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Un tracciato contemporaneo

INCONTRO COL LIVING THEATRE

a cura di Gerardo Guerrieri

terzoprogramma. l’informazione alla radio. ERI / EDIZIONI RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA, 1970 (2), pp. 230-307

Il materiale che qui si pubblica, elaborato in tre trasmissioni del luglio 1968, proviene da una serie di registrazioni effettuate in occasione delle recite romane del Living Theatre per il Teatro Club, dal 10 al 14 maggio 1967, avvenute al Teatro delle Arti (e non al Teatro Parioli, com’è detto in Le Living Theatre, di Pierre Biner, pag. 197). Furono rappresentate Antigone e The Maids di Genêt: la prima fu registrata su nastro magnetico, e tale registrazione offre il destro alla seconda trasmissione, che consiste appunto di un’analisi dello spettacolo condotta, per così dire, sulla colonna sonora.

Si può osservare che la riduzione spettacolare che si verificava per forza di cose alla radio per la mancanza del «visivo», si accentua sulla pagina scritta dove manca anche il «sonoro»: resta il discorso critico-estetico sui moduli rituali. Da un punto di vista sociologico, più interessante appare alla lungala serie di interviste con gli attori del Living: il tentativo di distinguere e porre in risalto le singole individualità di un gruppo che, nel suo giro in Europa, ha acquistato (ha detto Robert Brustein) una «unità quasi simbiotica». Unità che significa diversità, e che, singolarmente americana com’è ( la prefazione di Margaret Mead a Coming of Age in Samoa potrebbe servire da cappello alla nascita del Living, tanto le due esperienze sono nella loro carica antropologica simili quanto a situazione, impulso, carica e esperienza: di un tipo permanentemente americano), può servire di modello a un policulturalismo europeo nascente anch’esso alla ricerca di punti d’incontro costituiti da riti più che da determinati testi.

L’idea di partenza era intervistare tutti gli attori che componevano la compagnia in quel momento. Ho potuto intervistare, per ragioni di tempo ed altre, solo una dozzina: evidentemente, i leaders del gruppo, o per lo meno i più creativi. Ricordo con che aria di compatimento Judith Malinami guardò passando mentre interrogavo uno dei minori, come per dire: «Ma che vuoi che ti dica quello? Che vuoi sapere di più, dopo quello che ti abbiamo detto noi? ». Con Julian fu impossibile intervistarlo in teatro: o montava le scene, o le smontava, o si truccava, o dirigeva le operazioni amministrative, ecc. Il «nagra» lo ebbe sdraiato sul suo lettuccio dell’albergo dietro piazza di Spagna: dalle altre camere arrivavano urla violente: una scena di gelosia tra due attori di estrazioni e razze diverse: pareva si volessero ammazzare; Julian Beck pausò un momento, tese l’orecchio, poi evidentemente ritenne che l’avvenimento fosse di normale amministrazione, e continuò il suo discorso col suo tono ascetico di guru.

Lo spettacolo nuovo di cui già si cominciava a parlare allora, Paradise Now, andò in scena un anno dopo, a Avignone, e provocò una mezza rivoluzione e, tra l’altro, la sconfitta elettorale del sindaco socialista. Scrisse Franco Quadri su «Sipario» ( agosto- settembre 1968 ): «Il glorioso Festival di Avignone è morto il 28 luglio 1968 con un’ordinanza poliziesca che “per tutelare l’ordine pubblico” proibiva al Living Theatre di proseguire le recite di Paradise Now». Vien voglia di pensare, anche se assurdo, che la presenza del LivingTheatre in Francia non sia casuale ma premeditata, tanto è puntuale e «provvidenziale», si direbbe, l’incontro. Comunque negli avvenimenti di maggio il Living Theatre ci ha sguazzato: quando Julian Beck dice che Paradise Now ha cambiato la sua vita, allude alla grande occasione di teatro e politica che si è conclusa nelle strade di Avignone con lo

«sputtanamento» di Vilar e l’eversione del festival. Un colpo che evidentemente i Beck cercheranno di ripetere in qualche altra forma, e qualche altro posto (i Beck come il Che?).

(Dal punto di vista formale, non potendo qui analizzare Paradise Now, rimandiamo al numero di «Sipario» citato: lo spettacolo, come si vede dal prospetto «alchemico» riportato, si svolge secondo riti: da quello della guerriglia a quello della preghiera al rito dello studio, a quello dei rapporti universali o delle forze antagoniste, ecc. Questi riti si ampliano in visioni e sono accompagnati dalla ritualizzazione di avvenimenti di storia contemporanea).

