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Gli abusi di mercato tra manipolazione e ristoro

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione………...pag. 5.

Capitolo 1

Gli abusi di mercato tra insider trading e appropriazione

di corporate opportunities

1. Gli abusi di mercato ……….pag. 12. 1.1. L‟insider trading nel diritto statunitense ………..pag. 13. 1.2. L’insider trading nel diritto italiano ……….pag. 17. 2. Il divieto da insider trading nel contesto americano: dal Federal

Securities Law all‟analisi della rule 10(b)-5………....pag. 19. 2.1. La teoria fiduciaria elaborata dai casi “Chiarella” e

“Dirks”………pag.27.

2.2. La tender offer e la rule

14(e)-3.……….pag. 32. 2.3.La nascita e lo sviluppo della “Misappropriation

Theory”.………pag. 35. 2.4.Gli interventi del Legislatore statunitense negli anni

ottanta………..pag. 39. 2.5.Il caso O’Hagan………. pag. 43. 3. La responsabilità da insider trading nel diritto italiano….. pag. 48. 3.1.Il fenomeno dell‟insider trading nell‟ambito del TUF...pag. 53. 3.2.Le modifiche della direttiva in materia di market abuse ………pag. 56. 3.3. L‟intervento della legge n. 62/2005 e le modifiche della MiFID2………...pag. 58. 4. Differenze tra l‟esperienza statunitense e quella italiana in tema di insider trading……….pag. 63. 5. L‟appropriazione di corporate opportunities come forma di abuso

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5.1.Il concetto di “opportunità”………pag. 69. 5.2. I criteri da utilizzare per attribuire valore “sociale” all‟”opportunità”………pag. 70. 5.3. Possibili eccezioni al divieto di appropriazione di opportunità

sociali……….pag. 74. 5.4.Segue. Il consenso della società come “scriminante” e le

problematiche ad esso connesse……….pag. 76. 6. Differenze tra insider trading e corporate opportunities….pag. 80.

Capitolo 2

I profili civilistici di tutela dell’insider trading.

1. La tutela civile dell‟insider trading………pag. 81. 2. Il diritto statunitense: i danni cagionati dall‟insider…...pag. 81. 2.1.Le azioni civili promosse dalla SEC……….pag. 86. 2.1.1. Injunction………..pag. 86. 2.1.2. Disgorgement………...pag. 88. 2.1.3. Civil monetary penalties………...pag. 89. 2.1.4. Officier and director bars……….pag. 91. 2.2.Il ruolo della società emittente……….pag. 93. 2.3.Le azioni civili proponibili dagli investitori……...pag. 96.

2.3.1. L‟implied right of action per la violazione della rule 10(b)-5……….pag. 96. 2.3.2. Gli effetti della teoria fiduciaria sull‟implied right

of action………..pag. 101. 2.4. L‟elaborazione della section 20A………..pag. 103. 2.5. Considerazioni finali circa il ruolo della responsabilità

civile da insider trading nel sistema

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3. I profili civilistici di tutela dell‟insider trading nel diritto italiano……….pag.107. 3.1. Gli interessi privatistici coinvolti nell‟insider

trading………pag. 107. 3.1.1. La Consob come parte civile nel processo penale

per abuso di informazioni privilegiate……pag. 108. 3.1.2. I danni subiti dall‟emittente………pag. 123. 3.2. Gli investitori danneggiati……….pag. 128. 3.2.1. I rimedi contrattuali………pag. 128.

3.2.2. La responsabilità aquiliana

dell‟insider……….pag.132. 3.3. Il caso SCI……….pag. 138. 3.4. L‟ipotesi dell‟arricchimento senza giusta

causa………...pag. 144. 3.5. L‟insufficienza dei rimedi civilistici……….pag. 147. 3.6. La svolta giurisprudenziale e dottrinale relativa al nesso di

causalità………..pag. 148. 3.7. L‟individuazione dei soggetti danneggiati………pag. 156. 3.8. L‟insider di se stesso……….pag. 157.

Capitolo 3

Insider trading e appropriazione di corporate

opportunities: il trattamento sanzionatorio.

1. Il trattamento sanzionatorio………..pag. 165.

1.1. Il trattamento sanzionatorio dell‟insider trading nella legge 157/1991………...pag. 165. 1.2. Il trattamento sanzionatorio dell‟insider trading nel

tuf………...pag. 166. 1.3. La riforma della L. n. 62/2005 e l‟introduzione delle

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2. Il trattamento sanzionatorio in tema di corporate opportunities……….pag. 172.

Considerazioni finali………pag. 174.

Bibliografia………...pag. 181.

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Introduzione

L‟obiettivo del presente elaborato è quello di esaminare le varie forme di tutela contro gli abusi che si possono realizzare nei mercati finanziari. In questo senso, sarà dedicato ampio spazio all‟analisi dell‟insider trading e alla configurabilità, in capo all‟insider stesso, della responsabilità civile; nonché ad ipotesi limitrofe, come quella dell‟appropriazione di corporate opportunities. La suddetta tematica verrà affrontata alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali e dottrinali, relativi sia al principale sistema di Common Law, quello statunitense, che al sistema italiano ed europeo. Se, però, la disciplina in tema di insider trading ruota attorno al concetto di informazione privilegiata; quella in tema di appropriazione di corporate opportunities, introdotta dal divieto previsto all‟art. 2391, comma ult., c.c., rimane ancorata al differente concetto di “opportunità”, declinato dalla dottrina in diversi modi. Il fenomeno dell‟insider trading risulta, peraltro, legato ad una delle più importanti funzioni dei mercati finanziari moderni, la funzione di liquidità dei mercati: con questo termine, generalmente, si fa riferimento alla possibilità di smobilizzare, in qualsiasi momento, le quote di un‟azienda o società, trasformandole in denaro contante. Il giudizio di liquidità viene dunque “collegato alla possibilità che tale smobilitazione avvenga sulla base di un giudizio qualitativo che possa dirsi equo1”. Tale giudizio non dipende, quindi, solo dalla quantità di informazioni che la società emittente offra all‟investitore, ma anche, e soprattutto, dalla qualità delle stesse: tanto più l‟informazione resa dall‟emittente risulterà precisa, tanto più “semplice” sarà per l‟investitore formarsi un giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria della società emittente, nonché sul valore dei titoli da quest‟ultima emessi.

