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III. LA RISPOSTA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E

3.2 Le indagini svolte sulle denunce presentate prima dei

3.2.1 Le indagini svolte dalla polizia giudiziaria

di approfondimento investigativo per perseguire i reati di violenza di genere e rilevare i profili di rischio per la vittima.

Dall’analisi dei 15 procedimenti emergono alcune ricorrenti criticità nell’operato della Polizia giudiziaria con riguardo alle indagini sulle denunce di reati di violenza presentate da donne poi uccise dallo stesso denunciato.

In primo luogo si rileva in questi casi una non infrequente sottova-lutazione della violenza riferita o denunciata dalla donna. Se si considera l’elevata percentuale di donne che non denunciano le violenze (per mol-teplici ragioni, delle quali si dirà più ampiamente in seguito) è evidente che nei rari casi in cui, sole e non assistite da avvocati specializzati, le donne trovano il coraggio di recarsi presso la stazione dei Carabinieri o presso un commissariato di Polizia a chiedere consiglio su come comportarsi in ordine alle violenze che subiscono o per conoscere quali sono le conse-guenze di un’eventuale denuncia, anche ai fini della protezione loro e dei loro figli minori, vuol dire che la situazione è di particolare gravità: temono per la loro vita e vanno prese sul serio.

Al contrario, in particolare nei centri più piccoli in cui dovrebbe essere proprio il fattore della conoscenza personale ad aiutare nella lettura della violenza e del rischio, emerge come, più di frequente, le donne che si sono recate presso il presidio delle Forze di polizia per chiedere aiuto, anche rappresentando la paura e la difficoltà di denunciare o la presenza di armi, sono state dissuase dal farlo spiegando la gravità per l’uomo delle conse-guenze della loro denuncia o sono state rassicurate e rimandate a casa (prendendo semplicemente atto della mancata volontà di denuncia).

In alcuni dei casi considerati le forze di polizia, evidentemente non distinguendo tra violenza domestica e lite familiare nonostante il tangibile terrore della donna e disattendendo le indicazioni circa l’inopportunità del

(52) Il CSM è intervenuto in diverse occasioni sul piano dell’organizzazione e dell’ottimiz-zazione del lavoro dei magistrati per il contrasto alla violenza di genere. La prima delibera risale all' 8 luglio 2009. Ne sono seguite altre in data 30 luglio 2010, 12 marzo 2014, 9 maggio 2018 (Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica) e da ultimo, in data 3 novembre 2021 con una delibera su I risultati del monitoraggio sull’applicazione delle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica.

ricorso al componimento a fronte di situazioni di violenza intrafamiliare(53), si sono limitate a « calmare gli animi » (come si legge testualmente nelle annotazioni di servizio). In altri casi nonostante la violenza fosse stata correttamente accertata, non si è registrato alcun concreto seguito.

In alcuni dei casi esaminati si è addirittura rilevata una minimizzazione dei gravi maltrattamenti denunciati dalle donne, circostanza questa che ha favorito la successiva archiviazione del procedimento, attraverso la riqua-lificazione giuridica dei fatti e la loro parcellizzazione, operata dalla Polizia giudiziaria nella comunicazione della notizia di reato al Pubblico ministero, per la quale, ad esempio, gli atti persecutori sono stati « ridimensionati » a mere molestie telefoniche ovvero i maltrattamenti in famiglia ricondotti a lesioni semplici (con evidenti ricadute sul piano della procedibilità).

In secondo luogo, in alcuni dei procedimenti considerati, si è rilevato come, nel caso di denunce reciproche, la polizia giudiziaria abbia ricono-sciuto carattere prioritario a quelle per reati lievi presentate dall’uomo per evidenti fini ritorsivi, anche quando la donna aveva denunciato prima di lui violenze gravi nei confronti propri e delle figlie. In un caso – nel quale la donna è stata successivamente uccisa con 10 coltellate dopo aver presentato ricorso per separazione giudiziale con affidamento congiunto delle bambine – la polizia giudiziaria aveva ritenuto di dare priorità alla denuncia dell' uomo per tradimenti della moglie (sebbene come noto l’adulterio non costituisce reato dal 1968), acquisendo persino i messaggi e gli audio che li comprovavano, nonché per lo « strattonamento » della figlia, tanto da segnalare la donna immediatamente ai servizi sociali e chiedendo una relazione all’unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia, rinunciando a dar seguito alle indagini, invece, sulla circostanziata denuncia della moglie per gravi reati di violenza con armi commessi dal marito.