Alla fase Avignone segue una fase americana: il ritorno in patria degli esuli. La mitologia del Living Theatre, e la sua capacità magnetica di far presa sui giovani ha causato varie reazioni: per taluni il Living era in ritardo sulle esperienze teatrali avvenute in quei quattro anni in America: ad es. il passaggio alla strada, il nudo, il teatro di guerriglia sono tutti elementi che il Living ha mescolato a volo nel calderone dei suoi riti, così come ha fatto passare per suoi alcuni procedimenti di Chaikin. Per altri invece il Living ha dimostrato di essere, ritologo e mitopoietico com’è, alla radice delle agitazioni e pronto a fomentarne altre. Robert Brustein ( «The New York Review of Book», 19 febbraio 1969), nel rivederlo, nota fra le sue caratteristiche «un fiero antagonismo contro tutti i testi drammatici che non potevano in qualche modo essere tradotti nel suo particolare programma anarchico»; che «la compagnia era diventata un organismo autogenerantesi e autoperpetuantesi, la cui esistenza era molto più importante di qualsiasi lavoro da rappresentare», che «i Beck non erano più interessati a produzioni teatrali coerenti: quel che li ossessionava era il loro programma missionario: convertire i pubblici, con qualsiasi mezzo, alla loro particolare marca di rivoluzionarismo»; che «malgrado tutti gli inviti a un “teatro libero” quel che risultava evidente era solo coazione e costrizione» ( «ho visto»,dice, «a Yale, una studentessa che era salita sul palcoscenico a denunciare appassionatamente il Living Theatre, essere buttata fuori dalla scena da un gruppo di attori che l’abbracciarono in silenzio, e intanto le sbottonavano la camicetta, le tastavano le gambe e la baciavano sulla bocca»). Nel senso della «manipolazione delle menti» la compagnia aveva preso le qualità autoritarie che aveva una volta denunciato, e proprio quel carattere repressivo che l’aveva indotta quattro anni prima a lasciare gli Stati Uniti. C’è in Brustein un vero sgomento per il successo ottenuto

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dal Living tra la giovane sinistra studentesca: «Il Living promette la teatralizzazione di rivolte universitarie, occupazioni ecc. e di tutti quegli altri numerosi gesti quasi-rivoluzionari coi quali gli studenti si vogliono persuadere di avere un peso nella loro epoca». Nel 1969 il Living torna in Europa, e un rapido passaggio a Roma è documentato a fine anno nell’intervento della polizia allo spettacolo di Paradise Now alla Casa dello Studente.

Nel gennaio 1970, dopo un’ultima recita a Berlino (come la Duse nel 1909) trapela la voce che il Living Theatre si sciolga ( molti lo vorrebbero). Ma la realtà è diversa: si tratta di una fase ulteriore, di una «ristrutturazione»: di una ricerca di un nuovo pubblico (il non-public dei manifesti del maggio), di un proselitismo: gli atti degli apostoli.

Si tratta di tirare le somme dall’esperienza di Paradise Now, e formare nuovi piani d’azione. Allargare il Living, non scioglierlo. Alla fine di Paradise Now – ha detto Julian Beck a Nicole Zand del «Monde» (11-12 gennaio 1970) – noi diciamo che bisogna liberare il teatro, liberare le strade, che bisogna «portare il teatro nelle strade». E noi abbiamo deciso di non fare più del teatro borghese nei teatri borghesi, nei luoghi dove il teatro esiste come prodotto di consumazione, ma di farne una nuova forma d’arma rivoluzionaria, che noi porteremo verso quelli che non hanno l’abitudine di andare al teatro, verso i diseredati della cultura, che sono sempre i diseredati economici e sociali.

Noi abbiamo dunque deciso di ristrutturare il Living. È così che stiamo in questo momento creando delle cellule per procedere alla ricerca di un nuovo teatro, e per far questo occorre innanzitutto vuotare i nostri cervelli di un’arte superata.

Noi diciamo ora alla compagnia che ciascuno di noi porta su di sé, sulle proprie spalle, la rivoluzione culturale.

Il Living, è evidente, - dice Julian Beck con un sorriso - è divenuto una istituzione culturale e una istituzione di consumazione. Le sale sono piene, gli impresari ci cercano perché con noi c’è profitto. Ora, una gran parte del pubblico viene, si siede nelle sue poltrone, e aspetta da noi lo choc. «Essi » comprano lo choc. E, in un certo senso, noi siamo veramente diventati le «puttane della cultura»: noi vendiamo noi stessi, vendiamo il nostro tempo, il nostro corpo, il nostro spirito….Bisogna trovare un’altra soluzione per la nostra vita e il nostro lavoro.

