regnò la distruzione. Un evento di tale portata costituì indubbiamente un accadimento troppo importante per non rientrare all’interno di ogni genere di narrazioni, divulgazioni e studi. Da qui lo sforzo intenso da parte di una grande varietà di personaggi, a vario titolo, di indagare, conoscere e porre in evidenza tutti i più piccoli particolari, precedenti, concomitanti e susseguenti i avvenimenti calamitosi.

100 Alle 12:45 del 5 febbraio 1783 una catastrofica scossa di terremoto (oggi stimata intorno a 7.1 di magnitudo Richter) sconvolse la Calabria meridionale distruggendo decine di paesi e provocando la morte di oltre 31.000 persone. Si trattò di uno dei più violenti terremoti italiani di tutti i tempi, a testimonianza dell’elevata attività sismica di questa regione. Il 7 febbraio vi fu un’altra scossa molto violenta, seguita da centinaia di scosse di replica. La sequenza sismica del 1783, iniziata verosimilmente in gennaio con scosse precursorie di media e bassa intensità, si protrasse per circa quattro anni, fino al 1786. L’epicentro della prime due forti scosse si localizzò nell’area compresa fra le città di Bagnara, Santa Cristina e Cinquefrondi e il tratto di mare che va da Palmi a Gioia Tauro. Ad aggravare in maniera significativa il bilancio delle vittime fu il maremoto verificatosi in Sicilia il 6 febbraio che, con un’onda alta più di 10 metri, uccise oltre 25.000 abitanti. Il terremoto del 1783 innescò una vera e propria crisi geomorfologica in tutta l’area, provocando una serie di fenomeni straordinari, quali lo scivolamento in mare di una parte del Monte Paci, la deformazione del suolo (abbassamenti, apertura voragini, fenditure), liquefazione nei terreni, deviazioni di corsi d’acqua.

Fino a quel momento la parte più meridionale del sud Italia (ad eccezione della Sicilia), era stato oggetto di curiosità solo da parte di pochi viaggiatori che si erano interessati al meridione d’Italia o per spirito d’avventura avventura e di scoperta di luoghi la cui essenza era ancora così selvaggia e primordiale o per il desiderio di ammirare le antiche vestigia greche e latine101. Dopo il terremoto questa zona della penisola diviene oggetto di una quasi morbosa attenzione da parte non solo degli scienziati, interessati all’evento sismico, ma anche da parte di ogni sorta di intellettuali attirati lì dal desiderio di conoscere le condizioni di vita della popolazione, e desiderosi di mettere in atto le più diverse riforme di ricostruzione economica e sociale allora in voga in Europa.

Un enorme numero di intellettuali si pose ad analizzare minuziosamente, sotto le angolature più diverse, i fenomeni accaduti in Calabria e a Messina, nel tentativo primario, alla luce anche di ciò che era accaduto a Lisbona nel ’55, di scoprire l’origine di tutti i terremoti. In realtà tutta l’attività di analisi, a causa della scarsa conoscenza dei diversi fattori geomorfologici legati ai terremoti faceva sì che le analisi degli scienziati del Settecento potessero fossero di carattere induttivo, derivate da analisi empiriche e meccanicistiche dei fenomeni fisici. Attraverso l’esame della tipologia di rocce prodotte dal sommovimento sismico e alla comparazione dei diversi

101 L’interesse archeologico per la Calabria greca aveva portato un gran numero di viaggiatori, in particolare stranieri, alla allontanarsi da quelli che erano i percorsi classici che indicavano Napoli o Paestum come i centri di maggiore interesse, ma spingevano i giovani aristocratici ad esplorare e scoprire anche l’estremo meridione d’Italia.

fattori preesistenti e successivi l’evento, gli scienziati credevano e speravano di poter individuare la causa prima dei sismi. E l’ “entusiasmo” suscitato dai fenomeni tellurici calabri si può cogliere nelle parole di Gaetano D’Ancora, che in un suo saggio sui fossili rinvenuti in Calabria dopo il terremoto dell’83 scrive a Sir Joseph Banks, presidente della Royal Society di Londra:

«nella lacrimevole sciagura non ha guari sofferta per gli orribili tremuoti che han devastato quel suolo, nella parte specialmente che la Calabria Ulteriore si appella, molti nobili ingegni si son risvegliati, come accader suole dopo le grandi vicende, ad esaminare più da vicino le sue proprietà, molte e dotte memorie scrivendo, chi sulle cagioni ed i fenomeni dei tremuoti, chi sopra i prodotti volcanici, ed altri finalmente sulla qualità di fossili che in tal congiuntura si son dati colà a divedere»102.

