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Elsa Morante costruisce così una fitta rete di riferimenti extratestuali, di citazioni che si legano sia alla nostra memoria letteraria sia al ricordo del nostro passato storico. Allo stesso tempo però, se è vero che questi particolari episodi possono essere visti come un omaggio alla narrativa novecentesca, essi devono essere considerati come una decisa presa di distanza dal genere dominante nel dopoguerra e soprattutto

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ELSA MORANTE, La Storia, cit., p. 661.

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RISA SODI, Whose story? Literary borrowings in Elsa Morante's «La Storia», cit., p. 141-153.

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dall’ideologia implicata in esso. Un’ideologia che, negli anni in cui scrive Elsa Morante, si dimostra ormai superata dopo la lenta disgregazione iniziata con i fatti di Ungheria del 1956. Il solco profondo che separa La Storia dalle produzioni tipicamente neorealiste si rivela però nello sconvolgimento delle categorie di male e bene o, piuttosto, nella sovversione dell’idea che esista un’ideologia giusta in opposizione ad un’ideologia sbagliata. Nel tipico romanzo del Neorealismo italiano, l’azione dei partigiani era rappresenta come le gesta di valorosi soldati decisi a combattere le forze malvagie del Regime fascista. Dopo la caduta degli ideali comunisti però, non è più possibile rappresentare un ideale puro che muove i partigiani quindi Elsa Morante può affermare solamente l'esistenza di una volontà personale mossa dai motivi più disparati. Così come i militari del Regime lottano sotto il segno dell'ideale fascista, i partigiani si muovono sotto il vessillo dell’ideologia comunista e, entrambi, in egual maniera si battono per prevaricare sul nemico, in un atto che si rivela espressione di potere e spesso una violenza fine a se stessa. In tal maniera, Elsa Morante testimonia la brutalità della lotta su entrambi i fronti nei quali non esiste più un eroe e un antagonista, ma solo cieca violenza e disumanità.

Per chiarire questo concetto basta ricordare la figura di Nino che, mosso dalla vitalità e dall’esuberanza, non fatica a proclamarsi a gran voce fascista, come poco più tardi non fatica ad abbracciare l’ideale della Resistenza. Ciò può avvenire poiché la sua non è un'ideologia nel senso nobile del termine, non è una convinzione profonda a muovere il ragazzo, ma è la necessità personale di liberare le energie giovanili. La Resistenza diventa un pretesto, un gruppo di appartenenza a cui appoggiarsi per esprimere la propria esuberanza.

Morante supera l'ideale che muoveva dall'interno la letteratura neorealista, tuttavia non ne rigetta i moduli narrativi, ma se ne impossessa al fine di potenziarli dall'interno e approdare così ad una nuova narrativa. A questo punto infatti, lo scrittore deve riappropriarsi del suo ruolo di mediatore, di guida verso la verità e recuperare la memoria condivisa, i racconti di chi ha vissuto le terribili esperienze della guerra.

Come si è detto in precedenza, Elsa Morante apre i confini della sua narrazione ponendo come titoli del primo e dell'ultimo capitolo del romanzo 19**. La scelta paratestuale ha un significato ben preciso e vuole indicare che la vicenda raccontata rappresenta solo uno scorcio, un esempio di tutte quelle esistenze sacrificate nell'eterno ed ineluttabile esercizio del potere. Questo eterno ritorno del potere corrisponde ad un ripetersi immutabile ed infinito della storia testimoniata dalle parole conclusive del romanzo «... e la Storia continua ...»40

. La ripetizione sempre uguale a se stessa diventa il mezzo attraverso il quale Morante può ribadire la necessità di tornare a dare valore all'esistenza unica dell'individuo. Si tratta quindi di distruggere l'idea di un popolo come massa informe, senza volto ed identità e di guardare all’esperienza del singolo come ad esempio più realistico del passato e della società.

Solo in quest’ottica è possibile comprendere il percorso che ha portato l'autrice a scegliere l’immagine di copertina da apporre alla sua prima edizione: in principio Elsa Morante aveva pensato alla celebre fotografia Morte di un miliziano di Robert Capa. Il fotografo era riuscito a catturare un istante unico nel quale un milite della guerra civile

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ELSA MORANTE, La Storia, cit., p. 656. Questa idea di circolarità, di continua ripetizione si può trovare anche nell'immagine di Cristo costruita da Davide Segre. In un momento dei suoi allucinati discorsi, Davide dà voce al suo Cristo immaginario, e afferma: «Io tutti i giorni vi passo vicino mille volte, mi

moltiplico per tutti quanti siete, i miei segni riempiono ogni millimetro dell’universo, e voialtri non li riconoscete». ELSA MORANTE, La Storia, cit., p. 661.

spagnola cade in avanti colpito alle spalle da un proiettile. Poco più tardi la scrittrice cambia idea e sceglie un'altra foto di Capa: in questo caso al centro dell'inquadratura si vede un soldato morto, riverso sulla terra. Di questo soldato non si conosce l'identità e a causa dell'angolazione dello scatto, non si scorge il volto. Il milite rimane così senza nome, una delle tante vittime sconosciute della guerra. Proprio quest'immagine di Robert Capa diventa l’emblema perfetto per denunciare la Storia e la sua capacità di annullare le identità, di far diventare tutte le morti uguali tra loro senza alcun tipo di giustizia. Per Elsa Morante combattere il potere che muove gli eventi, significa combattere la Storia, tentare ridare spessore alle esistenze cancellate dalla guerra e, infine, ricostruire un possibile volto a tutte le vittime innocenti.

Quello che Elsa Morante sembra dire fino a qui è che il potere ha bisogno delle grandi masse, informi, inconsapevoli e manovrabili, così da poter agire incontrastato e compiere quelle grandi imprese che si possono leggere nei libri di Storia. L'autrice è però consapevole del fatto che è impossibile sovvertire quest’ordine universale che governa il mondo sin dalla notte dei tempi. Così propone un meccanismo di difesa cioè quello di prendere consapevolezza della propria condizione e della propria individualità, combattendo contro l'annichilimento del potere.