Inoltre, il Living è una tribù di circa quaranta persone, più nove bambini, e questo gruppo esisteva secondo una sua logica perché aveva un prodotto da vendere che poteva più o meno dare da vivere a questa quarantina di persona…

Ora la compagnia si scinderà in tre o quattro «cellule»: i groupuscules del Living – dicono Julian Beck e la Malina, secondo la terminologia del «maggio». – Queste cellule potranno riunirsi ogni tanto per lavorare insieme, fare dei films, organizzare degli

happenings nelle strade. Degli altri, alcuni resteranno in Europa, altri, fra i quali Julian Beck e Malina, probabilmente si

recheranno negli Stati Uniti. Alcuni attori sono stati inviati in missione per studiare le possibilità di un lavoro politico: sono stati presi contatti coi sindacati. Sui mezzi di sussistenza di queste cellule («Non posso vivere senza denaro» si dice all’inizio di Paradise

Now ) non si sa ancora nulla di preciso.

Rifacendo, com’è suo solito, la storia del gruppo, Judith Malina ha detto:

Da Connection a Brig, a Mysteries, a Paradise… alla prossima, le tappe sono molto chiare. Il Brig ha spezzato il realismo di

Connection sviluppando una tecnica alla Artaud e una disciplina molto severa; caratteristiche che si ritrovano in Mysteries, che

cominciava con una parodia del Brig e portava avanti quel lavoro. Paradise Now riprendeva queste forme, e la prossima tappa ci conduce ora fuori dei teatri. È una via inevitabile.

Noi non sappiamo ancora che cosa faremo – conclude Julian Beck. – Abbiamo appena cominciato a lavorare quest’estate, per due mesi, in Marocco, a questa nuova forma di teatro che non conosciamo ancora. Ma sappiamo che dopo Paradise Now ci è impossibile rientrare nei teatri….

Quel che non avevamo previsto creando questo spettacolo a Avignone, è che Paradise Now non avrebbe avuto soltanto un effetto sul pubblico, ma su noi stessi. Ha cambiato le nostre vite.

GERARDO GUERRIERI Marzo 1970.

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1.

La bussola e il Nord

(Sigla: le voci di Julian Beck e di Judith Malina — brani di Antigone — brani di musiche di John Cage. I personaggi sono Julian

Beck e Judith Malina, direttori del Living Theatre di New York, in tournée in Italia nel 1967 con Antigone di Brecht, Le

cameriere di Genêt e Frankenstein, con la partecipazione della compagnia in Antigone e le storie personali degli attori). ANNUNCIATORE

Indice:

1 breve storia del Living 2 come viviamo

3 il Living in America e in Europa nascita del nuovo Living in Europa 4 principî del nuovo assetto del Living 5 lavoro in comune

6 osservazioni sul lavoro collettivo 7 il rapporto col pubblico

8 su Frankenstein 9 sulla recitazione

10 analogie e rapporti tra il Brig di Brown e Le cameriere di Genêt 11 Julian Beck legge una sua poesia sui colori

12 Judith Malina e Charles Darwin, o «quel che è necessario avviene » 13 Il perché di Antigone

Cenni storico-cronologici

1° ANNUNCIATORE — L’antefatto. 2° ANNUNCIATORE — 1951.

1° ANN. — Julian Beck e Judith Malina fondano il Living Theatre a New York.

2° ANN. — Autori: Gertrud Stein, Paul Goodman, Cocteau, Brecht, Lorca, Picasso, Eliot, Jarry, Auden, Strindberg…

1° ANN. — Un vero «Teatro d’arte ». 2° ANN. — Il Living Theatre si trasferisce.

1° ANN. — Il Living Theatre è chiuso dai pompieri. 2° ANN. — Il Living Theatre si riapre alla 14a strada.

1° ANN. — Autori: Racine; William Carlos Williams, Paul Goodman, Sofocle-Ezra Pound, Jackson MacLow; Bertolt Brecht…Jack Gelber.

2° ANN. — Connection di Jack Gelber, documentario sui drogati, è il primo successo internazionale del Living a Parigi al Théâtre des Nations, a Roma al Teatro Club, e in tutta Europa.

1° ANN. — 1961.

