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L’impiego di cobalto nell’antichità

L’origine dell’utilizzo del cobalto nelle varie aree geografiche in Europa e nel vicino Oriente da parte di differenti culture storiche o protostoriche non si è manifestata in maniera sincro- nica, anzi essa si dispone su tempi dilatati. Solo recentemente gli studiosi hanno cercato di affrontare l’argomento in maniera sistematica e organica, all’interno di studi sulle singole civiltà, utilizzando dati ottenuti da scavi scientificamente documentati, campagne di misure su gruppi di manufatti rappresentativi per numero e per provenienza certa, prospezioni e ricerche minerarie e ricostruzioni di archeologia sperimentale. A tutto ciò si aggiunge che spesso gli studiosi hanno cercato di spiegare i risultati analitici o colmare le lacune nelle conoscenze in merito ai possibili siti di provenienza utilizzando informazioni desunte da epoche molto più tarde (il basso medioevo o gli esordi dell’età moderna), chiamando in causa i siti europei nell’Erzgebirge (in particolare Schneeberg) o nell’altopiano iranico (Kāshān), poiché a essi si ricollegano le poche testimonianze dirette attestate nelle fonti scritte del XIV e XV secolo d.C..

Nel presente capitolo si cercherà di esporre quanto sinora dibattuto sull’argomento fornendo, in alcuni casi, un quadro evolutivo delle teorie e delle ipotesi formulate.

2.1 Egitto e Mesopotamia Il cobalto è stato impiegato nell’an- tichità sia dalle culture che si svi- lupparono nell’area mesopotamica che da quella egiziana. Il reperto contenente cobalto più antico sino- ra identificato è un frammento di vetro blu databile al 2050 a.C. circa (III dinastia di Ur) e proveniente dall’antica Eridu (Abu Sharain, Iraq; fig. 2.1) 1, “perhaps the most

famous single piece of raw glass from Mesopotamia” 2. Il manufatto

è conservato al British Museum (inv. 115474); sulla base della sua datazione così alta Harry Mason Garner (Wymeswold [Loughbor- ough, Leicestershire] 1891 – Cam- berley [Surrey] 1977) ipotizza che l’arte vetraria, così come la tecno- logia di colorazione in azzurro del vetro, sia stata introdotta dalla Me- sopotamia in Egitto.

1 GARNER 1956a, dove è anche riportata la composizione.

2 MOOREY1994, p. 191. Per una rassegna sui vetri azzurri colorati col cobalto nel II millennio

a.C. si rimanda a PULAK 2001, p. 26 e alla bibliografia ivi citata.

Fig. 2.1 – Blocco di vetro (3.8x3.4x3.3 cm) rinvenuto a Eridu (Abu Sharain, Iraq) e databile attorno al 2050 a.C.. Londra, British Mu- seum, inv. 115474, [The Trustees of the British Museum].

In merito a testimonianze epigrafiche riconducibili all’impiego del cobalto per colorare i vetri, nelle tavolette mesopotamiche contenenti ricette vetrarie studiate da Adolf Leo Oppenheim (Vienna 1904 – Berkeley 1974), Robert Howard Brill (Newark [New Jersey] 1929), Dan Barag (Londra 1935 – Gerusalemme 2009) e Axel von Saldern (Postdam 1923 – Söcking 2012) 3

esiste un’unica attestazione che gli autori riconducono a minerali di cobalto. Si tratta della parola “kalgūgu-earth”, a causa del grande potere colorante del materiale a essa associato, come desunto dal contesto stesso della ricetta 4. Deve però essere sottolineato che in area

mesopotamica la presenza di cobalto è rara in reperti databili al II millennio a.C., mentre è relativamente frequente in quelli del I millennio a.C. 5. Riguardo all’occorrenza di minerali di

cobalto nei vicini altopiani anatolico e iranico si rimanda al capitolo 6; si tratta comunque di siti dove è a volte documentata per le epoche preistorica e protostorica un’attività mineraria e metallurgica riferita al rame 6.

