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Insider trading e appropriazione di corporate opportunities: il trattamento sanzionatorio.

1. Il trattamento sanzionatorio.

Entrambe le figure esaminate, ossia quelle di insider trading e corporate opportunities, risultano sottoposte ad un particolare trattamento sanzionatorio delineato dal nostro ordinamento. In particolare, le sanzioni relative all‟insider trading risultano, ad oggi, disciplinate nell‟ambito del tuf; mentre con riferimento alle corporate opportunities occorre guardare al codice civile.

1.1. Il trattamento sanzionatorio dell‟insider trading nella legge. 157/1991.

Il trattamento sanzionatorio dell‟insider, offerto dalla l. 157/1991, appariva particolarmente blando, soprattutto se confrontato alla severità raggiunta già all‟epoca dall‟ordinamento statunitense. In questa prospettiva, l‟art. 2, comma 5, prevedeva che, laddove fossero violati i divieti imposti dalla presente legge, si applicasse “la reclusione fino ad un anno” e “la multa da lire dieci a lire trecento milioni”. Si autorizzava, però, il giudice ad “aumentare la multa fino al triplo”, nell‟ipotesi in cui, “per la rilevante gravità del fatto”, la sanzione, “anche se applicata al massimo”, potesse ritenersi inadeguata. Le sanzioni vennero, per di più, raddoppiate in particolari ipotesi contemplate ai commi 3 e 7 del suddetto articolo.

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1.2. Il trattamento sanzionatorio dell‟insider trading nel TUF.

Il quadro sanzionatorio delineato dalla legge del ‟91 venne, tuttavia, a modificarsi a seguito dell‟intervento del tuf, nel 1998 (d.lgs. 58/‟98). La nuova norma cardine del nuovo sistema era l‟art. 180, che, nel suo primo comma, disponeva: “E’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 10.329 a euro 309.874 chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero all’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazioni medesime; b) senza giustificato motivo dà comunicazione delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di talune delle operazioni indicate nella lettera a)”. La condotta qui sanzionata si riferiva ad operazioni compiute dall‟insider “avvalendosi” dell‟informazione privilegiata, esplicitandosi, in questo modo, la necessità di un effettivo sfruttamento della notizia ai fini della configurazione del reato. Tale previsione, seppur maggiormente aderente al principio di offensività, creava un aggravamento dell‟onere probatorio a carico dell‟accusa, che sarebbe stato evitabile con l‟esplicitazione di una presunzione relativa di utilizzazione dell‟informazione,

ritenuta implicita dalla dottrina nel testo normativo abrogato. Nel quadro previgente della L. 157/‟91, peraltro, le condotte di

tipping e tuyautage, ricomprese qui alla lettera b), venivano punite a titolo di dolo generico: ciò espose l‟insider a responsabilità penale, a prescindere dall‟effettivo compimento delle operazioni da parte del destinatario della “soffiata” o del “consiglio”. Tale circostanza sembrava fondare la ratio della punibilità della lesione del vincolo fiduciario realizzata dall‟insider a discapito della società di appartenenza.

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Il comma successivo, invece, introducendo una delle maggiori novità relativa alla responsabilità dell‟insider secondario, stabiliva che “con la stessa pena” fosse, inoltre, “punito chiunque, avendo ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dai soggetti indicati nel comma 1”, avesse compiuto “taluno dei

fatti descritti nella lettera a) del medesimo comma”. Con riferimento alla sola lettera a) del primo comma, la

responsabilità dei tippees veniva circoscritta alle sole ipotesi di sua negoziazione sui titoli interessati, escludendola, invece, per l‟eventuale tipping ad opera dell‟insider secondario. Il richiamo alla lettera a) permetteva, poi, di colmare la lacuna creata dalla disciplina anteriore, la quale non contemplava, esplicitamente, la

punibilità di chi avesse ricevuto l‟informazione dai soci stessi. A seguito della riforma, scomparve ogni riferimento alla

consapevolezza del tippee del carattere riservato della notizia, inciso, comunque, superfluo visto il carattere doloso dell‟illecito che comportava la necessità che ogni singolo elemento della fattispecie fosse sorretto dal dolo326. Rimaneva, però, la rilevanza dell‟aver ottenuto l‟informazione, tanto direttamente, quanto indirettamente dall‟insider, il che imponeva che il divieto operasse anche a carico di chi avesse ricevuto la notizia accidentalmente ovvero all‟insaputa dell‟insider. Altri ritennero addirittura che un tale riferimento inibisse dal negoziare i cc.dd. second generation tippees, ma il punto era controverso327.