In terzo luogo, sono stati rilevati alcuni casi in cui la Polizia Giudiziaria, pur investita di richieste di aiuto da donne vittime di violenza, che non volevano formalizzare la denuncia ma esprimevano la loro paura, non abbiano provveduto ad inoltrare la comunicazione di notizia di reato alle competenti Procure della Repubblica, pur avendone l’obbligo di legge(54).

In taluni casi questo è avvenuto solo dopo la morte della vittima. In uno dei casi esaminati la polizia giudiziaria ha omesso di inoltrare al Pubblico ministero l’annotazione di servizio per un intervento svolto in un’abitazione, in piena notte, in cui era stato trovato un uomo in stato di ebrezza, con il divano completamente tagliato ed un coltello di grosse

(53) Si veda da ultimo la circolare della Direzione Anticrimine della Polizia di Stato del 26/2/2021: « È, in ogni caso, improprio ricondurre tali vicende nell’alveo della composizione dei vari dissidi. Il ricorso al componimento appare controproducente a causa dei meccanismi psicologici sottesi ai contesti di violenza domestica, laddove la posizione delle parti non può essere paritaria, soprattutto per la naturale inclinazione a tutelare il benessere, anche erroneamente percepito da una delle parti, dei figli minori. »

(54) È noto che la Polizia Giudiziaria ha l’obbligo di informare il Pubblico ministero in presenza di reati perseguibili d’ufficio (articolo 331 cpp). D’altra parte la stessa Polizia Giudiziaria ha l’onere di svolgere le attività urgenti in presenza di reati perseguibili a querela e, dunque, può ritenersi destinataria di un onere di comunicazione al Pubblico ministero di notizie di reato anche per detti reati, quando di particolare rilievo, anche perché non sempre è agevole ravvisare la differenza tra reati perseguibili a querela e d’ufficio.

dimensioni su un mobile, oltreché varie armi, in cui si dava atto che a seguito di vari litigi la moglie avesse lasciato la casa insieme alla figlia minorenne.

Ancora, una delle costanti criticità rilevate nelle quindici indagini prese in considerazione, è la mancata ricerca del « movente di genere », sebbene sia lo stesso tipo di reato a dovere sollecitare l’investigazione della ordinaria modalità sopraffattoria dell’uomo nei confronti della vittima da cui si pretendono soggezione e silenzio. In diversi casi l’uomo aveva espressamente dichiarato alla Polizia giudiziaria di non tollerare e di non poter consentire che la moglie non rispettasse le regole di casa; che non volesse cucinare; che intendesse separarsi, ecc. Tutto questo, anziché essere interpretato come ragione di rischio per la vittima, proprio perché costi-tuisce l’impalcatura culturale e identitaria su cui si radica una continuativa e costante violenza, non solo non è stato in alcun modo valorizzato, ma è stato addirittura ritenuto normale, perché la discriminazione nei confronti delle donne e l’imposizione di ruoli familiari di soggezione e subordina-zione, evidentemente, appartiene ad un diffuso modo di sentire per il quale non si percepisce il nesso con la violenza.