Per quanto concerne l’antico Egitto è sicuro che il cobalto è stato impiegato in maniera in- tenzionale durante il nuovo regno (XVIII-XX dinastia, 1550-1070 a.C., in particolare dalla XVIII dinastia, 1550-1292 a.C.) 7, durante il periodo tardo (XXVI-XXXI dinastia, 664-332 a.C.)

e quello tolemaico (332 a.C.-30 d.C.). Sulla base della composizione dei reperti è stata ipo- tizzata una diversa origine dei minerali di cobalto tra il primo e gli altri due periodi storici so- pra indicati; inoltre, si è ormai concordi nel ritenere che nel primo caso, ossia durante il nuo- vo regno, la fonte di cobalto derivasse dall’allume reperibile nelle grandi oasi a ovest del Nilo (Kharga e Dhakla) 8. Tale ipotesi, formulata per la prima volta alla fine degli anni ’30 del XX

secolo 9, è stata successivamente ripresa nel 1980 10 e, infine, nel 1983 11, prendendo

definitivamente piede tra gli studiosi. Le ipotesi sulla provenienza dei minerali di cobalto im- piegati durante il periodo tardo e quello tolemaico (664 a.C.-30 d.C.) non hanno invece por- tato a un’attendibile e definitiva localizzazione dei giacimenti dei minerali 12.

Secondo Bernard Gratuze non esisterebbe un grosso iato tra il primo e il secondo periodo; nel lasso di tempo che separa questi due periodi (1069-664 a.C.) gli egiziani avrebbero continuato a estrarre coloranti a base di cobalto dagli allumi delle oasi occidentali di Kharga e Dhakla, seppur con modalità leggermente differenti. L’affermazione di Gratuze si basa

3 Le ricerche condotte da questi studiosi sulle ricette riportate su tavolette mesopotamiche

sono state precedute da quelle di Reginald Campbell Thompson (Londra 1876 – 1941). CAMPBELLTHOMPSON 1925.

4 OPPENHEIM 1970, p. 52. 5 SHORTLAND 2006a, p. 163.

6 BAZIN 1969, pp. 65-67; GILES 1974; YENER 1991, p. 546; PIGOTT 1999, pp. 78-79. 7 I reperti più antichi in cui è stato riscontrato l’uso intenzionale di coloranti a base di cobalto ri-

salgono al regno di Tuthmosis III (1479-1425 a.C.). LILYQUIST 1993. Analisi molto precedenti segnalano addirittura reperti risalenti alla V dinastia (2680-2530 a.C.). TOCH 1918;BERG 1944, p. 210. Tali risultati sono stati in seguito confutati. LUCAS 1948, p. 293.

8 A giudicare dal forte incremento della produzione di vetri blu colorati col cobalto è stato ipo-

tizzato che lo sfruttamento sistematico e intensivo delle oasi occidentali sia avvenuto solo a partire dal regno di Tuthmosis IV (1400-1390 a.C.). Infine, il rinvenimento di questo genere di manufatti nelle tombe dei faraoni ha fatto ipotizzare che essi fossero di appannaggio reale, mentre la perifericità di queste oasi ha portato a supporre la necessità di vere e proprie spe- dizioni militari per l’approvvigionamento, che solo il faraone era in grado di sostenere. NI- CHOLSON 2007, pp. 7 e 158. Per l’origine del cobalto impiegato sui manufatti realizzati du- rante i regni di Amenofi III (o Amenhotep III; regno 1387 a.C. (± 30 anni)–1348 a.C. (± 30 an- ni) e Akhenaton (o Ekhnaton, precedentemente noto come Amenofi IV o Amenhotep IV; re- gno 1350 (± 30 anni)–1330 a.C.) Lorna Lee e Stephen Quirke ritengono possibile, in alterna- tiva alla derivazione dalle oasi occidentali, una provenienza dai balcani. LEE 1999, p. 111.

9 FARNSWORTH 1938, p. 159; COTTEVIEILLE-GIRAUDET 1930. 10 BACHMANN1980.

11 KACZMARCZYK 1983, p. 151; KACZMARCZYK 1986.

però sull’analisi di manufatti non rinve- nuti in Egitto, ma di perle azzurre sco- perte in siti francesi databili tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro 13.

