• Non ci sono risultati.

L’indicibile teatrale

Nel documento «Ogni idea me sortéva capovolzüda» (pagine 73-76)

L’arte come impegno: l’antico gioco del teatro nella macchina teatrale di Dario Fo e Franca Rame

2. L’indicibile teatrale

Sviluppando una riflessione che esamini il rapporto tra la performance dell’attore e l’occhio-corpo dello spettatore, emerge come questa relazione spaziale e comunicativa, prossemica, si riveli ineludibile per dare conto dell’efficacia attoriale nel rapporto con il pubblico. Potremmo dire che per comprendere il teatro di Dario Fo e Franca Rame tale congiunzione tra attore e pubblico è fondamentale per almeno due principali motivi: 1) nel teatro di Fo-Rame la relazione con lo spettatore è all’origine della stessa fissazione del testo, che resta sempre modificabile e in divenire: le opere teatrali di Dario Fo pubblicate sono sempre l’esito del lavoro di stesura di Franca Rame, una vera riscrittura teatrale e costituiscono un prodotto mai definitivo, registrato e fissato solo provvisoriamente, a partire dagli incessanti mutamenti costruiti e ridefiniti sulla scena dello spettacolo in base alle reazioni del pubblico; 2) osservando la coppia d’arte Fo-Rame, l’analisi del ‘teatro

7 Riprendo la nozione di ‘gesto fonetico’ dal testo fondamentale da Merleau-Ponty (2012). 8 Cfr. Graffi, Scalise (2013).

9 Gli atti di tale Seminario di Studi sono poi stati pubblicati nel 1994 con titolo Il verso cantato. Atti del

Seminario di Studi (aprile-giugno 1988), cfr. Fo (1994). Ritroviamo tale intervento anche qualche anno prima, nel 1974, come lezione-spettacolo all’Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, minuti 73 e ss. [online]. ULR: <http://www.archives-video.univ-paris8.fr/video.php?recordID=104> [data di accesso: 09/04/2018]. In una conferenza-dimostrativa Fo parla dell’origine popolare dei canti legati ai mestieri e dei gesti utilizzati anche nel teatro.

54 Marisa Pizza

politico’ cede il posto allo studio di una dimensione politica del teatro, in cui gli attori si ricongiungono al loro pubblico e il teatro stesso alla vita sociale del momento storico in cui esso si svolge. Tuttavia, il rapporto con lo spettatore non è da intendersi soltanto nei termini di una dialettica di assoggettamento, che lo sottopone, passivamente, alla sedu- zione esercitata dall’attore. Sulla scena del teatro l’agency dello spettatore si spinge fino all’elaborazione di una autonoma potenza creativa. Egli/ella ha sempre «la possibilità di disobbedire concretamente e dunque corporalmente alla visione che affascina ma anche imprigiona lo spettatore» (Giacchè 2004, p. 162). Risiede qui l’antico «gioco»10 del teatro,

nel carattere di cornice inclusiva che l’atto teatrale produce attivando, al contempo, pro- cessi virtuosi di liberazione della capacità di agire degli spettatori.

Antico è il “gioco” del teatro e conoscerne le origini è essenziale. Se non sappiamo da dove veniamo è molto difficile capire dove pensiamo di arrivare. Narrate, uomini, la vostra storia incitava Savinio (il poeta). Quanti sono gli uomini che preferiscono affondare piuttosto che vedere la realtà!

Bisogna coinvolgere i ragazzi in questo antico “gioco”: sono loro che devono portarci delle testimonianze. È importante che a loro volta facciano ricerche, inchieste. Mai abbandonare il senso del dubbio. Bisogna leggere, studiare, confrontare sempre quel che ci viene detto alla luce dei propri dubbi e con la forza delle proprie inchieste.

Mai dimenticare che il teatro, soprattutto quello comico, ha bisogno di un coinvolgimento totale da parte di chi lo conduce, e di procurare divertimento a coloro che vi partecipano da spettatori, come in un gioco (Gavrilovich, Pizza, Santeramo, pp. 14-19).11

Analogamente, dal versante attoriale, non si può assolutamente isolare il testo scenico dalla forza vivente della presenza teatrale.

L’antico gioco del teatro, appreso dall’educazione della famiglia d’arte d’origine, la Famiglia Rame, permane e rivive nell’organismo teatrale Fo-Rame. Questo avviene proprio perché Fran- ca Rame sa attualizzare nel presente gli antichi insegnamenti dell’arte teatrale, volgendoli in capitale di conoscenze da agire in una nuova arte: la collaborazione alla regia degli spettacoli e alla produzione dei testi […] Con Fo, ricostituendo fin da subito una famiglia d’arte, il ruolo di Franca Rame nella produzione culturale teatrale diventa centrale [...] incessante l’attività delle cosiddette “correzioni di scena”, ovvero le modifiche del testo spettacolare, mai definitivo. Questa pratica di scrittura scenica è decisiva nella produzione del teatro di Fo e Rame e al tempo stesso costituisce una vera e propria regia condotta dal momento della scrittura a quattro mani con Dario Fo fin sulle tavole del palcoscenico, fino alle prove aperte e oltre, per tutta la tournée (Pizza 2016b, pp. 34-42).