326

Sul punto, vedi, NAPOLEONI, Insider trading: i pallori del sistema repressivo.

Una ipotesi di lavoro, in Cass. pen., 2001, pag. 2241; e, al contrario, RUGGIERO, Insider trading: modello europeo e statunitense a confronto, in Dir. Pra. Soc., 2005,

pag. 11.

327

Vedi, qui, SGUBBI-FONDAROLI-TRIPODI, Diritto penale del mercato

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Dunque, all‟esito dell‟introduzione del tuf, le sanzioni, rispetto al sistema creato dalla l. 157/1991, vennero raddoppiate, da una detenzione fino a 2 anni alla multa fino a 309.874 euro; ma continuavano ad apparire poco incisive, stante il più severo trattamento sanzionatorio riservato all‟insider trading nei principali ordinamenti stranieri, primo tra tutti quello statunitense. Rimase, però, il riferimento all‟aumento facoltativo della multa fino al triplo, previsto nella disciplina previgente, estendendo, così, il novero delle circostanze considerabili oltre la “rilevante offensività (gravità nella norma abrogata) del fatto” alle “qualità personali del colpevole” ed all‟”entità del profitto”, attirando, comunque, le consuete critiche di intederminatezza della dottrina penalistica328. Peraltro, in una prospettiva di un più efficace ruolo di deterrenza era da apprezzarsi329 l‟introduzione di una speciale ipotesi di confisca all‟art. 180, comma 5, ai sensi del quale “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell‟art. 444 c.p.p.” risultava “sempre ordinata la confisca dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato, e dei beni che ne costituiscono il profitto, salvo che essi non appartengano a persona estranea al reato”. Un ulteriore sforzo verso la deterrenza venne rappresentato dalla previsione, all‟art. 182 tuf, di tutta una serie di pene accessorie da comminarsi a chi fosse stato condannato per i reati di abuso di informazione privilegiata o di aggiotaggio su strumenti finanziari.

328

Sul punto, il riferimento è a SEMINARA, La tutela penale del mercato

finanziario, in PEDRAZZI-ALESSANDRI-FONFANI-SEMINARA-SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna 2000, pp. 514 e 633.

329

Vedi, in questo caso, NAPOLEONI, Insider trading: i pallori del sistema

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L‟elenco di tali pene ricomprendeva: interdizione dai pubblici uffici (art. 82 c.p), interdizione da una professione o da un‟arte (art. 30 c.p.), interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32-bis c.p.), incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione (art 32-ter), per una durata non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni, oltre alla pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani, di cui uno economico a diffusione nazionale.

1.3.La riforma della L. n. 62/2005 e l‟introduzione delle sanzioni amministrative.

Le cose cambiarono a seguito del recepimento della Direttiva 2003/6/CE, avvenuto in conseguenza dell‟emanazione della legge 18 Aprile 2005, n. 62. In particolare, l‟art. 39 di tale provvedimento ha consentito che le sanzioni, previste dalla Parte V, Titolo I-bis, Capo II in tema di abusi di mercato, fossero raddoppiate. In questo senso, l‟art. 184 prevede che sia punito “con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 20.000 a 30.000 euro chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell‟emittente, della partecipazione al capitale dell‟emittente, ovvero dell‟esercizio di un‟attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:

a) Acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) Comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale

esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell‟ufficio;

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c) Raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lett. a)”.

Le condotte qui tipizzate sono essenzialmente di tre tipi:

1) Il primo comportamento vietato riguarda l‟acquisto o la vendita di strumenti finanziari, oppure, ancora, il compimento di operazioni su detti strumenti, avvalendosi, in ciò, di informazioni privilegiate. Risultano, quindi, destinatari di un tale divieto tutti i soggetti che siano in possesso di un‟informazione privilegiata, in funzione del ruolo ricoperto nella società, dell‟attività, della funzione svolta oppure della partecipazione al capitale di una società (come ad esempio gli amministratori, i dirigenti, i sindaci e i revisori di una società). 2) La seconda condotta vietata consiste, invece, nel divieto di

comunicare a terzi informazioni privilegiate, a meno che la comunicazione non avvenga nel “normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio”. In questa prospettiva, la tutela non sembra, dunque, limitarsi all‟utilizzo improprio dell‟informazione, ma anche alla semplice comunicazione a terzi della stessa330;

3) La terza condotta vietata consiste nel raccomandare o indurre terzi a compiere talune delle operazioni indicate. In questo senso, affinché possa trovare applicazione la sanzione prevista, sembra essere sufficiente che l‟effettuazione di una tale operazione abusiva venga consigliata.

