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5.1 Integrare visioni didattiche

5.1.1 Punti di unione tra le due visioni didattiche

La decisione di proporre percorsi, più o meno estesi, che integrano una disciplina, nel nostro caso l’arte, e una lingua, nel nostro caso l’italiano come LS, impone di stabilire non solo quali contenuti e quali obiettivi linguistici fare oggetto di didattica, ma come le due didattiche possano integrarsi, cioè come le visioni didattiche prescelte per la disciplina e per la lingua possano convergere per ottenere risultati nell’uno e nell’altro campo.

Nel nostro caso la disciplina artistica si presta facilmente a percorsi integrati, innanzitutto perché, come richiamano Juanola e Calbò (2004: 117-118 e bibliografia citata), l’interpretazione artistica chiama in causa di per sé altre discipline, come la storia, la letteratura, la sociologia e quant’altro serva a evidenziare i messaggi delle opere. La natura dell’arte è quindi aperta ad integrazioni, risultando una disciplina perfetta per percorsi CLIL.

Vediamo ora di sintetizzare i punti di convergenza delle metodologie didattiche dell’arte e dell’italiano tracciate rispettivamente nei capitoli 2 e 3 di questa tesi1.

Innanzitutto, la volontà di sviluppare abilità piuttosto che nozioni. Come nella glottodidattica si richiama all’esigenza di sviluppare negli studenti competenze operative (comunicative, prossemiche, socio-culturali ecc.) piuttosto che elementi discreti (siano grammaticali, lessicali o altri) anche per l’arte abbiamo spesso richiamato all’esigenza di una didattica orientata allo sviluppo di abilità interpretative piuttosto che allo studio di nozioni. Crediamo che questa consonanza nello spostamento dell’attenzione all’abilità piuttosto che al singolo contenuto sia utilmente trasferibile dall’uno all’altro polo dell’integrazione. La conseguenza didattica di questo spostamento unisce ancor di più le metodologie: affinché gli studenti sviluppino le abilità, linguistiche e interpretative, la didattica non può che orientarsi verso un loro protagonismo assoluto durante le attività. Solo se agli studenti è lasciata autonomia (graduale, nell’uno e nell’altro campo) si può stimolare e verificare la crescita delle abilità. Per questo sia le ricerche didattiche sull’arte

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sia quelle sulla lingua da noi prescelte spingono verso una didattica centrata sullo studente e non sull’insegnante.

Queste indicazioni in glottodidattica sono riconducibili alla metodologia umanistico- affettiva, da cui traiamo anche la sottolineatura dell’importanza della motivazione: quanto si fa con e sull’arte deve essere centrato su quanto lo studente vuole fare e percepisce come utile per raggiungere i propri scopi, senza imposizioni basate sull’assunto che l’insegnante sappia ciò che è buono per i suoi allievi. Le scelte didattiche, sia a livello metodologico sia contenutistico, si dovrebbero basare quanto più possibile sui desideri degli studenti, così da attivare meccanismi virtuosi per l’apprendimento1.

La didattica umanistico-affettiva, poi, spinge a guardare lo studente nella sua totalità come persona, coinvolgendolo in maniera profonda e quindi motivante, quindi le attività su arte e italiano devono essere quanto meno settoriali possibile, a livello di tematiche, di tecniche, di storie, così da creare occasioni per gli studenti di sentirsi coinvolti sotto diversi aspetti del proprio vissuto.

Dare centralità umana allo studente significa anche abbracciare una prospettiva interculturale: gli allievi entrano nella classe di arte e italiano non solo con le loro motivazioni, ma anche con le loro visioni del mondo, le loro abitudini, i loro riferimenti valoriali e quant’altro fa parte del proprio bagaglio culturale e potrebbe essere sfidato dai percorsi a tema artistico. Le attività sull’arte hanno la capacità di stimolare questa coscienza, quindi non possono che prefiggersi, tra gli altri, l’obiettivo di addestrare comunicatori interculturali più efficienti2.

