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Individuazione dei picchi delle forme d’onda

4.3 Cluster Timing

4.3.1 Individuazione dei picchi delle forme d’onda

Il primo problema che si incontra nell’utilizzo del Cluster Timing `e la necessit`a di distingue- re fra loro i vari picchi. Un tentativo in questo senso `e stato compiuto sui segnali raccolti dai prototipi costruiti e testati nei laboratori dell’INFN di Pisa. Il prototipo usato, rea- lizzato principalmente per lo studio dell’invecchiamento della camera, `e costituito da una singola cella di lato 7 mm, lunga 20 cm e dotata di fili di tungsteno dorato di diametro 25 µm nel caso del filo di senso e di 80 µm per gli otto fili di campo; la differenza di potenziale fra i due `e stata fissata a 1250 V. Il prototipo `e stato riempito con una miscela di gas 90% He, 10% iC4H10 ed irraggiato con una sorgente di241Am con attivit`a di ≈ 1 Bq.

Si `e cercato di di realizzare un filtro che permettesse di discriminare fra segnale e rumore basato sulla trasformata di Fourier (in particolare la Fast Fourier Transform, FFT). `E stato osservato che con questo filtro `e possibile migliorare il rapporto segnale-rumore. I picchi individuati, per`o, sembrano essere in numero inferiore rispetto a quanto atteso, il che fa supporre che alcuni siano sovrapposti e quindi indistinguibili, o siano stati confusi con il rumore. `E anche stato notato che alcuni dei picchi osservati sembrerebbero dovuti a riflessioni anomale avvenute all’interno dei cavi, dovute probabilmente ad un’errata im- pedenza di terminazione (questo problema `e stato successivamente corretto, ma lo studio sulle forme d’onda acquisite successivamente alla correzione non `e stato ancora ripetuto a causa di altri problemi tecnici). Un ulteriore problema riscontrato `e un’anomala variazione della baseline del segnale, dovuta ad un qualche malfunzionamento non identicato (forse legato al trasferimento dati tramite USB) nella scheda DRS usata per la presa dati. Il filtro elaborato prevede anzitutto la selezione di due sezioni della forma d’onda di uguale dimensione (150 ns), come `e possibile osservare nella figura 4.17, lato sinistro. Di entram- be viene calcolata la trasformata di Fourier. Vengono poi confrontati i moduli di queste trasformate, come mostrato in figura 4.17, lato destro, e vengono rigettate tutte le fre- quenze di segnale il cui modulo `e pari o inferiore ad 1/3 del modulo della trasformata del rumore per quella frequenza (`e anche possibile abilitare un secondo controllo che evita di tagliare frequenze con modulo superiore ad una frazione, decisa dall’utente, del modulo della frequenza massima). Vengono inoltre rigettate tutte le frequenze successive ad una frequenza ω0, tale che la media sui trenta bin della trasformata del segnale centrata in ω0 risulta inferiore alla media della trasformata del rumore pi`u la sua RMS.

La FFT cos`ı “ripulita” viene poi antitrasformata, ottenendo un risultato come quello che si pu`o osservare nella figura 4.18. `E stato notato che le riflessioni di segnale hanno un ritardo ed un rapporto in ampiezza circa costante rispetto al segnale che le ha generate, il che permette di discriminare i picchi veri da quelli dovuti a riflessioni. Infine, le informazioni sulla posizione temporale e sull’altezza dei picchi non interpretati come riflessioni vengono salvate in memoria per le eventuali successive analisi.

Figura 4.17: A sinistra: una forma d’onda registrata con una scheda DRS nel prototipo per lo studio dell’invecchiamento; la linea rossa `e l’istante di trigger. Viene selezionata una sezione di solo rumore (dal bin 100 al 400) ed una di rumore pi`u segnale (dal bin 400 al bin 700). A destra: modulo delle trasformate di Fourier. In rosso, la trasformata del rumore; in blu, la trasformata del segnale; in verde, la trasformata del segnale filtrata; in viola, il livello del rumore medio pi`u la sua RMS

