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in I L NOME DELLA ROSA

II. 2 2 In tertes tu alità

In questo senso Il nome della rosa deve essere riconosciuto come un capolavoro dell'intertestualità o, più in generale, della molteplicità: dalla vicenda singola si aprono mille altre storie suggerite tacitamente. Le citazioni implicite sono molte e spesso si rivelano strutturali: il labirinto in cui è celata la biblioteca dell'abbazia, già ricordo appannato della novella di Borges, si svela a Guglielmo ed Adso grazie ai versetti dell'Apocalissi incisi sugli architravi delle porte, iscrizioni che riescono a guidarne i passi. Proprio Guglielmo, parlando della costruzione del labirinto, afferma:

- Hanno usato tanti versetti quante sono le lettere dell’alfabeto! Certo che è così! Il testo dei versetti non conta, contano le lettere iniziali.

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Ogni stanza è contrassegnata da una lettera dell’alfabeto, e tutte insieme compongono qualche testo che dobbiamo scoprire! - 9

L'Apocalissi di San Giovanni percorre l'intero libro di Umberto Eco giacché è proprio attraverso il ritmo e le predizioni delle Sette Trombe apocalittiche che avvengono gli omicidi in grado di sconvolgere l'abbazia.

Troppi morti, [...] troppi morti… Ma era scritto nel libro dell’apostolo. Con la prima tromba venne la grandine, con la seconda la terza parte del mare divenne sangue, e uno lo avete trovato nella grandine, l’altro nel sangue… La terza tromba avverte che una stella ardente cadrà nella terza parte dei fiumi e delle fonti. Così vi dico, è scomparso il nostro terzo fratello. E temete per il quarto, perché sarà colpita la terza parte del sole, e della luna e delle stelle, così che sarà buio quasi completo…10

Ad ogni modo la molteplicità del romanzo non è data solamente dalla fitta rete di riferimenti intertestuali bensì attraverso una altrettanto nutrita commistione di generi letterari, giocata proprio sulle inevitabili diversità concettuali e strutturali che li caratterizzano. Il nome della rosa è innanzitutto un romanzo giallo nel quale il giovane novizio Adso da Melk racconta, ormai ottantenne, i sette giorni d'indagine trascorsi in una grande e sperduta abbazia del nord Italia. Adso è al seguito del suo maestro Guglielmo da Baskerville, frate francescano dotato di uno straordinario intuito. È proprio per il suo acume che il frate viene chiamato dall'abate Abbone convinto che solo egli possa gettare luce su una tragica morte avvenuta nel monastero. A poco a poco, con il susseguirsi dei misteriosi omicidi, il giallo della vicenda comincia a tingersi di toni

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UMBERTO ECO, Il nome della rosa, cit., p. 221.

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cupi fino a trasformarsi in un vero e proprio noir, un thriller denso di colpi di scena. Tuttavia la vera essenza de Il nome della rosa, non è il giallo né il thriller: l'opera narrativa di Umberto Eco è, in realtà, un vero e proprio romanzo storico.

Nelle Postille, Eco ammette di aver compiuto un'estenuante ricerca d'archivio seguita da un lunghissimo labor limae, fino a riuscire ad organizzare la grande mole in una forma strutturata, chiara e concisa. Il romanzo è suddiviso in sette parti cui si aggiungono un prologo e un epilogo. Queste sette sezioni principali, in cui è suddiviso il romanzo, coincidono con le sette giornate trascorse da Adso e Guglielmo nell'abbazia; esse sono a loro volta suddivise in brevi capitoli che prendono il nome dei momenti liturgici in cui si suddivide la giornata monastica11

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Dopo aver composto così diligentemente la mole narrativa, Eco inizia ad «ammobiliare un mondo»12

, un mondo del quale «faceva parte anche la storia»13

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II. 2. 3 - L' a mbi en tazi one storica

Eco non nasce come un romanziere bensì come uno studioso, un filosofo che si è dedicato per molti anni al Medioevo. Una formazione, questa, che non può essere lasciata alle spalle. Così l'autore, forte dei suoi interessi e della sua erudizione in campo artistico, architettonico o filologico, dimostra una precisione millimetrica nel costruire

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Non esiste un numero fisso di capitoli per ogni giornata ma generalmente viene suddivisa in mattutino,

laudi, prima, terza, sesta, nona, vespro e compieta, notte. L’autore ne parla in un dizionario ad inizio

romanzo. UMBERTO ECO, Il nome della rosa, cit., p. 16.

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UMBERTO ECO, Postille a “Il nome della rosa”, cit., p. 515.

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la realtà fittizia dell'abbazia14 nella quale risiedono Adso e Guglielmo. Increduli, di fronte alla perfetta verosimiglianza di questa ambientazione, molti studiosi si sono a lungo arrovellati nel tentativo di ricondurre l'immaginaria Sant'Ambrogio, ad una qualche realtà storicamente attendibile, magari ad una sperduta località di montagna al confine con la Francia15. Così l'architettura dell'abbazia, le funzioni svolte dai monaci nel convento, nella biblioteca o nello scriptorium rappresentano una fedele riproduzione dei luoghi tipici di questo basso medioevo monacale16.

Se Eco dimostra un tale rigore nella costruzione fittizia dei luoghi, allora ci si deve aspettare altrettanta perizia nella descrizione e nella ricostruzione storica. L'autore sceglie di ambientare la sua vicenda esattamente alla fine del novembre del 1327, consapevole che, solo in quel momento, avveniva un'interazione unica tra vari avvenimenti storici utili alla sua narrazione. In questo senso l'autore afferma:

Per esempio: perché nel mio libro ci sono i fraticelli trecenteschi? Se dovevo scrivere una storia medievale, avrei dovuto farla svolgere nel XIII o nel XII secolo, perché li conoscevo meglio del XIV. Ma avevo bisogno di un investigatore, possibilmente inglese (citazione intertestuale), che avesse un grande senso dell’osservazione e una particolare sensibilità per l’interpretazione degli indizi. Queste qualità non si trovavano se non nell’ambito francescano, e dopo Ruggiero Bacone; inoltre una teoria sviluppata dei segni la troviamo solo con gli

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Tanto che lo stesso Eco afferma: «quando due dei miei personaggi parlavano andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con la pianta sottocchio». Ibid.

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Qualcuno individua una certa corrispondenza tra l’abbazia di Sant’Ambrogio e la Sacra di San Michele, situata in Piemonte, o ancora con l’abbazia di San Colombano a Bobbio, da cu si dice che abbia preso ispirazione per lo scriptorium della biblioteca.

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Eco afferma ironicamente che la narrativa «[...]deve fare concorrenza anche all'assessorato all'urbanistica. E così lunghe indagini architettoniche, su foto e su piani nell’enciclopedia dell’architettura, per stabilire la pianta dell’abbazia, le distanze, persino il numero degli scalini in una scala a chiocciola». UMBERTO ECO, Postille a “Il nome della rosa”, cit., p. 514.

occamisti, o meglio c’era anche prima, ma prima l’interpretazione dei segni o era di tipo simbolico o tendeva a leggere nei segni le idee e gli universali. Solo tra Bacone e Occam si usano i segni per indirizzarsi alla conoscenza degli individui. Dunque dovevo situare la storia nel XIV secolo, con molta irritazione, perché mi ci muovevo più a fatica. Di lì nuove letture, e la scoperta che un francescano del XIV secolo, anche inglese, non poteva ignorare la disputa sulla povertà, specie se era amico o seguace, o conoscente di Occam. [...] Ma perché si svolge tutto alla fine di novembre del 1327? Perché in dicembre Michele da Cesena è già ad Avignone17.