• Non ci sono risultati.

1. Il presupposto applicativo

L’intervento del giudice ai sensi dell’art. 709 ter richiede che la crisi familiare abbia già ricevuto una regolamentazione giudiziale dei rapporti tra genitori e figli. A sostegno di tale pacifico riconoscimento, sia in dottrina che in giurisprudenza, depone non solo la rubrica dell’articolo che si riferisce a “inadempienze o violazioni”, che quindi presuppongono che esista una regola e che questa sia stata violata, ma ancora di più il comma II che, tra le misure che il giudice può adottare, contempla la modifica dei “provvedimenti in vigore”. Si presuppone quindi che le controversie che il giudice è chiamato a dirimere, “insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento”, abbiano ad oggetto decisioni che già sono state prese.

È opportuno chiarire quali tipi di decisioni legittimano il ricorso alla tutela ex art. 709 ter.

Bisogna ricomprendere sotto la locuzione “provvedimenti in vigore” tutte le decisioni che determinano le modalità di affidamento e che vengono equiparate dalla legge ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria (come gli accordi di separazione omologati dal tribunale e

gli accordi autorizzati ex art. 6 l. 162/2014 in materia di negoziazione assistita), nonché tutte le decisioni emanate anche fuori dal contesto del procedimento di separazione/divorzio: i provvedimenti assunti nei giudizi di nullità o di annullamento del matrimonio ma anche tutti i procedimenti relativi ai figli nati da genitori non uniti civilmente. Come visto nel capitolo precedente, inoltre, può prospettarsi anche l’ipotesi in cui l’istanza ex art. 709 ter venga presentata avverso ordinanze o decreti provvisori, non essendo elemento necessario il giudicato. La norma comunque non è chiara e le posizioni della dottrina, come analizzato, non sono univoche; tuttavia si ritiene comunemente che l’art. 709 ter abbia una sorta di doppia anima: può infatti costituire un procedimento incidentale, con la funzione di dirimere le controversie che sorgono circa i provvedimenti provvisori emessi in pendenza del giudizio sulla crisi familiare, ed un procedimento autonomo, attivabile in qualsiasi momento qualora sorga una problematica attuativa riguardo ad un provvedimento divenuto definitivo.

Non appare, peraltro, corretta l’impostazione che richiede la necessaria presenza di violazioni o inadempienze. La controversia difatti, soprattutto tenendo conto della delicatezza della materia, potrebbe nascere semplicemente durante il processo di concretamento della decisione e che può richiedere un intervento da parte del giudice anche solo di carattere interpretativo o che chiarisca più dettagliatamente le modalità attuative. Ogni decisione assunta ai sensi degli artt. 337 bis ss. cc. deve, infatti, essere costantemente conforme all’interesse del minore, sulla base di un’interazione continua tra cognizione e attuazione.

Appare necessario un riepilogo esemplificativo dei provvedimenti di cui, nel caso si agisca ex 709 ter, si discute l’attuazione. Può trattarsi di:

- un provvedimento giurisdizionale provvisorio, che può essere un’ordinanza presidenziale pronunciata nel giudizio di separazione o divorzio nonché l’ordinanza con cui il giudice istruttore provvede alla sua revoca o modifica; può trattarsi anche di un qualsiasi provvedimento provvisorio e urgente pronunciato all’interno di ogni procedimento in cui ci si occupa dell’affidamento dei figli e che segue eventualmente le forme camerali (giudizio di revisione delle condizioni del divorzio, giudizio sull’affidamento dei minori nati da genitori non coniugati, giudizi di reclamo o appello che si svolgono in secondo grado)

- un provvedimento giurisdizionale che definisce il giudizio, soggetto potenzialmente ai mezzi d’impugnazione: sentenze che chiudono giudizi di separazione o di divorzio (sia in primo grado che in appello), nonché decreti che concludono i giudizi camerali suddetti.

- sentenze o decreti ora menzionati, passati in giudicato, o di accordi omologati127 o autorizzati128 parimenti definitivi.

2. La forma dei provvedimenti

L’articolo 709 ter non stabilisce quale forma devono rivestire i provvedimenti ivi contemplati.

127 Ai sensi dell’articolo 337 ter, comma II, c.c., dell’articolo 158, comma II,

c.c. e dell’articolo 711 c.p.c.