1

G. Carriero, Informazione, mercato e buona fede: il cosiddetto insider trading, pag. 2.

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Pare dunque intuibile come, al fine di garantire il buon funzionamento del mercato, assuma rilievo una divulgazione continuativa dell’informazione2

. Per di più, “l’esperienza comparatistica evidenzia chiaramente il ruolo di rilievo che gli stessi ambienti economici interessati (…) possono svolgere essenzialmente in due direzioni: da una parte, attraverso un attento controllo dei corsi dei titoli (…); dall’altra parte, attraverso un’attività repressiva degli episodi illeciti riscontrati3”.

Per questo, il procedimento per verificare la correttezza di informazioni già diffuse, oppure per ricercare notizie in grado di smentire o confermarne di precedenti, non puo' essere lasciato alla discrezionalità degli emittenti, che, altrimenti, potrebbero ritardare la diffusione di informazioni positive, potendone sfruttare il possesso anticipato oppure non diffondere informazioni negative relative al titolo o allo strumento finanziario compravenduto, al fine di trarne da ciò profitto. Tale condotta, se realizzata dalle società emittenti, rischierebbe, infatti, di minare, già dalle sue fondamenta, l‟intero sistema creato, in Italia, dal TUF (Testo Unico sull‟Intermediazione finanziaria, d.lgs. n. 58/1998) e, negli Stati Uniti, dai diversi interventi

giurisprudenziali, dottrinali e normativi in materia. In ragione di questo, e soprattutto per l‟incremento del numero delle

transazioni economiche che avvengono sui mercati, il Legislatore italiano ha, più volte, evidenziato la necessità di creare un sistema normativo che possa innalzare il livello di trasparenza presente sul mercato4. Infatti, per creare una forma di mercato prossima alla “perfezione”, occorre garantire un'omogeneità informativa sia in merito agli strumenti finanziari scambiati sul mercato che al loro

2

Secondo LOJODICE, Voce informazione, “l’informazione è il potere (…), la

libertà della sua acquisizione, da parte dei suoi cittadini, significa libertà di apprensione di partecipazione al potere”.

3

Sul punto, si veda A.BARTALENA, L’abuso di informazioni privilegiate, ne Il

diritto della banca e della borsa (studi e dibattiti), Milano, Giuffrè, 1989, pag. 80. 4

Una tale volontà, come vedremo, è stata espressa sia in sede nazionale ed europea, che nell‟ordinamento americano.

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7

corrispettivo valore. Tale esigenza di omogeneità informativa pare, però, “vacillare”, e addirittura venir meno, di fronte alle due principali forme di abuso di mercato oggi presenti:

a) l'abuso di informazione privilegiata, come ipotesi tale da realizzare condotte illecite di insider trading;

b) l'abuso relativo alla “manipolazione del mercato” (c.d. “market manipulation”).

In questa sede, verranno, però, esaminate esclusivamente ipotesi di insider trading, o, comunque, fattispecie ad esso vicine (quali l‟appropriazione di corporate opportunities), avendo riguardo, nello specifico, al problema della responsabilità civile che sorge in capo all'insider. In questa prospettiva, il concetto di insider trading, strettamente legato a quello di informazione privilegiata, rappresenta una delle diverse pratiche di market abuse: consta, infatti, nello “sfruttamento di informazioni non ancora divulgate per il compimento di operazioni speculative su titoli quotati5”. Mediante tale attività, taluni soggetti, venendo, in virtù della loro professione o del loro particolare rapporto con l'emittente, a conoscenza di informazioni privilegiate, danno luogo alla compravendita di titoli (trading) della società stessa (anche per interposta persona), sfruttando le informazioni in loro possesso prima che le stesse vengano rese pubbliche. In questo modo, beneficiano di un vantaggio informativo rispetto all'investitore. In altri contesti, come quello americano, l‟abuso dell‟insider potrebbe verificarsi anche attraverso la comunicazione di tali informazioni ad un terzo soggetto, denominato tippee, che se ne avvantaggia nello svolgimento della propria attività di investimento.

5

Sul punto, vedi A. BARTALENA, L’abuso di informazioni privilegiate, ne Il

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Al contrario, con la previsione del divieto di appropriazione di corporate opportunities, il Legislatore “mira a sanzionare una specifica condotta “opportunistica” dell‟amministratore di s.p.a. (…) mediante la quale costui tragga vantaggio dall‟utilizzazione – per contro “proprio o di terzi” – di “dati, notizie o opportunità di affari”

appressi nell‟”esercizio del suo incarico6”. Queste due condotte verranno esaminate nel primo capitolo, dedicato

a “L‟abuso di mercato tra insider trading e appropriazione di corporate opportunities”, dove si guarderà sia il diritto “nostrano” che al diritto nordamericano. In realtà, ogni eventuale tentativo definitorio dell‟illecito di insider trading si rileva poco “soddisfacente”, considerata la molteplicità di condotte illecite che possano realizzarsi tramite lo sfruttamento abusivo di informazioni privilegiate. Questo risulta condizionato anche dal fatto che il legislatore americano si astenga dal fornire una definizione legislativa di insider trading7. Questa scelta dipende da una particolare tecnica normativa che, da un lato, vorrebbe evitare formalistiche elusioni dei divieti imposti dalla normativa in tema di insider trading; dall‟altro, pone, invece, alcune inevitabili questioni interpretative ed applicative che si ripercuotono sia sull‟ampiezza della risposta sanzionatoria e repressiva della fattispecie penale, che sull‟individuazione degli interessi pregiudicati dall‟insider. Questi due elementi sembrano essere, infatti, assai rilevanti per la valutazione dello scopo primario dell‟intera disciplina in tema di insider trading, sulla base del quale si vorrebbero scongiurare eventuali inefficienze a cui tale fenomeno potrebbe dare luogo. In questo senso, non stupisce che sia propria un sistema come quello americano ad occuparsi di un simile problema, considerando anche che parte della dottrina statunitense, già a partire dagli anni

6

F. BARACHINI, ne “Il nuovo diritto delle società”, Vol. II, Liber amicorum di

Gian Franco Campobasso, pag. 605. 7

Tale scelta, ripetuta, negli anni, in molti provvedimenti in materia, rimane coerente con una disciplina che mostra un‟ ampia flessibilità.

