• Non ci sono risultati.

2 Tratti generali del Contratto di rete

5.2 L’innovazione nelle ret

Il processo di innovazione è stato tradizionalmente osservato come un processo lineare, che inizia con una scoperta tecnologica, che termina con la creazione di nuovi prodotti e che viene svolto principalmente nelle imprese di grandi dimensioni. Negli anni, con il superamento della fabbrica fordista, il processo innovativo ha via via cambiato fisionomia, smettendo di essere pre- ordinato, cumulativo e di prerogativa di pochi. Questo cambiamento ha permesso l’ingresso di nuovi protagonisti ,tra cui i piccoli imprenditori dell’Italia distrettuale operanti nei settori che, oggi, caratterizzano il made in Italy. Così l’interesse ha cominciato a spostarsi dal centro alla periferia creando una nuova concezione di innovazione inserita in tutti quei sistemi aperti, dotati di buoni processi comunicativi e di condivisione e capaci di far circolare le conoscenze più affidabili in maniera fluida e meno costosa.

In questo modo a cambiare fisionomia sono stati soprattutto quei fattori che, un tempo,

garantivano alle grandi imprese il vantaggio competitivo sulle PMI, cioè i volumi, la tecnologia e la distribuzione, per dare spazio a nuove forme di vantaggi, concentrati sull’innovazione e in grado di attivare risorse e capacità particolari come: velocità di risposta alle esigenze del cliente, personalizzazione dei prodotti, la capacità di accaparrarsi i bisogni di nicchie trascurate o

anticipare le tendenze di mercato. Grazie a queste nuove modalità di operare si sono fatte spazio le PMI, che per potersi imporre nel mercato hanno capito di doversi inserire in un più ampio circuito di condivisione e integrazione di conoscenza ed innovazione. Tutto ciò ha avuto inizio “a partire dagli anni 90 quando si è cominciato a guardare alla scelta di localizzazione di nuove

47

imprese in funzione dell’accesso che un contesto locale fornisce a fonti di informazione e di conoscenza”57

. È così che sono state poste le basi per un nuovo modello di localizzazione dell’innovazione capace di creare delle esternalità positive al territorio.

Questa relazione diretta tra localizzazione ed innovazione si basa sulla logica dei network e permette di individuare:

1) quelle posizioni che possono facilitare, all’interno di una struttura a rete, l’adozione e la diffusione dell’innovazione. Ad esempio, dal momento che i soggetti aventi una

posizione centrale nella rete sono gli stessi che riportano più propensione nell’adottare processi di innovazione, è quasi scontato che i soggetti che hanno intenzione di inserirsi nel network vadano ad istaurare delle collaborazioni con i soggetti posti in posizione centrale;

2) la velocità con cui si diffonde un’ innovazione correlandola al potere posseduto dagli attori. Gli studi compiuti a riguardo, hanno preso posizioni contrastanti: da una parte ci sono autori come Burkart e Brass che sostengono che le imprese aventi una posizione di potere più marcata sono le prime ad impiegare i processi di innovazione. Questo

vantaggio, a sua volta, garantisce un rafforzamento della loro posizione all’interno del network. Di contro c’è chi sostiene che i processi di innovazione partano dagli attori periferici perché il ruolo di pionieri dell’innovazione gli permetterebbe di rafforzare le loro posizioni marginali e di creare una posizione relazionale più forte;

3) quali siano i percorsi intrapresi dal processo di diffusione delle innovazioni, in

particolare si vuole verificare se tale diffusione avviene con maggiore facilità tra imprese collocate in un’area fisicamente vicina o se l’elemento fondamentale è il grado di

coesione tra di esse, a prescindere dalla vicinanza fisica. In origine, la letteratura sui cluster, si limitava a sostenere che l’innovazione è facilitata tra imprese collocate nella stessa area, ma questa osservazione non ha sempre trovato conferma nei fatti. Infatti alcuni autori hanno sottolineato che ciò che ha maggior peso non è tanto una vicinanza fisica, quanto una vicinanza sociale. Questo tipo di vicinanza, infatti, permetterebbe di attivare azioni di imitazione delle scelte degli operatori che reputano più vicini

socialmente, dunque con una certa equivalenza strutturale 58.

Questo ci fa capire che un’impresa che può essere definita innovativa non si appoggia solo su stessa, ma sfrutta sempre le opportunità ed i vantaggi che offrono la filiera, il territorio e le persone. Questi sono fondamentali per il processo innovativo, perché aiutano la piccola impresa a presidiare da vicino il processo innovativo e le nuove idee, ma soprattutto conferiscono sia la flessibilità con cui un’impresa recepisce la domanda sia la creatività con cui riesce a giocare d’anticipo sfruttando il valore dell’innovazione d’uso. Proprio per questo motivo, quando si affronta il tema

dell’innovazione, la figura dell’innovatoreva sempre analizzata all’interno di uno specifico sistema che influenza il risultato finale o la formazione dell’innovazione stessa, ma che è, a sua volta, il frutto di una precedente innovazione, che nel tempo si è andata assestando.