Appare pacifico in dottrina che i “provvedimenti opportuni” e quelli di modifica debbano essere emanati dal giudice con ordinanza129. Per quanto riguarda, invece, le misure sanzionatorie di cui ai nn. da 1 a 4 si fronteggiano una pluralità di opinioni. Da alcuni viene sostenuto che in questi casi la pronuncia dovrebbe avvenire con la decisione finale del procedimento e quindi, in alternativa, con sentenza o decreto, a seconda che si chieda al giudice l’attuazione del provvedimento nell’ambito di un procedimento incidentale oppure in un autonomo procedimento.

Altri distinguono ulteriormente: solamente l’ammonizione potrebbe essere disposta con ordinanza, in corso di causa, poiché le altre misure di cui al comma II, posta la complessità dell’accertamento e della valutazione del danno, dovrebbero essere pronunciate solamente con il provvedimento finale130.

Infine, secondo un preferibile orientamento, tutti i provvedimenti possono essere assunti con ordinanza in corso di causa, considerando che si tratta di misure coercitive da adottarsi in seguito a una cognizione sommaria131, poiché attendere l’esito finale del giudizio ne svilirebbe la funzione sanzionatoria-deterrente, per la quale è necessaria un’emanazione tempestiva.

Tale ultima posizione è stata condivisa anche in giurisprudenza posto che nella già citata sentenza del Tribunale di Messina132 è stato deciso

129Così FINOCCHIARO, Op. Cit.; POLI, Esecuzione dei provvedimenti di

affidamento dei minori, in Digesto civ., Torino, 2007; LUPOI, Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso, in Rivista

trimestrale di diritto e procedura civile, 2006, pp. 1101 ss.

130 Così LUPOI, Op. Cit.; DANOVI, I provvedimenti, Op. Cit. 131 In questo senso FINOCCHIARO, Op. Cit.; POLI, Op. Cit. 132 Sent. del 5 Aprile 2007, in Leggid’italia.

che il giudice istruttore è competente ad emanare tutti i provvedimenti previsti dall’articolo 709 ter.

3. La competenza

Occorre verificare quale sia l’organo chiamato a decidere sul ricorso, ricordando che questo può essere introdotto in via incidentale durante il giudizio di separazione e divorzio, nell’ambito di un procedimento volto ad ottenere la modifica delle condizioni dell’affidamento, nonché in via autonoma, con l’applicazione delle regole di cui all’articolo 710 c.p.c.

Anche in questo ambito la norma appare enigmatica e sono plurimi i dubbi che sorgono dal testo dell’articolo.

La prima questione da affrontare, per individuare il giudice competente, è verificare se sia o meno pendente tra le parti un giudizio in cui si discute dell’affidamento dei figli, ovvero dei giudizi previsti dall’articolo 337 bis cc. In caso positivo la norma, come anticipato, rimette la competenza al “giudice del procedimento in corso”. Si è visto che la ratio è quella di investire il giudice del medesimo potere, provvisorio o definitivo, il cui esercizio ha portato alla definizione delle regole sull’affidamento, posto che ancor prima dei poteri sanzionatori, è chiamato a risolvere le controversie, anche modificando i provvedimenti in vigore.

Il fine è non solo quello di garantire la corretta attuazione del provvedimento, tramite un adeguamento alla situazione concreta, ma anche quello di valutare i comportamenti e gli atteggiamenti posti in essere dei genitori durante il giudizio, ai fini della decisione finale sulle condizioni dell’affidamento.

Ricordando che nei procedimenti di separazione e divorzio spetta al presidente del tribunale pronunciare i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole e successivamente al giudice istruttore la loro eventuale revoca o modifica, è da risolvere la questione se “il giudice del procedimento in corso” debba corrispondere al collegio o al giudice istruttore.

La risposta al quesito viene influenzata inevitabilmente dall’esigenza133 di garantire un intervento immediato, posta l’urgenza insita che scaturisce dalle controversie in materia.

Come osservato nel capitolo precedente, inoltre, un’influenza altrettanto importante è rappresentata dalla natura delle misure di cui ai nn. 1-4.

Sposando, infatti, la tesi della natura risarcitoria di tali misure, emerge l’esigenza di garantire un’istruttoria non sommaria e quindi l’ago della bilancia pende a favore del collegio. Di contro, qualificando le misure in una funzione coercitiva, appare agevole ammettere la competenza del giudice istruttore134.