Da sempre, in tutte le rappresentazioni dei due grandi teatranti, si avverte una presenza scenica che è di ascolto reciproco e non solo con i compagni attori, i tecnici, il dietro le quinte, ma so-

10 Non penso qui al carattere ludico del teatro, quanto piuttosto alla classica nozione di «gioco» teatrale

(play), sulla quale è di recente intervenuto Claudio Vicentini elaborando un perspicuo confronto con la teoria dei giochi linguistici in Wittgenstein (Vicentini 2015, p. 6).

11 Così introduce il suo intervento Dario Fo, al Teatro Torlonia il 19 gennaio 2014, in occasione della

L’arte come impegno: l’antico gioco del teatro nella macchina teatrale di Dario Fo e Franca Rame 55

prattutto nella fabbricazione di un vero e proprio “respiro comune”, che coinvolgeva il pubblico in sala. La coppia teatrale Dario Fo-Franca Rame, è stata una vera macchina scenica, dotata di una molteplice forma di sapienza teatrale. In primo luogo con i due maestri, l’azione scenica diventa un’opera aperta. Pensiamo, ad esempio, a interi passaggi di testo che sono stati improv- visati, riscritti, tagliati, durante la messa in scena, in presenza del pubblico, in un continuo eser- cizio di attenzione, per cui il ritmo e il tempo del lavoro era progressivamente modulato sulla ricezione degli spettatori (Pizza 2016b, pp. 35-36).

Eppure ciò non significa che questa esperienza d’arte non sia documentabile effica- cemente sul piano scientifico. Se così fosse essa non sarebbe neanche attiva dal punto di vista della sua agency politica. Ciò è testimoniato con sufficiente chiarezza dalla questione fondamentale, ovvero dal ‘problema’ primario della ricerca in campo storico teatrale: la congiunzione tra aspetti tangibili e intangibili. L’Archivio Teatrale Fo-Rame, conservato in supporti materiali e tecnici di ogni tipo che hanno costituito la base di un museo labora- torio in progress,12 non contiene oggetti separabili dalla memoria culturale e sociale incor-

porata in essi. Ritroviamo argomentazioni convincenti sulle possibilità di documentazione dell’immaterialità del teatro, e di conseguenza della sua efficacia di impegno politico, in un saggio recente dello storico del teatro Claudio Vicentini dedicato alla questione di una presunta «evanescenza della recitazione»:

Com’è noto, l’incapacità̀ dei documenti di conservare la «grandezza» di un attore viene volen- tieri spiegata ricorrendo a un magico «non so che», che solo la presenza fisica, viva, materiale e concreta dell’interprete potrebbe emanare sullo spettatore (Vicentini 2015, p. 17).

A partire da tale considerazione, l’intero saggio di Vicentini si sviluppa intorno all’e- sigenza di elaborare una riflessione critica, teorico-metodologica e storico-teatrale, vol- ta a incrinare la convinzione che l’esperienza conoscitiva di una dimensione effimera, evanescente e non storicizzabile dell’oggetto di studio, riguarderebbe esclusivamente il teatro rispetto alle altre arti, che sarebbero maggiormente dotate di un supporto fisico- documentale sul quale esercitare la storiografia. Vicentini decostruisce tale pregiudizio, aprendo nuove prospettive per la storia del teatro rivolta al fenomeno della recitazio- ne dell’attore. Quel «non so che» al quale allude Vicentini costituisce certamente una dimensione indicibile, un nucleo ineffabile, ma non è un effetto esclusivo della storia del teatro poiché coinvolge ogni altra disciplina storiografica e analitica dell’arte che non voglia isolarsi nella esclusiva descrizione di ciò che è documentabile, ma intenda attivare procedure di conoscenza dell’immateriale, sia sul piano espressivo individuale dell’attore sia su quello collettivo e politico che comincia dalla comunicazione con il suo pubblico. Dario Fo e Franca Rame espressero la medesima visione mettendola in pratica in Italia fin dal 1952.

12 musalab, il “Museo Archivio Laboratorio Franca Rame Dario Fo”, diretto da Marisa Pizza, è stato

56 Marisa Pizza

Nel documento «Ogni idea me sortéva capovolzüda» (pagine 73-76)