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venti del secolo scorso, avvertì la necessità di creare una “disciplina della trasparenza”, così da tutelare al meglio gli interessi degli investitori e da accrescere la loro fiducia nei confronti del mercato finanziario8. Tale scelta fu determinata dal vuoto di tutela creato

dall‟inadeguatezza degli strumenti offerti dal diritto anglosassone. Ad un tale vuoto di tutela venne, però, posto rimedio a seguito del

necessario intervento del legislatore, con cui si cercò ridurre la “dilagante sfiducia” degli investitori americani, maturata a seguito della Grande Crisi del ’29. In quell‟occasione, il Presidente Roosvelt emanò, infatti, il Securities Act del 1933 ed il Securities Exchange Act del 1934. Tali provvedimenti non fornivano alcuna definizione del fenomeno in parola (carenza, peraltro, comune a tutti gli interventi del Congresso americano succedutisi nel tempo); dall‟altro, non indicavano neppure strumenti adeguati alla repressione di questo peculiare illecito. Ecco perché le norme relative a questi due provvedimenti, in considerazione della loro eccessiva severità e rigidità applicativa, non risulteranno immediatamente applicabili. In verità, solo una sola norma di tipo regolamentare inserita nell‟ambito della Securities and Exchange Commision consentì quantomeno di inibire ex ante i comportamenti illeciti e scorretti dell‟insider; mentre, per il resto, l‟andamento normativo parve incapace di agire contro il fenomeno in parola. Dunque, la norma cardine in tema di insider trading rimane, ancora oggi, la rule 10(b)-5, anche perché, in ragione della sua flessibilità ed indeterminatezza, risultava in grado di regolare svariate fattispecie concrete, assai differenti tra di loro. Questo ha, per di più, permesso di sintetizzare tale rule in un brocardo di origine giurisprudenziale, il c.d. disclose or abstain duty, secondo cui l’insider dovrebbe rivelare le informazioni che possiede oppure astenersi dal farlo.

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BERKLE, Publicity of Accounts and Director Purchases of Stock, in

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La SEC e le Corti federali tentarono, però, più volte, di espandere il campo applicativo della rule 10(b)-5. Tali tentativi di ampliamento vennero, negli anni ottanta, a scontrarsi prepotentemente con il pensiero della Corte Suprema, che elaborò la c.d. teoria fiduciaria9, secondo la quale si consentì una rigida applicazione dei principi di common law e si restrinse l‟ambito di applicazione della rule 10(b)-5. Lo sviluppo della teoria fiduciaria determinò, comunque, una forte reazione della dottrina, della SEC e delle stesse Corti inferiori, che volevano evitare che si arrivasse ad una sostanziale liberalizzazione del fenomeno. In quel contesto, la SEC elaborò, come vedremo, la c.d. Misappropriation theory.

Quanto appena accennato circa la storia dell‟istituto nel sistema americano costituisce un sicuro ed interessante esempio10 della capacità del sistema americano di rinnovarsi, superando le diverse e nuove sfide che l‟evoluzione sociale del proprio Paese riesca a proporgli. Il primo capitolo analizzerà anche la disciplina italiana relativa alle due condotte esaminate. L‟analisi normativa italiana, sicuramente più recente ed ispirata alla normativa europea, prenderà le mosse dal d.lgs. 28 Febbraio 1998, n.58 ed, in particolare, dall‟art. 181 dedicato al divieto di insider trading e dal concetto di informazione privilegiata (ex art. 181). Viceversa, l‟analisi delle corporate opportunities prenderà le mosse dall‟art. 2391 c.c.. e dall‟analisi della nozione di “opportunità” intesa come “valore sociale” appartenente alla società. Il secondo capitolo, intitolato “I profili civilistici di tutela dell’insider trading”, si occuperà, invece, del tema della responsabilità civile e della tutela apprestata a favore dell‟investitore e di altri soggetti lesi laddove si realizzi un‟ipotesi di insider trading.

9

La teoria fiduciaria, come noto, venne affermata con vigore nell‟ambito del noto

caso Chiarella. 10

In merito, Vedi LOSS, Supplement of Securities Regulation, Boston-Toronto, 1986, pag. 144. Egli parla addirittura di un esempio drammatico.

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Tale capitolo, dedicato al tema centrale dell‟elaborato, guarderà, in un‟ottica comparatistica, sia all‟ordinamento italiano che a quello nordamericano. Infine, una volta valutati gli aspetti civilistici, il terzo ed ultimo capitolo verrà dedicato a “Insider trading e appropriazione di corporate opportunities: il trattamento sanzionatorio”, così da avere un quadro completo che permetta di evidenziare non solo le differenze di impostazione tra civil law e common law nella repressione dell‟insider trading, ma anche quelle di natura meramente sanzionatoria intercorrenti tra quest‟ultima condotta e quella dell‟appropriazione di corporate opportunities.

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CAPITOLO 1

Gli abusi di mercato tra insider trading e appropriazione

di corporate opportunieties.

1. Gli abusi di mercato.

All‟interno dei mercati finanziari, esistono due principali forme di abuso di mercato in grado di creare disomogeneità informativa tra chi compie l‟attività abusiva e chi, invece, la subisce:

La prima riguarda l‟abuso di informazioni privilegiate, ovvero la fattispecie dell‟insider trading;

L‟altra riguarda, invece, la manipolazione di mercato.

In merito alla prima ipotesi, ci si riferisce ad all‟attività di quei soggetti, che, in ragione della loro professione o del loro peculiare rapporto con l‟emittente, vengano a conoscenza di informazioni privilegiate prima che le stesse siano rese pubbliche e diano luogo alla compravendita di titoli della società stessa, sfruttando a proprio vantaggio il possesso anticipato di tali informazioni. L‟intenzione dell‟insider nel realizzare una tale condotta rimane dunque quella di sfruttare abusivamente il possesso anticipato di tali informazioni, così da trarne un qualche vantaggio. Le ragioni che portarono, sia il sistema italiano che quello statunitense, a pensare ad un divieto di insider trading risultano essere grossomodo le stesse: entrambi gli ordinamenti, vietando una tale condotta, vorrebbero evitare il verificarsi di inefficienze all‟interno del mercato.

