La bacchante à bicyclette, la muse orgiaque du golf: non ci sembra di
vedere le tavole 77 e 79 del Bilderatlas warburgiano Mnemosyne, dove le fotografie delle sportive moderne (golfiste, nuotatrici, atlete) richiamano alla memoria le ninfe, le baccanti e le muse antiche?1
Il fatto è che l’antico non proviene soltanto dal passato (che cos’è il passato?), ma da un movimento fondamentale della mente e della sua espe- rienza (chiamiamola “struttura” se vogliamo).
Così Marcel può innalzare un vero inno alle Muse che ispirano il suo immaginario e la sua creazione.
E poi che cos’erano Albertine e Andrée in se stesse? Per saperlo, bisogne- rebbe immobilizzarvi, non vivere più in questa attesa perpetua di voi, dove voi, di volta in volta, trascorrete sempre diverse; bisognerebbe non amarvi più, per fermarvi, non riconoscere più il vostro interminabile e ognora sconcertan- te arrivo, o fanciulle, o raggio che si succede al raggio nel vortice dove noi fremiamo di vedervi apparire di nuovo, riconoscendovi appena nella velocità vertiginosa della luce. Questa velocità, forse, potremmo ignorarla e tutto ci sembrerebbe immobile, se un’attrazione sessuale non ci facesse correre verso di voi, gocce d’oro sempre dissimili che oltrepassano sempre la nostra attesa! Ogni volta, una fanciulla assomiglia così poco a ciò che ella era la volta pre- cedente (frantumando, a partire dal momento in cui lo percepiamo, il ricordo che noi avevamo conservato e il desiderio che noi ci proponevamo) che quella stabilità di natura che le attribuivamo non è che fittizia, non è che una comodità del linguaggio.2
1 Georges Didi-Huberman, sostanzialmente, tace su Proust in L’image survivante. Histoire de l’art et temps des fantômes selon Aby Warburg, Paris, Minuit, 2002 (come anche in Ninfa moderna. Essai sur le drapé tombé, Paris, Gallimard, 2002). La linea Proust-Warburg non è, in generale, indagata, forse perché ciò comporta una nuova focalizzazione su Ruskin e una totale rivalutazione della sua opera critica (che Warburg liquidava, insieme a quella di Pater, come puro esercizio estetizzante). 2 La Prisonnière (d’ora in poi P, vol. V, édition de Pierre-Edmond Robert) p. 57: «Et, en elles-mêmes, qu’étaient Albertine et Andrée? Pour le savoir, il faudrait vous immobiliser, ne plus vivre dans cette attente perpétuelle de vous où vous passez
50 Madreparola
Il tono innologico ed epifanico è evidente: ô jeunes filles, ô rayon suc-
cessif dans le tourbillon où nous palpitons de vous voir reparaître… Come
evidente è l’intreccio inestricabile di desiderio e tentativo di conoscenza: “tentativo”, appunto, e sempre frustrato, cioè inappagabile, perché tale è il “lavoro” della poesia. C’è senz’altro, poi, qualcosa di “orgiastico”, di “dio- nisiaco”, in questa esperienza: ta orgia sono, per un verso, le azioni cultuali misteriche, e per l’altro, nel cortocircuito con l’accezione moderna, evo- cano l’eccitazione “oceanica”, corporea e psichica, individuale-collettiva, che si sprigiona nella declinazione erotica del sacro. L’enfasi ironica del dettato proustiano, infine – altrettanto evidente anch’essa – non ci nascon- de che la modernità è l’epoca della nevrosi più di quanto lo sia del sacro… riconoscere in un’allegra banda di fanciulle l’apparizione di divine presen- ze che fanno delirare e assediano l’immaginazione sembrerebbe piuttosto “una fantasia isterica”;3 eppure, i fantasmi del delirio – come riconosceva
in primis il Freud del Perturbante –4 recano con sé esigenze e memorie
primarie della psiche umana.5
toujours autres; il faudrait ne plus vous aimer, pour vous fixer, ne plus connaître votre interminable et toujours déconcertante arrivée, ô jeunes filles, ô rayon suc- cessif dans le tourbillon où nous palpitons de vous voir reparaître en ne vous re- connaissant qu’à peine, dans la vitesse vertigineuse de la lumière. Cette vitesse, nous l’ignorerions peut-être et tout nous semblerait immobile si un attrait sexuel ne nous faisait courir vers vous, gouttes d’or toujours dissemblables et qui dépassent toujours notre attente! À chaque fois, une jeune fille ressemble si peu à ce qu’elle était la fois précédente (mettant en pièces dès que nous l’apercevons le souvenir que nous avions gardé et le désir que nous nous proposions), que la stabilité de nature que nous lui prêtons n’est que fictive et pour la commodité du langage».
