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ATTIVITA’ ANTI-INFIAMMATORIA

IMMUNITA’ INNATA Neutrofil

I neutrofili rappresentano la prima linea di difesa contro le infezioni. Sono il tipo più diffuso di cellule dell’immunità innata, le prime ad essere reclutate nel sito d’infezione 102

, essenziali per il contenimento e l’eradicazione microbica e implicate nella mortalità a lungo termine della sepsi 138.

Numerose alterazioni sono state riportate in letteratura che documentano una ridotta attività dei neutrofili nella stato di immunoparalisi:

1)apoptosi ritardata 83;

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3) compromissone della produzione e del rilascio di molecole effettrici essenziali, come le specie reattive dell'ossigeno (ROS) e le citochine 92;

4)aumento dei neutrofili immaturi in circolo 67, 69, la cui attività funzionale non è completamente efficiente 168. Vale la pena ricordare:

a)la loro bassa espressione dei recettori per le chemochine (ad esempio CXCR2), b) la diminuita produzione di citochine in vitro 30, 63, 110;

c) chiari deficit nel burst ossidativo 39 nel reclutamento e nella migrazione 36, 45, nella

capacità di attivare il complemento, e quindi nell'eradicazione batterica 64.

Queste alterazioni spiagano il perchè la maggior parte dei pazienti che muoiono di sepsi hanno infezioni in corso 17, sono più suscettibili a sviluppare complicanze tipiche delle UTI, come le VAP e altre infezioni nosocomiali 185.

Ioltre queste alterazioni potrebbero servire come potenziali bersagli terapeutici per regolare l’apoptosi, la produzione, la maturazione e la funzione dei neutrofili 132

.

Marker della funzione immunitaria

CD64

L’antigene di membrana CD64 è un recettore ad alta affinità per la frazione costante delle catene pesanti delle IgG (FcγRI) che si trova espresso normalmente sui monociti e in condizioni normali solo a bassi livelli sui neutrofili.

L’espressione del CD64 sui neutrofili è regolata in modo proporzionale al grado della risposta infiammatoria in seguito a processi infettivi o danni tissutali clinicamente significativi. In seguito all’attivazione dei neutrofili da parta di citochine proinfiammatorie viene sovraespresso significativamente entro poche ore (4-6 h) e, alla scomparsa dello stimolo, l’espressione del CD64 torna ai livelli basali in pochi giorni. Recentemente l’espressione del CD64 sui neutrofili si è dimostrata un marker molto sensibile ( >95%) e specifico per infezioni sistemiche e sepsi 21(, anche più specifico della pro calcitonina (PCT) 69.

Deve esser ancora chiarito il ruolo del CD64 nel differenziare infezioni batteriche e virali, poiché CD64 è elevato anche in alcune infezioni virali.

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Inoltre il CD64 è stato riportato da diversi autori come indicatore della gravità della sepsi: pazienti con shock settico mostrano generalmente livelli di CD64 più alti rispetto a pazienti con sepsi severa e molto più alti rispetto a quelli con sepsi o SIRS. È stato dimostrato anche che un’adeguata terapia antibiotica comporta una rapida riduzione dell’indice CD64, in parallelo con un miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti in studio 21, 85.

I primi risultati mostrano che la misurazione del CD64 neutrofili può permettere ai medici di interrompere le terapie antibiotiche se negativo entro 24 ore dal sospetto di infezione, senza aspettare i risultati microbiologici definitivi. Questi risultati preliminari necessitano di esser confermati in coorti di pazienti più grandi, che includano gruppi di controllo adeguati con SIRS 75.

Neutrofili immaturi

I neutrofili immaturi sono fenotipicamente identificati in base alla minore espressione di CD10 / CD16.

Nel 2014, diversi articoli pubblicati da diversi gruppi hanno indicato che un aumento del numero di granulociti immaturi ("band cells" identificati da analizzatore automatico di ematologia, ADVIA 2120 o Sysmex XE-5000) sono associati a aumento della mortalità 67, 69, 137, 143.

