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L'attuazione delle misure personali nelle controversie minorili. La problematica interpretazione dell'articolo 709 ter c.p.c.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L'attuazione delle misure personali nelle

controversie minorili.

La problematica interpretazione dell'articolo 709

ter c.p.c.

Il Candidato Il Relatore

Federica Mele Ch.mo Prof. Claudio Cecchella

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A chi è stato, a chi è e a chi sarà parte della mia famiglia

“Chiamatelo clan, chiamatela rete sociale, chiamatela tribù, chiamatela famiglia. Comunque la chiamiate, chiunque siate, ne avete bisogno.” (Jane Howard)

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Indice

pag.

Premessa 7

Introduzione 8

Capitolo

I

Implicazioni giuridiche generali dell’istituto

1.Tutela differenziata e deroghe al libro III del codice di rito 13

a) La tutela giurisdizionale differenziata 13 b) I diritti 14 c) Le peculiarità 18 d) L’inapplicabilità del libro III del codice

di procedura civile. Le posizioni di dottrina

e giurisprudenza prima della l. n. 54 del 2006 20

(4)

Capitolo II

Il problema della natura della tutela ex art. 709 ter:

responsabilità civile o misure punitive?

1. Dalla potestà alla responsabilità 31

2. I provvedimenti circa l’esercizio e la titolarità della responsabilità genitoriale a) Le misure che stabiliscono le modalità di affidamento 33

b) La natura dei provvedimenti c.d. de potestate. 36

3. Analisi della dottrina e della giurisprudenza sulla natura dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. a) L’articolo 41

b) La controversa natura delle misure di cui ai n. 2 e 3, II co. 45

a) La tesi della natura risarcitoria 48

b) Implicazioni della natura risarcitoria nel processo 54

g) La tesi della natura punitiva 58

d) Implicazioni della natura punitiva nel processo 61

c) Le posizioni della giurisprudenza di merito 63

d) Le posizioni della Corte di Cassazione 67

(5)

a) Considerazioni di ordite testuale 69

b) Considerazioni di ordine sistematico 70

g) Considerazioni di ordine funzionale 72

Capitolo III

Profili processuali

1. Il presupposto applicativo 74

2. La forma dei provvedimenti 76

3. La competenza 78

4. Il rapporto tra l’articolo 709 ter c.p.c. e l’articolo 614 bis c.p.c. 80

5. L’impugnazione 82

Capitolo IV

Applicazione dell’istituto a fattispecie concrete studiate

durante l’esperienza di tirocinio anticipato

1. Caso I a) La fattispecie 86

b) L’atto introduttivo 88

c) La risposta 89

d) La decisione di primo grado 90

e) Il reclamo 91

(6)

g) Il secondo ricorso 93

2. Caso II a) La fattispecie 93

b) L’atto introduttivo e la risposta 94

c) La memoria difensiva e la dichiarazione di incompetenza 95

d) Il ricorso in riassunzione 96

e) La decisione di primo grado 97

f) Il reclamo 98

g) La decisione di secondo grado 99

Conclusione

101

(7)

Premessa

Il presente studio è stato condotto durante il semestre di tirocinio forense anticipato. Iniziare il praticantato prima del conseguimento della laurea ha permesso l’adozione di una prospettiva nuova. Il corso di studi magistrale in giurisprudenza, infatti, così come era fino ad ora strutturato, non permetteva allo studente altro approccio se non quello teorico alle materie oggetto di studio. L’unica modalità di esame è, difatti, quella orale e mai agli studenti viene chiesto di esercitarsi nella pratica, così che una volta dottori in giurisprudenza, non si ha idea né di come si svolga un’udienza né di come si rediga praticamente un atto o un contratto.

Anticipare il primo semestre di praticantato mi ha permesso, quindi, di dare una forma concreta a ciò che prima era soltanto teorico, di mettermi alla prova redigendo ricorsi o scritture private, di scoprire tutto ciò che esiste al di fuori del manuale, e, soprattutto, di avere una maggiore cognizione di causa per scegliere il percorso successivo alla laurea.

Dall’approccio pratico accostato a quello teorico che ha caratterizzato gli ultimi mesi del mio percorso di studi è nato il progetto del presente lavoro, in cui in una prima parte viene, tradizionalmente, studiato un istituto nei suoi aspetti più problematici, e in una seconda parte, innovativamente, vengono riportate due fattispecie concrete incontrate durante l’esperienza di tirocinio, che vedono l’istituto applicato concretamente.

(8)

Introduzione

Art. 709 ter c.p.c.: Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni.

“Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.

A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

1) ammonire il genitore inadempiente;

2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei

confronti del minore;

3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei

confronti dell’altro;

4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di

5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.”

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L’art. 709 ter appartiene sicuramente al novero delle norme più misteriose del codice di procedura civile.

L’introduzione della disposizione, ad opera della legge n. 54 del 2006, ha colmato una grave lacuna normativa. Non esisteva, difatti, prima del 2006, un rimedio all’inadempimento degli obblighi dei genitori, nascenti dal provvedimento emesso dal giudice o dall’accordo preso dalle parti, in materia di esercizio della responsabilità genitoriale e di affidamento dei figli minori. La strada che veniva intrapresa, a fronte di un’inadempienza, era quella lunga e tortuosa prevista dal Libro III del codice di rito: si agiva dunque alla stregua del recupero di un credito, riducendo così la prole ad oggetto inanimato.

Per rimediare a tale inaccettabile stortura, l’art. 709 ter offre finalmente un rimedio immediato e processualmente semplice, con il fine di rendere effettivi gli obblighi genitoriali.

A seguito del ricorso e convocate le parti, di fronte a una controversia non superabile tra i genitori, il giudice emana i “provvedimenti opportuni”, ponendo così in essere una tutela immediata che ricorda quella cautelare ex art. 669 duodecies c.p.c.; di fronte a un’inadempienza grave o a comportamenti pregiudizievoli per i figli, il giudice può, in alternativa o congiuntamente, modificare le regole del regime di affidamento esistente o colpire il genitore, autore della condotta lesiva, con i rimedi previsti dal comma II (un’ammonizione, un risarcimento dei danni cagionati, una sanzione pecuniaria).

La scelta di offrire uno strumento efficace di rapida reazione ai comportamenti pregiudizievoli dei genitori, che affianca in una stessa disposizione la norma precettiva alla conseguenza sanzionatoria, è dovuta ad un’importante presa di coscienza da parte del legislatore. Per lungo tempo il diritto di famiglia è stato disciplinato da un punto di vista adulto-centrico, tutelando la patria potestà e costruendo un

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sistema basato sui diritti dei genitori. A partire dall’inizio del secolo è avvenuta una drastica virata: si è preso atto del fatto che sono i figli le prime vittime della crisi familiare.

Il primo segnale forte che il legislatore ha voluto lanciare in risposta a un sistema ormai inadeguato è stata proprio la l. 54 che ha operato su due fronti: innanzitutto ha imposto al giudice, in sede di separazione personale, il regime dell’affidamento condiviso come prima scelta e, ribaltando il modello preesistente, prevede l’affidamento esclusivo ad un solo genitore e/o la decadenza dalla responsabilità genitoriale solo in casi eccezionalissimi. Ha inoltre modificato l’art. 155 del codice civile ivi fissando obiettivi e criteri ai quali il giudice deve attenersi nell' adozione dei provvedimenti relativi ai figli.

La ratio ispiratrice della riforma è il criterio della bi-genitorialità che emerge quale elemento essenziale per la corretta formazione del bambino.