La domanda di tutela ex articolo 709 ter può essere promossa anche in via autonoma. In questo caso, il procedimento si svolgerà davanti al tribunale in composizione collegiale nelle forme del rito camerale. La complessità del processo è variabile a seconda del caso in cui sia richiesto un intervento del giudice meramente interpretativo o integrativo della decisione già assunta precedentemente, oppure sia richiesto un provvedimento più incisivo, diretto a modificare ciò che è stato previamente deliberato o a sanzionare la parte inadempiente

133 Come ben rappresentata da LUPOI, Op. Cit.

134 Per entrambe le teorie in commento di veda la dottrina di riferimento al

(con le misure previste dalla norma in commento oppure con l’applicazione dell’articolo 614 bis c.p.c.).

4. I rapporti tra l’articolo 709 ter c.p.c. e l’articolo 614 bis

c.p.c.

L’articolo 614 bis c.p.c. è stato inserito nel codice di rito dalla l. n. 69/2009. Si tratta di uno strumento di coercizione indiretta teso ad incentivare l'adempimento spontaneo degli obblighi che non risultano facilmente coercibili. La norma, infatti, prevede, in capo al soggetto inadempiente, l'obbligo di pagare una somma di denaro “per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento” al fine di indurlo, tramite una pressione psicologica, alla realizzazione spontanea dell’obbligazione. La somma di denaro viene fissata dal giudice su istanza di parte. Nel capitolo precedente si è osservato come anche le misure ex articolo 709 ter assolvano ad una funzione coercitiva e dunque occorre interrogarsi circa la possibilità di applicare la generale misura prevista dall’articolo 614 bis alla materia familiare, posta la previsione delle speciali misure ai sensi dell’articolo 709 ter.

La dottrina maggioritaria135 propende verso una risposta favorevole a tale interrogativo, e anche la giurisprudenza di merito è apparsa

135 Cfr. TEDIOLI, Osservazioni critiche all’art. 614 bis cpc, in Nuova giur.

Civ. comm., 2013, II, pp. 67 ss.; VINCRE, Le misure coercitive ex art 614 bis cpc dopo la riforma del 2015, in Riv. Dir. Proc., 2017, pp. 368 ss.;

RONCO, L’art. 614 bis cpc e le controversie in materia di famiglia, in Giur.

propensa al ricorso anche dell’articolo 614 bis per garantire l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento.136

Occorre una comparazione tra l’apparato sanzionatorio della norma oggetto di questo studio e la comminatoria di cui all’articolo introdotto nel 2009. Le due norme hanno, infatti, delle affinità e delle differenze che ne permettono la convivenza.

La condanna pecuniaria prevista dall’articolo 614 bis guarda al futuro e diviene esigibile solo nel momento in cui è posta in essere un’inadempienza; le condanne ai sensi dell’articolo 709 ter, invece, postulano una violazione già verificatasi e che, in quanto accertata, giustifica le misure stesse. Tale importante differenza in punto di ambito applicativo permette la cumulabilità delle disposizioni senza che si verifichi una duplicazione di sanzioni137.

Ambedue le misure, tuttavia, comportano l’applicazione di una sanzione civile a carattere patrimoniale che colpisce la parte inadempiente dopo il verificarsi della violazione. Ciò permette di attribuire a tali misure una funzione preventiva di induzione all’adempimento.

La coesistenza dell’ammonizione ex articolo 709 ter e le misure ex articolo 614 bis appare, non solo possibile ma, fisiologica. Il giudice ben può ammonire la parte, censurando la condotta posta in essere, e condannarla al rispetto di quella doverosa indicando una somma da corrispondere in favore del figlio o dell’altro genitore in caso di ulteriore violazione.

136 Invero non sono molte le pronunce sulla materia. Cfr. Tribunale di

Salerno, 22 Dicembre 2009; Tribunale di Roma, 23 Marzo 2013; Tribunale di Firenze, 10 Novembre 2011; Tribunale di Roma, 10 Maggio 2013, tutte in

Leggiditalia.it

Ugualmente il giudice può al contempo condannare al risarcimento di cui ai nn. 2 e 3 e provvedere ad applicare la misura coercitiva ex 614

bis con riguardo ad eventuali future inadempienze.

Alla medesima soluzione si giunge anche circa la sanzione a favore della Cassa delle ammende posto che tale misura colpisce la violazione già avvenuta mentre la misura ex articolo 614 bis si riferisce a violazioni successive (ed eventuali), non venendosi a configurare una sovrapposizione.

