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CAPITOLO 3- TERAPIA ANTI-ANGIOGENICA

3.2 Inibitori dei recettori tirosina chinasi (RTKI)

Diverse strategie sono state progettate per interagire con il complesso VEGF/VEGFR. Clinicamente quella che ha avuto più successo fino ad ora è stata quella che prevede l’utilizzo di anticorpi.[15] Altri trattamenti includono: recettori solubili, TKI a basso PM, oligonucleotidi, aptameri e interferenza di DNA.[30]

Gli anticorpi agiscono legandosi al dominio presente sul recettore adatto alla loro struttura e in questo modo interrompono l’interazione ligando/recettore e quindi l’attivazione del recettore. Oltre all’effetto inibitorio sulla crescita, mediante un legame con specifici bersagli sulla superficie delle cellule tumorali, questi anticorpi probabilmente provocano anche citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente. La maggior parte degli anticorpi attualmente in uso clinico sono del sottotipo IgG1.

Possono essere chimerici (-ximab), umanizzati (-zumab) o completamente umani (- mumab) per minimizzare la risposta autoimmune. Gli anticorpi monoclonali sembra che esplichino meglio la loro funzione quando vengono associati ad altri approcci terapeutici, come la chemioterapia.[31]

Il primo anticorpo approvato dalla US FDA (Food and Drug Administration) per l’uso nella terapia anti-tumorale, è stato il Rituximab (Figura 13), nel 1997, per le cellule B del linfoma non-Hodgkin e cellule B leucemiche. Nel 1997 il Trastuzumab fu approvato per l’inibizione di HER2 (recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano) nel tumore al seno.[32]

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Figura 13. Struttura tridimensionale Rituximab[33]

Attualmente l’inibitore dell’angiogenesi in fase clinica più avanzata è rappresentato dal Bevacizumab. Il Bevacizumab (Figura 14) è un anticorpo monoclonale IgG1

umanizzato che lega tutte le forme del VEGF-A e ne impedisce il legame ai recettori bersaglio. E’ un farmaco antiangiogenico, che è risultato in grado di inibire la formazione di vasi sanguigni nei tumori. Può essere associato ad altri farmaci anti- tumorali come 5-FU, oxaliplatino e irinotecano nel trattamento del cancro colon rettale metastatizzato, con buona efficacia e tollerabilità. Per lo stesso tumore la FDA ha formalmente approvato bevacizumab in associazione con un qualsivoglia schema terapeutico contenente fluoropiridine; il bevacizumab è ora autorizzato in associazione a chemioterapia per il trattamento del carcinoma mammario o polmonare non a piccole cellule metastatizzato (ed è in corso di sperimentazione con utili risultati nel carcinoma ovarico). Un possibile vantaggio potrebbe essere quello di non aggravare la tossicità dei principali chemioterapici citotossici. I principali effetti sfavorevoli variano da ipertensione a eventi tromboembolici arteriosi, disturbi della cicatrizzazione, perforazioni gastrointestinali, proteinuria.[34]

Il CDP791 è stato studiato nella fase I di sperimentazione clinica e sembra che bersagli specificatamente il VEGFR2; ha dimostrato tossicità accettabile.[35] Inoltre l’IMC-1121, un anticorpo chimerico contro VEGFR2 è stato valutato in trials

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clinici preliminari. Sfortunatamente metà dei pazienti trattati con IMC-1121 ha sviluppato anticorpi antichimerici e quindi lo studio clinico è stato interrotto.