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Le ipotesi di manipolazione del mercato si riferiscono, invece, “ad un insieme di comportamenti (…) che si sostanziano e determinano una perturbazione nelle condizioni di fisiologico funzionamento del mercato mobiliare11”. Da questo punto di vista, infatti, le varie condotte manipolative hanno come tratto comune l‟utilizzo distorto dei meccanismi di funzionamento del mercato.

1.1. L‟insider trading nel diritto statunitense.

Il divieto di insider trading, sebbene introdotto per evitare, sia in Italia che negli Stati Uniti, il verificarsi di inefficienze, risulta declinato in maniera diversa dai due ordinamenti. Nell‟ordinamento americano, infatti, almeno inizialmente, si registrò la mancanza di obblighi di disclosure nei rapporti commerciali, ovvero di obblighi che imponessero a chi ne fosse in possesso di rilevare informazioni essenziali relative a talune operazioni di mercato. Una tale mancanza venne percepita già nel 1817, anno in cui la Supreme Court statunitense, per tramite del Chief Justice J. Marshall, intervenne con riferimento al caso Laidlaw vs Organ12. In quel frangente, Marshall dichiarò l‟insussistenza di un dovere, in capo alle parti di un contratto, di rilevare informazioni di propria esclusiva conoscenza, anche se

capaci di influire sulle condizioni economiche dello stesso. Sulla scorta di quanto da lui affermato, le ipotesi di truffa

venivano perseguite attraverso due istituti: fraud e misrepresentation. In primo luogo, la fraud, quale istituto, rimaneva più simile alle nostre ipotesi di frode; mentre la misrepresentation consisteva in una dichiarazione non rispondente a verità, resa da una delle parti del contratto per indurre l‟altra a

11

ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, pag. 450.

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Laidlaw vs Organ 15 U.S. 178 (1817). Nell‟occasione ci si occupò, infatti, di un convenuto che, nell‟acquistare grandi quantità di tabacco, aveva taciuto al venditore l‟avvenuta stipulazione del trattato Ghent tra Stati Uniti e Inghilterra, di cui era, invece, a conoscenza la propria controparte.

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sottoscriverlo. Se la falsa dichiarazione risultava non intenzionale e, dunque, non dolosa, nel sistema americano trovava applicazione la rescission, ovvero l‟annullamento extragiudiziale retroattivo, tipico dei sistemi di common law; mentre, se quella stessa dichiarazione assumeva carattere doloso, costituiva un tort, ossia un illecito extracontrattuale, sanzionabile non solo con la rescission, ma anche con la condanna al risarcimento danni (c.d. fraudolent misrepresentation). Tuttavia, per riuscire ad equiparare questa condotta al silenzio del contraente, era necessario individuare in capo allo stesso un obbligo di dichiarazione, sussistente solo se tra le parti del contratto fosse intercorso un rapporto di natura fiduciaria. In quell‟iniziale contesto storico, il sistema statunitense, infatti, non prevedeva nessun divieto di negoziare sui titoli della società a carico degli amministratori, dirigenti o azionisti di controllo, laddove questi ultimi risultassero in possesso informazioni inside. Per questo, fu necessario ricondurre le diverse ipotesi di insider trading nelle figure comuni di frode previste nell‟ordinamento. Per compiere una tale operazione si dovette, però, individuare in capo agli insider alcuni obblighi di natura fiduciaria, da cui potesse discendere un dovere di rivelare le informazioni privilegiate in loro possesso. Sulla scia di questa serie di passaggi, si andò da un orientamento maggioritario, detto majority rule, che ammetteva la configurazione di un rapporto fiduciario solo tra dirigenti e società, escludendo, dunque, che una tal sorta di rapporto potesse intercorrere tra i soci, ad un diverso orientamento, detto minority rule13, che considerava gli insiders come dei trustees degli azionisti ed imponeva loro degli obblighi di disclosure anche nelle negoziazioni con quegli stessi soggetti.

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Un tale orientamento ebbe a consolidarsi con una serie di interventi delle corti statali; prima tra tutte la Corte Suprema della Georgia, con riferimento al caso Oliver

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Questo contrasto giurisprudenziale venne finalmente risolto qualche anno più tardi, nel 1909, anno in cui si registrò un ulteriore e fondamentale intervento della Corte Suprema, resosi necessario a causa delle sempre crescente diffusione delle corporation, come forma societaria che sostituì il vecchio modello della partnership, utilizzato anche per le imprese di piccole dimensioni. In questa direzione, a seguito del continuo proliferare di società per azioni, si accentuarono le problematiche, allora marginali, connesse all‟insider trading e ciò rese indispensabile individuare una regola comune. Infatti, alla luce della diatriba giurisprudenziale sopra indicata, emerse, nell‟ambito della Supreme Court, un indirizzo intermedio rappresentato dal caso Strong vs. Repide14, che dette luogo alla teoria dei cc.dd. special facts. In questa occasione, la Corte Suprema, da un lato, ribadì quanto affermato dalla majority rule, per cui, come detto, non sussisteva alcun rapporto fiduciario tra amministratori e soci; mentre, dall‟altro, ritenne che nelle contrattazioni con i soci gli obblighi di comunicare informazioni rilevanti potessero ricadere, al verificarsi di peculiari circostanze (dette special facts), anche in capo al management. Si trattava, però, di comprendere, per tramite dell‟attività giurisprudenziale successiva, quali fossero questi special facts da cui discendeva l‟obbligo di disclosure in capo agli amministratori. In particolare, si arrivò a ricomprendere nella categoria degli special facts ogni e qualsivoglia fatto o circostanza che potesse essere in grado di influire sul valore dei titoli, conosciuto dagli officers, ma sconosciuto agli azionisti e non accertabile mediante la mera consultazione dei libri sociali15.

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Strong vs Repide, 213 U.S.419 (1909).

