• Non ci sono risultati.

La produzione di zaffera e smalto in Europa dal XVI al XVIII secolo

51 SCHRÖDER 1943.

52 KÜHNERT 1932, 1938a e 1938b.

53 Secondo alcuni autori Christoph era figlio di Christian Schürer, col quale a volte è confuso, es-

sendo l’invenzione dello smalto attribuita anche a quest’ultimo. BRUCHMÜLLER 1897, p. 2; MORRAL 1957.

54 KUHN 1955, p. 240.

55 DRAHOTOVÁ1980, p. 219.

56 “Durante la prima metà del XVI secolo alcuni abitanti dei Paesi Bassi sono venuti a Lipsia,

come Martin Mertens e Adrian von Hilss, un cugino degli Schetz di Anversa. … Probabilmente anche Hans Randerott, che ha avuto la cittadinanza nel 1522, era di Anversa. L’immigrazione da Anversa di questi commercianti è stata per Lipsia di grande importanza, creando in questo modo le prime relazioni tra la Sassonia e i Paesi Bassi” (“Während der ersten Hälfte des 16. Jahrhunderts kamen auch einige Niederländer nach Leipzig, so Martin Mertens und Adrian v. Hilss, ein Vetter der Schetz aus Antwerpen. … Wahrscheinlich stammte auch Hans Randerott, der 1522 Bürger wurde, aus Antwerpen, da er bis zu seinem Tode als Faktor der Schetz in Leipzig tätig war. Die Einwanderung dieser wenigen Antwerpener Kaufleute ist für Leipzig von grossem Vorteil gewesen, da durch sie wohl zuerst direkte Beziehungen zwischen Sachsen und den Niederlanden angeknüpft wurden”). FISCHER 1929, p. 15.

57 WRANÝ1902, p. 153;WALFRIED 1883, p. 101.

Fig. 8.6 – Bicchiere in vetro azzurro dipinto a smalti, Boemia, 1599. Los Angeles, The J. Paul Getty Mu- seum, Object Number: 84.DK.557.

Albrecht Kirsche (n. 1953) rimarca che il luogo dell’esperimento di Schürer è stato trasferito dall’Erzgebirge boemo all’Erzgebirge sassone, conferendo così priorità alla tradizione succes- sivamente messa a punto nei centri sassoni, quali per esempio Schneeberg, rispetto a quel- li boemi 58; in questo panorama l’esito negativo

sortito dalla proposta presentata all’elettore e il fatto stesso che essa sia stata inoltrata sem- brerebbero implicitamente confermare l’arre- tratezza tecnologica della Sassonia rispetto alla Boemia nella produzione del vetro azzur- ro. Kirsche conferma inoltra quanto riferito dalla Drahotová, precisando che nel 1524 Christoph Schürer aveva comprato in Sasso- nia una tenuta vicino Albernau per impiantarvi una Glashütte e che nel 1536, a seguito di liti, si era trasferito a Neudeck/Nejdek in Boemia, dove già dal XIV secolo erano sorte numero- se Glashütten, comprando quella chiamata Eulenhütte, dove fece i suoi esperimenti 59.

Il problema della messa a fuoco della figura di Christoph Schürer è reso arduo dall’effettiva esistenza di più di un Christoph Schürer vetraio nel XVI e nel XVII secolo. Membri della famiglia Schürer erano già attivi come vetrai a Wernesgrün, in Sassonia, nel 1436 60; Franz

Xaver Maximilian Zippe (Nieder Falkenau/Dolní Falknov 1791 – Vienna 1863) afferma che gli Schürer erano una famiglia molto ramificata (“sehr verzweigten”), che nel XV secolo impor- tò l’arte vetraria da Venezia in Boemia 61. Uno

dei rami boemi degli Schürer, infine, è stato nobilitato dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo nel 1592, come Schürer von Waldheim 62; nel

1599 un altro Christoph Schürer (von Wald- heim) di Falkenau/Falknov 63 ottenne, dal

medesimo imperatore, il privilegio di costruire delle fornaci vetrarie 64.

58 KIRSCHE 2005, nota 29 a p. 118. 59 Idem, p. 81.

60 KUHN 1955, p. 240. 61 ZIPPE 1857, p. 253.

62 Sugli Schürer von Waldheim esistono vari contributi. FISCHER 1924; SCHEBEK 1878, in

particolare il cap. II, Die Familie Schürer von Waldheim, pp. 25-60.

63 Questa notizia sembrerebbe in contrasto con quella secondo la quale il figlio Paul sarebbe

succeduto a Christoph Schürer nel 1570 nella Glashütte di Falkenau/Falknov vicino Zschopau, nell’Erzgebirge sassone. SCHEBEK 1878, p. 26. La scoperta dell’utilizzo del co- balto per colorare i vetri è stata attribuita anche a questo Christoph Schürer, collocandola nella seconda metà del XVI secolo. HETTEŠ 1958, p. 17. Comunque, anche riguardo all’identificazione di Paul Schürer, secondo alcuni fratello di Christoph Schürer (HEJDOVÁ 1981, p. 32), sorgono problemi, sempre a causa del ricorrere degli stessi nomi all’interno del- la famiglia.