Di seguito, vengono rispettivamente disciplinate le ipotesi di “manipolazione del mercato” (art.185), “pene accessorie” (art.186) e “confisca” (art. 187), cercando di dare un quadro più completo all‟applicabilità delle sanzioni penali.

330

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Tuttavia, possiamo già rilevare come il nostro sistema repressivo mostri indubbie difficoltà nel sanzionare l‟insider trading, soprattutto laddove tale condotta assuma rilevanza penale. Quindi, solo un‟efficace ed efficiente attività di prevenzione del fenomeno

potrà contribuire alla risoluzione del problema331. In realtà, l‟elemento sicuramente più innovativo della riforma

riguarda l‟introduzione di sanzioni amministrative, che si affiancano a quelle penali, previste in merito agli illeciti di abuso di mercato. La loro introduzione fu, peraltro, frutto di una scelta obbligata, data dalla Direttiva 2003/6/CE, art. 14, in cui si stabilì che anche le sanzioni avrebbero dovuto essere “efficaci, proporzionate e dissuasive”, configurando come facoltà degli Stati

membri l‟applicazione (anche) di sanzioni penali. L‟Italia, sul piano amministrativo, introdusse una serie di sanzioni

amministrative all‟art. 187-bis. Tali sanzioni, ad oggi, vanno da euro ventimila a tre milioni e trovano applicazione in tutte le ipotesi di abuso informativo di cui all‟art. 184. Tuttavia, a differenza di quelle in cui è prevista sanzione penale, quelle rilevanti su un piano amministrativo contemplano anche l‟ipotesi dell‟abuso commesso da chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compia taluno dei fatti qui vietati. In questa peculiare categoria, rientrano, in particolare, gli insider secondari; ma, in generale, tutti coloro che, sulla base di un giudizio basato su canoni di diligenza, individuino il carattere privilegiato delle informazioni.

Chiaramente, il rilievo della condotta di insider trading anche su un piano amministrativo ha prodotto, come già visto, un ulteriore

331

E‟ dubbio, infatti, se la violazione dei divieti previsti dalla disciplina in tema di

insider trading possa comportare anche obblighi di natura risarcitoria nei confronti

degli investitori che abbiano subito danni in dipendenza del non fisiologico andamento del mercato. sul punto, si veda una sentenza del Trib. Milano, 14 Febbraio 2004 (in Foro it. 2004, I, c. 1581, con nota di G. CARRIERO).

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rafforzamento dei poteri della Consob, che si vede, ad oggi, riconoscere il potere di irrogare sanzioni amministrative.

2. Il trattamento sanzionatorio in tema di corporate opportunities.

In tema di corporate opportunities, l‟illecito tipizzato dal legislatore assume esclusivamente rilievo su un piano civile e non penale: rispetto ad una tale condotta non trovano, quindi, applicazione sanzioni penali. Osservazioni sicuramente più interessanti possono farsi una volta osservata la sussistenza di un collegamento tra la sottrazione di opportunità di affari e la sua destinazione all‟esercizio di un‟attività concorrenziale. Da ciò deriva il fatto che tale comportamento illecito assuma una connotazione “double face”332

: ovvero, se guardata su un piano interno dei rapporti tra amministratore e società, quella condotta potrebbe luogo ad un tipo illecito gestorio; mentre, se esaminata dall‟esterno, configurerebbe, invece, un illecito concorrenziale, fungendo da elemento perturbatore delle regole di sana e corretta competizione imprenditoriale333. In questa prospettiva, non dovrebbe, dunque, risultare difficile intuire come “una siffatta doppia connotazione dell‟illecito di cui si discute consent(a) di cumulare il corrispondente trattamento sanzionatorio334”: da un lato, la condotta appropriativa potrà essere sanzionata con i rimedi tradizionali previsti dalla lex societatis e, dall‟altro, con quelli caratteristici del diritto di concorrenza. Ciononostante, anche con riferimento ad una tale condotta, così come visto in merito

332

Sul punto, vedi MAZZONI, Le minoranze nella tipologia della realtà, in La

tutela delle minoranze nelle società quotate. Scritti in memoria di Alessandro Cerrai, a cura di Piras, Pisa, 2005, pag. 14.