3 Come è noto, non possiamo sapere se ci sia o no lettura diretta di Freud da parte di Proust. Che, tuttavia, Proust non solo avesse notizia di Freud, ma ne conoscesse in termini generali le teorie è altamente possibile (visti, oltrettutto, gli interessi del padre Adrien per le nuove scienze psicologiche e i suoi rapporti con Charcot). Con- cordo con la posizione di Mario Lavagetto al proposito, cfr. Quel Marcel, pp. 11-21. 4 Sigmund Freud, Il perturbante [1919], trad. it. di Cesare Musatti, in Id., Opere,
Torino, Bollati-Boringhieri, vol. 9, 1977, pp. 81-122.
5 Talora invece, nella scrittura proustiana, prevalgono l’ironia e l’ossessività, come in questa celebre descrizione delle telefoniste, les Demoiselles du téléphone, in veste di antiche Parche o orfiche Muse – si tratta della rêverie di Marcel sulle telefoniste che dovrebbero passargli, all’apparecchio della stazione di posta di Doncières, l’amatissima nonna, in collegamento da Parigi, Du côté des Guerman- tes (vol. III, préface de Thierry Laget, édition de Thierry Laget et Brian G. Rogers, d’ora in poi CG), pp. 126-127: «Nous n’avons, pour que ce miracle s’accomplisse, qu’à approcher nos lèvres de la planchette magique et à appeler – quelquefois un peu trop longtemps, je le veux bien – les Vierges Vigilantes dont nous entendons chaque jour la voix sans jamais connaître le visage, et qui sont nos Anges gardiens
Inno alle Muse 51
Quello con la Musa è un contatto sconcertante.
Ci hanno detto che una bella fanciulla è tenera, amorosa, piena dei più deli- cati sentimenti. La nostra immaginazione ci crede sulla parola, e quando per la prima volta, sotto l’aureola crespa dei suoi capelli biondi, ci appare il disco rosa del suo viso, noi temiamo che questa sorella troppo virtuosa ci raffreddi con la sua virtù e che non potrà essere mai l’amante che abbiamo desiderato. Ma al- meno, quante confidenze non le facciamo, da subito, per fede in quella nobiltà di cuore! Quanti progetti concordati insieme! Eppure, qualche giorno dopo, ci rammarichiamo di esserci tanto confidati, perché la fanciulla rosa che abbiamo incontrata, ci rivolge, la seconda volta, dei discorsi da furia lubrìca. E nelle fac- ce successive che, dopo la pulsazione di qualche giorno, quella luce rosea, da noi intercettata, ci presenta, non è nemmeno da escludere che un movimentum, esteriore a queste fanciulle, abbia modificato il loro aspetto – e proprio questo poteva essere successo alle mie fanciulle di Balbec.6
Il tono è numinoso: Marcel ci parla di una “luce intercettata”, di un volto-disco a varie facce (quasi si trattasse di un astro, di un pianeta…), di crespe aureole di biondi capelli, di pulsazioni temporali, e poi di furie-de- moni che compaiono in luogo degli ovali angelici. Veri e propri fenomeni numinosi, che incutono anche un certo timore, una paura, un’inquietudine disturbante. Ma la parola chiave è costituita da quella frustata improvvisa della lingua: movimentum, che include il momentum. C’è un movimento dello spazio, del tempo, delle cose, intorno alle fanciulle, un movimento
dans les ténèbres vertigineuses dont elles surveillent jalousement les portes; les Toutes-Puissantes par qui les absents surgissent à notre côté, sans qu’il soit permis de les apercevoir: les Danaïdes de l’invisible qui sans cesse vident, remplissent, se transmettent les urnes des sons; les ironiques Furies qui, au moment que nous mur- murions une confidence à une amie, avec l’espoir que personne ne nous entendait, nous crient cruellement: “J’écoute”; les servantes toujours irritées du Mystère, les ombrageuses prêtresses de l’Invisible, les Demoiselles du téléphone!».