L’ultimo punto di unione tra didattica dell’arte e della lingua che vogliamo sottolineare riguarda l’aspetto emotivo. Per quanto riguarda la lingua abbiamo più volte richiamato all’importanza dell’emotività per l’acquisizione3 e alle potenzialità emotive specifiche

dell’arte4. A completare il quadro dell’importanza dell’emotività concorrono le

affermazioni di Vinella (2015: 9-28), la quale ricorda che nello studio dell’arte l’emozione generata sia dalla visione sia dall’analisi dell’opera sia un sostegno per la memorizzazione dei contenuti. Nell’arte, forse ancor più che nella lingua, emotività e cognizione sono strettamente legate. Nella comunicazione ancor prima che nella didattica

1 Rimandiamo al paragrafo 4.4.1 per un discorso più ampio del legame tra motivazione e studio dell’arte. 2 Rimandiamo al paragrafo 3.3.1 per un’analisi più precisa del valore interculturale dell’arte nella classe di italiano LS.

3 Rimandiamo primariamente al paragrafo 2.2.1.

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dell’arte1 l’emozione dell’incontro con l’opera d’arte è scopo primario. Come si dice nella

prefazione scritta da Mastandrea al volume di Rozzi e Gilli (2015): “L’obiettivo è di rendere l’esperienza della visita un’attività capace di coinvolgere le diverse componenti, percettive, cognitive, emozionali che concorrono ad un’esperienza di tipo estetico”. L’esperienza estetica, però, non è automaticamente coinvolgente. Citando gli studi di Csikszentmihalyi (2008), che hanno dato vita alla “Teoria del Flow”, vediamo come l’esperienza estetica è tanto più coinvolgente emotivamente quanto più l’osservatore si sente completamente assorbito dalla visione dell’opera, creando una sorta di “trascendenza dal reale” (Csikszentmihalyi e Robinson 1990: 15-17). L’incontro estetico per essere tale deve essere totalizzante, cioè deve avere il suo scopo in sé stesso e non in un risultato esterno (Csikszentmihalyi e Robinson 1990: 7). L’ultimo ma non per questo meno importante punto di riferimento della didattica integrata è quindi legato all’emozione: gli input, gli output, le attività, i percorsi didattici sull’arte devono avere una rilevanza emotiva elevata, così da accelerare i processi di acquisizione e sostenere la motivazione degli studenti. Perché l’esperienza estetica sia emotivamente rilevante è però necessario, come afferma Csikszentmihalyi (Csikszentmihalyi e Robinson 1990), educare un fruitore sempre più esperto di lasciarsi trasportare dall’esperienza estetica, educazione di cui tracciamo le linee guida nel prossimo paragrafo.

5.1.2 La didattica esperienziale: naturale punto di unione

Vista la natura del pubblico di studenti a cui immaginiamo di proporre i percorsi didattici di arte e italiano, un pubblico fortemente interessato a sfruttare la possibilità di godere in prima persona del patrimonio di beni culturali durante i corsi intensivi in Italia, crediamo che sia auspicabile legare la didattica alle esperienze di visita. Per questo stabiliamo tra i nostri punti di riferimento principali la didattica esperienziale. Non dobbiamo mai dimenticare che lo studente che frequenta corsi intensivi in Italia, ma anche uno studente che frequenta corsi nel proprio paese d’origine poi decide di venire a visitare il Bel Paese, ha caratteristiche in parte simi a quelle del turista. Una tipologia di turista, però, dalle caratteristiche particolari, volenteroso di andare più a fondo possibile nella comprensione di quanto gli è intorno, sia a livello linguistico sia culturale, proprio perché la visita in

1 Rimandiamo al paragrafo 3.1.1 per indicazioni sulla distinzione tra “comunicazione” e “didattica” dell’arte.

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Italia, all’interno o all’esterno di un corso intensivo, è il coronamento del proprio percorso di studi.