Tutto veniva analizzato e descritto con accuratezza quasi maniacale: dalle esalazioni bituminose, alle scosse, ai rombi, ai vapori; gli scienziati con ottimistica fiducia, attraverso il metodo dell’analisi, tendevano a scomporre “ cartesianamente” il fenomeno nei suoi elementi costitutivi con lo scopo di 102 Il De Stefani sottolinea come: «La prima spinta ad uno studio veramente scientifico della Calabria fu data purtroppo dai terribili terremoti del 1783. Il Governo e la Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere di Napoli incaricarono vari scienziati di percorrere e di studiare i territori devastati: parecchi illustri forestieri vennero nello stesso tempo a visitarli. I risultati di queste ricerche vennero pubblicati in quel tempo in un Rapporto della Reale Accademia (1784), e negli scritti dell’Ippolito, relativi all’istmo di Catanzaro, del Vivenzio, medico de Re di Napoli, che discute sulle cause del terremoto, del Grimaldi, che fece deu terremoti una descrizione molto accurata, di Hamilton (1783), di Dolomieu (1784). Del’Augusti, del Colaci, di Von Mitrowsky e di altri 38» Carlo de Stefani, Escursione scientifica nella Calòabria (1877-1878), Jeio, Montalto, capo Vaticano, Studio geologico, in Atti Accademia del Lincei, vol. XVIII, Roma, 1882-83, p. 22. D’Ancora, ricerche filosofico-critiche, sopra alcuni fossili metallici della Calabria, Livorno 1791, p. 3.

riuscire individuare le leggi che soggiacevano ai fenomeni stessi103.

Al di là della corrente teorica di appartenenza per tutti gli scienziati costituiva un passaggio scientifico fondamentale l’analisi attenta di tutti gli eventi geofisici e meteorologici avvenuti in concomitanza del sisma: nubi, nebbie, venti, umidità, piogge, siccità, luminescenze, rossori atmosferici, tutto veniva vagliato ed esaminato fin nei minimi dettagli. A questa attenzione maniacale ai dettagli non sfugge neanche la commissione della Accademia Reale presieduta dal Sarconi, la Istoria infatti rappresenta una sorta di raccolta e descrizione ufficiale dei fenomeni maggiormente correlati all’evento sismico vero e proprio: così il colore dell’acqua, il singolo fossile, la temperatura dell’aria, il colore della terra, un ribollimento sotterraneo, una scossa di assestamento, diventano oggetto di studio, materia attraverso la quale formulare o confutare ipotesi scientifiche, per questo motivo tutto viene classificato, enumerato, descritto.

Frequente era inoltre l’uso di suffragare l’attenzione degli studiosi, che pur di avvallare la scientificità delle loro teorie non esistano a ricorrere al prestigio dei grandi padri della scienza. I Meteorologica di Aristotele costituivano un topoi su cui basare le diverse teorie scientifiche, ma anche Plinio, Lucrezio. Questa tendenza bene ci viene descritta dal Corrao a dimostrazione di quanto fosse diffusa e comunemente accettata, seppur rivisitata alla luce delle più recenti scoperte:

103 Cioffi F., Luppi G., Vigorelli A., Zanette E., Il testo filosofico, tomo II, Ed. Scolastiche Mondadori, Milano 2000, p. 1019.

«il fuoco elettrico è chiamato Materia elettrica e Vapore, e Fluido elettrico da parecchi […] infatti risplende egli il fluido rammemorato, scintilla, fiammeggia, accende una candela, induce nell’acque dell’evaporazione, e scioglie persino i metalli. E quali mai, se non questi, sono essi i caratteri, disegnati con chiarezza l’indole e la natura del Fuoco? A’ tempi di Plinio non si pensava diversamente. Afferma egli104 essere il tremuoti nella Terra ciocchè è il tuono nelle nuvole. A Quattro si riducono gli effetti dei tuoni più ordinarj, ad una luce viva, e brillante, ad un considerabile fragore, o scoppio, che vogliam dirlo, all’urto impetuoso, o rovesci manto di tutto ciò, che fa ostacolo, e ad un orribil puzzo, che vi si sparge d’intorno […] ma non intervengono pure nei Tremuoti tutti e quattro i fenomeni riferiti? Noi l’abbiamo sperimentati in quelli, che hanno distrutta la Città nostra. Fu veduta fiammeggiare una luce improvvisa, e passaggiera sopra i tetti elle Case, sul punto, che si facevano a sentire le terribili scosse dell’ore diciannove. Era ella la Luce vibrata dal fuoco elettrico ivi acceso con somma celerità dopo varj giri, e serpeggiamenti per gl’interstizj della Terra e degli Edifici sopraposti […]