6 P, p. 57: «On nous a dit qu’une belle jeune fille est tendre, aimante, pleine des sentiments les plus délicats. Notre imagination le croit sur parole, et quand nous apparaît pour la première fois, sous la ceinture crespelée de ses cheveux blonds, le disque de sa figure rose, nous craignons presque que cette trop vertueuse soeur nous refroidisse par sa vertu même, ne puisse jamais être pour nous l’amante que nous avons souhaitée. Du moins, que de confidences nous lui faisons dès la première heure, sur la foi de cette noblesse de coeur! que de projets convenus en- semble! Mais quelques jours après, nous regrettons de nous être tant confiés, car la rose jeune fille rencontrée nous tient, la seconde fois, les propos d’une lubrique furie. Dans les faces successives qu’après une pulsation de quelques jours nous présente la rose lumière interceptée, il n’est même pas certain qu’un movimentum, extérieur à ces jeunes filles, n’ait pas modifié leur aspect, et cela avait pu arriver pour mes jeunes filles de Balbec».
52 Madreparola
che ne muta l’essere: le giovani non sono solo ciò che sono, bensì qualcosa di più vasto e di più grande. È forse la mutabilità stessa della natura, della vita, del desiderio a parlare attraverso di loro, con loro? Nelle jeunes filles Marcel scopre che ogni stabilité de nature […] n’est que fictive et pour la
commodité du langage. La lingua del verisimile non riflette una “realtà”
se non apparentemente. La ricerca della trasformazione, che è insieme av- ventura del pensiero e odissea della memoria, è piuttosto il cammino della lingua poetica: un cammino che prende il nome femminile e plurale di “musa”, “baccante” e… “ninfa”:7
I geografi, gli archeologi ci conducono sull’isola di Calipso, e riesumano il palazzo di Minosse. E ora Calipso non è che una donna, Minosse un re senza niente di divino […]. E così si era dissipata tutta la cara mitologia oceanica che avevo composto i primi giorni. Ma non è affatto indifferente che ci accada almeno talvolta di passare del tempo in familiarità con ciò che avevamo cre- duto inaccessibile e che avevamo desiderato. […] Nelle relazioni che io avevo avuto con Albertine e le sue amiche, il piacere vero che sta alla loro origine lascia quel tipo di profumo che nessun artificio può dare ai frutti maturati a forza, all’uva non maturata al sole. Le creature sovrannaturali che esse erano
state per me un istante, mettevano ancora del meraviglioso, anche a mia insa-
puta, nei rapporti più banali che io avevo con loro, o piuttosto preservavano questi rapporti dall’aver mai qualche cosa di banale. Il mio desiderio aveva cercato con tanta avidità il significato degli occhi che ora mi conoscevano e mi sorridevano, ma che, il primo giorno, avevano incrociato il mio sguardo come
raggi di un altro universo; il mio desiderio aveva distribuito così ampiamente e
minuziosamente il colore e il profumo sulle superfici carnee di quelle fanciulle, stese sulla falesia, mentre mi porgevano semplicemente dei sandwiches o gio- cavano agli indovinelli, che spesso, il pomeriggio, mentre ero sdraiato, come
7 La ninfa: ancora un’ossessione warburgiana; e una presenza perturbante secon- do il Freud lettore della Gradiva di Jensen. Non abbiamo qui lo spazio per segnalare adeguatamente la folta presenza, nella Recherche, di fanciulle-ninfe ispirate al modello botticelliano (via Pater-Ruskin), tra cui, innanzitutto, l’O- dette-Sefora di Du côté de chez Swann (Swann riconosce la bellissima Odette nell’immagine di Sefora, ritratta nell’affresco botticelliano intitolato alle figlie di Jetro, appartenente al ciclo dedicato, nella Sistina, alla vita di Mosé). Sulla presenza della ninfa nella letteratura occidentale dal Fedro platonico a Lolita, rimando a Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi, Milano, Adelphi, 2001, pp. 35-38 (da leggere con La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005 e con le Ninfe di Giorgio Agamben, Torino, Boringhieri, 2007). Per un’anatomia della ninfa come figura dell’indeterminato che inquieta le rappresentazioni del- la conoscenza, rimando a Patrizia Pinotti, Ninfe, ninfette, bambole e bambine. Declinazioni del queer da Charles Dickens ad Angela Carter, in Inquietudini queer. Desiderio Performance Scrittura, a c. di Saveria Chemotti e Davide Su- sanetti, Padova, Il Poligrafo, 2012, pp. 173-207.