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La teoria degli special facts, pur avendo avuto il pregio di apprestare tutela agli interessi degli azionisti nei loro rapporti diretti con gli amministratori, si mostrò comunque poco adatta regolare gli scambi borsistici che avvenivano attraverso intermediari professionali, non gravati da obblighi di disclosure intercorrenti tra parti non identificate. Per questo, prese corpo, in dottrina16, l‟idea che, per una repressione maggiormente efficace del fenomeno, fosse necessario creare una disciplina legislativa tale da garantire una certa trasparenza nel mercato finanziario e, per raggiungere un tale obiettivo, sarebbe stato opportuno dunque prevedere una serie di obblighi di divulgazione di dati necessari, così da valutare correttamente le operazioni economico-finanziere della società stessa. Chiaramente, una tale preoccupazione, avvertita, sebbene con altri connotati, anche nel sistema italiano, portò ad una sempre maggior espansione delle cc.dd. società ad azionariato diffuso, o anche dette pubblic corporation. L‟accrescimento, in numero e dimensioni, di queste società portò ad un aumento considerevole delle possibilità di abuso dell‟informazione ad opera del management. Tali innumerevoli “allarmi”, emersi già prima nell‟ambito della dottrina più attenta, si vennero poco dopo a concretizzare nel 1929, dove, a causa della catastrofica crisi di Wall Street, si dette luogo ad una serie di operazioni di investimento di natura speculativa, che, in quanto compiute dal management, lo portarono in una chiara posizione di vantaggio su un piano informativo. In quell‟occasione, alquanto drammatica su un piano economico-finanziario, fu chiaro che “la vera soluzione del problema consiste(va) non nel porre proibizioni a carico degli amministratori, ma nello stabilire delle regole che obblighino la società alla completa divulgazione di tutti gli elementi che possano fare variare la valutazione sul mercato delle

16

Vedi, sul punto, BERKLE, Publicity of Accounts and Director Purchases of

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sue azioni17”. Tali sollecitazioni trovarono, infine, accoglimento nell‟attività legislativa intrapresa e promossa, negli anni trenta, da Roosvelt, attraverso il New Deal, con cui dette luogo alla redazione di un articolato percorso normativo e legislativo, articolato in due provvedimenti: il Securities Act (1933) ed il Securities Exchange Act (1934). Nel complesso, sebbene le norme contenute nei due provvedimenti non sembrerebbero prendere in considerazione direttamente il fenomeno dell‟insider trading, tra le righe del testo è possibile cogliere l‟implicita illiceità di tale condotta, tanto è vero che, nei suddetti provvedimenti, troviamo contenuta la rule 10(b)-5, che prevede il dovere di disclouse or abstain.

1.2. L‟insider trading nel diritto italiano

Se la normativa statunitense in tema di insider trading prende le mosse dalla sfortunata crisi del 1929 e trova sviluppo e concretizzazione nella disciplina offerta dai provvedimenti sopra citati, tale fenomeno nel diritto italiano risulta, invece, inizialmente ignorato e dimenticato fino a quando non si ritiene necessario od opportuno dotarsi di una disciplina regolatrice dell‟abuso di informazioni privilegiate18

. Si procede, dunque, all‟emanazione della legge 17 Maggio 1991, n. 157, rubricata “Norme relative all’uso di informazioni riservate nelle operazioni in valori mobiliari e alla Commissione nazionale per le società e la borsa”, con cui si diede attuazione alla Direttiva 89/592/CEE. Tale legge, così come tante altre che agiscono per limitare un tale fenomeno, risulta largamente influenzata dal diritto comunitario, che, oltre a svolgere un ruolo fondamentale nell‟introduzione di

17

BERKLE- MEANS, The Modern Corporation and Private Property, New York, 1932, tr. It. Società per azioni e proprietà privata, Torino, 1966.

18

Vedi, qui, A.BARTALENA, L’abuso di informazioni privilegiate, Milano, Giuffrè, 1989, pag. 4.

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18

una disciplina specifica in tema di insider trading, ne influenza fortemente lo sviluppo, rendendo così necessario nuovi ed ulteriori interventi normativi in materia. Per questo, il riferimento alle norme di diritto comunitario pare, nell‟ambito della nostra disciplina nazionale, costante e ficcante.

Preso atto di ciò, occorre, in questa sede, evidenziare alcuni passaggi relativi alla presente legge. Il primo tra questi riguarda la severità con la quale il Legislatore intese, con la presente legge, perseguire l‟abuso informativo: il suddetto fenomeno venne, infatti, punito con la previsione di un reato, di stampo delittuoso, previsto sia per i reati di insider trading classici, che per le ipotesi di tipping. In questo modo, anche se il disposto comunitario non obbligava ad una tale radicale repressione e lasciava, difatti, ai singoli stati la possibilità di scegliere le sanzioni più adatte al caso concreto (ex art. 13 della Direttiva 89/592/CEE19), si finì per assoggettare alle medesime sanzioni tanto gli insiders primari quanto quelli secondari. Il reato di insider trading, disciplinato all‟art. 2 della legge n. 157/1991, venne, peraltro, esteso non solo ai soggetti attivi dello stesso, ma anche agli insiders primari (istituzionali o temporanei) e a quelli secondari. Ciononostante, lasciava perplessi il mancato riferimento ai tippees dei soci, ossia a coloro che avessero ottenuto l‟informazione rilevante da chi ne

disponesse in virtù della partecipazione al capitale della società. Alla luce dei pregi e dei molti difetti della presente legge, c‟è,

comunque da evidenziare, fin d‟ora, l‟incompatibilità della stessa rispetto ai principi generali dell‟ordinamento penale, aspetto evidenziato all‟unanimità dalla dottrina che si occupò dell‟argomento, nonché dalla scarsa applicazione di tale legge.