Come un qualsiasi altro turista, però, non avendo una formazione specifica avrà difficoltà a godere a pieno dell’immenso patrimonio di beni culturali italiano. Come dice Csikszentmihalyi (Csikszentmihalyi e Robinson 1990) un non esperto di arte avrà un’esperienza delle opere molto meno soddisfacente di un esperto, perché avrà un minor grado di “recettività dell’esperienza estetica” (Csikszentmihalyi e Robinson 1990: 9). Lo psicologo ungherese si chiede se questa ricettività sia innata o insegnabile. Fa l’esempio dell’abilità di sciare1, diversa da quella di apprezzare un’esperienza estetica perché più

evidente: uno sciatore esperto ha delle abilità visivamente più sviluppate di un non esperto, compie dei movimenti che chi vuole diventare altrettanto abile dovrà imitare. Le abilità (skills) di un fruitore esperto di opere sono invece nascoste quindi difficili da imitare. Tali abilità (fatte di procedure interpretative, nozioni storico-artistiche, conoscenze tecnico stilistiche ecc.) gli permettono alla visione di un’opera di avere un “appiglio” (hook) che spingerà l’osservatore verso la scoperta dell’opera (Csikszentmihalyi e Robinson 1990: 118). Tale scoperta può essere sensoriale, intellettuale, comunicativa, emozionale, ma senza essa non ci sarà un vero incontro estetico. L’esperienza estetica sarà soddisfacente se questi “appigli” saranno leggermente superiori alle proprie abilità interpretative, spingendo l’osservatore a scoprire sempre di più e soprattutto a sorprendersi. È quindi importante secondo Csikszentmihalyi (Csikszentmihalyi e Robinson 1990: 128) dare occasione di queste sfide alle abilità interpretative, che devono però essere calibrate sulle abilità dell’osservatore. Senza queste sfide l’opera perde la sua attrattiva, se queste sfide sono troppo superiori alle preconoscenze dell’osservatore l’esperienza sarà deludente.

La differenza tra un esperto e un non esperto, quindi, sono le nozioni che il primo possiede e può confrontare con quanto gli è davanti (a livello di stile, contesto storico, biografia dell’artista ecc.), la sensibilità di chi è abituato ad apprezzare oggetti artistici e l’abilità sviluppata di analizzare i messaggi delle opere. L’esperienza di una qualsiasi opera d’arte, a prescindere dal suo valore assoluto (sempre che sia possibile stabilirlo) sarà meno significativa per chi non ha gli strumenti o non ha l’educazione ad usarli. Sulla stessa linea le parole di Megna (2013: 42): “l’arte […] è un’esperienza cumulativa:

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comprensione e gusto si accumulano, ossia aumentano con l’abitudine, con un prolungato e sempre rinnovato contatto con le opere d’arte”. Uno degli obiettivi della didattica integrata nei nostri contesti, se non il principale, è quello di formare un visitatore-studente la cui esperienza dell’arte possa essere più profonda e significativa, quindi soddisfacente. Come dice Branchesi (2001: 107):

“il patrimonio implica esperienza diretta, uno stretto legame tra teoria e pratica, tra ricerca e azione; è campo per eccellenza di didattica interdisciplinare: cerniera tra gli ambiti umanistici, scientifici e tecnologici; […] impegna ad un insegnamento basato sullo spirito di ricerca e sulla sperimentazione metodologico-didattica.”

Questo ambiente didattico esperienziale che stiamo tratteggiando, proprio per la sua significatività, offrirà anche una situazione ideale per l’acquisizione linguistica. Kohonen (2014: 24) fa risalire le basi epistemologiche della didattica esperienziale a Dewey e alle sue teorie sul “learning by doing”, sull’ “hic et nunc” dell’apprendimento. La didattica esperienziale si basa sulle premesse della didattica umanistica, volendo stimolare l’iniziativa degli studenti, messi al centro del processo didattico (cfr. Knutson 2003: 54). Quanto più lo studente viene coinvolto in maniera totale tanto più il suo apprendimento, linguistico e artistico, sarà significativo quindi efficace.

