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Il termine infezione ospedaliera o nosocomiale

comprende varie entità nosologiche e segnatamente

infezioni insorte nel corso di un ricovero ospedaliero, non

manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ingresso e che si rendono evidenti dopo 48 ore o più

dal ricovero e le infezioni successive alla dimissione, ma

causalmente riferibili, per tempo di incubazione, agente

eziologico e modalità di trasmissione al ricovero

medesimo; tale ultima tipologia rappresenta una quota

sostanziosa delle infezioni ospedaliere, che soprattutto concerne l’infezione di ferite chirurgiche riscontrabile in

una percentuale oscillante dal 19 al 66%23.

L’infezione nosocomiale può essere superficiale o

profonda.

L’infezione superficiale si manifesta entro 30 giorni

dall’intervento e coinvolge soltanto la cute e il tessuto

sottocutaneo nella sede dell’incisione.

23 A. Bonelli, G. Digesi, Implicazioni medico-legali in tema di infezioni ospedaliere, in Difesa

71

Deve verificarsi inoltre una delle seguenti condizioni:

 fuoriuscita di materiale purulento;

 isolamento di microrganismi da colture (ottenute in

modo asettico) di liquido o tessuto proveniente dalla sede dell’incisione;

 almeno uno dei seguenti segni o sintomi di infezione:

 dolore spontaneo o dolore alla pressione;

 tumefazione localizzata;

 arrossamento;

 calore;

 riapertura intenzionale della ferita da parte del

chirurgo (in questo caso la coltura deve essere positiva). Se

la coltura è negativa il criterio non è raggiunto;

 diagnosi di infezione superficiale della ferita

formulata dal chirurgo o dal medico curante.

Esistono 2 tipi di infezioni superficiali:

 infezione superficiale primaria (SIP) che si verifica nella

sede dell’incisione cutanea primaria in un paziente che nel

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esempio infezione superficiale della toracotomia in un

paziente operato di bypass aortocoronarico);

 infezione superficiale secondaria (SIS) che si verifica

nella sede di una incisione secondaria in un paziente che nel corso dell’intervento ha subito più incisioni (ad

esempio infezione superficiale della ferita conseguente al

prelievo della safena in un paziente operato di bypass

aortocoronarico).

Le seguenti condizioni non sono considerate infezioni

superficiali del sito chirurgico:

 microascesso dei punti di sutura (infiammazione minima

e suppurazione limitata ai punti di sutura);

 infezione localizzata del punto di uscita del drenaggio

(deve essere considerata come infezione della cute o del

sottocutaneo a seconda della profondità);

 infezione della sede della circoncisione di un neonato;

 infezione di una ferita da ustione;

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 infezione che coinvolge sia i tessuti superficiali sia i

tessuti profondi della sede di incisione.

L’infezione profonda si manifesta entro 30 giorni

dall’intervento in assenza di impianto protesico oppure

entro un anno in presenza di impianto protesico, è correlata all’intervento e coinvolge i tessuti molli profondi (ad

esempio: fascia e muscoli adiacenti).

Deve inoltre verificarsi almeno una delle seguenti

condizioni:

 fuoriuscita di materiale purulento dalla porzione

profonda della ferita, ma non dagli organi/spazi limitrofi all’area chirurgica;

 deiscenza spontanea della sede profonda della ferita

oppure riapertura intenzionale del chirurgo in presenza di

uno dei seguenti segni o sintomi (se la coltura è negativa il

criterio non è raggiunto):

 febbre (>38°C);

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 presenza di un ascesso o altri segni di infezione nel corso

di un esame diretto, durante un reintervento, oppure

mediante esami istopatologici o radiologici;

 diagnosi di infezione profonda delle ferite formulata dal

chirurgo o dal medico curante.

Esistono 2 tipi di infezioni profonde:

 infezione profonda primaria (DIP) che si verifica nella

sede dell’incisione cutanea primaria in un paziente che nel

corso dell’intervento ha subito una o più incisioni (ad

esempio infezione profonda della toracotomia in un

paziente operato di bypass aortocoronarico);

 infezione profonda secondaria (DIS) che si verifica nella

sede di una incisione secondaria in un paziente che nel corso dell’intervento ha subito più incisioni (infezione

profonda della ferita conseguente al prelievo della safena

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Da evidenziare come un’infezione che coinvolge sia la

porzione superficiale sia la sezione profonda della ferita

venga classificata come infezione profonda24.