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All‟art. 13 della Direttiva 89/592/CEE, infatti, si prevedeva che, sebbene la previsione di tali sanzioni dovesse essere affidata ai singoli stati, tali sanzioni non avrebbero dovuto essere necessariamente penalistiche, ma “sufficientemente

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Fu ciò che, come sappiamo, rese necessario un riordino dell‟intera disciplina in materia di insider trading, portando all‟introduzione del “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”, ossia del d.lgs. n.58/1998, che abrogò completamente la precedente disciplina. Di seguito, la disciplina resa dal TUF subì alcune modifiche legislative. Tra le più rilevanti, in questo senso, si segnalano:

 La legge n. 62/2005, con la quale si recepì la Direttiva sui “market abuse” (Direttiva 2003/6/CE);

 Le Direttive MiFID2 (direttiva 2014/65/UE), entrate in vigore il 3 Gennaio 2018.

2. Il divieto da insider trading nel contesto americano: dal Federal Securities Law all‟analisi della rule 10(b)-5.

A seguito dell‟intervento di Roosvelt vennero adottati, come detto, due provvedimenti, il Securities Act del 1933 ed il Securities Exchange Act del 1934, e per mezzo di questi ultimi si introdusse, per la prima volta, un regime di informazione societaria obbligatoria volto a creare un sistema di tutela efficace per gli investitori stessi ed i lori interessi. Un tale sistema di tutela, peraltro, trovava il proprio strumento chiave nella disclosure delle informazioni. In particolare, il primo dei due provvedimenti venne elaborato per controllare i titoli e regolare le offerte di valori mobiliari, ovvero i cc.dd. Securities, da parte degli issuers, ossia delle società emittenti, per le quali si prevedeva l‟obbligo di registrare presso la SEC ogni titolo scambiato ed approntare un prospetto informativo il cui contenuto fosse stabilito dalla legge. Il successivo intervento normativo del 1934 forniva, invece, una disciplina relativa agli scambi di prodotti finanziari tra gli investitori, per tramite degli

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intermediari, così da regolamentare le dinamiche del mercato mobiliare verso una tutela sempre più efficace degli investitori. Tuttavia, le norme contenute in questi provvedimenti, pur non prendendo in considerazione il fenomeno insider trading, lasciavano trapelare la sua illiceità. Questo risultava facilmente rinvenibile dalla complessiva struttura dei due provvedimenti. Infatti, il Securities Act proponeva una norma, inserita nella section 17(a), volta a reprimere le frodi compiute nella vendita mobiliare. La section 17(a), data l‟applicabilità a queste sole circostanze, venne, comunque, considerata inadatta a reprimere a pieno l‟insider trading. Maggiormente penetrante, invece, risultava essere il Securities Exchange Act, dove, nell‟ambito della sec. 16, si prevedeva l‟obbligo, a carico dei soci che detenessero, anche indirettamente, il 10% del capitale sociale, degli amministratori e funzionari che possedessero azioni della società in qualunque misura, di rendere pubblica ogni operazione relativa alle azioni possedute, per tramite di un‟iscrizione in un apposito registro tenuto presso la SEC. Si precisava, inoltre, che gli eventuali profitti derivanti dalla compravendita dei titoli della corporation, se posti in essere lungo un periodo di sei mesi, dovessero considerarsi di pieno diritto appartenenti alla società. Così facendo, il rischio era, però, quello di configurare, in capo alla società stessa, un diritto d‟azione, esercitabile anche da parte di un qualsiasi azionista che avesse agito in nome e per conto della

società stessa per il recupero dei cc.dd. short-swing profits. Tale disposizione, data la sua particolarmente severità, risultava

comunque applicabile, anche a prescindere da ogni e qualsivoglia valutazione sia circa la buona fede di chi avesse compiuto condotte di insider trading che circa l‟esistenza stessa di un‟informazione riservata.

(21)

21

L‟intera disposizione si basava, invece, sulla presunzione assoluta di illiceità di quelle negoziazioni effettuate dall‟insider sui titoli

della propria società nel breve periodo considerato. L‟apparente efficacia di una tale norma risultava, comunque,

compromessa dalla sua eccessiva rigidità: sarebbe, infatti, stata facilmente raggirabile laddove l‟attività illecita fosse stata compiuta una volta che siano trascorsi i sei mesi previsti. Ciononostante, l‟intenzione di fondo del legislatore sembrava essere quella di voler ripristinare e rinvigorire la fiducia degli

investitori, venuta sempre più meno a seguito della crisi del ‟29. Alla luce della parziale inadeguatezza della disposizione inserita

nella sec. 16, molto più adatta alla repressione degli abusi informativi sembrava essere la sec. 10(b) del Securities Exchange Act, con cui si volle impedire a chiunque di utilizzare qualsiasi artificio manipolativo o fraudolento in connessione con l‟acquisto o la vendita di qualsiasi valore mobiliare. La norma risultava, peraltro, indirizzata a reprimere ogni e qualsivoglia forma di frode, a prescindere da chi l‟avesse realizzata e, per di più, a differenza della sec. 17(a), si caratterizzava per un più ampio ambito di applicazione ed un più elevato grado di elasticità. In questo senso, la sec. 10(b) non conteneva né limiti di carattere soggettivo, essendo rivolta a chiunque, né limiti temporali, colpendo anche le singole operazioni di acquisto o vendita di titoli. Nonostante tale norma fosse riuscita a porre rimedio ad alcuni dei difetti della precedente, la sua applicabilità non risultava immediata: venne, infatti, resa effettiva solo dalla previsione della rule 10(b)-5, quale norma base per l‟intera attività di repressione dell‟insider trading. Tale disposizione venne emanata, a seguito della concessione, da parte Federal Securities Law del 1942, di particolari poteri regolamentari20 alla SEC.

20

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22

La norma in questione venne utilizzata come “catchcall”, ossia come norma pigliatutto. Infatti, proprio per la sua elasticità terminologica ed applicativa, si adattò perfettamente alla repressione dell‟insider trading. Inoltre, il successo che spesso si associa ad una tale disposizione pare legato indissolubilmente alla mancanza di qualsiasi definizione di insider trading, sia da un punto di vista soggettivo che come ambito applicativo: se, da un punto di vista soggettivo, risulta rivolta a chiunque impieghi gli strumenti del commercio interstatale, della posta oppure della borsa valori; per quanto concerne l‟ambito applicativo, non risultano previsti né limiti cronologici né tipologici con riferimento alle operazioni considerate.