Figura 14. Struttura tridimensionale Bevacizumab[33]

Però, dato che i risultati positivi di questo farmaco erano evidenti, l’anticorpo in forma chimerica è stato completamente umanizzato a IMC-1121B (Ramucirumab) (Figura 15), il cui studio è stato ulteriormente approfondito, risultando l’inibitore specifico per il VEGFR2 più avanzato clinicamente. E’ stata dimostrata una efficacia impressionante negli studi di fase I e II e, anche in confronto agli altri farmaci della stessa classe, sembra essere il più attivo, quando si prendono in considerazione le risposte tumorali, la stabilità delle dimensioni del tumore e la sua aggressività, per periodi estesi in popolazioni di pazienti pre-trattati. Il Ramucirumab mostra attività dopo che i pazienti sono stati esposti ad altri agenti anti-angiogenici; ciò probabilmente indica che il farmaco provoca un’inibizione più potente dell’angiogenesi, quando VEGFR2 viene bloccato direttamente.[36]

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Figura 15. Ramucirumab[33]

-Piccole molecole RTK-inibitrici

Farmaci che bloccano in modo esteso un unico fattore di crescita, come Bevacizumab o Ramucirumab, si sono dimostrati efficaci, ma portano all’instaurarsi di resistenza, probabilmente proprio per il fatto di avere un singolo bersaglio; ciò può dare infatti come conseguenza la rivascolarizzazione del tumore, dovuta ad altri fattori pro-angiogenici.

Piccole molecole inibitrici delle tirosina chinasi (TKI), sono state sviluppate e sottoposte a trials clinici, dato che presentano diversi vantaggi: sono disponibili per via orale, sono più versatili nei confronti dell’obbiettivo da inibire, sono meno costose e possono traslocare attraverso le membrane plasmatiche e interagire con il dominio citoplasmatico dei recettori di superficie cellulare. La specificità per il target può differire molto e a tal proposito sono stati sviluppati svariati composti che hanno mostrato livelli variabili di efficacia e attività e di conseguenza differenti effetti collaterali, collegati anche alla diversa tipologia di tumore trattato. La maggior parte degli inibitori dei recettori tirosin-chinasici (RTKI) include composti che legano il dominio chinasico, competendo con il normale substrato, ATP, prendendo di mira il sito di legame di questa molecola nella sua conformazione attiva, in cui l’ansa di attivazione viene fosforilata.

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1) Regione dell’adenina: è una porzione idrofobica, anche chiamata regione cerniera. Accoglie l’anello purinico dell’ATP che forma legami ad idrogeno con la catena polipeptidica: questi vedono coinvolti l’atomo di azoto in posizione 1, il gruppo amminico in posizione 6, che si comportano rispettivamente come accettore e donatore di idrogeno, e l’idrogeno legato al C2 dell’adenina. In aggiunta a queste interazioni polari, l’adenina forma anche delle interazioni non polari con residui idrofobici localizzati a livello dei lobi N-terminale e C-terminale.

2) Regione dello zucchero: qui si posiziona il ribosio dell’ATP, il cui gruppo 2’- OH forma un legame ad idrogeno con un residuo polare generalmente di serina, aspartato, glutammato o glutammina.

3) Regione del fosfato: accoglie il gruppo trifosfato ed è principalmente costituita da un loop flessibile ricco di glicina e da una struttura ad α-elica che orienta correttamente il gruppo fosfato dell’ATP per la catalasi. Nella maggior parte delle strutture cristalline ATP-chinasiche, ritroviamo un legame ad idrogeno tra il gruppo fosfato in posizione α e β dell’ATP e la Lys295. Il gruppo fosfato in γ interagisce invece con il residuo di Arg388.

4) Regione nascosta: consiste in una tasca idrofobica di dimensioni variabili, opposta alla regione dello zucchero e non occupata dalla molecola di ATP. A livello di questa regione vengono identificate le più significative differenze strutturali e sequenziali tra i componenti della superfamiglia delle chinasi.

5) Regione accessibile al solvente: le dimensioni di questa regione dipendono dall’assenza o dalla presenza di residui di glicina che causano una variazione conformazionale della proteina a questo livello. Anche questa regione può essere sfruttata per aumentare l’affinità del ligando verso la proteina e modulare le proprietà ADME.

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Tabella 2. Confronto tra anticorpi e inibitori delle tirosina chinasi[37]

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