Ma ad oggi non ci sono abbastanza studi per correlare l’aumento dei neutrofili immaturi CD10/CD16 con un aumento delle infezioni secondarie, di riattivazione virale e di mortalità.

NET

Un nuovo potenziale marker di funzione immunitaria neutrofilica potrebbero essere i NETs (Neutrophil Exracellular Traps).

Oltre alla possibilità di eliminare gli agenti patogeni mediante fagocitosi, burst ossidativo e / o degranulazione, è stato recentemente dimostrato che i neutrofili possono debellare una vasta gamma di microrganismi formando trappole extracellulari (NETs) 19

.

I NET sono costituiti da cromatina (DNA e istoni) decondensata attraverso la citrullinazione degli istoni, e proteine con funzione opsonica, battericida (es: mieloperossidasi, proteinasi 3) e pro coagulante.

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Le fibre di DNA in circolo promuovono il contenimento fisico dei germi, mentre gli istoni e le proteine granulari conferiscono una funzione antimicrobica ai NETs, prevenendo l’ulteriore disseminazione batterica 119

.

Durante la sepsi, il rilascio dei NETs aumenta e questo aumento è associato con la gravità delle sepsi e la disfunzione d’organo 31.

Monociti-macrofagi

I monociti sono cellule circolanti, derivate dal midollo emopoietico, precursori dei macrofagi tissutali. Sono attivamente reclutati nelle sedi di infiammazione, dove si differenziano in macrofagi. Questi sono cellule fagocitiche tissutali implicate nelle risposte innate e adattative. Sono attivate dai prodotti microbici (es endotossina), molecole (CD40L), citochine prodotte dai linfciti (es INFgamma dei linf T). Quando sono attivati fagocitano e uccidono i microrganismi, secernono citochine pro infiammatorie e presentano gli antigeni ai linfociti T helper.

L'impatto di un episodio di sepsi su sottopopolazioni di monociti umani è stato oggetto di intensa ricerca negli ultimi cinquant'anni.

Le principali alterazioni sepsi indotte nelle cellule monocito-macrofagiche sono:

1)dimunita capacità di presentare l’antigene correlata alla diminuita espressione dell’HLADR (su cui tornermo in seguito) 43

.

2)ridotta capacità di rilasciare citochine pro-infiammatorie (TNF, IL1, IL6, IL12) dopo esposizione all’endotossina (LPS), descritta come "tolleranza endotossinica", accompagnata da un contemporaneo aumento della produzione di citochine anti- infiammatorie come IL-10. Tutte insieme, queste osservazioni suggeriscono che nella sepsi, i monociti vengano attivati, ma i percorsi cellulari siano reindirizzati verso la sintesi di mediatori antiinfiammatori 135. L’analisi dell’mRNA monocitario umano mostra chiaramente un aumento dei livelli di geni di citochine inibitorie e una riduzione dei geni codificanti chemochine infiammatorie 87.

3)Apoptosi con dimunzione del numero totale di monocti in circolo 59

Marker della funzione immunitaria

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L’antigene leucocitario umano HLA-DR fa parte del sistema maggiore di istocompatibilità umano (HLA) di classe II, che è costitutivamente espresso sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (monociti, macrofagi, cellule dendritiche, linfociti B). E’ una glicoproteina formata da un dimero associato in modo non-covalente che presenta un sito di legame extracellulare per l’antigene peptidico.

Figura 13: Struttura HLADR

La ridotta espressione di HLA-DR sulla superficie cellulare dei monociti fu proposta come biomarker di deattivazione dei monociti e di immunosoppressione nei pazienti critici già alla fine degli anni ’90.

Attualmente, molti ricercatori concordano sul fatto che la sua ridotta espressione sia un marker surrogato di “anergia” dei monociti, associato allo sviluppo di infezioni e morte 22, 23, 95

.