Il primo caso in cui la rule 10(b)-5 trovò applicazione fu nel 1961, contro la società finanziaria Cady, Roberts &Co.21, cui venne contestata la vendita di titoli della società aereonautica Curtis & Wright Corporation, detenuti nei portafogli dei propri clienti ed in base ad un‟informazione riservata. Tali operazioni di vendita, infatti, vennero eseguite da un socio della brokerage firm, dopo aver ricevuto la notizia di una drastica riduzione dei dividendi trimestrali. Tale notizia venne a lui comunicata da un altro socio, che ricopriva, tra le altre cose, anche il ruolo di consigliere d‟amministrazione della Curtis & Wright Corporation. L‟occasione fu allora particolarmente “ghiotta”, dato l‟interesse che l‟annuncio su tali titoli poteva riscontrare sul mercato. Dunque, la società fece l‟annuncio proprio qualche giorno prima della diffusione della notizia, presentando un nuovo motore a combustione interna.

risultino necessarie al perseguimento dei fini di tutela cui tende la disciplina federale. In virtù di una tale delega, la SEC adottò la rule 10(b)-5, al fine di reprimere ogni eventuale fraud realizzabile nelle negoziazioni di valori mobiliari.

21

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23

In merito ad un tale caso, sebbene la decisione della SEC non avesse alcuna validità di precedente22, la posizione della stessa parve tale da esercitare una profonda influenza sui casi successivi. La SEC, in questa occasione, da un lato, confermò la regola della disclose or abstain duty già emersa in un caso precedente23 e, dall‟altro, individuò due elementi costitutivi dell‟illecito, access e inherent unfairness. Il primo prevedeva la possibilità da parte dell‟insider di avere accesso ad informazioni significative, ma non pubbliche24; viceversa, l‟inherent unfairness faceva riferimento all‟ingiustizia del comportamento di chi si fosse avvantaggiato personalmente dell‟informazione, consapevole che quest‟ultima non risultasse conoscibile dalla controparte25. Ecco perché, secondo l‟impostazione della SEC, al verificarsi di queste due condizioni, scatterebbe l‟obbligo di rilevare l‟informazione oppure, laddove non risulti possibile o, addirittura, non si voglia rivelarla, di astenersi dal farlo. Tale obbligo non ricadrebbe solamente sui soggetti indicati dalla sec. 16(b), ma si

allargherebbe ben oltre la cerchia di figure tipiche di insider26. In questo modo, si intendeva equiparare, tra di loro, le diverse

figure di soggetti entrati in possesso di informazioni riservate. In quella circostanza, la SEC si concentrò, quindi, maggiormente sulla scorrettezza nell’utilizzo dell’informazione: ciò attirtò tutta una serie di critiche, da parte della Commissione, sull‟interpretazione di un tale passaggio.

22

Si trattava infatti di un mero procedimento amministrativo e non di un‟azione giudiziaria.

23

Vedi, Speed vs Transamerica Corp., 99 F. Supp. 808 (1951).

24

In re Cady, Roberts &Co., 40 S.E.C. 907 (1961), pag. 912, si fa riferimento alle seguenti parole “first, the exstince of a relationship living access, directly or

indirectly, to information intended to be avaible only for a corporate purpose and not for the personal benefit of anyone”.

25

All‟interno del medesimo caso citato nella precedente nota, si ammette che “the

inherent unfairness involved where a party takes advantage of such information knowing it is unavailable to those wilh whom he is dealing.

26

Il riferimento è infatti a quei soggetti “who are in a special relationship with a

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24

Tra queste, si segnala indubbiamente quella che ritiene che tale rilievo si basi esclusivamente su di un assunto di carattere morale. Le cose in realtà stanno diversamente: la SEC, focalizzando la propria attenzione su di un tale aspetto, si è solamente mostrata preoccupata rispetto alla possibilità che i tipper rimanessero impuniti. Ha voluto, dunque, impedire che per questi ultimi fosse

semplice eludere la regola madre del disclose or abstain. Una tale impostazione venne, peraltro, riconfermata da quanto

emerso, nel 1968, di fronte alla Corte d‟Appello del Secondo Circuito, nel caso SEC vs. Texas Gulf Sulphur Co27. Tale pronuncia è considerata il leading case, essendo la prima di natura

giurisprudenziale relativa all‟applicazione della rule 10(b)-5. Si trattò, in quella circostanza, il caso di alcuni amministratori e

dipendenti di una società che avevano acquistato azioni ed opzioni della stessa, basando il loro acquisto su informazioni interne relative alla scoperta di un giacimento minerario. Tali informazioni rimasero, inizialmente, momentaneamente segrete, al fine di consentire alla società di acquisire i terreni limitrofi a quello già posseduto ed in cui era presente il giacimento. Rispetto ad una tale vicenda processuale, la Corte d‟Appello riconobbe la validità della rule 10(b)-5, riconoscendone, da un lato, un ambito di applicazione soggettivamente più ampio rispetto a quello indicato dalla sec. 16(b), seguendo in ciò quanto affermato dal caso Cady. Roberts &Co., ed ammettendone, dall‟altro, l‟applicabilità anche ad operazioni spersonalizzate (quali quelle borsistiche).

27

Rispetto ad un tale caso, difatti, si enuncia quanto segue: “anyone in possession of

material inside information must either disclose it to the investing public, or, if he is disabile from disclosing it in order to protect a corporate confidence, or he choosen not to do so, must abstain from trading in or recommending the securities concerned while such inside information remains undisclosed”.