Spesso, purtroppo, nel momento della crisi della famiglia, si verifica una corrispondente crisi del diritto soggettivo del fanciullo ad essere educato, istruito, assistito, etc. con continuità da entrambi i genitori. La presenza di entrambe le figure genitoriali, alla quale il figlio ha diritto, non è solo quella fisica, ma si concretizza, tra l’altro, in attività decisionali intorno agli aspetti fondamentali della crescita (l’istruzione, la salute, le attività ludiche e sportive, le scelte religiose) e che sovente sono proprio gli aspetti su cui i genitori in crisi costruiscono battaglie processuali con il fine di nuocersi l’un l’altro. L’ordinamento prende coscienza così della necessità di tutelare il bambino, unica vittima senza colpe di tali condotte nocive, e nel 2013, con il D.L.vo n. 154, apporta nuove e importanti modifiche che rafforzano ancora di più il diritto alla bi-genitorialità. Sancisce la fine dell’era della potestà e l’esistenza in capo a entrambi i genitori della

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conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio” (art. 316 c.c.); introduce il concorso al mantenimento, ponendo l’obbligo in capo ai genitori di adempiere agli obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze (art. 316 bis c.c.); inserisce sette nuovi articoli, dal 337 bis al 337 octies, all’interno del Titolo IX del c.c. che formano il nuovo Capo II. In particolare l’art. 337 ter c.c. in cui è ripreso, con alcune modifiche, il testo dell’art. 155 c.c. (che si svuota di contenuto diventando un mero rinvio al nuovo Capo II) e in cui sono sanciti i criteri a cui si deve ispirare il giudice nell’emanare i provvedimenti riguardo i figli, compresi quindi i provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c..

Tuttavia nell’ambito applicativo dell’art. 709 ter, se appare chiaro così il criterio ispiratore dei provvedimenti che il giudice è chiamato ad emanare, ovvero “l’esclusivo interesse morale e materiale” della prole, non altrettanto chiari sono numerosi aspetti della norma, sia sostanziali sia processuali, e, come accennato in apertura alla presente introduzione, ogni profilo dell’istituto è stato in grado, e tuttora lo è, di suscitare interpretazioni giurisprudenziali differenti e dubbi in dottrina, tanto che alcuni sono arrivati a sostenere l’impossibilità di un inquadramento dell’articolo1.

Nel presente studio si spiegheranno gli aspetti maggiormente problematici dell’istituto, guardando alle posizioni dottrinali e giurisprudenziali. In particolare, dopo un’analisi generale circa il problema dell’attuazione delle misure personali e la controversa natura dei provvedimenti che riguardano le modalità dell’affidamento, si cercherà di definire la natura delle misure che prevedono un

1 Cfr. GALOTTO, Le controversie sulle modalità di affidamento dei minori

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risarcimento, di cui ai nn. 2 e 3 dell’art. 709 ter. Tali previsioni hanno suscitato in alcuni la speranza dell’inserimento di un’ipotesi di danno punitivo nell’ordinamento italiano, dove altri invece scorgono una tradizionale figura di responsabilità civile da illecito endo-familiare. Lo sposare una tesi piuttosto che l’altra ha importanti implicazioni processuali, soprattutto circa i principi cardine del processo comune, ovvero il principio della domanda, della allegazione dei fatti e della prova, cui un orientamento ammette di derogare e l’altro no. Infine, dopo un inquadramento dell’articolo nella dimensione processuale, verranno analizzati due casi pratici, incontrati durante l’esperienza del semestre anticipato di tirocinio forense, che hanno visto l’applicazione dell’articolo in commento.

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Capitolo I

Implicazioni giuridiche generali dell’istituto

SOMMARIO: 1. Tutela differenziata e deroghe al libro III del codice di rito – a) La tutela giurisdizionale differenziata – b) I diritti – c) Le peculiarità – d) L’inapplicabilità del libro III del codice di

procedura civile. Le posizioni di dottrina e giurisprudenza prima della l. n. 54 del 2006 – 2. I tratti caratteristici del momento

attuativo

1. Tutela differenziata e deroghe al libro III del codice di

rito

Prima di addentrarsi nell’analisi dei provvedimenti circa la responsabilità genitoriale, e in particolare i provvedimenti ex art. 709

ter c.p.c., appare necessario premettere in quale ottica il legislatore

pone la tutela esecutiva nel diritto di famiglia.

a) La tutela giurisdizionale differenziata

Il momento della cognizione nel processo di famiglia è caratterizzato da forti elementi di specialità rispetto alle regole comuni. Tali specialità si ripropongono anche nella fase esecutiva, oggetto di questo studio.

Tale differenziazione rispetto alle regole comuni è connessa alla caratteristica principale del diritto processuale di essere strumentale al diritto sostanziale. Infatti, per poter offrire tutela, cognitiva, esecutiva,

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cautelare che sia, il processo deve avere la duttilità di adattarsi e modellarsi ai diritti da preservare e alle loro caratteristiche. Necessità questa più che mai evidente nel processo di famiglia.

La peculiarità della materia familiare, più precisamente, non trova la sua causa nei singoli diritti che la compongono ma nel rapporto stesso che fonda tali diritti. Analizzando gli elementi di una qualsiasi domanda giudiziale, infatti, appare evidente come non sia l’oggetto della richiesta al giudice ad essere caratterizzante, bensì la causa

petendi, la relazione familiare, coniugale, genitoriale, o di convivenza

che sia, che plasma inevitabilmente l’apparato processuale.2

b) I diritti

Da tutti e tre i tipi di relazione nascono in capo alle parti diritti sia di natura personale che di natura economica.

I diritti di natura economica concernono i diritti di credito vantati da un coniuge o da un partner nei confronti dell’altro sia in costanza di relazione, sia in caso di scioglimento degli effetti civili delle tre tipologie di unione.

Tali diritti incorporano somme distinte che assolvono funzioni diverse.

In costanza di matrimonio esiste il diritto al contributo di mantenimento, regolato dall’art. 143 c.c. rubricato “Diritti e doveri reciproci dei coniugi”. Il soggetto economicamente più debole ha

2 Cfr. CECCHELLA, Diritto e processo nelle controversie familiari e

minorili, Bologna, 2018, p. 11, che osserva come non sia “il petitum mediato

o immediato della domanda a fondare le particolarità della materia, le cui caratteristiche rendono necessaria una tutela differenziata, bensì la causa

petendi del loro sorgere fondata sulla relazione familiare, nel contesto di un

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diritto ad una prestazione economica da parte del coniuge titolare di un reddito più alto in forza del reciproco obbligo di solidarietà materiale, oltre che morale, di cui al comma II del suddetto articolo. Il contributo di mantenimento è dovuto anche in costanza di unione civile così come disposto dal comma XI dell’art. 1 l. 76/2016 che, richiamando l’art. 143 c.c., prevede l’obbligo per entrambi i partner di contribuire ai bisogni della famiglia, ognuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo.

Nel disciplinare anche le coppie di fatto, la l. 76/2016 ha previsto che i rapporti patrimoniali in costanza di convivenza vengano definiti dai

partner attraverso un contratto e quindi, diversamente dal matrimonio

e dall’unione civile, nessun obbligazione sorge ex lege: la reciproca contribuzione alle spese di vita comune secondo le proprie capacità è quindi un elemento non essenziale di tale contratto così come la scelta di un regime patrimoniale in comunione piuttosto che in separazione dei beni (art. 1, CIII comma l. 76/2016).

Nel momento in cui il matrimonio entra in crisi, durante la fase della separazione, il coniuge più debole dal punto di vista patrimoniale continua ad essere titolare di un diritto al mantenimento, così come previsto dall’art. 156, I e II comma, c.c.