2° ANN. — Julian Beck e Judith Malina organizzano le manifestazioni per la pace e presidiano l’ingresso di un rifugio antiaereo a New York.

2° ANN. — Tournée in Europa.

1° ANN. — Connection, Many Loves, Nella giungla delle città di Brecht, Un uomo è un uomo di Brecht. Il Brig. 2° ANN. — 1963.

1° ANN. — Prima del Brig (il Brigantino), dramma sulle prigioni dei marines in Giappone. 2° ANN. — 1963.

1° ANN. — Scandalo. Difficoltà finanziarie. Nessuno accorre in aiuto. Il Living Theatre è chiuso per inadempienza nel pagamento delle tasse. Processo. Julian Beck e Judith Malina condannati alla prigione. 2° ANN. — Il Living Theatre si traferisce in Europa.

1° ANN. — Da quell’anno: Prima del Brig a Londra, poi a Berlino, poi a Roma. 2° ANN. — Prima a Berlino delle Cameriere di Genêt.

1° ANN. — Prima dei Mysteries a Parigi e a Roma. 2° ANN. — 1966.

1° ANN. — Prima di Frankenstein a Cassis. 2° ANN. — 1967.

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Julian Beck e Judith Malina sono ormai da qualche anno i personaggi più noti del movimento teatrale internazionale. La rivoluzione teatrale che hanno provocato opera a vari livelli: sul piano del mito personale, per il coraggio eroico con cui hanno affrontato ogni disagio e lo sprezzo della povertà e del pericolo di cui hanno dato prova; sul piano dei rapporti reciproci fra gli attori; sul piano delle tecniche e dei metodi di lavoro; sul piano dei principi di vita comunitaria; sul piano dei rapporti che il teatro deve intrattenere col mondo. Se il Living Theatre si considera un teatro d’arte e non di propaganda, esso sottolinea insieme la necessità che un teatro, come si intitola, vivente, deve combattere per altri ideali che non il solo teatro.

Da Minneapolis a Berlino, da San Francisco a Parigi, la loro influenza oggi è immensa. Ci diceva Joseph Chaikin, il direttore dell’Open Theatre:

I Beck mi mancano molto. Ho imparato da loro molte cose. Ammiro il loro coraggio, la loro tenacia, il loro pagare di persona. Per loro non c’è differenza tra vita e teatro. Più di tutto: non aver paura di nulla. E l’essenziale: proporsi compiti straordinariamente difficili.

Il Living Theatre arriva a Roma con un camion, lo parcheggiano sul marciapiede a lato del teatro. Scaricano le scene. Le montano da sé. Questa è la terza tournée del Living: la prima è stata con Connection nel ’61; la seconda con Mysteries e Brig nel ’65; la terza con Antigone di Brecht e Le cameriere di Genêt nel ’67.

In tutti questi anni il Living, in esilio dall’America, ha girato per l’Europa. Di città in città. Ha montato nuovi spettacoli. È la stessa compagnia che è sbarcata in Europa nel ’61? Che cosa è cambiato, in questi anni, per Julian Beck e Judith Malina? Lo chiediamo a Julian, mentre scarica le scene, o si trucca in camerino, o batte a macchina in un alberghetto dietro piazza di Spagna.

G.* — Come vivete, come vi mantenete, come siete organizzati oggi?

BECK — Oggi non abbiamo una residenza fissa. Godiamo il privilegio d’essere continuamente stranieri in un paese straniero, e le gioie dell’esilio.

G. — In che consistono queste gioie?

BECK — Se non gioie, vantaggi: uno per esempio: di rafforzare i legami della compagnia, di trasformarla sempre di più in un collettivo. E questo è molto importante per il nostro lavoro. questo a New York non sarebbe

successo.

Poi, in Europa siamo obbligati a viaggiare continuamente, e uno che viaggi è sempre nella condizione

dell’osservatore, cioè rimane sempre un po’ distaccato dalla città e dal paese. Noi, è vero, non siamo turisti, siamo gente che lavora viaggiando, quindi abbiamo sempre il nostro lavoro, come legame col paese in cui stiamo. Ma ciò non toglie che questa obiettività sia un vantaggio.

E poi, come esuli, noi siamo liberi da certe responsabilità verso lo Stato, la nazionalità eccetera, e questo ci dà libertà: una libertà che ci ha aiutato molto, ha dato al nostro lavoro più recente una spinta creativa molto forte. G. — Quanti siete?