Il Fragore però nei Tremuoti (dei giorni successivi) è stato più cospicuo, e più patente […] l’aria esterna già compressa dal Fuoco Elettrico scappato fuori con violenza dal se non della Terra per mezzo di angustissime aperture, 104 Plinio, Historia Naturalia, lib. 2. E alquanto strano che in un secolo caratterizzato dalla fiducia nel progresso e nelle macchine elettriche la maggior parte degli studiosi per legittimare le proprie teorie ricorrano ancora ai grandi “mostri sacri” greci e latini, riportando le opinioni di Talete , Epicuro, Lucrezio, o citando con reverenza la Naturalis Historia di Plino o le Naturales Quaestiones di Seneca. Gli scienziati moderni quali Gassendi, Libeniz, Buffon, Franklin, vengono invece spesso relegati in secondo piano.

insieme con dei vapori, e delle esalazioni, è stata quella appunto, che nel restituirsi con furia, mercè la sua elasticità, allo stato primiero, è stata quella , io dico, che vi ha prodotti gli spaventevoli fracassi, di cui si parla.

Inoltre certo Odore spiacevole, e consimile a quello del zolfo, ha urtato con più sensibilità i miei organi sensorj… tralle esalazioni, che sortono dalla Terra unitamente col Fuoco Elettrico, ve ne stanno pure delle Sulfurre, urtanti con disgusto le papille nervee del nostro Olfatto. 105

Pur nella diversità dell’approccio e delle considerazioni scientifiche da parte dei diversi intellettuali-scienziati, la conoscenza dell’insieme dei fenomeni astrali e atmosferici dei due mesi precedenti il sima costituivano informazioni fondamentali per la conoscenza. La presenza o meno di nubi e la loro provenienza «… si estendevano per lungo il levante estivo e Scirocco e Mezzogiorno»106, la direzione del vento «… il vento spira da’ punti circa Scirocco e Ponente»107, il colore del sole e la temperatura dell’aria, moto ondoso irregolare «… il mare lontano alquanto da terra è in fervore e sobbollimento insolito, senza cagione di vento o di maroso

105 Corrao A., Memoria sopra i tremuoti di Messina. Accaduti in quest’anno 1783, per Giuseppe di Stefano, Messina, MDCCLXXXIII, pp. LXXXVII-LXXXIX.

106 Gallo A., Lettere scritte da A.G. Pubblico Professore nel Regio Carolino Collegio di Messina, Socio dell’Istituto delle Scienze di Bologna, di Napoli, ecc, e dirizzate al Signor Cavaliere N.N. delle Reali Accademie di Londra , Bordò e Upsal, pelli terremoti del 1783, con un Giornale meterieologico de’ medesimi. Aggiuntavi anche la Relazione di que’ di Calabria con li Paesi distrutti ed il numero de’ Morti, Di Stefano, Messina 1784 p. 10. 107 Pignataro D., Giornale tremuotico, Riprodotto nel voll. II di Giovanni Vivenzio, Istoria de’ tremuoti avvenuti nella Provincia della Calabria ulteriore e nella città di Mesina nell’anno 1783 e di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al 1787, preceduta da una Teoria ed Istoria generale de’ Tremuoti, Stamperia Reale, Napoli 1788, 2 voll., p. V.

lontano» 108, tutto contribuiva alla costruzione di un quadro complessivo di riferimento entro il quale era venuta a situarsi la catastrofe sismica.

Tale era l’importanza assegnata a questi segni che non vi era rassegna o studio scientifico del tempo che non si aprisse con un prologo dedicato ai fenomeni geofisici accaduti nei mesi precedenti e si chiudesse con un minuzioso giornale meteorologico-sismico.

Particolarmente esatta è la ricostruzione meteorologica condotta dal Vivenzio che partendo dal mese di maggio del 1782 descrive dettagliatamente le maggiori variazioni termiche e pressorie registrate al fine di dimostrare la sua teoria circa l’origine elettrica dei terremoti e le correlazione che esisteva tra l’elettricità dell’atmosfera e quella del suolo. “Da diligente Osservatore, ed uomo pieno di cognizioni, che per quasi cinque interi mesi ha dimorato nella Calabria ulteriore in mezzo a’ Tremuoti, sono stato assicurato, che prima di ogni scossa fermavansi le nuvole, e quasi pendenti restavano: e che produceva la scossa Tremuotica lo scroscio a guisa di una forte scintilla di potente Macchina Elettrica: e finalmente ,che quando il tempo era umido, le scosse erano più frequenti, e che cagionavano giramento, ed offuscamento di capo, e debolezza somma di stomaco”109. Dopo secoli di buio e di oblio, l’Europa quindi incomincia ad interessarsi 108 Pignataro D., Giornale tremuotico, Riprodotto nel voll. II di Giovanni Vivenzio, Istoria de’ tremuoti avvenuti nella Provincia della Calabria ulteriore e nella città di Mesina nell’anno 1783 e di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al 1787, preceduta da una Teoria ed Istoria generale de’ Tremuoti, Stamperia Reale, Napoli 1788, 2 voll., p. VI.