E’ perciò il biomarker più ampiamente accettato di immunoparalisi 95 .

La diminuzione dell’espressione di HLADR si associa a una diminuita funzione maonocito-macrofagica comprendente una diminuita secrezione di citochine pro- infiammatorie e una ridotta proliferazione antigene specifica di linfociti T 109, 127, 176, 188.

L’espressione di mHLA-DR è finemente regolata da diverse citochine prodotte nel corso della risposta immunitaria:

-è stimolata da mediatori come granulocyte macrophage colony stimulating factor (GM- -CSF

-è inibita dall’interleuchina (IL)-10, transforming growth factor (TGF)-β e prostaglandine

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I monociti esprimono mHLA-DR con una variabilità minima rispetto a età, sesso, etnia, senza variazioni circadiane. Le varie terapie utilizzate in terapia intensiva, comprese corticosteroidi, catecolamine esogene, trattamenti immunosoprressivi, trasfusioni ematiche e antibiotici, non sembrano influire sull’espressione mHLA-DR.

Sulla base di diversi studi, mHLA-DR è stato preso in considerazione come fattore predittivo di complicanze settiche in seguito a danni di vario tipo (trauma, ustioni 177,

chirurgia maggiore) 73.

Altri studi invece hanno focalizzato l’attenzione sul possibile nesso tra una ridotta espressione di mHLA-DR e l’insorgenza di infezioni nosocomiali (definite come infezioni che insorgono dopo 48 ore in ospedale ed in particolare in terapia intensiva, ICU-acquired) in diverse popolazioni di pazienti ammessi in UTI 95, 104.

Quindi la ridotta espressione di mHLA-DR si rivela un fattore predittivo significativo per il rischio di infezioni nosocomiali sia nella fase iniziale dello shock settico (3°-4° giorno) sia in una fase successiva (6°-9°giorno).

I pazienti con ridotti livelli di mHLA-DR dovrebbero essere considerati immunodepressi e quindi potrebbero beneficiare di strategie mirate ad abbattere il rischio infettivo.

Studi successivi si sono concentrati sul potere predittivo dell’ mHLA-DR in termini di mortalità, in particolare nella fase immunosoppressiva dello shock settico 62, 125, 189 documentando come bassi livelli di espressione di mHLA-DR fossero effettivamente predittivi di peggior outcome.

Questi dati supportano comunque l’idea che l’uso ideale di HLADR sia un monitoraggio e non una singola misurazione: la pendenza di recupero di espressione di mHLA-DR sembra essere superiore ad una singola misura per quanto riguarda la previsione della mortalità, i sopravvissuti tendono a mostrare normalizzazione dei livelli di mHLA-DR, mentre i non sopravvissuti non lo fanno.

Ricapitolando quindi il monitoraggio dell’HLA-DR può essere utile come: -fattore predittivo di infezioni secondarie

50 NK

Le cellule NK sono linfociti classicamente indicati come partecipanti all’immunità innata. Sono stati descritti per la prima volta per la loro capacità di uccidere le cellule leucemiche previa sensibilizzazione specifica 74.

Essi rappresentano una piccola percentuale (4-15%) dei linfociti del sangue e non esprimono una specifico recettore (recettore immunoglobulinico, recettore per l’antigene di tipo αβ γδ che caratteriizzano linfociti B e T rispettivamente) 25

.

La funzione delle cellule NK è regolata da una molteplicità di recettori attivatori (ITAM) e inibitori (ITIM=motivi inibitri immunorecettoriali tirosin-dipendenti) . In sintesi i NK uccidono le cellule dell’ospite infettate da microbi intracellulari, eliminando così i serbatoi dell’infezione; in risposta all’IL2 macrofagica secernono INFγ che potenzia a sua volta l’uccisione dei germi fagocitati dai macrofagi.