Chiaramente l’esperienza non basta a sé stessa per trasformarsi in apprendimento, né di concetti né tantomeno di lingua. Kolb (citato da Kohonen 2014: 27-28) dice che l’apprendimento passa dalla trasformazione dell’osservazione in concetti tramite la sperimentazione attiva e la riflessione. Come afferma Knutson (2014: 54) “la didattica basata sull’esperienza, sui progetti e sui task diventa esperienziale quando elementi di riflessione, supporto, transfer [da esperienze passate e verso esperienze future] vengono aggiunte alla esperienza basica”.

Le applicazioni della didattica esperienziale in campo pedagogico sono numerose, come dimostrano, ad esempio, i diversi casi di studio raccolti in Di Nubila e Fedeli (2010). Il modello di progettazione di didattica esperienziale ritenuto ancora oggi valido è quello di Kolb, che noi traiamo da Kohonen (2014). Il centro focale è l’esperienza concreta, in cui si enfatizza la dimensione emotiva piuttosto che razionale, ed è definita da Kohonen (2014: 28) “artistica” visto che si basa sulla sensibilità dello studente, invitato a condividere le proprie sensazioni con i propri compagni. In seguito, si procede ad una osservazione riflessiva, che prevede che lo studente si concentri su come gli eventi accadono, osservandoli da più punti di vista, basandosi anche sulla diversa visione dei

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suoi compagni, sui giudizi di ogni membro del gruppo classe. Sono tipiche di questa fase tecniche come discussioni tramite domande finalizzate ad una analisi minuziosa di quanto si è vissuto. Poi si passa alla concettualizzazione, in cui si costruiscono modelli, si astraggono regole, rintracciando analogie con altre esperienze simili. Infine, il ciclo dell’apprendimento esperienziale prevede la sperimentazione attiva, in cui si arriva alla realizzazione di un progetto grazie a quanto è stato esperito. I quattro poli del ciclo possono essere sintetizzati dai verbi: percepire, osservare, pensare e agire.

Kohonen (2014: 29) sottolinea come apprendimento esperienziale non significa calarsi semplicemente in una realtà concreta, ma giungere gradualmente a concetti teorici che entreranno nella mente del discente solo quando saranno stati esperiti in modo significativo e emozionale. La riflessione diventa un ponte tra l’esperienza e la concettualizzazione. Nel nostro caso gli studenti saranno stimolati a riflettere su come si analizza un’opera d’arte proprio nel momento in cui la si osserva: la didattica esperienziale servirà a rendere consapevoli gli studenti di quali strumenti hanno permesso di comprendere i messaggi, dando vita ad un’esperienza più soddisfacente. Infine questi concetti, queste procedure interpretative, saranno trasformate in azione nelle prossime visite o analisi, creando una sorta di circolarità in cui ogni attività esperienziale permetterà di godere meglio dell’esperienza successiva. Punto chiave, però, è la riflessione sull’esperienza per evitare di disperdere il lavoro. Secondo Boud e Walker (1993: 75) ci sono tre fattori chiave nella riflessione sull’esperienza. Il primo è il ritorno all’esperienza, in cui l’apprendente è chiamato a richiamare alla mente cosa ha esperito, cosa è accaduto, in modo descrittivo, senza giudizi o valutazioni. Il secondo è occuparsi dei sentimenti che sono venuti fuori dall’essere tornati sull’esperienza, così da rafforzare le sensazioni positive e limitare quelle d’intralcio, in modo da facilitare i successivi momenti di didattica esperienziale. Il terzo fattore è la rivalutazione dell’esperienza, in cui gli apprendenti collegano con l’esperienza vissuta esperienze passate creando delle associazioni e delle categorizzazioni, integrando questa nuova esperienza con quanto già si conosce. L’applicazione di questo schema, comunque, non può essere fatta in modo rigido, proprio perché l’esperienza in quanto tale ha sempre dei lati imprevedibili. Sarà compito dell’insegnante capire le nuove direzioni imposte dalla situazione didattica specifica.