64 KUHN 1955, p. 320; HETTEŠ 1963, p. 52.

Fig. 8.7 – Calice in vetro azzurro decorato con smalti e a foglia d’oro, Boemia, seconda metà del XVI secolo. Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, Object Number: 84.DK.550.

Gli Schürer, in quanto importante famiglia di vetrai, potrebbero aver avuto contatti con Venezia e, pertanto, potevano essere a conoscenza del metodo di produzione dello smalto nella laguna.

È comunque chiaro che la figura di Christoph Schürer, storicamente esistita, viene a incarnare il ruolo di mitico inventore di una pratica preesistente, nel momento in cui essa assume rilevanza economica, complice la proposta all’elettore, che ha consentito di porre una data certa a situazioni nebulose. Otfried Wagenbreth ed Eberhard Wächter, autori più volte citati, riportano, infatti, che il vetro azzurro colorato col cobalto sarebbe già stato prodotto attorno al 1400 nel nord della Boemia e intorno al 1500 in una bottega di vetrai della famiglia Preussler di Heidelbach, vicino Seiffen in Sassonia, a pochi chilometri dal confine col regno di Boemia 65, mentre Olga Drahotová sottolinea l’esistenza di vetri boemi

colorati col cobalto già nel XIV secolo 66.

8.3 Il processo produttivo nelle Blaufarbenwerke

Per la descrizione generale del processo produttivo della zaffera e dello smalto facciamo riferimento soprattutto alla storia delle Blaufarbenwerke redatta da Johann Georg Frie- drich Kapff e all’approfondito studio di Oskar Hausbrand (Berlino 1890 – 1971) 67 che, rela-

tivamente alla situazione concernente l’inizio del XVIII secolo, fornisce una serie di infor- mazioni e disegni estratti da un rapporto segreto che due agenti della fabbrica di smalto di Sankt-Andreasberg nello Harz hanno redatto intorno al 1725 sulle pratiche in uso in Sassonia, in particolare nella fabbrica di Zschopenthal (figg. 8.8 e 8.9), a circa tre chilometri da Zschopau. Dobbiamo infatti tenere presente che il processo di fabbricazione è sempre stato mantenuto segreto, spesso oggetto di spionaggio, e che le prime informazioni concrete al riguardo, sebbene spesso parziali, sono state disponibili in testi a stampa solo a partire dal secondo quarto del XVIII secolo 68, con l’autorevole precedente

costituito dalle precisazioni di Johann Kunckel sull’effettiva natura della zaffera e sulla sua manifattura pubblicate nella seconda metà del XVII secolo e ristampate in francese a metà del XVIII secolo 69.

Per l’esercizio di una fabbrica di smalto, oltre alla presenza più o meno vicina della fonte di approvvigionamento dei minerali di cobalto, sono richiesti legna e, soprattutto, acqua; in particolare l’esaurimento di legna ha spesso contribuito alla cessazione parziale se non totale delle attività di una fabbrica. Quasi sempre, inoltre, una situazione strategica che favoriva gli scambi di tipo commerciale ha avuto la priorità su una collocazione in prossi- mità delle miniere 70.

65 WAGENBRETH 1990, p. 341. Secondo Albert Schröder, Sebastian Preussler, fondatore

della bottega di Jugel (cfr. paragrafo 8.5.1), era originario di Heidelbach, famosa per la sua Glashütte, documentata dal 1451.SCHRÖDER 1943, p. 152.

66 DRAHOTOVÁ1980, p. 219.

67 KAPFF1792,p. 46 et segg.;HAUSBRAND 1936, p. 519 et segg.

68 KRIEG 1726; LINK 1728; GESSNER 1744; ZIMMERMANN 1746 e 1752; LEHMANN 1761 e

1764; KLOTZSCH 1770. Malgrado tali pubblicazioni, Paul Heinrich Thiry, barone d’Holbach, persona ben informata, nella voce SAFRE, SAFFRE, ZAFFRE ou SMALTE dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert ha rimarcato: “cependant il est certain que les Saxons ont toujours fait des efforts pour cacher leur procédé, et jamais ils n’ont communiqué au public les ordon- nances & les réglemens de leurs manufactures de safre qui sont de l’année 1617, non plus que les divers changemens qu’on y faits depuis ce tems”. DIDEROT1765, pp. 490-493, in particolare p. 493.