Le cellule NK hanno un ruolo importante nella difesa contro le infezioni virali, in particolare herpes virus 8, virus influenzale 108, hantavirus 13 mediante citotossicità diretta contro le cellule infettate da virus e la precoce produzione di citochine in grado di controllare la replicazione virale, come IFN-γ.

Partecipano anche a risposte ad altri tipi di infezioni, comprese quelle causate da batteri intracellulari, batteri piogeni, funghi e protozoi 167, 169.

Le cellule NK sono anche impegnate in crosstalks con altre cellule del sistema immunitario, come le cellule dendritiche (CD) 182, monociti , macrofagi 10, 96 e nutrofili 29

.

Gli quindi suggeriscono che le cellule NK potrebbero essere coinvolte in funzioni chiave durante la sepsi.

Lavori recenti hanno studiato le cellule NK nella sepsi e hanno mostrato alterazioni delle nelle loro funzioni 25, 163, 164.

Più specificamente:

1) il numero e la percentuale, studiati mediane citofluorimetria, di cellule NK circolanti è aumentato nei pazienti che non sopravvivono alla sepsi rispeto ai survivors 3;

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2) dimiuzione della funzione citotossica 24;

3) diminuzione della produzione ex vivo di IFNγ in risposta ad agonisti dei TLR. Questa tolleranza delle cellule NK può essere responsabile della riattivazione di virus latenti come CMV, che spesso si constata nei pazienti in UTI e, soprattutto, può servire come futuro obiettivo per interventi terapeutici 101.

Marker della funzione immunitaria

Il valore predittivo in termini di mortalità dei linfociti NK nella sepsi severa/shock settico è stato preso in considerazione recentemente, benché il loro ruolo nella patogenesi della sepsi sia ormai noto da tempo.

Dato il loro ruolo centrale nella difesa antivirale, si può ipotizzare che la diminuzione delle NK possa favorire riattivazioni virali 106, 181.

Nello studio condotto da Andaluz-Ojeda et al. su pazienti con sepsi severa si dimostra che la conta assoluta delle cellule NK, così come la loro percentuale sulla popolazione totale dei linfociti, misurata nel primo giorno dopo il ricovero è significativamente più alta nei soggetti che non sopravvivono alla malattia rispetto ai survivors. Dall’analisi delle curve di sopravvivenza si evidenzia che livelli più alti di cellule NK al giorno 1 (>83 cellule/mm³) sono associati ad una mortalità precoce 3.

Oltre alla correlazione tra la più alta conta dei NK con una minor probabilità di sopravvivenza, è stata osservata anche una più alta percentuale dei NK che esprimono molecole di attivazione superficiale CD69+ e CD57+ nei soggetti morti per shock settico rispetto a quelli sopravvissuti 34.

Il decremento dei NK può persistere per una settimana ed è associato ad un aumento della mortalità 60.

Cellule dendritiche

Le cellule dendritiche sono cellule derivate dal midollo osseo, si rirovano negli epiteli (prendendo il nome di cellule di Langherans) e nella maggior parte degli organi; sono caratterizzate dal punto di vista morfologico da sottili proiezioni citoplasmatiche. Le cellule dendritiche agiscono come cellule che presentano l’atigene (APC) ai linfociti T

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naive e sono imporanti per l’inizio della risposta immunitaria specifica agli antigeni proteici.

Tutte le APC esprimono sulla loro superficie frammenti peptidici di antigeni proteici in associazione a molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e attivano i linfociti T antigene-specifici. Perché questa attivazione sia ottimale e completa le APC devono contemporaneamente esprimere molecole costimolatorie.

Le cellule dendritiche (DCs) sono tradizionalmente differenziate in convenzionali (CDCs) o plasmacitoidi (PDCs).

CDCs sono simili a monociti e secernono IL-12, (che promuove la differenziaione in TH1) mentre pDCs sono simili alle cellule plasmatiche e secernono grandi quantità di IFNα.

Recenti indagini hanno dimostrato che la prevenzione dell’induzione dell'apoptosi delle DC o l'aumento della funzione delle DC migliora la sopravvivenza a lungo temine della sepsi 11, 46.