Gli agenti responsabili delle infezioni ospedaliere

possono essere così suddivisi: - agenti patogeni

tradizionali, di origine sia extra- che intraospedaliera e che

possono avere ospite sia normale che compromesso; -

agenti opportunisti, ossia microrganismi di regola

scarsamente patogeni ma che diventano tali, ad esempio,

in paziente immunodepresso.

I microrganismi più spesso coinvolti nell’insorgenza

delle infezioni ospedaliere sono i batteri con una frequenza pari all’ 85%, mentre miceti e virus rivestono un ruolo

minore con il 15%.

I batteri che più frequentemente inducono infezioni

ospedaliere sono i Gram-negativi (60,5%), con una

predominanza di Escherichia coli e Pseudomonas

24

76 aeruginosa, Klebsiella pneumonie ed Enterobacter spp.,

isolati nel 32% dei casi.

Tra i Gram-positivi (che costituiscono il 34% dei casi) gli

stafilococchi e gli streptococchi sono risultati i più

frequenti, e tra questi, in particolare, lo Staphylococcus

aureus.

Circa l’80% delle infezioni sostenute da batteri coinvolge

microrganismi anaerobi, tra cui prevale nettamente lo

Staphylococcus epidermidis che ne sostiene il 94%25.

La trasmissione può avvenire: - per via aerea tramite “droplets”; - per contatto diretto, tramite il trasferimento

fisico del microrganismo dalla fonte colonizzata al

paziente o indiretto, tramite un veicolo contaminato che

funge da intermediario; - per veicolo comune, allorché

siano contaminate più persone attraverso un unico mezzo

(ad esempio sangue, liquidi di infusione, disinfettanti)26.

Le infezioni ospedaliere costituiscono uno degli aspetti

più importanti nella moderna pratica ospedaliera (sia

25 A. Bonelli, G. Digesi, Implicazioni medico-legali in tema di infezioni ospedaliere, cit. 26 A. Bonelli, G. Digesi, Implicazioni medico-legali in tema di infezioni ospedaliere, cit.

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medica che chirurgica), interessando almeno il 5% dei

pazienti ricoverati; si pensi che negli USA le infezioni

ospedaliere sono responsabili di circa 60.000 decessi

annui, di un aumento medio delle degenze di circa 4 giorni

e di un surplus di spesa sanitaria di almeno 10 miliardi di

dollari all’anno27

.

L’incidenza delle infezioni nel campo dell’Ortopedia e

Traumatologia è “drasticamente” in aumento in

considerazione delle nuove metodiche proposte e dei

sempre più numerosi campi di applicazione clinica, pur a

fronte dei sicuri miglioramenti ottenuti nella applicazione

della asepsi.

Questa evenienza negativa pare verosimilmente legata: -

alla comparsa di nuovi ceppi batterici resistenti; - all’utilizzo di innovativi impianti protesici, di osteosintesi

e di trapianto tissutale; - ad una involontaria “rilassatezza

di comportamento” del Personale Sanitario, determinata

78

dalla non individuazione dell’Unico Responsabile della

procedura28.

Parallelamente sono in aumento le contestazioni e le

richieste risarcitorie per Responsabilità Professionali di

malpractice. Tutto ciò produce un notevole aggravio per

l’Ente Ospedaliero in termini economici e gestionali.

Secondo i dati emergenti dalla letteratura internazionale

sarebbe possibile, attraverso scrupolose misure

precauzionali, prevenire circa il 30% delle infezioni

ospedaliere29.

Per la gestione del rischio sanitario che viene a

penalizzare il paziente, la serenità degli operatori sanitari

ed anche a danneggiare l’economia dell’Ente Ospedaliero

di appartenenza, pur riconoscendo come non sia possibile

annullare del tutto il rischio infettivo, al fine di esercitare

comunque una efficace azione di contenimento, è ormai (a

partire dal 2010 circa) divenuta routinaria, nei reparti

28 Notiziario SIOT, Gestione del rischio settico in Ortopedia e Traumatologia, G.I.O.T., 2010; 36:2-11.

29

79

ortopedici, la compilazione, quanto più dettagliata

possibile, dei singoli procedimenti sanitari adottati.