57

C. Boari, A. Lipparini “Networks within industrial districts: organising knowledge creation and trasfer by means of moderate hierarchies”, in “Journal of Managment and Governance” n. 3, 1999

48

Altro fattore determinante nell’analisi che unisce reti ed innovazione, è il concetto di intelligenza distribuita. Questa viene acuita nelle reti grazie soprattutto ai fenomeni di globalizzazione e smaterializzazione, la prima consente l’allungamento delle reti che diffondono conoscenza, la seconda, invece, favorisce la rapidità dei trasferimenti. Entrambi i fenomeni consentono ad un’idea, nata in “periferia” di diffondersi con una certa rapidità anche in parti lontane, di trovare un mercato più ampio ed infine di produrre valore (inteso come il frutto di significati, esperienze, servizi e conoscenza). In questo modo “da un lato le singole imprese, le piccole unità produttive e i territori periferici possono accedere alla conoscenza sociale più facilmente di un tempo e con costi assai più limitati, d’altra parte, essi possono riuscire a vendere quello che sanno fare su scala molto più estesa di una volta”59

. Questa evoluzione apre la strada a nuovi business, nuovi scenari e crea nuovi protagonisti come

 Comunità professionali;

 Reti di piccola e piccolissima impresa;

 Circuiti di open innovation ( imprese private, centri di ricerca, università ed istituzioni pubbliche);

 Comunità di consumatori;

 Il social networking.

Questi raggruppamenti sono importanti, non solo per i motivi appena delineati, ma anche perché vengono identificati come dei bacini verso cui indirizzare i fondi europei per l’innovazione e lo sviluppo, al fine di migliorarne la competitività sul fronte internazionale. Le amministrazioni, infatti, hanno capito la lungimiranza nell’impegnarsi a sostenere le politiche dei cluster e lo stanno facendo cercando di puntare sulla qualità dei beni e dei servizi in grado di sostenere le infrastrutture di rete; sugli strumenti adeguati ad ottimizzare gli interventi e gli strumenti già in essere nel sistema di offerta, supportando la domanda di innovazione con una buona analisi di target e bisogni e infine, su attività di regolamentazioni più agevoli.

Nel nostro paese, abbiamo assistito ad una buona accelerazione delle politiche pubbliche a favore dell’innovazione. Numerosi sono stati gli interventi come il FAR (Fondo per Agevolazione e Ricerca), il FIT ( Fondo rotativo per l’Innovazione Tecnologica) e il PNR (Programma Nazionale per la Ricerca), che include una serie di azioni innovative volte a sostenere e accompagnare la transizione del sistema Paese verso l’economia della conoscenza come ad esempio i distretti tecnologici o i poli di innovazione. Nonostante questa vivacità istituzionale, permangono ancora delle criticità.

In primis va sottolineato che alla base di queste criticità vi è un’offerta di ricerca e innovazione pubblica, ancora troppo frammentata che necessita forme di coordinamento degli strumenti e delle modalità d’azione, tra gli attori presenti sul territorio, nazionale e regionale. Questo problema però è giustificato dal fatto che la domanda di servizi di innovazione e ricerca, è ancora piuttosto limitata. Un’ altra criticità è ascrivibile ad un rapporto troppo rigido tra imprese e centri di ricerca e

innovazione, infatti le uniche relazioni che essi instaurano sono di natura sporadica e troppo spesso mirate esclusivamente al perseguimento di finanziamenti agevolati. Questo problema, in particolare,

59

G. Cappiello, S. Galbiati “ Rinforzare la rete. Imprese e istituzioni nel tempo dell’innovazione e della discontinuità”, Società Editrice il Mulino.

49

allontana qualsiasi volontà di sviluppare centri stabili di eccellenza capaci di coniugare vantaggiosamente le competenze e le risorse sia organizzative sia finanziarie attraverso le collaborazioni territoriali. Ovviamente tra i problemi non possono mancare i limiti ed i vincoli derivanti da regole e procedimenti burocratici. Questi, infatti, finiscono per danneggiare i territori aventi maggiori carenze come sistemi produttivi, molto spesso arretrati tecnologicamente e privi di relazioni stabili tra imprese e centri di innovazione e ricerca.

Evidenziate queste criticità, “ sembra obbligata la scelta di definire cluster omogenei di imprese per orientare le policies e gli interventi, soprattutto in risposta ad un’elevata presenza di piccolissime realtà aziendali che spesso non hanno eguale propensione all’innovazione e significativi e continui scambi collaborativi con organismi tecnico – scientifici, soprattutto per ragioni riconducibili all’operare spesso in settori tradizionali con basse prospettive di crescita”60

.