109 Vivenzio G., Istoria e teoria de’ tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina, Stamperia Reale, Napoli MDCCLXXXIII, p CCXIII-IV.

del profondo Sud d’Italia e anche la Calabria, regione per secoli pressoché sconosciuta, se non per le vestigia greche, cominciò ad essere oggetto di studio riguardo le condizioni di vita, le miserie e gli abusi di una società ancora con fortissimi caratteri feudali. L’iniziale interessamento a questa regione subì una drastica evoluzione dopo il terremoto del 1783, che fece conoscere brutalmente in Europa un luogo alle cui miserie vecchie di secoli si era aggiunta la rovina di questa immane catastrofe.

L’attenzione provocata da una tale mole di scritti sulle Calabrie determinò per la popolazione, una improvvisa – seppure effimera, in termini di miglioramento della qualità della vita - uscita dal lungo isolamento economico e culturale in cui si era trovava la parte più meridionale del Regno delle Due Sicilie.

Il terremoto fu sentito su un’area molto vasta della Calabria ulteriore110, fino all’istmo di Marcellina, congiungente i golfi di Sant’Eufemia e di Squillace, sebbene gli echi furono avvertiti ben al di là della Calabria e , si disse fino a Napoli111.

110 «Il Regno di Napoli è diviso in dodici Province: la prima e nominata Terra di Lavoro, Campania, nella quale Provincia risiede la Città di Napoli Capitale del Regno: Principato citra, la cui Capitale è Salerno, e gli abitanti son detti Picentini: Principato ultra ha per Capitale Montefuscolo, e dicesi Hirpinia; Basilicata detta Lucania fa per sua Capitale Matera: Calabria citra ha per sua Capitale Cosenza, ed appellasi Brutium Citerius: Calabria ultra detta Enotria, o Brutium ulterius, tiene per sua Capitale Catanzaro, e quella Provincia è l’antica Magna Grecia: Terra di Bari, detta Peucezia, la sua Capitale è Bari: Terra d’Otranto denominata Japigia, ha Otranto per sua Capitale: Abruzzo citra, la cui Capitale è Chieti, e gli abitanti vengono detti Marsi: Abruzzo ultra, gli abitanti della quale appellati Vestini, ha per Capitale l’Aquila: Capitanata detta Daunla, ha per sua Capitale Lucera; e finalmente Contado di Molise, gli abitatori della quale vengono detti Frentani, e la sua Capitale è Campobasso.» Giuseppe Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, tomo III, Presso i Fratelli Terres, Napoli 1789, p. 1-2.

111 L’epicentro venne individuato nel territorio di terranova (oggi Terranova Sappo Minulio), a metà strada tra Oppido e Taurianova, il massimo di violenza si scatenò su un

«La calamità del tremuoto del 6 febbraio 1783 e de’ giorni susseguenti, che ha avuto per centro le viscere del gran monte Caulone, o sia Aspromonte, e si è disteso fino a Messina, è la maggiore di quante da due secoli in qua ne abbiano ricevute questi due Regni. Santa Cristina, Oppido, Cosoleto, Terranova, Sinopoli vecchia, Seminara, Palmi, Bagnara, Casalnuovo, Polistena, Radicina, Cinquefonti con tutte le altre terre e paesi adiacenti caddero in un istante vedendosi la muraglia cacciarle fuori de’ loro fondamenti»112.

Vi furono imponenti sommovimenti tellurici, accentuati dalla natura argilloso-sabbiosa della piana di Calabria. Dall’analisi condotta dal Mercalli l’area era caratterizzata da rocce di scarsa consistenza, di natura eterogenea poggianti su più antiche formazioni cristalline: furono le strutture terziarie e quaternarie, e quindi di più recente costituzione, ad essere soggette al terremoto113.