A tale scopo si individuano tre fasi di applicazione gestite

nelle rispettive aree di competenza:

1) fase preoperatoria o di preparazione all’intervento

chirurgico, presso il Reparto di degenza;

2) fase operatoria, presso il Blocco Sale Operatorie;

3) fase postoperatoria immediata, presso il Reparto di

degenza.

È stata perciò predisposta una scheda di documentazione

(check-list) suddivisa in 3 parti, relativa alle 3 fasi

osservazionali.

Tale check-list è strutturata in modalità simple-choice

(Sì/No) ed è applicata routinariamente su tutti i pazienti

trattati in tempi diversi nelle differenti sedi di cura

individuate.

La modalità simple-choice è stata prescelta per rendere

più semplice ed efficace il riscontro fenomenologico, al

80

dei dati; la possibilità di poter confrontare in modo

oggettivo (quantitativo e qualitativo) i risultati ottenuti,

permette un confronto tra differenti Unità Operative nell’ambito della stessa Struttura Sanitaria, come anche tra

diverse Strutture Sanitarie che pur presentano differenti

problematiche ed organizzazioni.

La verifica della compilazione della check-list è affidata

ad un Unico Responsabile, figura professionale di volta in volta individuata nell’effettivo esecutore materiale della

procedura di compilazione della scheda di documentazione

(Medico che effettua la visita di accettazione nel Reparto

di degenza, Chirurgo primo operatore in Sala Operatoria,

Medico che effettua il rilievo post-operatorio nel Reparto

di degenza).

È individuato un Unico Responsabile della compilazione

della check-list, competente per ciascuna singola fase/area

di applicazione, poiché si ritiene essenziale

l’individuazione di un solo Sanitario referente, onde far

81

determinato dalla mancata attribuzione della specifica

responsabilità30.

Si ricorda come in America abbiano affrontato la

problematica delle infezioni nosocomiali già a partire dal

1989; infatti, nell’aprile 1989 la Joint Commission for

Accreditation of Hospitals (JCAH) ha adottato nuovi standard per la valutazione dei programmi di controllo

delle infezioni ospedaliere; tali standard sono divenuti

operativi dal 1gennaio 1990.

Di seguito sono riportati gli standard della JCAH ed i

criteri ai quali deve rispondere ciascuno ospedale per

essere incluso nella prima categoria di compliance o

sostanziale:

1) esiste un programma efficace, esteso a tutto l’Ospedale,

per la sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni

ospedaliere;

30

82

2) esiste un Comitato Multidisciplinare che coordina il

programma per la sorveglianza, prevenzione e controllo

delle infezioni (C.I.O.)31;

3) la responsabilità della gestione delle attività di

sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni è

assegnata a personale qualificato;

4) esistono politiche e protocolli scritti per la sorveglianza,

prevenzione e controllo delle infezioni per tutti i

dipartimenti/servizi;

5) altri dipartimenti/servizi di supporto, quali la centrale di

sterilizzazione, i servizi di pulizia, la lavanderia,

partecipano ai programmi di prevenzione e controllo delle

infezioni e sono dotati di personale e materiale sufficiente

per svolgere le funzioni richieste di sorveglianza,

prevenzione e controllo delle infezioni32.

31

In Italia il controllo delle infezioni nosocomiali spetta al Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO); si tratta di un gruppo di lavoro permanente e multidisciplinare composto dal farmacista ospedaliero, da un rappresentante dell’area medica ed uno dell’area chirurgica, un microbiologo, un’infermiera epidemiologa o una caposala e da uno specialista in malattia infettive (se disponibile).

83

Di seguito si approfondisce il tema della profilassi

antibiotica in chirurgia ortopedica, che è fortemente

raccomandata in corso di:

impianto di protesi d’anca (indipendentemente dall’uso

di cemento addizionato con antibiotico);

impianto di protesi di ginocchio.