333

In merito, del resto, l‟appropriazione di opportunità sociali presenta evidenti profili di contatto con talune fattispecie di concorrenza sleale e, segnatamente, con quelle che – come la sottrazione dei segreti aziendali – rappresentano ipotesi di lesione alla funzione imprenditoriale di ricerca-sviluppo (così si esprime GHIDINI,

Dalla concorrenza sleale, in Commentario SCHLESINGER, artt. 2598-2601,

Milano, 1991, pp. 343 e ss.

334

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all‟insider trading, si possono individuare criteri di quantificazione del danno che consentano una tutela più soddisfacente per il soggetto leso dalla sottrazione indebita dell‟opportunità di affari, ovvero la società335

. Sembra, per di più, possibile ricorrere alla tutela inibitoria, così da munire il precetto di una tutela, per così dire, reale336.

335

E‟ infatti noto che, in materia concorrenziale, la piena tutela del danneggiato imponga di valutare se questi sia o meno intitolato ad agire per la riversione degli utili derivanti dall‟illecito: e ciò non tanto perché, nel caso concreto, potrebbero mancare i presupposti per l‟esercizio dell‟azione di responsabilità, quanto piuttosto perché risulta assai frequente che il danno risarcibile risulti inferiore al profitto e/o all‟arricchimento realizzato dal suo autore. Infatti, secondo parte della dottrina (TELLEY, WEISSER ed altri), la risposta a tale esigenza sarebbe offerta o, comunque, dovrebbe provenire dal ricorso a rimedi di tipo restitutorio. CASTRONOVO, La violazione della proprietà intellettuale come lesione del potere

di disposizioni. Dal danno all’arricchimento, in Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti. Proprietà intellettuale e concorrenza, I, Milano, 2004, pp.359 e

ss, sostiene invece che tali rimedi siano ritenuti, solitamente, esperibili con riguardo alla violazione dei diritti di privativa. Risulta, quindi, assai più probabile la possibilità di una loro applicazione in materia di concorrenza sleale, attesa la difficoltà ad inquadrare tale disciplina secondo gli schemi di diritto proprietario (vedi, qui, SPADA, Parte generale, in AA.VV., Diritto industriale. Proprietà

industriale e concorrenza, Torino, 2005, pag. 10). 336

L‟applicabilità del rimedio inibitorio alla fattispecie in esame pare, comunque, dubbia ove di segua l‟opinione di quanti asseriscano il carattere eccezionale dello stesso, escludendo, quindi, che possa operare in mancanza di un‟apposita previsione di legge (Vedi, qui, SANTINI, Concorrenza sleale e impresa, in Riv. Dir. Civ., 1959, I, pp. 137 e ss; SCOGNAMIGLIO, Illecito, in Noviss. Digesto it., VIII, Torino, 1962, pag. 169.

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Considerazioni finali

Dall‟analisi svolta emergono talune differenze tra i meccanismi di tutela accordati in merito all‟insider trading e quelli relativi alle corporate opportunities. Innanzitutto, “nella letteratura straniera che si è occupata di questi temi, le condotte opportunistiche degli amministratori di società sono solitamente suddivise in due gruppi337”. Nell‟ambito del primo gruppo, vi rientrano l’insider trading e, in particolare, l’appropriazione di opportunità sociali, genericamente definite come di “approfittamento” (misappropriation). In questi casi, l‟infedeltà, mostrata dall‟amministratore verso la società, non transita per la realizzazione di un negozio, ma deriva direttamente dall‟utilizzazione della carica ricoperta per l‟ottenimento di un indebito profitto o, comunque, di un vantaggio improprio338. Tali condotte si differenzierebbero dal secondo gruppo di condotte self-dealing339, dato che la transazione cui l‟amministratore risulta interessato non intercorre con la società, bensì con un terzo340. In questo secondo gruppo di ipotesi si richiama a quelle situazioni di conflitto tra società ed amministratore, nelle quali vi sarebbe, peraltro, il rischio che la prima possa essere indotta ad accettare condizioni svantaggiose o, comunque, meno favorevoli di quelle che avrebbe potuto ottenere operando sul mercato341. La fattispecie delle corporate opportunies mantiene anche dei particolari rapporti con quella che vieta all‟amministratore di svolgere attività in concorrenza con la propria società. “Detta fattispecie”, seppur rientrante anch‟essa nelle

337

Sul punto vedi BARACHINI, L’appropriazione delle corporate opportunities

come fattispecie di infedeltà degli amministratori di s.p.a., ne “Il nuovo diritto delle società”, Vol. II, Liber amicorum di Gian Franco Campobasso, cit., Milano, 1992,

pag . 613.