In quest’ultimo caso, la situazione muta nel caso in cui l’intervento sanzionatorio riguardi un provvedimento con il quale la parte inadempiente era già stata condannata ai sensi dell’articolo 614 bis. Ferma restando, infatti, la possibilità che il soggetto inadempiente venga sanzionato ai sensi dell’articolo 709 ter, comma II, nn. 1, 2 e 3, deve escludersi l’applicabilità della sanzione alla Cassa delle ammende poiché la violazione è già stata accertata dal giudice ed è già stata sanzionata.

5. L’impugnazione

L’ultimo comma dell’articolo 709 ter sancisce l’impugnabilità dei provvedimenti ivi previsti “nei modi ordinari”. Tale enigmatica espressione ha destato perplessità in dottrina.

Un orientamento, infatti, ha sostenuto che l’interpretazione della disposizione dovesse seguire il dato letterale e che, quindi, tutti i provvedimenti emessi ai sensi dell’articolo 709 ter dovessero essere impugnabili con l’appello.138

138 In questo senso BALENA, Le riforme più recenti del processo civile,

Tale interpretazione, per l’opinione della dottrina maggioritaria139, tuttavia, stravolgerebbe il sistema processuale e per tale motivo non può essere intesa come un rinvio tout court ai mezzi ordinari di impugnazione di cui all’articolo 323 c.p.c., dovendosi piuttosto intenderla in senso atecnico.

La disposizione, quindi, richiamando tutti i rimedi di carattere impugnatorio potenzialmente previsti dal codice di procedura, deve essere interpretata come una formula sintetica volta a rinviare, di volta in volta, ai diversi rimedi esperibili.

I criteri secondo i quali poter individuare i rimedi impugnatori sono: il provvedimento specifico nel quale le misure sono state emanate, potendo queste essere comminate, come visto, sia nel processo di primo grado, sia in appello, sia dal giudice che procede alla revisione delle condizioni di affidamento; il contenuto specifico che il provvedimento reca, potendo questo contenere mere modifiche, condanne risarcitorie, l’ammonizione o la sanzione pecuniaria amministrativa.

Qualora il procedimento ai sensi dell’articolo 709 ter sia instaurato davanti al giudice istruttore, per l’esecuzione di un provvedimento presidenziale, questi può pronunciare un’integrazione o una modifica del provvedimento presidenziale. È possibile proporre il reclamo avverso il provvedimento contenente tali misure con ricorso avanti alla corte d’appello140.

139 In questo senso DANOVI, Le misure sanzionatorie, op. cit.;

TOMMASEO, Op. Cit., p. 402; SALVANESCHI, Alcuni profili processuali

della legge sull'affido condiviso, in RDPr, 2006, p. 373; LUPOI, Op. Cit., p. 1102; MANDRIOLI, Op. Cit., p. 99; SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, p. 250.

140 ai sensi dell’articolo 708, IV comma (inserito dalla medesima l. 54/2006).

Nel caso in cui, invece, il giudice istruttore emani una condanna contro il genitore inadempiente, ovvero una o più delle misure di cui ai nn. 1- 4, il provvedimento è da ritenersi reclamabile davanti al collegio, affinché la decisione sia contenuta nella sentenza conclusiva del giudizio.

Può accadere che il procedimento venga instaurato davanti al collegio della corte d’appello, per dare attuazione ad un provvedimento contenuto nella sentenza di primo grado impugnata. In questo caso tutti i provvedimenti emessi dalla corte d’appello sono suscettibili di controllo soltanto in sede di decisione conclusiva, inclusi quelli di integrazione o modifica della sentenza di primo grado.

Anche se il provvedimento di cui si chiede tutela ex 709 ter è contenuto in una sentenza emanata in appello, il reclamo si propone davanti alla corte d’appello, in pendenza dei termini per proporre ricorso in cassazione, o in pendenza del giudizio di cassazione. Il provvedimento, che la corte d’appello emana, contenente integrazioni o modifiche deve ritenersi non impugnabile. Esso infatti non incide su diritti soggettivi ed è sempre modificabile o revocabile. Il provvedimento, invece, che contiene le misure di cui ai nn. 1-4, avendo natura decisoria e definitiva, è da ritenersi impugnabile direttamente con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost.

Dopo l’estinzione del giudizio di separazione può accadere che venga comunque aperto un procedimento ai sensi dell’articolo 709 ter, con il fine di dare attuazione ad un provvedimento presidenziale o ad un provvedimento contenuto nella sentenza di separazione passata in

in FI, 2006, p. 100, che ritiene reclamabile tale provvedimento davanti al tribunale in primo in composizione collegiale.

giudicato (sia di primo che di secondo grado), o, ancora, ad un provvedimento pronunciato in sede di revisione dei provvedimenti indicati. Il procedimento, in tal caso, viene aperto avanti al tribunale del luogo di residenza del minore e i provvedimenti, che vengono in tali ipotesi emanati, sono suscettibili di reclamo esclusivamente avanti alla corte d’appello141.