Le alterazioni sepsi indotte delle cellule dentritiche possono essere così semplificate: -aumentata apoptosi durante la sepsi e nei pazienti che manifestano infezioni nosocomiali 65, 84.

-ridotta espressione di HLA-DR e aumento della produzione di IL 10 – immunosoppressiva 144.

L’amplamento delle conocenze sulle numerose funzioni e interazioni delle cellule dentritiche con le cellule di entrambi i bracci immunitari hanno portato i ricercatori e medici a supporre che i miglioramenti in numero e in funzione delle DC possono essere obiettivi ad alto rendimento per i futuri interventi terapeutici nella sepsi 46, 153.

MDSC

In condizioni fisiologiche le cellule mieloidi immature nel midollo osseo sono in grado di maturare completamente, mentre in presenza di determinati stimoli- neoplasie, infiammazione, infezione- il processo di differenziamento può essere interrotto e da queste cellule prendono origine le MDSC (cellule soppressorie di derivazione mieloide) caratterizzate dalla capacità di inibire potentemente la risposta immunitaria.

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Data l'importanza di rigenerare in modo efficiente neutrofili, monociti e DC, non è una sorpresa che MDSCs espandono per soddisfare l'esigenza continua di cellule immunitarie innate funzionali.

Queste cellule esplicano la loro funzione immunosoppressiva nei seguenti modi: -esprimono alti livelli di arginasi che ha un ruolo nell’inibizione delle cellule T;

-esprimono alti livelli di iNOS con conseguente aumento dell’NO che porta a una soppressione dei linfociti T mediante l’inibizione di JAK3 e STAT5 12, l’inibizione dell’espressione di MHC di classe II 71 e l’induzione dell’apoptosi nelle cellule T 4.

-incremento della produzione di ROS e RNS che bloccano l’attivazione delle cellule T indotta da CD3/CD28 93. La produzione di perossinitrito da parte di MDSCs durante il contatto diretto con le cellule T causa la nitrazione delle molecole TCR (T Cell Receptor), alterando il legame specifico della cellula al peptide bersaglio e rendendola incapace di rispondere alla stimolazione antigene-specifica;

- promuovono de novo lo sviluppo in vivo di cellule T regolatorie (FOXP3+), che a loro volta inibiscono l’immunità cellulo-mediata 105

;

Le MDSCs che si espandono nella sepsi sono fenotipicamente simili alle MDSCs descritte negli stati oncologici avanzati- patologia in cui sono stati fatti i più numerosi studi su questo tipo cellulare- 38.

Anche se è stato dimostrato che le MDSCs inibiscono la funzione delle cellule CD8 +, il loro impatto effettivo nella sepsi umana è ancora incerto.

A causa della difficoltà insita nella fenotipizzazione immunitario di queste cellule mieloidi sia murine che umane, pochi studi clinici hanno esaminato attentamente il loro ruolo nella sepsi 107.

Recentemente, è stato dimostrato che nei pazienti con sepsi vi è un incremento di MDSCs associato a esiti avversi tra cui un incremento delle infezioni nosocomiali, permanenza prolungata in terapia intensiva, e una riduzione dello stato funzionale alla dimissione 116.

Complemento

E’ noto da tempo che durante la sepsi, in modelli umani e murini, si verifica una deplezione robusta del complemento, con un conseguente forte calo del complemento e comparsa nel plasma dei suoi prodotti di attivazione 173.

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E’ ben dimostrato che l'attivazione del sistema del complemento è spesso legata all’attivazione della coagulazione e del sistema fibrinolitico.

Lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti il C5a in modelli murini ha dimostrato di attenuare notevolmente l'intensità della sepsi, e di determinare un notevole miglioramento della sopravvivenza a 7 giorni, ha ridotto i livelli plasmatici di citochine, e ha diminuito la disfunzione d’organo 183

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