In merito al cobalto estratto dagli allumi delle oasi occidentali sono state effettua- te ricerche di archeologia sperimentale, ottenendo vetri azzurri da campioni di allume estratti da queste oasi; ciò ha

consentito di verificare definitivamente la congruenza delle ipotesi sulla base delle concen- trazioni di tutti gli altri elementi determinati 14. I dati composizionali hanno così indicato che

semilavorati o prodotti finiti colorati col cobalto derivato dall’allume egiziano sono stati esportati nel Mediterraneo orientale (XIV sec. a.C.)15, in Gallia (in reperti databili dal IX al

VII secolo a.C., nel periodo di transizione tra l’età del bronzo e quella del ferro 16 o su relitti

naufragati in epoca più recente 17) e in area mesopotamica (sino al VII secolo a.C.) 18.

L’estensione dell’impiego degli allumi cobaltiferi delle oasi occidentali fino al VII secolo a.C. e il suo riscontro su manufatti prodotti molto lontano dal luogo di estrazione di tali allumi aprono alcuni interrogativi; l’ipotesi che durante il periodo tardo gli antichi egizi abbiano fat-

13 GRATUZE 2005, p. 275.

14 SHORTLAND 2006a. Riguardo agli elementi associati al cobalto si rileva che “the composi-

tions of the cobalt blue pigment layers are characterized by high aluminium, magnesium, nickel, zinc, iron and manganese contents”. SHORTLAND 2006b, p. 95. In una successiva pubblicazione è stata verificata una leggera variabilità di composizione in funzione dell’impiego: “The new quantitative analyses of the cobalt blue painted pottery have con- firmed that the cobalt pigment was almost certainly produced using cobaltiferous alums from the Dakhla and Kharga Oases in the Western Desert of Egypt. However, it appears that the alums used for the pigments were somewhat different in composition from those used in the production of cobalt blue frits and glasses, this may be due to a different alum source being used for different materials, or may instead suggest a sorting of alum from one source into grades, each, in the mind of the worker, more suitable for one use than another. There were also differences in composition between alums used at Malkata and Amarna, but these latter differences are significantly less than those between cobalt blue paint and the glass and frit, and when the different states of preservation of the pigment layers are taken into account, may not be significant”. SHORTLAND 2006b, pp. 97-98.

15 Esemplare è il rinvenimento di lingotti di vetro blu in un relitto miceneo nei pressi di Ulu

Burun, otto chilometri a sudest di Kaş, naufragato attorno al 1325 a.C.. HENDERSON 1985, p. 281. PARKER 1992, scheda 1193, pp. 439-440. Si ritiene ormai pressoché concordemen- te che i vetri azzurri rinvenuti a Ulu Burun sono stati prodotti in Egitto; per una sintesi delle ri- cerche sui vetri di questo carico si rimanda a PULAK2001, pp. 25-30. In precedenza Dayton aveva espresso la certezza che per il carico di Ulu Burun “the cobalt glass ingots could only come from the Erzgebirge”. DAYTON1993, p. 31.

16 GRATUZE 2005, p. 275.

17 Circa una tonnellata di blocchi di vetro grezzo blu da un relitto (Sanguinaire A) naufragato

nel Golfo di Ajaccio nel III secolo a.C.. FOY 2001b, p. 102. Blocchi vetro grezzo blu da un relitto (Lequin 2) naufragato a Pointe du Lequin, nell’isola di Porquerolles, a sud di Tolone, nel III secolo a.C..FOY 2001b, p. 102. “Blue glass ingots” da un’imbarcazione inabissatasi attorno al 100-25 a.C. presso la Jaumegarde, nell’isola di Porquerolles. PARKER 1992, scheda 530, p. 221.