BECK — Siamo 20 americani e 13 europei (fra inglesi tedeschi francesi italiani, e una franco-algerina). Siamo troppi: più di quanti la compagnia possa mantenere.

G. — Perché, come è organizzato il vostro bilancio? Su che base economica lavorate?

BECK — Judith una volta ha detto che non voleva più soldi di quanti gliene bastassero per la giornata. Diciamo che oggi come oggi lavoriamo su una base settimanale. Quel che ci occorre per mantenerci e vivere per una settimana.

G. — Come si fa a entrare nel Living Theatre? È facile o difficile?

BECK — Dovunque incontriamo gente che dice « voglio venire con voi ». Qualche anno fa dicevamo sì a tutti. Ma poi ci siamo accorti che purtroppo non siamo così liberi.

C’è qualcuno che dice: « Ma io ho i soldi: lasciatemi venire con voi: d’accordo? ».

E noi prima dicevamo di sì, poi ci siamo accorti che non funzionava neanche questo, perché ogni individuo viaggiando crea una serie di problemi personali. Ognuno ha bisogno di una stanza d’albergo e di un biglietto e bisogna dirgli quando partire e dove lasciare i bagagli e dov’è il passaporto che magari ha perduto. Una quantità di problemi che ci siamo visti incapaci di affrontare, e ci impedivano di lavorare e di vivere.

E da allora diciamo: « Se avremo bisogno vi chiameremo », o « sarà per un’altra volta » oppure « sentite, trovatevi un’altra strada perché noi non possiamo proprio ».

G. — Ma gli attori europei che sono con voi ora come sono entrati? Come hanno fatto? BECK — come si fa a entrare nel Living Theatre? Misterioso. Veramente non lo so. Se uno si innamora; e allora lo teniamo.

O se uno capita in quei momenti miracolosi, quando un attore se n’è appena andato e abbiamo bisogno assoluto di qualcuno.

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O se abbiamo in programma una tournée con Frankenstein, lavoro pesante di scene, e in dodici piazze dobbiamo montare e smontare la scena tre volte la settimana: allora diciamo: sentite, ci servono un paio di giovanotti robusti come uomini di fatica. Volete venire con noi? Così succede. In un modo un po’ misterioso. G. — Ma vi sentite molto diversi oggi da quando siete sbarcati la prima volta in Europa nel 1961? ( a rappresentare, mettiamo, Connection?).

BECK — Ah certo. Quando arrivammo in Europa eravamo una compagnia che rappresentava dei testi. Ora siamo un collettivo.

G. — E questa è una trasformazione che è avvenuta in Europa? BECK — Certamente.

G. — Dimmi com’è avvenuto.

BECK — Per molti anni a New York abbiamo avuto un teatro e abbiamo fatto molti progetti ma senza aver mai la forza di realizzarli. Abbiamo sempre parlato, o creduto di parlare sul palcoscenico, di una società libera, o di una rivoluzione nelle nostre vite personali o nella concezione del teatro.

Certo, il nostro teatro era diverso dagli altri di New York: più amichevole, cooperativo, ma era sempre un ente teatrale astratto. Sempre basato sul principio di assumere e pagare un sistema di attori assunti e pagati, di tecnici assunti e pagati.

Poi nel ’63 il teatro ci fu chiuso dagli agenti delle tasse e tornammo in Europa. Ci trovammo in una situazione nella quale era la situazione stessa a dettare i termini. Potevamo non accettarli, è vero. Potevamo scioglierci, disperderci. Ma sentimmo che potevamo continuare, solo sbarazzandoci di tutte le vanità. E quando ci

convertimmo all’idea di una comunità decidemmo di proposito di funzionare come comunità, cominciammo a prendere una nuova forma. Il nostro teatro divenne qualcosa di più aperto, libero, mobile.

G. — Su quali principî si basava questa nuova forma?

BECK — Primo, organizzare le cose in modo che la tua vita non sia esclusivamente dedicata al processo di far denaro. Se lo scopo del tuo lavoro è il tornaconto economico il tuo lavoro è maledetto. La santificazione dell’atto e del momento, l’atto sacro falliscono interamente quando l’oggetto del lavoro non è più il lavoro in sé, la passione, la creazione, ma un prodotto che è il denaro.

Quindi, dimenticate il denaro. Imparare vari modi di vivere che ne facciano sempre più a meno. Questo è molto importante. Solo allora puoi cominciare a creare — in teatro almeno — qualcosa che non sia fatto all’unico scopo della remunerazione economica. Comincia il lavoro libero.

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