69 KUNCKEL 1679, pp. 57-60;HOLBACH 1752, pp. 51-52. 70 MELTZER 1716, pp. 158-159.

Fig. 8.8 – La Blaufarbenwerk di Zschopenthal nella situazione attuale.

Fig. 8.9 – Pianta del complesso seicentesco della Blaufarbenwerk di Zschopenthal, rielabo- rata da WAGENBRETH 1990, fig. 121 a p. 348.

8.3.1 La fabbricazione della zaffera

I principali passaggi della produzione della zaffera sono riassumibili, in maniera schematica, come segue.

Per prima cosa venivano saggiati i minerali selezionati, per rendersi conto della qualità (soprattutto per definire la classe del colore futuro) 71, valutare il tempo d’arrostimento e

stimare le quantità di sabbia e di fondente (costituito da potassa, Pottasche) 72 da aggiun-

gere.

Una volta stabiliti i parametri ricavati da questi saggi preliminari si avviava il processo pro- duttivo vero e proprio che consisteva nella macinazione del minerale, effettuata a secco fi- no a ottenere grani grandi come lenticchie, nel suo arrostimento e nella confezione della zaffera, aggiungendo al prodotto dell’arrostimento ulteriori ingredienti.

L’arrostimento avveniva in un forno con l’esposizione diretta alla fiamma (Flammofen); la massa minerale deposta nel forno aveva uno spessore di quattro centimetri ed era rimesco- lata con bastoni di ferro (Krücken). L’arrostimento durava circa tre ore 73 e non prevedeva la

rimozione completa di zolfo e arsenico, in quanto una parte di questi elementi doveva rima- nere legata alle impurezze di ferro e nichel per neutralizzarle, poiché i composti di questi elementi si decompongono successivamente a quelli di cobalto. L’arsenico che si deposita- va lungo il primo tratto dei condotti di legno in cui venivano fatti passare i fumi (Giftgang / condotto del veleno, figg. 4.14 e 4.16) conteneva ancora molto cobalto, pertanto poteva es- sere nuovamente trattato nel successivo arrostimento, aggiungendolo al minerale grezzo. L’arsenico raffinato prelevato dal resto dei condotti era infine destinato alla vendita.

Il residuo dell’arrostimento, una volta raffreddato ed estratto dal forno, era costituito da una massa marrone di ossido di cobalto molto impuro che, mescolato e macinato con farina di quarzo (Quarzmehl) costituiva la zaffera (Saflor), prodotto destinato al commercio o ancora trasformato in smalto come descritto qui sotto.

8.3.2 La fabbricazione dello smalto

La zaffera era mescolata con sabbia fine, spesso calcinata e macinata, e potassa, secondo le proporzioni indicate da prove preliminari. Il tutto era poi messo in crogiuoli/vasi, lasciati otto ore in una fornace per il vetro (Glasschmelzofen), mescolando di frequente. In tale modo si otteneva una fritta intensamente colorata dalle forti concentrazioni di cobalto (Kobaltglas ), che veniva prelevata fusa con un mestolo di ferro e subito gettata in una vasca d’acqua. Quello che rimaneva sul fondo dei crogiuoli era il Kobaltspeise (una sorta di loppa), ricco di nichel e/o bismuto, che all’inizio, non sapendo cosa farne, si buttava negli accumuli di scorie (Halden; fig. 8.10) 74.

La fritta veniva in seguito macinata e lasciata decantare in botti piene d’acqua, separando le frazioni a differente granulometria mediante ripetute macinazioni, flottaggio e decantazione.

71 Il Kobaltkontrakt del 1627 individuava quattro qualità di minerale di cobalto raccolte a Sch-

neeberg e Neustädtel, delle quali la quarta, definita scadente, non era sottoposta a tassazione; le qualità di minerale divennero sei nel Kobaltkontrakt del 1718. BRUCHMÜLLER 1897, pp. 31 e 54. In seguito le modalità del Kobaltkontrakt furono più volte modificate, adattandole alle necessità, talvolta anche con sospensioni momentanee. Al Kobaltkontrakt succederà una struttura organizzativa vera e propria con sede a Lipsia, il Blaufarbenwerk-Konsortium, un con- sorzio di proprietari privati e dello stato che coordinava e regolamentava ancora meglio la pro- duzione delle Blaufarbenwerke e la vendita dei loro prodotti. THIEL 2007, p. 15.

72 La potassa era ottenuta da cenere di legna.

73 Secondo alcuni autori l’arrostimento poteva durare fino a nove ore, dipendentemente dalle

caratteristiche del minerale. ZIMMERMANN 1746, p. 256; ZIMMERMANN 1752, p. 593.

74 Tale metodo empirico di separazione del nichel poteva essere alla base dell’ottenimento di

varietà più scure di zaffera, quale per esempio la zaffera nera menzionata dal Piccolpasso, di cui si è parlato nel paragrafo 4.3.