18 READE 2005, pp. 25-26.

Fig. 2.2 – Lingotti di vetro azzurro colorati col cobalto rinvenuto su un relitto miceneo nei pressi di Ulu Burun, otto chilometri a sudest di Kaş, naufragato attorno al 1325 a.C.. The Bo- drum Museum of Underwater Archaeology.

to uso di coloranti a base di cobalto differenti da quelli ricavati dagli allumi delle oasi occi- dentali utilizzati precedentemente (nel nuovo regno), a fronte invece del commercio di que- sti allumi su lunghe distanze (nel bacino del Mediterraneo e in area mesopotamica) lascia infatti alquanto perplessi. Ovviamente non sono le lunghe distanze che preoccupano, visto che già per il XIV secolo a.C. sono state riscontrate evidenze archeologiche in merito al commercio via mare di lingotti e rottami di vetro blu colorato col cobalto, che le analisi han- no dimostrato essere stato prodotto in Egitto 19, bensì l’assenza di riscontri concernenti

l’utilizzo del materiale, nella stessa epoca, in prossimità dei siti di estrazione. Se effettiva- mente il cobalto importato dagli egizi nel periodo tardo veniva dall’Iran, perché non era uti- lizzato in area mesopotamica, visto che questo commercio la attraversava? Perché poi im- portarlo in Egitto, visto che gli allumi delle oasi occidentali potevano essere utilizzati per coprire la domanda interna e venivano invece estratti per essere esportati?

A questi interrogativi è difficile rispondere, comunque solo in maniera poco convincente. Si potrebbe infatti ipotizzare che la resa degli allumi non fosse soddisfacente per gli artefici egiziani, in termini di tonalità o saturazione del colore, oppure che le fonti di approvvigio- namento dei minerali di cobalto che hanno sostituito gli allumi di Kharga e Dhakla fossero più vicine o più economiche oppure, ancora, che esistessero ulteriori fonti di allumi cobalti- feri esterne all’Egitto, non ancora individuate dai ricercatori moderni.

Si deve inoltre segnalare che la sovrapposizione cronologica per i manufatti rinvenuti al di fuori dell’Egitto per i quali è stato ipotizzato l’impiego degli allumi cobaltiferi e di quelli egi- ziani per i quali invece tali minerali non sono stati più utilizzati come coloranti azzurri non è perfetta. Gli estremi indicati per i vetri rinvenuti in siti protostorici francesi colorati in azzurro con gli allumi vanno in genere dal IX al VII secolo a.C., quelli dei vetri assiri aventi la mede- sima caratteristica giungono sino al VII secolo a.C., quindi in entrambi i casi non è detto che il VII secolo a.C. sia coperto interamente, mentre per quanto concerne l’Egitto gli estremi indicati si riferiscono ai periodi dinastici, ma anche in questo caso non è detto che la XXVI dinastia (664-525 a.C.), che segna l’inizio dell’impiego del nuovo minerale, debba essere compresa per intero. A questo punto i dati a disposizione potrebbero non essere in con- traddizione, bensì attestare che il cambio tecnologico, ossia il passaggio dagli allumi cobal- tiferi a minerali di cobalto di differente natura (o l’affiancamento di una soluzione alternati- va), sia avvenuto nel corso del VII secolo a.C. e che tale scoperta abbia incentivato in Egit- to l’impiego di coloranti azzurri su ceramiche e vetri, altrimenti non rilevante, forse perché legato a una resa non soddisfacente o perché l’esportazione del cobalto derivato dagli al- lumi era ritenuta più lucrosa. In entrambi i casi al posto degli azzurri ottenuti col cobalto si erano sino a quel momento preferite colorazioni azzurre intense più agevoli ed economiche ottenute con la cuprorivaite, un silicato artificiale di calcio e rame, che proprio per la fre- quenza con cui è stato impiegato in Egitto è noto agli studiosi come blu egizio (fig. 1.1) 20. Il

quadro attuale della situazione concernente l’impiego di cobalto attorno al VII secolo a.C., o in un’epoca di poco precedente, non è ancora sufficientemente definito e si resta in attesa di ulteriori ricerche e determinazioni su manufatti provenienti da altri siti del Mediterraneo e del Vicino Oriente, nonché su manufatti egizi del nuovo regno, al fine di creare una base statistica attendibile per le conferme alle teorie sinora proposte.