In caso invece di scioglimento degli effetti civili del matrimonio o dell’unione civile, la sentenza di divorzio può imporre un assegno divorzile, così come regolato dalla l. 898/1970 art. 5, VI comma, richiamato dal XXV comma della l. 76/2016.3 Possono essere altresì previsti, per l’ex coniuge e l’ex partner già titolari dell’assegno di mantenimento, il diritto ad una quota del TFR, alla pensione di

3 Che viene liquidato secondo criteri che recentemente hanno ricevuto una

nuova lettura da parte della giurisprudenza di legittimità. Sentenza del 11 luglio 2018, n. 18287, Corte di Cass., in leggiditalia.it

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reversibilità e ad un assegno alimentare a carico dell’eredità in caso di decesso del coniuge/partner (rispettivamente previsti dagli artt. 12 bis, 9 e 9 bis della legge n. 898/1970).

Anche i figli - che siano nati nel matrimonio o fuori da esso4 - vantano diritti di credito nei confronti dei genitori, sia in costanza di relazione (coniugale e non), sia nel momento della crisi.

Norma di riferimento in tal senso è l’art. 316 bis c.c. che vincola i genitori (e anche agli ascendenti in caso di necessità) ad adempiere i propri obblighi economici “nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”.

Tale obbligo5 non cessa di esistere in sede di separazione, divorzio o scioglimento della convivenza dei genitori, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 337 ter IV comma c.c e dell’art. 6 l. 898/70, richiamato anche nella l. 76/2016.

Il diritto al mantenimento, che sia del ex coniuge/partner/convivente o che sia del figlio, è un diritto di credito molto particolare.

Esso infatti non attiene meramente alla sfera economica del soggetto titolare ma presiede al soddisfacimento di situazioni personalissime, tutelate dalla Costituzione e inerenti a diritti fondamentali della persona, come quello a una vita dignitosa, alla salute, all’istruzione, al

4 La legge n. 219/2012 ha abolito la differenza tra figli legittimi e figli

naturali imponendo un’equiparazione tra questi, anche se alcune disparità sono sfuggite al legislatore, soprattutto in ambito processuale.

5 “da determinare considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita

goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore” art. 337 ter, IV comma.

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decoro e alla crescita. Si intuisce facilmente infatti come tali diritti potrebbero essere lesi nel momento in cui al figlio o all’ex partner vengano a mancare i mezzi di sostentamento necessari a provvedere alle elementari spese quotidiane.

Da una così rilevante funzione socio-economica discende la necessità anche per tali diritti di natura patrimoniale di una tutela attuativa specifica, distinta da quella prevista dal Libro III del codice di rito.

La tutela differenziata persiste e si accentua quando l’oggetto del processo è un diritto non patrimoniale. Titolari della relativa posizione giuridica soggettiva possono essere sia i partner, in quanto tali o in quanto genitori, sia i figli.

Per menzionarne alcuni: il diritto del minore alla bi-genitorialità, ovvero ad avere rapporti significativi con entrambi i gentori, e il corrispondente diritto dei genitori ad un effettivo esercizio della responsabilità genitoriale, ai sensi rispettivamente dell’art. 316 c.c. e dell’art. 337 ter, I comma c.c.; il diritto del minore ad avere una famiglia, in caso verta in stato di abbandono o i cui genitori siano decaduti dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c.6; il diritto del figlio ad avere rapporti significativi con gli ascendenti, i sensi dell’art. 317 bis c.c.; nonché tutti quei diritti ed obblighi reciproci aventi fonte nella relazione tra la coppia7.

Tali situazioni soggettive, di natura non patrimoniale e personalissima, hanno copertura costituzionale: nascono nell’ambito familiare,

6 che si sostanzia nell’inserimento del bambino, previa verifica dello stato di

adottabilità, in un’idonea famiglia attraverso l’acquisto del rapporto di filiazione, secondo la l. 184/1983, così come modificata dalla l. 149/2001.

7 Ci si riferisce, per esempio, al diritto/obbligo all’assistenza morale,

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direttamente tutelato nella carta fondamentale nel Titolo II8 agli artt. 29, 30 e 31, e riconducibili anche ai fondamentali artt. 2 e 3 Cost., dovendosi considerare il nucleo familiare come la primaria formazione sociale (almeno cronologicamente) ove la persona umana si sviluppa e definisce gradualmente la propria personalità.

c) Le peculiarità

Nel paragrafo precedente si è osservato come i diritti in questione abbiano natura personalissima e, quando hanno natura economica, presiedano al soddisfacimento di diritti di natura personale. Il contesto giuridico di riferimento, ovvero la causa petendi di tutti i diritti vantabili in materia familiare, tuttavia, impone la sussistenza di ulteriori profili di specialità.

I diritti oggetto del processo sono, innanzitutto, tutti indisponibili; unica eccezione, seppur rilevante, attiene ai diritti di natura patrimoniale di cui sono titolari i partner.

Importante implicazione della caratteristica della indisponibilità è la deroga ai principi dispositivi in ambito processuale quali il principio della domanda, dell’allegazione dei fatti e della prova. Tali iniziative non sono riservate alla parte e quindi il giudice ha il potere di attivare

8 Pur rimanendo un retaggio storico: l’assunto dell’art. 29 Cost. “fondata sul

matrimonio” in riferimento alla famiglia come società naturale è un dogma da ritenersi ormai superato potendosi considerare “famiglia” qualsiasi

raggruppamento (volendo utilizzare un termine che richiama la visione

giusnaturalista adottata dall’articolo in commento, che utilizza il verbo “riconosce”, e non “istituisce”, in riferimento ai diritti della famiglia che quindi preesiste alla Repubblica e non è da questa “creata” come istituto o istituzione) di persone sotto uno stesso tetto familiare che condividono progetti di vita e vivono in comunione spirituale.

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le tutele d’ufficio, impedendo che il soggetto rimasto inerte ne sia privo, non essendo tenuto, tra l’altro, al rispetto del “chiesto e pronunciato”.

Ulteriore logica conseguenza dell’indisponibilità è la deroga al principio della preclusione: l’ordinamento non tollera che una decadenza o un decorrere dei termini possa escludere la tutela di un diritto indisponibile e lascia al giudice la possibilità di rilevare d’ufficio in ogni momento le eccezioni che normalmente sarebbero di parte.

La seconda peculiarità è l’infungibilità. È impensabile infatti che, prendendo ad esempio il diritto del minore alla bi-genitorialità, al genitore possa sostituirsi un’altra figura, come un ufficio esecutivo. La prestazione dovuta può e deve essere adempiuta solo e soltanto dal soggetto individuato dalla legge proprio in virtù del legame tra le parti e proprio in virtù del ruolo della figura del genitore e dell’importanza della presenza di tale figura nel quadro di una crescita del minore il più possibile equilibrata e completa, senza la percezione di mancanze. Una sostituzione della figura genitoriale in fase di adempimento svuoterebbe di contenuto la prestazione stessa.

Per tali tratti peculiari i diritti in materia familiare necessitano di una tutela effettiva che preveda forme adatte a coartare l’adempimento puntuale degli obblighi nel modo e nel momento prescritto dal provvedimento del giudice, essendo presente un’urgenza insita nella prestazione. Se si attendesse infatti l’esigibilità del credito per dare esecuzione all’obbligo, il danno irreparabile si sarebbe già verificato. Ecco dunque spiegata la causa dell’inapplicabilità del procedimento esecutivo di diritto comune al processo di famiglia: applicare un processo di esecuzione con schematiche e rigide forme, riducendo la

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prole minore a una res, costituirebbe un passaggio logico moralmente impossibile.

d) L’inapplicabilità del libro III del codice di procedura civile. Le posizioni di dottrina e giurisprudenza prima della legge n. 54 del 2006

La tutela esecutiva in materia familiare, nel periodo antecedente alla riforma del 2006, è stata oggetto di un intenso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, posto che l’inapplicabilità del Libro III non è stata sempre pacifica.