La profilassi antibiotica è raccomandata in corso di:

 fissazione di frattura chiusa;

 inserimento di dispositivo protesico quando non è

disponibile una prova diretta;

 riparazione di frattura dell’anca;

 chirurgia del rachide.

La profilassi antibiotica non è raccomandata in corso di:

 chirurgia ortopedica senza protesi (elettiva):

asportazione/sutura/incisione di lesione di muscoli, tendini

e fasce della mano; altra asportazione o demolizione locale

di lesione o tessuto cutaneo o sottocutaneo; altri interventi

84

fasce; meniscectomia artroscopica; sinoviectomia

artroscopica33.

Di seguito si riporta una tabella sinottica relativa alla

antibiotico-profilassi da somministrare in caso di interventi

ortopedici34. Tipo di intervento Antibiotico e modalità di somministrazione Nei pazienti allergici ai betalattamici ARTROPROTESI • Anca • Ginocchio • Altre protesi Somministrare§ (NB§§): • una cefalosporina di 1° generazione (cefazolina 2 g) oppure • una cefalosporina di 2° generazione (cefuroxima 2 g) In presenza di: • colonizzazione/infezione da MRSA non eradicate • paziente proveniente da realtà dove le infezioni da

MRSA sono frequenti considerare (caso per caso) l’opportunità di somministrare‡ un glicopeptide (vancomicina 1 g da infondere in 1 ora) Valutazioni locali: • dose intraoperatoria per interventi di durata

superiore a 3 ore* • somministrazione di ulteriori dosi di antibiotico entro le 24 ore** Somministrare: • vancomicina (1 g da infondere in 1 ora) FISSAZIONE DI FRATTURA CHIUSA • Gesso e sintesi percutanea • Applicazione di mezzi di sintesi Somministrare§: • una cefalosporina di 1° generazione (cefazolina 2 g) Valutazioni locali: • somministrazione di ulteriori dosi di Somministrare un antibiotico non betalattamico con spettro adeguato, ad esempio:

33 SNLG, Antibioticoprofilassi perioperatoria nell’adulto, cit. 34 SNLG, Antibioticoprofilassi perioperatoria nell’adulto, cit.

85 • Applicazione di fissatore esterno • Fratture esposte di grado 1, 2

gestite entro 6 ore dal trauma

• Artrodesi del piede o della caviglia • Rimozione di mezzi di sintesi antibiotico entro le 24 ore** • clindamicina^ (600 mg) CHIRURGIA SU POLITRAUMATIZZATI Qualsiasi tipo di sintesi o di frattura su politraumatizzati provenienti dalla rianimazione già trattati con antibiotici, ma senza infezione in atto Somministrare§: • un glicopeptide (vancomicina 1 g da infondere in 1 ora) Valutazioni locali: • somministrazione di ulteriori dosi di antibiotico entro le 24 ore**

§ Una singola dose di antibiotico per via endovenosa in Sala Operatoria prima di iniziare le manovre anestesiologiche. §§ Se l’intervento prevede l’applicazione di un laccio, l’antibiotico dovrà essere somministrato prima della sua applicazione. ‡ Solo in singoli casi, in armonia con le scelte di politica antibiotica. Il glicopeptide non deve mai essere utilizzato di routine. ° Le aminopeneicilline associate ad un inibitore delle betalattamasi sono tra gli antibiotici più frequentemente utilizzati in terapia; il loro uso in profilassi deve quindi essere limitato e considerato caso per caso.

^ Farmaco che non presenta in scheda tecnica l‘indicazione profilassi antibiotica in chirurgia.

* Il gruppo di lavoro deve stabilire se, alla 3° ora di intervento, fare una somministrazione aggiuntiva dell’antibiotico scelto. ** Il gruppo di lavoro dovrà decidere se ed in quali interventi prolungare la profilassi per 24 ore considerando la presenza di un punteggio ASA

³3 e la durata dell’intervento. In caso positivo la dose unitaria e l’intervallo fra le somministrazioni saranno quelle utilizzate in terapia.

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CAPITOLO TERZO

ANALISI STATISTICO-EPIDEMIOLOGICA DELLE

RICHIESTE RISARCITORIE PERVENUTE AL CGS

DELL’AOUC NEL PERIODO 2010-2015

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