Tornando ai testi cuneiformi studiati da Oppenheim, Brill, Barag e Saldern, la menzione di un allume rosso di varietà maschile (““male” red alum”) come ingrediente nella manifattura di un vetro che ha il colore del lapislazzuli in una tavoletta proveniente dalla biblioteca di Assurbanipal (668-627 a.C.) a Ninive 21 sembrerebbe costituire una testimonianza in merito

all’estrazione del cobalto dagli allumi, proprio in un periodo coincidente con la datazione dei vetri assiri da Nimrud, per la cui colorazione azzurra è stato ipotizzato l’uso di allume cobaltifero proveniente dalle oasi occidentali del Nilo 22. La colorazione rossa dell’allume ci-

19 NICHOLSON 1997; MATOÏAN 2000, p. 40.

20 Per quanto concerne il pigmento e la tecnologia di produzione si rimanda a RIEDERER 1997

e ai contributi specifici a essa dedicati pubblicati in BUSZ 1999.

21 OPPENHEIM 1970, p. 41. 22 READE 2005, p. 24.

tato nel testo cuneiforme sembrerebbe inoltre confermare la presenza di cobalto nella com- posizione del minerale 23. A questo punto, il riferimento a un allume cobaltifero in un testo

assiro, piuttosto che l’importazione dall’Egitto di un semilavorato vetroso, implica l’importazione diretta dell’allume o, in alternativa, l’approvvigionamento di questo allume da una fonte locale mesopotamica ancora sconosciuta. A questa ipotesi sembrerebbero pure condurre i dati composizionali di manufatti mesopotamici molto più antichi. Su asce ceri- moniali in vetro azzurro a imitazione del lapislazzuli provenienti da Nippur e databili al XIV e al XIII secolo a.C. il confronto con i coevi vetri egizi, a fronte di una comune correlazione del cobalto con l’alluminio, mostra infatti vistose differenze: la correlazione del cobalto col ferro e, forse, con minimi quantitativi di arsenico nelle asce da Nippur mentre nei coevi vetri egizi il cobalto è correlato con magnesio, nichel e zinco 24.

2.2 Europa protostorica

Rispetto alla situazione determinata sui manufatti egizi del nuovo regno, ampiamente docu- mentata nella letteratura scientifica concernente vetri e ceramiche, il confronto con i risultati conseguiti da Gratuze sui vetri azzurri protostorici rinvenuti in siti francesi di alcuni secoli po- steriori mostra differenze significative. Per prima cosa si rileva una presenza di cobalto infe- riore di almeno cinque volte in questi vetri, il che potrebbe rendere conto della parsimonia con cui è stato impiegato un materiale importato da lontano. A fronte della similitudine dei rapporti delle concentrazioni di alcuni elementi chiave con quelle di cobalto (in particolare nichel e zinco), che attesta la provenienza dei minerali dal medesimo sito, nei vetri protostorici rinve- nuti in siti francesi sono stati determinati tenori di magnesio e potassio fortemente minori e di alluminio fortemente maggiori. Mentre le differenze riguardo al magnesio e, soprattutto, al po- tassio sono state imputate alla composizione del vetro, in particolare all’impiego di differenti fondenti, le variazioni nei tenori di alluminio possono solo in minima parte essere spiegate in relazione a differenze di composizione negli ingredienti utilizzati per ottenere la massa vetro- sa, in particolare la sabbia. Ciò ha portato Gratuze a ipotizzare che per i manufatti prodotti nell’epoca di transizione tra l’età del bronzo e quella del ferro sia subentrato rispetto all’Egitto del nuovo regno un cambiamento sostanziale nella tecnologia associata all’impiego degli al- lumi cobaltiferi: “ces proportions importantes d’aluminium et de magnésium rencontrées pour les verres de l’Âge du Fer pourraient indiquer qu’à cette époque on utilise directement l’alun comme base colorante, sans concentration préalable du cobalt, comme cela semble être le cas durant la 18e dynastie égyptienne” 25.