In un caso un appartenente alle forze dell’ordine, sollecitato ad assumere provvedimenti, si era limitato a convocare l’uomo violento prendendo con lui un caffè ed invitandolo ad avere pazienza. A distanza di pochi mesi l’uomo aveva ucciso le due figlie e sparato alla moglie; tutti coloro che erano a conoscenza dell’incontenibile paura delle vittime si erano limitati a sostenere di avere sempre ritenuto che la donna « volesse vendicarsi del marito » in quanto aveva chiesto la separazione, seppur con affidamento congiunto delle bambine. Nella relazione di servizio redatta dopo la strage, la Polizia giudiziaria, per descrivere quanto accaduto nei mesi precedenti, aveva continuato ad usare termini come conflittualità coniugale, parti in dissidio « comunque non oltre la media riscontrabile in controversie di questo tipo ». In un altro caso, nel quale emergono con chiarezza le gravi conseguenze della mancata ricerca del « movente di genere », la polizia ha ritenuto accidentale la morte per soffocamento da incendio di una donna (descritta come alcolista e fumatrice) nonostante l’ultima persona vista dalla vittima fosse stato il proprio partner ludopatico, da poco uscito dal carcere per l’uccisione di un’altra donna e che, a dire degli stessi operanti, aveva reso dichiarazioni contraddittorie. La mancata lettura e ricerca del « movente di genere » delle morti precedenti aveva facilitato la commissione del terzo femminicidio, oggetto dell’inchiesta, avvenuto dopo soli 4 mesi dal secondo in quanto l’uomo era libero.

Un’ulteriore criticità emersa dall’analisi dei fascicoli relativi ai 15 procedimenti per femminicidio è rappresentata dalla mancata protezione della persona offesa. In alcuni di questi casi le donne avevano denunciato – sino ad otto volte – l’uomo violento pregiudicato, per gravi reati come minacce, lesioni, tentati strangolamenti, documentati anche con certifica-zioni mediche, sempre alla presenza dei figli minorenni. In pochissimi di essi risulta che le Forze dell’ordine, pur intervenute, avessero assunto misure pre-cautelari come l’arresto, il fermo o l’allontanamento urgente

dalla casa familiare(55), pur sussistendone i presupposti di legge, né si fossero preoccupate di mettere comunque in sicurezza la donna e i bambini. Si pensi al caso in cui, a seguito della chiamata di una donna picchiata dal compagno tossicodipendente, gli agenti di polizia giudiziaria l’avevano trovata tremante e con i segni della violenza. Come si legge nell’annota-zione, davanti all’aggressore la vittima non diceva nulla, ma appena l’uomo si allontanava, a voce bassa, chiedeva « aiutatemi, vi prego, questo mi ammazza, sono da sola non voglio fare una brutta fine ». Invece erano stati lasciati andare via perché la donna aveva dichiarato di non volere sporgere querela e il padre dell’aggressore si era dichiarato disponibile a far trascorrere separatamente la notte alla coppia. Un anno e mezzo dopo la donna era stata uccisa dal compagno.

A ciò si aggiunga che nei 15 procedimenti pervenuti, riguardanti l’attività di indagine condotta con riferimento alle denunce precedenti ai femminicidi, solo in 4 casi si riporta che la donna era stata informata dei suoi diritti, con indicazione precisa e chiara anche dei numeri di telefono dei Centri Antiviolenza cui rivolgersi, mentre in 8 casi era stato consegnato solo uno stampato con citazione di norme di legge.

L’esame dei fascicoli ha inoltre permesso di individuare altre speci-fiche criticità con riguardo alla fase di indagine. In alcuni procedimenti, infatti, si è rilevato come la vittima sia stata ascoltata alla presenza dell’autore del reato, nei casi di intervento su richiesta, tanto da ottenere l’ovvio ridimensionamento dei fatti; in altri sono state riscontrate non solo la mancata osservanza di eventuali linee guida o protocolli riguardanti istruzioni operative per interventi in materia di violenza di genere(56) ma anche addirittura l’omessa sollecitazione al Pubblico Ministero, con alcune eccezioni, di misure cautelari nei confronti dell’indagato, per carente valutazione del rischio. Infine nei casi in questione è stata riscontrata altresì la mancata valutazione dei rischi per la vittima convivente nei casi di convocazione o l’elezione di domicilio degli uomini denunciati con le stesse modalità utilizzate per qualsiasi altro reato nonché l’assenza di indagini, pur in presenza di conoscenza diretta di situazioni di violenza domestica perseguibili d’ufficio, specialmente nei paesi più piccoli.

3.2.2. LE INDAGINI SVOLTE DAL PUBBLICO MINISTERO