L’indirizzo maggiormente criticato9, proprio per l’equiparazione della persona umana ad un oggetto, sosteneva l’applicabilità della procedura di esecuzione per consegna e rilascio di cui agli articoli 605-611 c.p.c10. L’art. 2930 c.c., norma sostanziale di riferimento, si riferisce testualmente all’ “obbligo di consegna di una cosa determinata, mobile o immobile”, equiparando in tal modo la persona umana ad un oggetto, e rendendo inaccettabile tale orientamento.

9 Ad esempio da una sentenza del Pret. di Modica, sent. 13 Giugno 1990, in

Giur. Merito, 1992, in cui si sancì che il ricorso all’esecuzione per consegna ex art. 605 (e non quella ex artt. 612 ss.) comportava un pregiudizio grave ai

minori poiché impediva che venissero ascoltati i loro desideri e permetteva un trattamento di questi alla stregua di cose.

10 FORNACIARI, L'attuazione dell'obbligo di consegna dei minori.

Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano,

1991, p. 232-242. È reperibile un unico precedente di merito: Trib. Roma, 12 ottobre 1951, in Foro it., 1952, I, 123.

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Una seconda tesi11 sosteneva l’applicazione di un’ “esecuzione in via breve”, amministrativa, favorita dall’esecuzione indiretta di cui agli artt. 388, II comma e 650 c.p.. La giurisprudenza ha, tra l’altro, chiarito che il primo articolo citato, facendo espresso riferimento ad un provvedimento circa l’affidamento di figli minori o di incapaci, può essere riferito ai soli provvedimenti tesi a disciplinare l’affidamento in custodia, tutela, potestà etc. dei predetti soggetti e non anche alle statuizioni a contenuto patrimoniale connesse a quei provvedimenti12. Per quanto concerne invece l’art. 650 c.p., il giudice di legittimità ne ha rilevato un’eccezionale applicazione13 posta la rilevanza pubblicistica degli interessi dei minori affidati.

11 COSTANTINO, Sull'esecuzione dei provvedimenti di affidamento della

prole, in Persona e comunità familiare, Atti del Convegno di Salerno

5-7/11/1982, Napoli, 1985, p. 467-470; MALAGÙ, Esecuzione forzata e

diritto di famiglia, Milano, 1986, p. 89-103; VACCARELLA, Problemi vecchi e nuovi dell'esecuzione forzata dell'obbligo di consegna dei minori,

in GI, 1982, I, 2, 301; nonché MORANI, L'esecuzione forzata dei

provvedimenti civili relativi alla persona del minore, in Diritto Famiglia e persone, 1998, 1158, il quale sosteneva che l’esecuzione extraprocessuale

doveva essere seguita dal Giudice tutelare con l’ausilio di esperti dei servizi sociali.

12 Cass. pen., VI, 5 Settembre 2000, n. 9440, in Riv. pen., 2000, 1004 13 Cass. pen, V, 16 Marzo 2000,n. 3312, DPS, 2000. L’articolo in commento

infatti, “norma penale in bianco” per eccellenza, non trova applicazione in costanza di inosservanza di provvedimenti giurisdizionali stante la natura particolare dell’interesse tutelato e l’irrilevanza ai fini lesivi dell’ordine pubblico.

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Un ultimo indirizzo14 si orientava verso l’applicabilità dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare poiché tale disciplina15 può avere la flessibilità necessaria alla delicatezza degli interessi in gioco, al tempo stesso tutelando le garanzie del processo giurisdizionale. In realtà è opportuno osservare che anche questa forma può incontrare grandi difficoltà attuative dal momento che l’insormontabile infungibilità della prestazione pone un ostacolo non superabile al giudice dell’esecuzione nel prescrivere il modo in cui debba avvenire la sostituzione dell’obbligato all’adempimento da parte dell’ufficio esecutivo. Inoltre non si può nemmeno dimenticare che il bambino, oggetto della prestazione, può manifestare il rifiuto a frequentare il genitore non affidatario, impedendo quindi che l’obbligazione della visita al figlio sia adempiuta16.

Tale ultimo orientamento era stato accolto anche dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, tanto che sono state emanate numerose sentenze soprattutto negli anni ’80 a sostegno della suscettibilità dell’esecuzione forzata nella forma degli artt. 612 ss. c.p.c. relativamente ai provvedimenti sull’affidamento della prole. In tale ottica infatti il giudice dell’esecuzione riveste quantomeno un ruolo più garantista e partecipativo rispetto a quello che ha nel procedimento

14 A. FINOCCHIARO, in A. FINOCCHIARO, M. FINOCCHIARO, Diritto

di famiglia, III, Milano, 1988, p. 518; LUISO, Esecuzione forzata in forma specifica, Roma, 1989, in EG, XIII, Roma, 1989, 4; MINNECI, L'esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento dei minori, in Diritto Famiglia e Persone, 1995, p. 770-788; tale soluzione era approvata in via di principio,

ma con riserve, da MANDRIOLI, Esecuzione forzata degli obblighi di fare

e di non fare, in Digesto civ., Torino, 1991, p. 555.

15 regolata dagli artt. 612 ss. c.p.c.

16 Come osservato da POLISENO, Profili di tutela del minore nel processo

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per consegna e rilascio, dove al contrario il vero protagonista è l’ufficiale giudiziario, dal momento dell’avviso ex art. 608 c.p.c al momento dell’immissione nel possesso del bene.

In dettaglio, venendo escluso che l’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento potesse avere luogo in via amministrativa, senza la vigilanza e la direzione del giudice, si era affermata la competenza del giudice dell’esecuzione del luogo in cui l’obbligazione doveva essere adempiuta per l’attuazione coattiva della facoltà di visita del genitore non affidatario attribuita con sentenza di separazione o di divorzio (e quindi il luogo di residenza del minore)17. Per l’attuazione del decreto della corte di appello che affidava il minore al padre naturale e disponeva il suo inserimento nella famiglia legittima, è stata esclusa la competenza del giudice tutelare ed è stato ritenuto competente il giudice esecutivo18.

Ancora, per l’esecuzione di un ordine di restituzione del minore ai genitori dopo la revoca dello stato di adottabilità, è stato chiarito che la competenza spetta al giudice dell’esecuzione19.

Venne addirittura stabilito che il giudice dell’esecuzione non dovesse solo individuare le prescrizioni per l’ufficiale giudiziario ma potesse anche richiedere la collaborazione del servizio sociale della USL competente o anche imporre comportamenti determinati alle parti,

17 Cass. sent. 6912/1982, massim. in Brocardi.it; in questo senso anche Trib.

Roma 08 Aprile 1998 che escludendo la competenza del giudice tutelare a decidere sul ricorso proposto dal genitore non affidatario per la fissazione dei giorni di visita, genericamente stabiliti in sede di separazione consensuale, la attribuiva al giudice dell’esecuzione. Cfr anche Corte cost. n. 68/1987, in WikiJuri, in cui si sancisce la costituzionalità dell’applicazione dell’art. 612 c.p.c. alle controversie sulle relazioni familiari.

18 Cass, sent, n. 5374/1980, in LeggidItalia.it, dove inoltre si è ritenuta

applicabile l’esecuzione in via breve del modello cautelare (oggi all’art. 669

duodecies c.p.c.)

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sempre in esecuzione dei provvedimenti di affidamento o di consegna dei minori da effettuarsi con le forme per gli obblighi di fare e non fare20.

Questi orientamenti sono oggi completamente superati.

La legge n. 54/2006 (e poi la legge n. 69 del 2009 che ha introdotto l’art. 614 bis) ha colmato la lacuna dell’attuazione dei provvedimenti giudiziali sull’affidamento e sull’esercizio della responsabilità genitoriale prevedendo delle ipotesi di intervento giudiziale tipizzate ed eliminando ogni possibilità per il Libro III di trovare ipotesi applicative in questo campo.