Nell’area ad ovest dell’Aspromonte gli sconvolgimenti furono gravi non solo per effetto della scossa, ma anche perché la scossa fece sì che si innescasse lo uno scorrimento orizzontale di chilometri quadrati di terreno rettangolo con i vertici Bagnara, Santa Cristina, Cinquefondi, Gioia: praticamente tutta la vasta piana delimitata dall’Aspromonte a sud e dalle Serre a nord. I paesi coinvolti furonoBaganara, Santa Cristina, Oppido, Polistena, San Giorgio, Castellace, Cinquefondi, Casalnuovo (l’odierna Cittanova), Molochio, Parocorio, Tresilico, Radicena, Sitizano, Sant’Eufemia, Sinopoli, Seminara, Verapodio, Jatrinoli, Lubrichi, Scido, ed altre ancora. A. Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, Torino 1985, p. 8.

112 Galiani F., Pensieri vari di Ferdinando Galiani sul tremuoto della Calabria ultra e di Messina, codice XXXI, A. 9, B.S.N.S.P. Biblioteca Società Napoletana di Storia Patria. 113 Placanica A., Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, Torino 1985, p. 12.

che trascinarono con sé tutti i nuclei abitati su di essi presenti. Questo spiega la diversità dei danni subiti da paese a paese anche a causa del sostrato roccioso su cui sorgevano. Dalle ricostruzioni si ritiene che il primo a cedere fu lo sperone calcareo di Seminara e Palmi, che lo squassamento tettonico divise in due: il primo troncone slittò verso il pendio settentrionale, in direzione della bassa valle del Petrace e della pianura di Gioia e Rosarno, mentre il secondo subì uno scorrimento in direzione dei paesi della Piana, disposti lungo un anfiteatro collinare formato dai contrafforti dell’Aspromonte. Interi gruppi di colline e altopiani si sfaldarono: Piani di Mojo e della Croce, quasi sotto all’Aspromonte, e quindi i Piani di Zervò, tra le pendici dell’Aspromonte e la linea di defluvio verso lo Jonio; e poi tutto il sistema vallivo tributario del Petrace e del Mésima. Così il capitano Coccia descriveva il paesaggio che si presentava davanti ai suoi occhi al maresciallo Pignatelli: «Le scosse furono sì terribili che tutt’i colli e le colline, specialmente dalla parte di Ponente, insieme con tutt’i fondi, cogli alberi in buona parte piantati, ed in maniera che nel mettà della valle medesima presentemente non se vede più valle ma una eguaglianza colle colline della parte opposta».114

A differenza del Gallo il Torcia, più legato all’interesse per la Calabria, non ha una visione diretta dei fenomeni, ma nel desumere da altri le notizie essenziali, completa la masse delle informazioni, che gli provengono da 114 Coccia G., “Relazione al Maresciallo per la distrutta città di Santa Cristina col tremuoto del 5 febbraio 1783”, in Rivista storica calabrese, 1984, pp. 227-31.

testimoni diretti, assegnando al suo racconto un taglio decisamente socio- politico, che lascia del tutto d parte il dibattito sulle cause fisiche, così come Ferdinando Galiani.

Il saggio del Torcia115 appare quasi del tutto incurante dei fenomeni fisici, o delle cause del terremoto, vengono sì descritti alcuni fenomeni grandiosi ma senza insistervi particolarmente; il grosso della trattazione è dedicato a un quadro della Calabria prima e dopo il terremoto, ai suoi ritardi nello sviluppo economico e sociale, all’occasione storica che il terremoto rappresenta per il suo superamento116.

Riguardo le teorie relative all’epicentro del sisma, o comunque ai diversi gradi di distruzione subiti dalle cittadine calabresi, le teorie sono molteplici e variano dalla natura delle rocce percorse – assolutamente moderna e vicina alle scoperte recenti – alla teoria delle caverne sotterranee, ecc. Assolutamente avanguardista è la teoria dell’Hamilton che, seppure cadendo in errore, (ma dobbiamo tenere conto che non vi era alcuna idea dell’esistenza delle onde sismiche) si avvicinava alla veridicità della natura 115 I due testi sul terremoto del Torcia sono: Tremuoto accaduto nella Calabria e a Messina alli 5 febbraio 1783 descrito da Michele Torcia archivario di Sua Maestà Siciliana e membro dell’Accademia Regia, Napoli 1973; Descrizione del terremoto avvenuto nella Calabria e a Messina alli 5 febbrajo 1783 del Signor Michele Torcia..., Vicenza 1784 (estratta da “Giornale Enciclopedico” di Vicenza dello stesso anno). La Descrizione contiene una gran quantità di contributi tratti da altri studiosi, i tesi dei vari autori presenti