Figura 4.18: La zona di segnale della forma d’onda mostrata in figura 4.17 (rovesciata). La curva verde `e il risultato della tecnica di filtraggio. I triangoli rossi sono i picchi individuati, le stelle rappresentano i segnali interpretati come riflessioni

Nonostante le varie difficolt`a esposte, `e stato possibile analizzare un campione di 7024 for- me d’onda ed individuare la correlazione attesa fra il numero di picchi individuati ed il tempo del primo picco. Questa `e dovuta al fatto che la sorgente α usata per queste misure `

e posta di fronte ad uno dei vertici del quadrato che costituisce la cella. In questo modo, se la traccia passa sulla diagonale della cella produce pi`u picchi perch´e il percorso `e pi`u gran- de e, contemporaneamente, il tempo di arrivo del primo deposito di ionizzazione `e minore poich´e passa in prossimit`a del filo di senso; viceversa se passa ad una certa distanza dal centro e quindi dal filo di senso, il primo picco arriva pi`u tardi e la lunghezza del cammino all’interno della cella si riduce, con conseguente diminuzione del numero di picchi. L’effetto `

e visibile nella figura 4.19, lato sinistro.

Figura 4.19: A sinistra: correlazione fra il tempo di arrivo del primo deposito e numero di picchi individuati per le forme d’onda acquisite con il prototipo per l’invecchiamento. A destra: spettro dell’ampiezza del primo picco individuato in ogni forma d’onda, con fit esponenziale della coda destra.

`

E stato seguito uno spettro dell’ampiezza del primo picco individuato in ogni forma d’onda campionata, che `e mostrato nella figura 4.19, lato destro. Il fit esponenziale sembra descri- vere bene la coda del segnale. Se pi`u tipi di atomi fossero stati ionizzati (ad esempio, sia l’idrogeno che il carbonio), si sarebbero probabilmente potuti distinguere pi`u picchi appar- tenenti a pi`u poissoniane convolute, dal momento che questo non avviene probabilmente un solo tipo di atomi `e stato ionizzato. Ci`o potrebbe essere dovuto alla differenza di potenziale non molto alta usata nel prototipo, che non permette di distinguere dal rumore i segnali pi`u piccoli, come quelli prodotti dalla ionizzazione dell’idrogeno. Questo giustificherebbe anche il basso numero di picchi osservati rispetto alle attese.

d’onda acquisite su un prototipo pi`u lungo (1.8 m), in fase di filatura. L’acquisizione di questi segnali sar`a fatta in modo da evitare le riflessioni nei cavi ed aumentando la differen- za di potenziale fra i fili, aumentando quindi l’ampiezza dei segnali e perci`o semplificando l’analisi. Ad ogni modo, quelle che sono state presentate sono misure preliminari, utili per capire le potenzialit`a del metodo, individuare le caratteristiche dell’elettronica e sviluppare tecniche di filtraggio.

Conclusioni

L’esperimento MEG si propone di cercare con una sensibilit`a al livello di 10−13 il decadi- mento µ+ → e++ γ che viola la conservazione del sapore leptonico. Allo stato attuale,

l’esperimento `e riuscito a stabilire il miglior limite superiore sul rapporto di decadimento del processo (1): BR < 5.7 · 10−13 con un livello di confidenza del 90% [1]. Non `e stata finora osservata alcuna evidenza di un eccesso di eventi rispetto al fondo atteso nella re- gione di segnale.