L’esigenza di un’attuazione effettiva è il fulcro dell’esclusione dell’esecuzione forzata poiché i tempi lunghi di tale procedimento non permetterebbero una tutela immediata e urgente, nonostante il pericolo di un danno grave e irreparabile sia in re ipsa. Qualora infatti si dovesse attendere l’esigibilità del credito, così come dispone l’art. 674 c.p.c., per coartare l’adempimento dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento, ad esempio, sarebbe già trascorso del tempo in cui il titolare di tale diritto si sarebbe trovato in una situazione di bisogno e di difficoltà, con tutte le lesioni dei relativi diritti, e il danno grave e irreparabile si sarebbe già verificato non essendoci neanche il tempo per potersi figurare - e per questo diventa irrilevante - un periculum.

Così come non è immaginabile che l’obbligo venga adempiuto in un momento successivo a quello prescritto dal giudice, così non è configurabile una situazione in cui ci sia una sostituzione dell’obbligato da parte di un ufficio esecutivo. Gli obblighi nascenti

20 Pret. Parma 3 Aprile 1984, in DFP, 1984 in cui si sospese l’esecuzione per

il rifiuto del minore a una collaborazione nell’attuazione del provvedimento e si rimise al giudice della cognizione.

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dalle relazioni familiari, stante lo loro infungibilità, devono infatti essere adempiuti esattamente dai soggetti obbligati.

Per tutti questi motivi è preferibile parlare di <<attuazione>> piuttosto che di <<esecuzione>>21 dei provvedimenti in questione, termine che il legislatore stesso già suggerisce nell’ambito della tutela cautelare (art. 669 duodecies c.p.c.).

Lo scopo dell’ordinamento infatti è quello di far in modo che le prescrizioni del giudice vengano rispettate e che il soggetto che si sottrae ai propri doveri venga coartato o obbligato ad adempiere, personalmente e senza ritardo. Prendendo ad esempio un provvedimento sull’esercizio della responsabilità genitoriale, risulta chiaro come sia fondamentale che a rispettare le prescrizioni del giudice sia il genitore e lui soltanto, essendo di sicuro priva di senso una sostituzione (non è infatti immaginabile che un ufficiale giudiziario partecipi alla scelta della scuola a cui iscrivere il bambino o se sottoporlo a dei vaccini o meno). Si tratta di comportamenti che deve tenere il genitore in quanto tale e che deve tenere nel momento in cui è prescritto che lo faccia, procurando altrimenti un danno irreparabile al figlio.

2. I tratti caratteristici del nuovo momento attuativo

Le criticità e le lacune della normativa familiare hanno finalmente trovato voce nel legislatore del 2006. Il nuovo articolo 709 ter dispone una tutela attuativa specifica tenendo in debito conto le varie e significative peculiarità delle fattispecie.

21 Cfr., POLISENO, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli,

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Il primo rilevante cambio di passo si sostanzia nella previsione dell’identità tra il giudice del merito e il giudice dell’esecuzione. L’art. 709 ter dispone testualmente che “per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso”. L’identità del giudice dell’esecuzione con il giudice del merito trova la propria ragione nella delicatezza dei diritti da tutelare e nel particolare regime della decisione nel processo di famiglia.

La fase conclusiva del processo cognitivo, infatti, da luogo ad un giudicato rebus sic stantibus, soggetto quindi a una potenziale modifica o revoca ex art. 710 c.p.c. ogni qual volta sussista un fatto sopravvenuto. Ebbene, quando l’esecuzione incontra degli ostacoli, come può essere un comportamento inadempiente di un genitore, tale difficoltà attuativa integra un fatto sopravvenuto e diventa quindi possibile, e a volte necessario, rivedere e ripercorrere il momento della cognizione.

Si è brevemente analizzato, nel paragrafo precedente, l’orientamento giurisprudenziale degli anni ’80 che riconosceva la competenza del momento attuativo al giudice dell’esecuzione. Tale orientamento è sopravvissuto fino a che non è giunta un’importante introduzione, con la legge n. 74 del 1987, nella legge sul divorzio (l. n. 898/1970), in particolare nell’art 6: il comma X. Questa norma segnò la fine della stagione dell’utilizzo del Libro III (e in particolare dell’applicazione delle forme per gli obblighi di fare e non fare) per attuare le misure personali.

Oggi il comma X è stato abrogato dalla riforma del 2013 della filiazione22 ed è confluito nella sua forma originale nell’art. 337 ter, II

22 Il d.lgs. n. 54 del 2013 valendo per tutti i procedimenti in cui è implicato

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comma c.c. il quale dispone testualmente che “all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tale fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare”. Per la prima volta viene quindi stabilito dal legislatore che, contrariamente a quanto in quegli anni veniva sostenuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, la competenza ad attuare i provvedimenti relativi all’affidamento è dello stesso giudice che ha curato il momento cognitivo, in una dimensione di continua interazione tra la fase di merito e la fase esecutiva.

Un altro punto importante viene posto dalla norma in commento in quanto porta soccorso al già esistente, seppur privo di ambito applicativo23, articolo 337 c.c. che, sopravvivendo ancora oggi alle novità legislative, affida al giudice tutelare una competenza a “osservare” l’attuazione delle misure personali sulla responsabilità genitoriale nelle modalità stabilite dal giudice competente: finalmente il giudice del merito.

Il giudice tutelare diventa quindi un controllore, con funzione di vigilanza e di impulso, segnalando, qualora si presentassero difficoltà di applicazione e di attuazione del provvedimento, al giudice del

i minorenni, ha tolto ogni dubbio circa l’applicabilità della disposizione in esame.

23 Prima dell’introduzione del comma X in commento infatti non era chiaro

il ruolo che l’art. 337 c.c. attribuiva al giudice tutelare nel prevedere il suo compito di vigilanza sulle regole stabilite dal tribunale “sia per non essere identificabile il giudice tutelare con il giudice del merito, e sia per non essere in grado il giudice tutelare di intervenire sui contenuti dei provvedimenti del tribunale”, così come osservato da CECCHELLA, Diritto e processo nelle

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merito gli ostacoli sopravvenuti, così che questo prescriva le misure opportune.

La difficoltà attuativa è, infatti, indice di una regola di comportamento mal posta durante la fase del merito implicando, dunque, la necessità di rivedere e reimpostare tale regola, modificandola o revocandola, in un’ottica in cui non è configurabile un’insensibilità dell’esecuzione rispetto al momento cognitivo e quindi una diversità tra i due organi giudicanti: è necessaria una forma di esecuzione “breve” che possa essere disposta dallo stesso giudice del merito, adattandola alla fattispecie concreta in modo il più possibile in linea con gli interessi del minore.

Il moto circolare tra il merito e l’attuazione rappresenta un effetto del principio di strumentalità del processo rispetto al diritto del figlio, soggetto fragile e vulnerabile e quindi meritevole di una particolare attenzione da parte dell’ordinamento, nei confronti del genitore. Bisogna tenere presente che il bambino dai 0 ai 18 anni è in piena età evolutiva che, in quanto tale, muta continuamente per quanto riguarda i bisogni, le esigenze, le preferenze, le inclinazioni, etc. e proprio per questo continuo cambiamento è essenziale che ci sia la possibilità di un adattamento costante della regola stabilita dal giudice alla fattispecie concreta.