Inno alle Muse 53
quei pittori che, cercando la grandezza dell’antico nella vita moderna, donano a una donna che si taglia l’unghia di un piede la nobiltà di un “Cavaspine” o che, come Rubens, trasformano in dee donne di loro conoscenza per comporre una scena mitologica, quei bei corpi bruni e biondi, di tipi così diversi, io li guardavo, sparsi intorno a me sull’erba, senza svuotarli, forse, di tutto il me- diocre contenuto di cui li aveva riempiti l’esistenza giornaliera, e tuttavia come se, senza ricordarmi espressamente della loro origine celeste, stessi giocando, come Ercole o Telemaco, in mezzo alle ninfe.8
8 JF, pp. 509-510: «Les géographes, les archéologues nous conduisent bien dans l’île de Calypso, exhument bien le palais de Minos. Seulement Calypso n’est plus qu’u- ne femme, Minos qu’un roi sans rien de divin. […] Ainsi s’était dissipée toute la gracieuse mythologie océanique que j’avais composée les premiers jours. Mais il n’est pas tout à fait indifférent qu’il nous arrive au moins quelquefois de passer notre temps dans la familiarité de ce que nous avons cru inaccessible et que nous avons désiré […]. Dans des relations comme celles que j’avais avec Albertine et ses amies, le plaisir vrai qui est à leur origine laisse ce parfum qu’aucun artifice ne parvient à donner aux fruits forcés, aux raisins qui n’ont pas mûri au soleil. Les créatures surnaturelles qu’elles avaient été un instant pour moi mettaient encore, même à mon insu, quelque merveilleux, dans les rapports les plus banals que j’avais avec elles, ou plutôt préservaient ces rapports d’avoir jamais rien de banal. Mon désir avait cherché avec tant d’avidité la signification des yeux qui maintenant me connaissa- ient et me souriaient, mais qui, le premier jour, avaient croisé mes regards comme des rayons d’un autre univers, il avait distribué si largement et si minutieusement la couleur et le parfum sur les surfaces carnées de ces jeunes filles qui, étendues sur la falaise, me tendaient simplement des sandwiches ou jouaient aux devinettes, que souvent dans l’après-midi, pendant que j’étais allongé, comme ces peintres qui cherchant la grandeur de l’antique dans la vie moderne donnent à une femme qui se coupe un ongle de pied la noblesse du “Tireur d’épine” ou qui comme Rubens, font des déesses avec des femmes de leur connaissance pour composer une scène mythologique, ces beaux corps bruns et blonds, de types si opposés, répandus au- tour de moi dans l’herbe, je les regardais sans les vider peut-être de tout le médiocre contenu dont l’existence journalière les avait remplis, et pourtant sans me rappeler expressément leur céleste origine, comme si pareil à Hercule ou à Télémaque, j’a- vais été en train de jouer au milieu des nymphes».
8.
MNEMOSYNE
Malte è da tre settimane a Parigi.1 E dice che qualcosa di profondo sta
avvenendo in lui: «Io imparo a vedere».2 Ma non si tratta di nulla che abbia
a che fare, propriamente, con la visione: «tutto penetra in me più profondo e non rimane là dove prima finiva e svaniva» – dice Malte.3 È una questione di
profondità: «Ho un luogo interno (ein Inneres) di cui non sapevo».4
La cosa di cui più di ogni altra Malte e Maman godevano insieme, quando lei veniva nella sua stanza, di pomeriggio, a visitarlo nei giorni di convalescenza dalle sue strane febbri, era ricordare: Maman fingeva, dapprima, di raccontargli favole. Ma era soltanto un modo d’ingannare il tempo finché i due non fossero assolutamente sicuri di essere restati com- pletamente soli. Né lei né il bimbo godevano, infatti, del racconto in sé, del meraviglioso che le fiabe promettevano. Avevano un’altra idea del me- raviglioso.5 Ricordare.