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Il ciclo di Kolb è stato utilizzato in vari campi della didattica1, mentre le applicazioni in glottodidattica non sono numerosissime. Knutson (2003) è tra gli studiosi di riferimento a riguardo. Lei afferma che: “l’approccio esperienziale incoraggia l’apprendente a sviluppare le abilità della lingua bersaglio attraverso l’esperienza del lavorare insieme su un task specifico, piuttosto che solamente esaminare elementi discreti della lingua bersaglio” (Knutson 2003: 53). Questa affermazione dimostra come la didattica esperienziale condivida molte delle premesse del TBLT2, a partire dal già citato “learning

by doing”, da noi indicato anche come caposaldo della metodologia CLIL3. Interessante

anche come prosegue Knutson (2003: 53): “la metodologia esperienziale possiede numerose potenzialità per l’acquisizione linguistica in termini di motivazione, profitto e comprensione culturale”. Kohonen (2014: 20-21) definisce la didattica esperienziale nella classe di lingua come una prospettiva olistica, perché mira ad una educazione generale dello studente e non ad un addestramento di questa o quella competenza. Affinché l’esperienza sia davvero ricca lo studente deve essere partecipe delle decisioni didattiche, capire quindi non solo i suoi obiettivi ma anche le ragioni ultime delle attività.

L’obiettivo oltre che di fare un’esperienza e non di “sentir parlare” di un oggetto di studio, come inevitabilmente la didattica tradizionale in classe è costretta a fare.

Sintetizzando in un modello quanto detto sinora crediamo che la didattica esperienziale nella classe di arte e italiano potrebbe configurarsi in questo modo:

− introduzione all’esperienza, in cui vengono date le categorie necessarie alla comprensione dell’opera che si sta per esperire;

− esperienza concreta: la visita del luogo dove è conservata l’opera d’arte analizzata, svolgendo su di essa i compiti previsti, finalizzati sia ad esercitare le abilità linguistiche e sia quelle interpretative. La caratteristica di questi compiti sarà quella di rendere gli studenti assoluti protagonisti, facendo ipotesi, tentativi, esprimendo le proprie emozioni e visioni dell’opera;

− osservazione riflessiva, andando ancora più a fondo di quanto si sta osservando, anche sulla base di informazioni sconosciute. In questa fase le ipotesi degli

1 Portiamo l’esempio di Abdulwahed e Nagy (2009) che hanno applicato le teorie di Kolb alla didattica di laboratorio.

2 Rimandiamo al paragrafo 2.3 per le basi teoriche sul Task Based Language Teaching e al successivo 5.2.2 per una loro applicazione.

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studenti si confrontano con quelle dell’insegnante e delle sue fonti. La riflessione dovrà continuare anche una volta che l’esperienza si è conclusa;

− concettualizzazione, traendo dall’esperienza dell’opera d’arte delle indicazioni da applicare anche altrove, magari collegate anche con esperienze precedenti, come ad esempio l’uso di abilità o procedure interpretative;

− sperimentazione attiva nel ciclo dell’interpretazione artistica può configurarsi come utilizzo delle suddette abilità e procedure interpretative su altre opere, dando lo spunto per una nuova esperienza.