Un altro tratto peculiare del momento attuativo è la proiezione nel futuro della tutela esecutiva. Sia sul piano delle misure economiche, sia sul piano di quelle personali, invero, l’ordinamento prevede delle soluzioni adottabili dal giudice unico affinché la tutela attuativa sia effettiva. La caratteristica delle prestazioni in questione è infatti quella di essere a carattere periodico e permanente, siano esse patrimoniali o personali: esse si reiterano nel tempo non permettendo l’estinzione del diritto in un unico atto. L’assegno di mantenimento deve ad esempio

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essere corrisposto, in genere, ogni mese entro il giorno cinque; ancora, il diritto di visita viene esercitato dal genitore non affidatario ogni settimana, di solito nella comune formula di week-end alterni e un paio di giorni nelle settimane che non terminano con il week-end “di pertinenza”.

Per questo motivo sono possibili soluzioni quali il dirottamento del reddito dell’obbligato direttamente dal datore di lavoro verso gli aventi diritto oppure le misure ex art. 614 bis c.p.c24, applicabili con uno sforzo interpretativo anche sul piano personale, ambito in cui le tutele sono maggiormente necessarie per la delicatezza dei diritti in gioco.

Ad oggi, in conclusione, a fronte di una difficoltà nel concretamento della decisione giurisdizionale (o di un accordo omologato tra le parti) in materia di esercizio della responsabilità genitoriale, la parte interessata può chiedere tutela ai sensi dell’articolo 709 ter. Il giudice, a seguito del ricorso e convocate le parti, emana i provvedimenti che ritiene opportuni e, se necessario, sanziona il soggetto inadempiente attraverso una scala di rimendi che vanno dalla semplice ammonizione alla sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

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Capitolo II

Il problema della natura della tutela ex art. 709 ter:

responsabilità civile o misure punitive?

SOMMARIO: 1. Dalla potestà alla responsabilità – 2. I provvedimenti circa l’esercizio e la titolarità della responsabilità genitoriale – a) Le

misure che stabiliscono le modalità di affidamento – b) La natura dei provvedimenti c.d. de potestate. – 3. Analisi della dottrina e della

giurisprudenza sulla natura dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c – a) L’articolo – b) La controversa natura delle misure di cui ai n. 2 e 3, II c. – a) La tesi della natura risarcitoria – b) Implicazioni della natura risarcitoria nel processo – g) La tesi della natura punitiva – d) Implicazioni della natura punitiva nel processo – a) Le posizioni della

giurisprudenza di merito – b) Le posizioni della Corte di Cassazione – c) Considerazioni finali – a) Considerazione di ordite testuale – b) Considerazioni di ordine sistematico – g) Considerazione di ordine funzionale

Le controversie in materia familiare, sia nella loro fase cognitiva che in quella eventuale attuativa, danno luogo all’emanazione di provvedimenti vertenti sulla responsabilità genitoriale e sull’affidamento dei figli. Tali statuizioni, che possono discendere tanto dal potere decisorio del giudice quanto da accordi convenzionali delle parti, definiscono le delicate questioni insorte tra i partner e permettono alle crisi familiari di trovare lo sbocco solutorio più adatto alla singola fattispecie.

Pur essendo numerose le sedi giurisdizionali e le forme giuridiche in cui tali ordini e accordi vengono sanciti, uniche e ugualmente controverse sono le questioni circa la loro natura.

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1. Dalla potestà alla responsabilità

Appare necessario, prima di analizzare le posizioni circa la natura dei provvedimenti, fare alcune precisazioni sul concetto di responsabilità genitoriale.

Come si è accennato in premessa, prima del verificarsi dei cambiamenti culturali e sociali che hanno caratterizzato lo scorso secolo, l’istituto della “potestà” regolava il rapporto di filiazione e racchiudeva tutto il “carattere pubblicistico dell’istituto” 25.

L’essere genitore si costituiva quindi di un complesso di poteri, e non di doveri, genitoriali (soprattutto il capo al pater familias) e la potestà ne era il contenitore. In quest’ottica il diritto soggettivo del figlio nei confronti del genitore era bel lontano dal farsi strada.

Un cambiamento di prospettiva avvenne nella seconda metà del 1900 e il primo e sostanziale mutamento fu nel 1975 quando venne riscritto l’art. 147 c.c., che ancora prevedeva che l’educazione e l’istruzione dei figli dovessero essere conformi “ai principi della morale e al sentimento fascista”. La riforma prevedeva finalmente la valorizzazione del punto di vista dei figli e che questi venissero educati secondo le loro capacità, le loro inclinazioni naturali e le lo loro aspirazioni.

Nonostante tale ammodernamento socio-giuridico, ancora non riusciva a delinearsi un vero e proprio diritto soggettivo in capo al figlio nei confronti del genitore; la posizione del fanciullo rimaneva passiva, di mera soggezione.

25Così come si legge nella Relazione al Re del Ministro guardasigilli Grandi,

stante il principio della soggezione dei figli al potere familiare dei genitori, in particolare del pater familias. Tale relazione fu presentata all’udienza del 16 Marzo 1942, per l’approvazione del testo del codice civile.

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Col passare del tempo e delle trasformazioni sociali la posizione personale del figlio è stata sempre più rivalutata, grazie anche alle influenze internazionali26, riempiendosi così di contenuto la sfera dei diritti del bambino e limitandosi proporzionalmente quella della potestà genitoriale.

Passando quindi per l’approvazione della legge sull’affidamento condiviso (l. n. 54/2006), che fece sì che l’esercizio dei poteri e dei diritti dei genitori fosse di regola prerogativa di entrambi questi e solo eccezionalmente di uno solo, attraversando la recente riforma della filiazione, si giunge ad avere due importanti novità: da un lato l’introduzione dell’art. 315 bis c.c., che finalmente e esplicitamente indica quale è la posizione giuridica soggettiva del figlio; dall’altro la sostituzione della parola “potestà” con la parola “responsabilità”. La connotazione autoritativa e potestativa è quindi superata, in un contesto ordinamentale in cui i diritti del figlio si realizzano se e solo se i doveri genitoriali vengono adempiuti personalmente. Questo adempimento si articola inoltre in un’attività complessa, soggetta a mutamenti nel tempo: il contenuto dei doveri genitoriali viene stabilito dai genitori stessi ma entro dei parametri legali che l’ordinamento pone affinché i genitori tengano conto delle opinioni, capacità, aspirazioni e inclinazioni naturali dei figli, limitando così l’”autorità” paterna. I figli così diventano titolari di diritti di rango costituzionale nei confronti dei genitori27.

26 Si tenga conto ad esempio delle convenzioni di New York (1989) dove il

fanciullo (e non il “minore”) assume una posizione di preminenza assoluta; e di Strasburgo (1996) in cui vengono riconosciuti al bambino diritti azionabili, da parte loro o tramite dei rappresentanti o degli organi che li informino e li rappresentino.

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I genitori al contempo sono titolari di diritti-doveri meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento, tutela che il legislatore garantisce ad esempio scegliendo appunto l’affidamento condiviso come regola e quello esclusivo come eccezione. Tali posizioni, tuttavia, mantengono una rilevanza subordinata rispetto alla tutela degli interessi-diritti dei figli di cui l’ordinamento si fa carico28 e assume come propri sino a che non è compiuto il diciottesimo anno di età. In tale ottica si può parlare persino di interesse (del minore) individuale a rilevanza collettiva29.

2. I provvedimenti circa l’esercizio e la titolarità della

responsabilità genitoriale

a) Le misure che stabiliscono le modalità di affidamento

Tendenzialmente la dottrina tende a ricondurre i provvedimenti sull’affidamento alla volontaria giurisdizione e tale impostazione, non essendo stati sollevati particolari dubbi, pare non dia luogo a difficoltà di sorta30. Anche chi sostiene la necessità che il minore partecipi ai

28 Si tenga conto ad esempio del ruolo del Pubblico Ministero, che in vari

momenti è presente per assicurare che l’interesse nel minore venga rispettato.