338

In merito, vedi HERTIG e KANDA, Related Party Transaction, in AA. VV., The

Anathomy of Corporate Law. A Comparative and Functional Approach, Oxford,

2004, pag. 102.

340

Sul punto, WEISSER, Corporate Opportunities. Zum Schutz der

Geschaftschancen des Uternehmens in deutschen und im US-amerikanischen Recht,

Koln-Berlin-Bonn-Muchen, 1991, pag. 24.

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tradizionali ipotesi di infedeltà, “non si presta ad essere inquadrata né nell’una, né nell’altra delle categorie di condotte sopra menzionate342”. Ciò è dovuto al fatto che la figura dell‟appropriazione di opportunità sociali sottointenda un illecito di pericolo: dunque, il Legislatore sembra spinto ad anticipare la soglia di “punibilità”: non mira, quindi, a sanzionare i comportamenti opportunistici degli amministratori, ma intende prevenire, in un‟ottica inibitoria, la loro verificazione. In una prospettiva differente muove la tutela dell‟insider trading, soprattutto se considerate le differenze tra l‟ordinamento italiano e quello statunitense. Negli Stati Uniti la prima regolamentazione in materia risale, addirittura, agli anni ‟30; mentre in Italia si intervenne, con un “preoccupante ritardo” di più di sessant‟anni, nel 1991. La differenza di tempistiche puo‟ essere, parzialmente, spiegata con il lento sviluppo che ha avuto nel nostro paese il mercato finanziario, una lentezza che affonda le sue radici proprio nella diversa gerarchia tra fonti che caratterizza i sistemi di common law rispetto a quelli di civil law. Nel diritto statunitense, in assenza di norme specifiche in grado di regolamentare le problematiche relative all‟esperienza concreta, si è, infatti, attribuito un ruolo determinante alla giurisprudenza, che, oltre ad offrire soluzioni, ha anche cercato di definire, in via interpretativa, gli ambiti applicativi delle norme, rendendo più rapido il percorso di regolamentazione del fenomeno. In questa prospettiva, non si è mai registrata alcuna definizione legale di insider trading e non si è mai precisato cosa si dovesse intendere con la nozione di informazione privilegiata, che venne, invece, elaborata

dalla giurisprudenza attraverso il requisito della materiality343. Questa non conformità nei rapporti tra le fonti del diritto relative ai

due sistemi ha, quindi, determinato l‟adozione di tecniche normative

342

Vedi, nuovamente, BARACHINI (nt. 5), pag. 621, cit.

343

Vedi, in merito, TSC Industries, Inc. vs. Northway, Inc., 426 U.S. 438 (1976), pag. 449.

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differenti: l‟intera disciplina repressiva nordamericana si è, infatti, basata su un‟unica norma, altamente elastica e flessibile: la rule 10(b)- 5. Tale disposizione si è mostrata adatta a reprimere, in via generale, le frodi avvenute nelle negoziazioni di strumenti finanziari e a stabilire, in sede giurisprudenziale, il divieto di insider trading ed individuare le condotte vietate. Al contrario, il percorso normativo italiano risulta fondato su di un‟intensa attività definitoria, sia con riferimento all‟individuazione delle condotte vietate, in ossequio al principio generale della riserva di legge in materia penale, sia in merito al concetto stesso di informazione privilegiata (ex art. 181 TUF). Tuttavia, nel tentativo di conferire maggior determinatezza all‟elemento dell‟idoneità ad influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari, risulta “curioso” il riferimento al parametro dell‟investitore ragionevole (reasonable investor), criterio derivato dalla giurisprudenza d‟oltreoceano che continua a mettere in crisi l‟interprete di civil law, poco avvezzo, almeno in materia penale, ad utilizzare clausole generali, molto più consone all‟esperienza giuridica anglosassone. Il legislatore italiano ha dovuto, peraltro, ricorrere ad alcune definizioni, dotandole di una sempre maggiore duttilità, di modo da ricomprendere, nelle proprie previsioni, ogni possibile forma di abuso di mercato, data la molteplicità di condotte riconducibili al concetto di insider trading. Emblematico puo‟ essere il meccanismo di individuazione dell‟ambito soggettivo dei divieti, per i quali è stata

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