Solo quando eravamo del tutto sicuri di essere rimasti soli, e fuori tramonta- va, poteva accadere che ci abbandonassimo ai ricordi (daß wir uns Erinnerun-
gen hingaben), ai ricordi comuni che ci parevano vecchi e dei quali sorrideva-
mo; poiché entrambi, da allora, eravamo cresciuti. Ci veniva in mente che c’era stato un tempo in cui Maman desiderava (wünschte) che io fossi una fanciullina e non quel ragazzo che adesso ormai ero.6
1 Die Aufzeichnungen, I, p. 4.
2 Ibid. Osservazioni importanti (che piegano in direzione husserliniana) sulla natu- ra di questo “sguardo” sono quelle di Käte Hamburger Die phänomenologische Struktur der Dichtung Rilkes, in Ead., Philosophie der Dichter. Novalis, Schiller, Rilke, Stuttgart, Kohlhammer 1966, pp. 179-268.
3 Ibid. 4 Ibid.
5 Die Aufzeichnungen, I, pp. 143-144.
6 Die Aufzeichnungen, I, p. 144: «Nur wenn wir ganz sicher waren, nicht gestört zu sein, und es dämmerte draußen, konnte es geschehen, daß wir uns Erinnerungen hingaben, gemeinsamen Erinnerungen, die uns beiden alt schienen und über die wir lächelten; denn wir waren beide groß geworden seither. Es fiel uns ein, daß es
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E nel ricordo, come si vede, c’è anche il desiderio. Poiché non si ricorda solo ciò che è accaduto, si ricorda semplicemente anche un pensiero, un’e- mozione… Infatti, che cosa è veramente accaduto nella memoria?7
Ora, a Parigi, Malte, aspirante poeta che non scrive, realizza quell’inse- gnamento materno:
I versi (Verse) non sono, come pensa la gente, sentimenti (Gefühle) […] – sono esperienze (Erfahrungen). Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come volano gli uccelli, bisogna sapere i gesti (Gebärde) con cui si schiudono i fiori al matti- no. Bisogna poter ripensare (zurückdenken) a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lontano, a giorni d’infanzia che non sono ancora stati chiariti […] – e non è ancora abbastanza poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d’amore (man
muß Erinnerungen haben an viele Liebesnächte), nessuna uguale all’altra, di
grida di partorienti, di lievi, bianche, dormienti puerpere (Wöchnerinnen), che si richiudono. Ma anche dai moribondi si deve essere stati, si deve essere rima- sti vicino ai morti nella camera […]. E non è abbastanza nemmeno avere dei ricordi (Und es genügt auch noch nicht, daß man Erinnerungen hat). Si deve poterli dimenticare (man muß sie vergessen können), quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che essi tornino di nuovo (wieder-
kommen). Perché i ricordi, di per se stessi, non sono (dennn die Erinnerungen selbst sind8 es noch nicht). Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e
gesto (Gebärde), senza nome e senza che si possa più scinderli da noi stessi, allora è possibile che in un rarissimo momento, la prima parola di un verso sorga al loro centro e ne esca fuori.9
Malte ha rivissuto e fatto proprio il mandato della madre, e, con lei, di tutte le altre fanciulle e le ispiratrici di poesia incontrate nella sua vita o soltanto accolte nella sua mente, nei suoi desideri, nella sua nostalgia: Ingeborg, Abelone, Bettina, Saffo, la Dame à la licorne… La creazione poetica è Erfahrung, esperienza: letteralmente, un viaggiare della cono- scenza che esperisce le cose durante il suo cammino. E l’esperienza non produce “ricordi”: i ricordi in sé non sono nulla. Produce, piuttosto, un movimento incessante di va-e-vieni delle tracce rimaste nella nostra mente,
eine Zeit gab, wo Maman wünschte, daß ich ein kleines Mädchen wäre und nicht dieser Junge, der ich nun einmal war».
7 Qui sta tutto il tema e il problema del Malte, la sua invenzione delle “favolose” origini nobiliari e del Familienroman che vi è plasmato. Questo Familienroman non è che una metafora della creazione poetica.
8 C.vo dell’autore.
Mnemosyne 57
un’alternanza continua di rimemorazione e di oblìo, in cui ciò che vedem- mo, toccammo, sentimmo, diventa parte di noi, della nostra carne e del nostro pensiero: diventa sangue, sguardo e gesto – dice Malte – una sorta di engramma psico-corporeo.10 Si tratta di un processo lungo, fatto di attese
su attese, di Geduld, di una pazienza che mima la pazienza delle partorienti e delle puerpere:11 la parola del verso nasce qui – perché d’una nascita si
tratta – nasce dentro questo corpo materno di pensieri, in cui si trova la matrice di tutte le storie possibili, dalla ricordanza epica al grido lirico.