29 Cfr. DONZELLI, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709

ter c.p.c, Torino, 2018, p. 49

30 Così testualmente GRAZIOSI, La sentenza di divorzio, Milano, 1997, p.

217; Cfr. anche, PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex

art. 373 ss. c.p.c. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla questione di interessi devoluta al giudice), ora in Le tutele giurisdizionali dei

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procedimenti sulla crisi familiare, quando si discute dell’affidamento, non arriva ad affermare che l’effettivo oggetto del giudizio sia il diritto del minore, preferendo dare rilievo al concetto di incisione31, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.

Se tale opinione trova l’accordo più o meno univoco della dottrina, ciò non avviene in giurisprudenza.

L’interrogativo sorge intorno alla ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost. del provvedimento circa l’affidamento qualora non sia stato emesso in forma di sentenza e quindi non sia ricorribile ex art. 360 c.p.c. Per quanto riguarda, ad esempio, l’esito del giudizio di revisione delle condizioni del divorzio (art. 9 l. div., che rinvia genericamente alle forme camerali), la Suprema Corte sosteneva, senza distinguere quando l’oggetto del ricorso erano le disposizioni economiche tra i genitori o quando erano relative ai figli32, data la ricorribilità in cassazione ex art. 360 c.p.c della sentenza di divorzio, che parimenti fosse ricorribile in cassazione il decreto che chiude il giudizio ex art. 9 l. div.33.

Mentre dapprima il problema riguardava soltanto il divorzio, dal 1988, con la legge n. 331, si pone anche per il giudizio di modifica delle condizioni di separazione, riguardanti anche l’affidamento dei figli,

diritti, Studi, Napoli, 2003, p. 614; LUISO, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, Milano, 2017, p. 324.

31 Cfr. QUERZOLA, Il processo minorile in dimensione europea, Bologna,

2010, p. 111; al contrario POLISENO, Profili di tutela del minore nel

processo civile, Napoli, 2017, p. 110.

32 In effetti l’unico presupposto per ottenere la revisione è, ai sensi dell’art.

9 l. div. la sussistenza di “giustificati motivi”, non menzionando distinzioni tra profili patrimoniali e condizioni concernenti i rapporti con i figli.

33 Cfr, Cass., 25 Novembre 1976, n. 4441; Cass., 19 Ottobre 1977, n. 4470,

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ex art. 710 c.p.c. che, da ordinario che era, assume anch’esso le forme

camerali, permettendo, così, alla giurisprudenza di riconoscerne la ricorribilità ex art. 111, VII comma, Cost.

La motivazione primaria, data dalla prima sentenza resa dopo la riforma dell’art. 710 c.p.c., attiene al richiamo alle decisioni rese in materia di divorzio: la Suprema Corte affermò testualmente che “non si è mai dubitato, in sede di legittimità, dell’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. contro il decreto, emesso in camera di consiglio dalla Corte d’appello, in sede di reclamo contro il provvedimento reso dal Tribunale ai sensi dell’art. 9 della l. 989/1970.”34

Nella stessa sentenza citata venne inoltre affermato che la cameralizzazione del giudizio non ha inciso sulla natura contenziosa del procedimento (che infatti si svolge nelle forme del contraddittorio tra soggetti titolari di diritti soggettivi confliggenti) che si conclude con decreto che ha natura sostanziale di sentenza35.

Come anticipato però la giurisprudenza non era unanime.

Un orientamento opposto negava innanzitutto il carattere decisorio dei provvedimenti circa l’affidamento, dato che l’intervento giudiziale non mira a risolvere una controversia tra titolari di diritti soggettivi ma a disciplinare la responsabilità genitoriale. Veniva negata la definitività del provvedimento impugnato, elemento imprescindibile per poter ricorrere in Cassazione con ricorso straordinario.

Veniva in particolare sostenuta la piena applicabilità dell’art. 742 c.p.c. sulla reclamabilità dei provvedimenti emessi nelle forme camerali e ciò era confermato dal confronto tra “l’ultimo comma

34 Cfr, Cass., 10 Ottobre 1991, n. 11042, in Leggiditalia.it

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dell’art. 155 c.c.36 e l’ultimo comma dell’art. 156 c.c., che, per quanto riguarda la modifica dei provvedimenti della separazione aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra i coniugi, richiede la sopravvenienza di giustificati motivi. In tal modo il legislatore ha fatto salva l’efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, dei provvedimenti della separazione riguardante i rapporti economici tra i coniugi, mentre la mancata previsione della necessità di un mutamento delle circostanze nell’art. 155 c.c. non può avere altro significato che quello di negare ogni efficacia di giudicato ai provvedimenti previsti in questa disposizione”37, prevedendo quindi la loro modificabilità.

Tale orientamento tuttavia non riesce a consolidarsi come quello precedentemente esaminato, che si ricollega alla natura contenziosa del procedimento, e che da luogo progressivamente a una giurisprudenza in sostanza unitaria secondo la quale la definitività è da riferirsi alla situazione esistente al momento della decisione e che quindi i provvedimenti in materia di affidamento hanno un giudicato

rebus sic stantibus essendo modificabili solo se sopravvengono

circostanze nuove.

b) La natura dei provvedimenti c.d. de potestate

È necessario esaminare le prese di posizione di dottrina e giurisprudenza sulla natura dei provvedimenti ex art. 330 e 333 c.c. avendo questi costituito sempre un termine di paragone sul piano sistematico per inserire o meno le misure circa l’affidamento nella categoria della volontaria giurisdizione.

36 La sentenza citata si riferisce all’art. 155 come era prima della riforma

della filiazione del 2013.

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La giurisdizione volontaria, all’interno della quale la dottrina e parte della giurisprudenza abbiamo visto iscrivere i procedimenti in esame, è tra le categorie “più controverse ed evanescenti sul piano scientifico”38, dato che è stata elaborata fondamentalmente per contrapporsi alla giurisdizione contenziosa decisoria, finendo per essere un grande insieme all’interno del quale collocare ciò che non è riconducibile a tale ultima giurisdizione senza che ci sia stato un vero tentativo di indagine mirato a delinearne le peculiarità.

Proprio la progressiva presa di coscienza dell’inconsistenza della categoria della volontaria giurisdizione ha portato ad un processo evolutivo che tende ad attribuire diversa natura ai provvedimenti, soprattutto quelli ex artt. 330 e 333 c.c.

Le mosse sono state prese dalla maggiore considerazione della necessità di una tutela giurisdizionale effettiva in tali procedimenti posto che sono maggiormente incisivi rispetto a quelli di cui all’art. 337 ter c.c. Nei procedimenti de potestate, è stato rilevato, “il contenuto dell’esercizio della potestà” viene “in concreto compresso fino all’annullamento”39, quindi anche se non rientrano tra le forme della tutela cognitiva decisoria, si auspicava a che venissero previste maggiori garanzie processuali.

Osservato quindi il carattere “incisivo” di tali provvedimenti, l’interrogativo si è spostato sul punto di vista da adottare ovvero se l’incisività era da riferirsi alla posizione soggettiva dei genitori, che veniva limata e rischiava di essere del tutto elisa, oppure ai diritti dei figli. Secondo questa corrente di pensiero recentemente si è arrivati a sostenere che i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale

38 DONZELLI, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter

c.p.c, Torino, 2018, p. 44

39 PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss.

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appartengono alla giurisdizione contenziosa “costituzionalmente necessaria” posto che “concerne la tutela di diritti fondamentali della persona (del minore e del genitore)”, “diritti [...] dello stesso rango del diritto alla libertà personale”40.