Anche Gratuze, come quasi tutti quelli che hanno vagliato l’ipotesi relativa all’impiego di co- loranti a base di cobalto estratti dagli allumi delle oasi a ovest del Nilo, ha direttamente ana- lizzato campioni di allume prelevati in situ (a Kharga e Dhakla). Secondo lo studioso france- se essi sono classificabili in tre categorie principali: allumino-magnesiaci, sodio-magnesiaci e ferruginosi. Il cobalto è presente solo nella prima e nella terza categoria; mentre la prima è stata sicuramente utilizzata per estrarre il colorante per i vetri azzurri, sulla base dei dati di composizione determinati su perle vitree nere rinvenute in scavi a Courtesoult e Mons (ele- vati tenori di ferro, cobalto in tracce e presenza di zinco e nichel) lo studioso ipotizza l’impiego della terza categoria per ottenere paste vitree nere 26. Ciò amplia notevolmente il

quadro delle conoscenze tecnologiche che abbiamo per tale epoca e presuppone un’intenzionalità che si spera sia presto verificata con lo studio di altro materiale, non solo rinvenuto in siti protostorici francesi, ma anche in siti egiziani o mediorientali, a conferma dell’effettiva provenienza anche di questo colorante dagli allumi delle oasi occidentali.

23 La presenza di cobalto negli allumi di Kharga era stata infatti ipotizzata per la prima volta da

Hugh John Llewellyn Beadnell (? 1874 – Londra 1944), proprio a causa della colorazione rosa dei minerali.BEADNELL 1909.

24 WALTON 2012.

25 GRATUZE 2005, p. 274. 26 Idem, p. 270.

I dati concernenti l’Europa celtica mostrano comunque un panorama articolato. Gratuze, in- fatti, segnala un’altra fonte di approvvigionamento di cobalto per i vetri dell’età del bronzo fi- nale, facendo riferimento a reperti rinvenuti a Lenarda, sito etrusco dell’Italia settentrionale, nei quali al cobalto sono associati nichel e forti tenori di arsenico, mentre sono praticamente assenti zinco, alluminio e magnesio, elementi normalmente associati agli allumi cobaltiferi 27.

Uno studioso che ha investigato e speculato molto riguardo all’utilizzo e all’origine del cobal- to in epoca protostorica è John E. Dayton, acceso sostenitore della provenienza da Sch- neeberg, nell’Erzgebirge, per i minerali di cobalto utilizzati dai micenei e dagli egiziani, sulla base della determinazione di arsenico, nichel e bismuto 28 (elemento quest’ultimo assente

negli allumi), associazione che però caratterizza anche i minerali di cobalto reperibili in Iran

29. Si deve peraltro osservare che gran parte dei lavori di Dayton sull’argomento precedono

quelli di Alex [Alexander] Kaczmarczyk (Polonia 1932 – Parigi 2009) sulla derivazione del cobalto utilizzato nell’antico Egitto dagli allumi delle oasi occidentali. Dayton è stato comun- que tra i primi a mettere a fuoco il ruolo essenziale che ha avuto la metallurgia dell’argento nelle scoperte inerenti l’impiego di coloranti a base di cobalto; dal punto di vista analitico questo studioso ha utilizzato l’analisi di fluorescenza x e l’analisi isotopica del piombo. Gra- zie a quest’ultime ricerche è stato in grado di escludere per l’antichità la provenienza del co- balto da siti importanti in epoche successive, quali quelli in Marocco, Persia e Cornovaglia, e di proporre che “the cobalt blue glass of the Hallstatt Period is coming from Schemnitz [Ban- ská Štiavnica] in Hungary [attualmente nella Repubblica Slovacca], a classic silver containig area, where cobalt, a rare mineral, is found” 30.

Altri autori, invece, hanno ipotizzato che il cobalto utilizzato dai Celti, in particolare per i bellis- simi braccialetti di vetro blu del periodo di La Tène (fig. 2.3), provenisse da siti minerari come Sulzburg nella Foresta Nera, Sainte-Marie-aux-Mines in Alsazia o ancora la Valle d’Anniviers in Svizzera 31, ipotesi che al vaglio degli studi recenti appaiono azzardate o superate.

Discutendo le analisi condotte su un nutrito gruppo di vetri blu di ori- gine celtica rinvenuti nell’oppidum