5.1.3 Obiettivi dell’integrazione: la base della progettazione

Riteniamo utile sintetizzare quelli che secondo noi dovrebbero essere gli obiettivi di una didattica integrata di arte e italiano per come l’abbiamo tracciata sin qui nella tesi. Un percorso di arte e italiano, circoscritto ad una lezione o esteso sulla durata di un corso, in un contesto didattico di corsi intensivi a studenti LS in Italia1, dovrebbe mirare a:

− sviluppare delle abilità interpretative sulle opere d’arte, permettendo agli studenti di essere consapevoli di come ci si approccia ad un’opera d’arte, acquisendo procedure interpretative da riapplicare in occasioni future;

− lavorare su obiettivi linguistici, a seconda dei casi in modo da acquisirli da zero, utilizzarli o rafforzarli;

− creare occasioni di apprendimento dell’italiano standard, quando possibile, quando inevitabile si renderà oggetto di didattica la lingua speciale dell’arte, depurata delle sue caratteristiche troppo complesse e non utili al contesto di riferimento;

− integrare momenti di didattica tradizionale e esperienze, facendo in modo che esse siano davvero foriere di occasione di apprendimento, protagonismo degli studenti e occasione di contatto diretto con il patrimonio artistico italiano;

− sviluppare le competenze di un comunicatore interculturale.

I primi due punti non possono che essere centrali e prima di passare alla loro realizzazione pratica vorremmo ulteriormente chiarirli. Adottare una prospettiva integrata, lo

1 Con lievi adattamenti le stesse basi potrebbero essere utilizzate anche in corsi all’estero, adattamenti ad esempio nell’aspetto delle esperienze, difficilmente proponibili lontano dall’Italia (benché l’arte italiana sia diffusissima tra i principali musei di tutto il mondo).

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ribadiamo, significa che contenuti e lingua si sviluppino in modo coerente, efficace e efficiente: coerente con gli obiettivi che ci si pone, efficace perché non si disperda il lavoro e efficiente perché tale lavoro porti a dei risultati concreti. L’opera, come detto nel capitolo 4, sarà vista come un testo di cui lo studente apprenderà sia i contenuti sia le strategie di lettura. Tale testualità, esattamente come altri testi autentici, si presta ad essere didattizzata, tenendo in considerazione quanto normalmente si fa per altre tipologie testuali: adeguatezza (atti comunicativi necessari, lessico, struttura del testo, argomento, riferimenti culturali) e rilevanza (per lo studente, per i suoi obiettivi e le sue motivazioni), così da diventare un’occasione per acquisire elementi della LS e esercitare le abilità linguistiche. Spesso abbiamo richiamato alla piacevolezza che attività sull’arte possano generare nel pubblico di italiano LS, ma come dice Cabras (2017), nonostante gli studenti dichiarino di studiare per piacere personale essi giudicano molto importante che i corsi seguano i livelli del QCER. Per questo l’individuazione e didattizzazione di forme e abilità linguistiche è fattore dirimente, senza però cedere al rischio di trattare “un testo autentico [nel nostro caso l’opera d’arte] […] in modo inautentico” cioè riducendolo meramente “a occasione per la semplice esercitazione di forme grammaticali e strutture lessicali” (Minuz 2011: 106).

Per raggiungere questi obiettivi crediamo sia necessario avere degli strumenti di progettazione ben precisi, che diano degli schemi applicabili, con i necessari adattamenti, alle diverse situazioni di didattica integrata.

5.2 Indicazioni pratiche per una didattica integrata

5.2.1 La struttura generale di un percorso integrato di arte e italiano

L’obiettivo di questo paragrafo è quello di fornire un modello di integrazione di arte e italiano, cioè di stabilire la struttura ideale di una unità d’apprendimento basata su un’opera d’arte. Anche Coonan (2014: 36-37) richiama all’utilità di una struttura generale riguardo l’integrazione di contenuti e lingua, quindi proponiamo una sintesi di quanto detto sinora con lo scopo di creare un modello applicabile a molte situazioni didattiche. La nostra può essere considerata a tutti gli effetti una unità d’apprendimento basata su un

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