Le decisioni emanate dalla corte d’appello saranno impugnabili con ricorso straordinario per cassazione solo nel caso in cui abbiano il carattere della decisorietà o della definitività.

A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la prescrizione secondo cui “i provvedimenti del giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari” deve interpretarsi nel senso che i mezzi esperibili sono i mezzi di impugnazione concretamente adottabili, secondo le regole ordinarie, tenendo conto della tipologia specifica del provvedimento da impugnare e della natura, nonché del contenuto e della finalità. Non si può ritenere ricorribile in Cassazione, dunque, la sanzione dell’ammonimento, in quando essa è prima dei caratteri della decisorietà e definitività.142

141 Come chiaramente affermato da SASSANI, Op. Cit., p. 250; e LUPOI,

Op. Cit., p. 1103

142 Mentre è stato ammesso il ricorso in Cassazione per la sanzione

Capitolo IV

Applicazione dell’istituto a fattispecie concrete

studiate durante l’esperienza di tirocinio anticipato

SOMMARIO: 1. Caso I - a) La fattispecie - b) L’atto introduttivo - c)

La risposta - d) La decisione di primo grado - e) Il reclamo - f) La decisione di secondo grado - g) Il secondo ricorso - h) Il provvedimento - 2. Caso II - a) La fattispecie - b) L’atto introduttivo e la risposta - c) La memoria difensiva e la dichiarazione di incompetenza - d) Il ricorso in riassunzione - e) La decisione di primo grado - f) Il reclamo - g) La decisione di secondo grado.

La quarta parte del presente studio, come premesso in apertura, vede lo studio di due fattispecie concrete, incontrate durante l’esperienza di tirocinio anticipato, in cui è stato chiesto al giudice di intervenire ai sensi dell’articolo 709 ter c.p.c.

1. Caso I

a) La fattispecie

La vicenda vede protagonisti due coniugi, genitori di un bambino di poco più di due anni, che, dopo qualche anno di matrimonio, affrontano una crisi coniugale che porta la madre a lasciare la casa familiare e a trasferirsi per un certo periodo di tempo in un’altra regione con il figlio, anche per cercare una migliore condizione lavorativa. A fronte del timore del padre di non riuscire a passare del tempo con il bambino, qualora egli non avesse potuto trasferirsi a sua volta raggiungendo la moglie e qualora il trasferimento di questa fosse diventato definitivo, i coniugi sottoscrivono una scrittura privata, poco

prima della partenza della madre, in cui regolano il diritto di visita del padre.

L’accordo, durante i mesi successivi, non viene rispettato e così il marito, asserendo che la moglie non gli permette di visitare il figlio, propone ricorso per separazione giudiziale, poi convertita in consensuale in sede di udienza presidenziale. Le parti, quindi, dichiarano l’accordo sull’affidamento condiviso con collocazione del minore presso la madre e sul regime di visita regolato nel verbale d’udienza, sottoscritto e poi omologato.

A distanza di quasi un anno dalla separazione personale, il marito propone ricorso ex art. 709 ter c.p.c. in rito autonomo, chiedendo al giudice di adottare le misure opportune posto che egli non riesce a vedere il figlio ogni qual volta ne avrebbe diritto a causa dei comportamenti ostativi della moglie.

A seguito di esperita CTU, il giudice ammonisce la moglie al rispetto delle condizioni e amplia il diritto di visita del padre, respingendo tuttavia la richiesta da questo formulata in udienza di comparizione di modifica del regime dell’affidamento.

Tale provvedimento viene in seguito impugnato davanti alla Corte d’Appello dal padre che sostiene che il giudice di prime cure non abbia tenuto dovuto conto della relazione peritale, dalla quale emergono elementi particolarmente sfavorevoli alla madre, i quali, a parere del reclamante, sarebbero sufficienti a determinare l’affidamento esclusivo del minore al padre o comunque il collocamento privilegiato presso di lui in caso di affidamento condiviso.

Il reclamo viene rigettato dalla Corte d’Appello che conferma la sentenza di primo grado.

In pendenza di giudizio di appello, la madre propone ricorso ex art.

Documenti correlati