La giurisprudenza ha operato un’analoga evoluzione. Interrogandosi infatti sulla ricorribilità di tali provvedimenti in cassazione ex art. 111, VII comma Cost. il giudice di legittimità ha sempre negato tale possibilità posta la natura di volontaria giurisdizione di tali provvedimenti mancando questi del carattere della decisorietà e della definitività (discorso analogo fu fatto peraltro riguardo ai provvedimenti sull’affidamento).

Ci furono tuttavia delle pronunce a seguito della riforma dell’art. 336 c.c. (con l. n. 149/2001) che attribuirono carattere contenzioso ai provvedimenti in questione. Venne in particolare rilevato che l’oggetto riguardava diritti soggettivi confliggenti e che la riforma assicurava un maggior rispetto del contraddittorio in sede processuale, indice questo del carattere contenzioso del procedimento41.

L’orientamento prevalente rimaneva però volto a negare la ricorribilità in cassazione ex art 111 Cost. poiché si osservava che i diritti cui si da tutela in tali procedimenti “esigono un continuo ed attento adeguamento del provvedimento alla realtà mutevole del minore [...] senza che si possa distinguere fra i fatti già valutati e i fatti sopravvenuti perché la realtà della persona del minore è basata su un

continuum di esperienze, dove il passato si salda al presente, nella

prospettiva della futura maturazione [...] per cui la valutazione deve essere complessiva e non soggetta allo sbarramento formale del

40 PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de

potestate, in Foto.it, 2013, V, 72

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giudicato”42. Quindi il carattere di giudicato è inadatto ad una decisione che riguarda una realtà mutevole come quella del fanciullo, deve poter mutare parallelamente all’evoluzione della realtà.

Il carattere di giudicato, tuttavia, è necessario per poter ricorrere in cassazione con ricorso straordinario. Ne consegue “un ostacolo insuperabile all’esperimento del ricorso per Cassazione”.43

Solo di recente la giurisprudenza44 ha nuovamente ammesso il ricorso straordinario, riprendendo gli argomenti della conflittualità delle parti nel processo e la garanzia dell’ascolto sia dei genitori che del minore nonché l’assistenza di questi da parte di un difensore. Viene criticato inoltre il tentativo di distinguere tra “esercizio” e “titolarità” della responsabilità genitoriale. Fu fatta sia in dottrina che in giurisprudenza una distinzione tra: da un lato i provvedimenti circa l’affidamento, regolati dall’art. 155 c.c. (e quindi dal Capo II del Titolo IX del c.p.c.), come misure, ferma la titolarità della - vecchia - potestà in capo a entrambi i genitori, dirette a regolarne l’esercizio; dall’altro i provvedimenti ex art 330 e 333 c.c. che mirano piuttosto a decidere della titolarità della responsabilità genitoriale e quindi a decidere di quelle situazioni che presentano una gravità tale che può portare alla decadenza di tale responsabilità. Tale distinzione appare fallace e priva di senso posto che la titolarità della responsabilità genitoriale comporta proprio l’esercizio doveroso di essa perché siano garantiti i

42 Cass, S.U. 23 Ottobre 1986 n. 6220, in Leggiditalia.it 43 Cass., S.U. 10 Giugno 1988 n. 3931, in Leggiditalia.it

44 Cass., 21 Novembre 2016 n. 23633; Cass., 29 Gennaio 2016 nn. 1743 e

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diritti di cui all’art. 30 Cost. ribaditi e specificati agli artt. 147 e 315

bis c.c.45

Si arriva così a poter definire la natura dei provvedimenti, che regolano le modalità dell’affidamento e i provvedimenti circa la responsabilità genitoriale, come natura determinativa.

Entrambi infatti mirano a determinare le regole secondo le quali la responsabilità genitoriale deve essere esercitata e quindi la sussistenza o meno dei diritti e dei doveri a questa riconducibili nonché il loro modo di essere.

L’esito di questi provvedimenti, come osservato da autorevole dottrina46, da vita alla regola di diritto sostanziale secondo la quale il rapporto genitori-figli è disciplinato: non saranno più quindi le norme del codice di rito, quali l’art. 147 c.c. o l’art. 315 bis c.c., ad essere la fonte dei diritti delle parti, bensì il provvedimento del giudice che definisce il giudizio, sull’affidamento o de potestate che sia. Proprio a seguito dell’inottemperanza di tali provvedimenti, lo stesso giudice provvederà ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c

.

3. Analisi della dottrina e della giurisprudenza sulla natura

dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c

Si è detto che il giudice, agendo ex 709 ter c.p.c., altro non fa che determinare il concreto contenuto e il modo di essere dei diritti dei figli, intervenendo quindi all’interno della sfera di questi soggetti particolarmente vulnerabili e operando un’ingerenza in un’attività

45 DONZELLI, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter

c.p.c, Torino, 2018, p. 65 ss.

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nettamente personale ma che ha mostrato segni di patologia nel suo svolgersi. Detta attività, che a seguito di controversie o inadempimenti dei genitori viene svolta dal giudice, anche modificando le condizioni dell’affidamento, non può essere declassata ad una mera gestione di interessi secondo criteri di opportunità e di conseguenza non è può essere catalogata come volontaria giurisdizione.

Verrà analizzato, nel seguente paragrafo, in quali modi concretamente il giudice interviene ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c.

a) L’articolo

L’articolo si compone di tre commi. In questa sede si analizza l’apparato rimediale previsto dal comma II.

Dopo aver convocato le parti il giudice adotta in contraddittorio i provvedimenti che ritiene opportuni, e questa attività è da considerarsi alternativa alla modifica dei provvedimenti in vigore e ai rimedi di cui ai punti 1-4.

Posto che hanno un presupposto comune, ovvero le gravi inadempienze o la sussistenza di atti pregiudizievoli, indagare sulla natura di tali rimedi è fondamentale per comprendere in che rapporti sono tra loro e se è possibile un’applicazione congiunta o solo alternativa.

Al n. 1 innanzitutto vi è l’ammonizione, che consiste in un avvertimento al genitore inadempiente dal desistere dalla condotta lesiva collaborando, invece, per il bene della prole, all’attuazione del provvedimento giudiziale. Si tratta quindi di un deterrente volto a non far reiterare quei comportamenti qualificabili come “gravi

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inadempienze”, o che “comunque arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”. In dottrina si è dubitato dell’efficacia di questa misura tanto che secondo alcuni se adottata in via esclusiva, e non congiuntamente a un altro provvedimento, è da considerarsi addirittura “priva di efficacia dissuasiva”47.

Secondo altri la sanzione di cui al n. 1 potrebbe avere invece efficacia deterrente solo se si accoglie la tesi secondo cui un’eventuale somma di ammonizioni a carico di uno, o anche di entrambi i genitori, potrebbe portare il giudice a modificare le condizioni dell’affidamento oppure, nelle ipotesi più gravi, a pronunciare provvedimenti restrittivi o ablativi della responsabilità genitoriale48.

Secondo tale impostazione qualora si pronunci un’ammonizione nei confronti del genitore inadempiente o autore di comportamenti pregiudizievoli per il figlio, il giudice deve fissare anche una nuova udienza in cui verificherà la cessazione effettiva delle inadempienze o dei comportamenti lesivi49.

Siffatta soluzione appare tuttavia di difficile attuazione nella pratica poiché il procedimento si trasformerebbe, finché il figlio non diventa maggiorenne, in una continua verifica processuale dell’adempimento da parte del genitore, peraltro in palese contrasto con il principio di

47 Cfr. ARCERI, L’affidamento condiviso, Milano, 2007

48 Cfr. LUPOI, Commento dell’art. 709-ter c.p.c., in AA.VV, Commentario

breve al codice di procedura civile, VI ed., Carpi-Taruffo, Padova, 2009,

2353

49 Cfr. DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel

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