Per riuscire a migliorare ancora la sensibilit`a di MEG e permettere di esplorare l’intervallo di BR fra 10−13 e 10−14 `e stata elaborata una proposta di miglioramento dell’apparato sperimentale, che interesser`a tutti e tre i rivelatori che compongono l’esperimento. Questi sono un insieme di camere a deriva per il tracciamento e la misura del quadrimpulso del positrone, un calorimetro a xenon liquido per la misura dell’energia del fotone, del suo tempo di arrivo e del suo punto di interazione, ed un sistema di barre scintillanti (“Timing Counter”, TC) per la misura del tempo del positrone. La sostituzione delle camere attuali con una nuova camera a deriva, che verr`a utilizzata per registrare la traccia dei positroni, costituisce l’aspetto pi`u importante di questo miglioramento e lo studio delle prestazioni di questo nuovo rivelatore `e stato l’argomento principale trattato in questo lavoro di tesi. Nel capitolo 3 si `e affrontato il problema dell’identificazione delle tracce, vale a dire quello della distinzione e dell’associazione dei segnali prodotti nella camera e nel TC da molti positroni che li attraversano nella stessa finestra di trigger. Questo studio, che prende in considerazione la camera nella sua interezza senza focalizzarsi sulla formazione dei segnali nelle singole celle, considera i dati prompt “di primo livello” che possono essere ottenuti senza la decodifica completa delle forme d’onda, i quali forniscono una stima iniziale dei punti dove sono avvenuti i rilasci di energia (hit ) prodotti dall’attraversamento della came- ra e del TC da parte di ogni singolo positrone. Per elaborare gli algoritmi di identificazione sono stati utilizzati dei dati MC, per cui sono stati predisposti dei passaggi preliminari di simulazione, lettura, deterioramento e mescolamento dell’informazione in modo da strut- turarli in maniera simile ai dati sperimentali. L’algoritmo di analisi `e strutturato in tre

blocchi: associazione degli hit nella camera, associazione degli hit nel TC e individuazione della corretta associazione fra camera e TC. Il primo di questi tre compiti `e il pi`u ampio e complesso perch`e gli hit nella camera sono molte (10 ÷ 70) volte pi`u numerosi dei gruppi di hit nel TC; inoltre l’informazione temporale `e assente, e la conoscenza spaziale degli hit nella camera a questo livello pu`o risultare meno precisa di quella misurata dal TC, special- mente se l’incertezza σz sulla coordinata longitudinale lungo il filo `e molto alta. Sono stati

dettagliatamente analizzati e misurati i vari tipi di errore di associazione al variare di σz

(1 cm, 5 cm, 10 cm) ed il tempo richiesto per l’analisi; tutti questi parametri, per quanto preliminari, risultano essere accettabili ai fini dell’introduzione del programma sviluppato nel software generale di analisi dati di MEG.

Nel capitolo 4 sono stati invece presi in considerazione alcuni metodi per migliorare la conoscenza spaziale degli hit sul piano trasverso al filo, cio`e la coordinata radiale ed azimu- tale dei punti di attraversamento del positrone, concentrandosi sulla formazione del segnale nelle singole celle; questo studio `e complementare a quello sopra presentato. Lo scopo `e cercare di descrivere il comportamento degli elettroni prodotti durante la ionizzazione in modo da poter utilizzare il loro tempo di deriva per raggiungere risoluzioni al livello di ≈ 100 µm. Lo studio `e stato articolato su tre punti: simulazione dei processi di deriva con il programma GARFIELD++ [35], studio delle tabelle T XY (generazione, interpolazione ed inversione) che “mappano” la cella in base alle configurazioni di campo elettrico e ma- gnetico, per la corretta gestione dei tempi di deriva in fase di simulazione e di analisi, ed una breve appendice sulle tecniche di Cluster Timing [36], che potrebbero consentire di sfruttare l’informazione sul tempo di arrivo di tutti i depositi di ionizzazione per miglio- rare la stima del parametro d’impatto della traccia che li ha generati. Anche questi studi sono da considerare preliminari e si applicano principalmente allo studio dei prototipi, ma costituiscono un utile punto di partenza per le prime simulazioni e lo sviluppo di algoritmi di analisi pi`u complessi.

L’intero studio sulle strategie di miglioramento complessivo di MEG `e tutt’ora in corso, per cui tutto il lavoro fin qui presentato potrebbe essere soggetto a variazioni, raffinamenti e modifiche. Si `e potuto constatare comunque che molte di queste (ad esempio nel caso di un cambio della geometria dei fili della camera o della forma delle celle) avrebbero un’in- fluenza abbastanza ridotta sulla struttura e sulle prestazioni dei programmi presentati. Quest’anno sar`a l’ultimo in cui l’esperimento prender`a dati nella sua attuale configurazio- ne. Il termine dei lavori di miglioramento e l’inizio della presa dati con il nuovo apparato sono previsti per l’inizio del 2016.

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