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25

La Corte, sulla scorta di quanto appena citato, condannò soltanto due dei numerosi convenuti, anche perché molti di questi avevano acquistato i titoli della T.G.S. solo dopo la conclusione di una conferenza stampa, con cui la società ci tenne a comunicare ufficialmente la fondamentale scoperta del giacimento. Dunque, mentre la Corte di primo grado di New York sembrava condividere l‟idea di individuare un tempo necessario per assimilare la notizia di mercato, attribuendo però l‟individuazione dello stesso non alla giurisprudenza, ma alla Commissione stessa oppure al Legislatore; la Corte d‟Appello, al contrario, decise che l‟obbligo di astenersi dalle negoziazioni, finché le informazioni non fossero divenute di pubblico dominio, dovesse essere inteso nel senso di dover attendere che le stesse fossero pubblicate sulla stampa o sull‟indice Dow Jones28

. La Corte d‟Appello ha, in questo modo, voluto invitare, senza esito, la Commissione ad individuare una regola che potesse garantire un certo grado di certezza all‟intera comunità finanziaria29. A questo aspetto, si aggiunse, peraltro, il riferimento ad un concetto di rilevanza materiale dell’informazione assai ampio. Si parlò infatti della conoscenza “of the possibility (…) would certainly have been an important fact to a reasonable, if speculative, investor in deciding whether he should buy, sell, or hold30”. Parve dunque chiaro il riferimento al fatto che l‟informazione dovesse assumere rilevanza nelle decisioni dell‟investitore, soprattutto se considerato come speculatore. Questo solleverebbe però molti dubbi interpretativi in merito all‟ampiezza del criterio da applicarsi, dubbi che vennero affrontati dalla Corte Suprema nel caso Industries, Inc. vs Northway, Inc., in cui la Corte Suprema ammise che, per soppesare la significatività dell‟informazione, si dovesse valutare

28

Vedi, sul punto, sempre SEC vs. Texas Gulf Sulphur Co., 401F. 2D 833 (2d Circ. 1968), pag. 854.

29

LOSS, Fundamentals of Securities Regulation, cit., pag. 841.

30

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26

la capacità di quest‟ultima di influenzare le scelte di un azionista ragionevole. Ciononostante, in quell‟occasione non si assistette a quel decisivo passo che permise, di lì a poco, di distinguere le informazioni provenienti dall‟interno della società rispetto a quelle prodotte da un’attività finanziaria esterna.

Risulta, comunque, evidente l‟atteggiamento e la tendenza, espressa prima dalla SEC ed anche dalle Corti inferiori, ad estendere sempre più il concetto di insider trading e di informazione riservata. Tale tendenza, propria delle teorie di c.d. market egualitarism, volte a garantire l‟uguaglianza tra tutti gli investitori, raggiunse l‟apice con le sentenze di primo e secondo grado espresse nel caso Chiarella, in cui si ebbe la prima condanna penale per la violazione della rule 10(b)-5. In quel contesto, emerse un indirizzo assai estremo per il quale risultarono in palese difficoltà tutti gli operatori professionali e gli analisti che basavano la loro attività sulla ricerca e l‟elaborazione delle informazioni. Si affermò, infatti, che la stessa regola del disclose or abstain dovesse gravare su chiunque avesse regolare accesso ad informazioni di mercato e, per questa ragione, non risultava

necessario riferirsi ad una particolare categoria di insiders. Sulla scia di tali considerazioni, i Giudici d‟Appello ritennero che

la condanna di Chiarella fosse l‟unico esito possibile di una tale vicenda processuale31.

31

Nel caso United States vs Chiarella, 588 F. 2d. 1358 (1978), si affermò quanto segue “It is difficult to image conduct less useful, or more destructive of public

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27

2.1. La teoria fiduciaria elaborata dai casi “Chiarella” e “Dirks”.

Vincent Chiarella era dipendente di una tipografia dal nome Pandik Press, specializzata nella redazione e stampa di documenti finanziari e quindi nelle comunicazioni e nei prospetti da inviare alla SEC, nonchè nel renderli pubblici nel caso di OPA (Offerte Pubbliche di Acquisto o tender offer). Lo stesso Chiarella, nell‟eseguire un tale compito, riuscì, valutando le bozze di offerte a sua disposizione, ad individuare il nome di almeno cinque società oggetto di altrettante o.p.a., nonostante parte degli elementi contenuti nelle offerte fossero stati prudenzialmente criptati al fine di evitare la diffusione della notizia prima che questa fosse resa ufficiale. Fu allora che Chiarella, venuto a conoscenza di una tale situazione, decise di acquistare le partecipazioni delle società bersaglio dell‟o.p.a., per poi rivenderle una volta divulgati i termini delle offerte. Infatti, al momento della divulgazione dei termini delle offerte, il valore dei titoli subì un notevole incremento e questo gli permise di ottenere un ingente profitto, pari a 30.000 $. In un simile contesto processuale la Corte Suprema decise di affrontare, per la prima volta, il problema relativo all‟applicabilità della rule 10(b)-5, ricusando, non senza

sofferenze, la c.d. parity of information theory32. Emerse, infatti, la posizione maggioritaria del giudice Powell,

secondo cui la rule 10(b)-5 non sarebbe diretta a garantire un‟assoluta parità informativa, quanto piuttosto a combattere le frodi. Ecco perché, per considerare fraudolento il silenzio circa le informazioni riservate ed essenziali, occorre che su un tale soggetto (detto insider) gravi un dovere di parlare, scaturibile non dal semplice possesso di informazioni, quanto piuttosto dalla

32

Vedi, in ciò, United States vs. Chiarella, 445 U.S. 222 (1980). La decisione fu sofferta, anche alla luce delle diverse dissertino opinions, come quella dello Chief

(28)

28

sussistenza di un rapporto di natura fiduciaria tra le parti33. In questo caso, non risulta, però, evidente la presenza di alcun

rapporto fiduciario tra il tipografo e gli azionisti della società destinataria dell‟o.p.a.

La Corte condivide, dunque, la posizione relativa ai due elementi costitutivi della fattispecie richiamati dalla SEC nel caso Cady, Roberts &Co., ma non accetta la configurazione di un obbligo di disclose or abstain come obbligo generico che grava su tutti gli operatori di mercato, ritenendo che una tale interpretazione non abbia alcuna base positiva nel diritto americano. In conclusione, si assiste ad un ritorno ai criteri di determinazione della responsabilità tipici dei sistemi di common law. Quindi, in assenza di un qualsiasi riferimento normativo, si sceglie di individuare analiticamente le condotte vietate ed illecite e di perseguire le inefficienze del mercato, anche a costo di esporre i risparmiatori al rischio di subire eventuali pregiudizi rispetto ai loro

investimenti34. In sostanza, la fiduciary theory, elaborata all‟esito del caso

Chiarella e nel successivo caso Dirks, sembra ribaltare completamente la preesistente tendenza utilizzata nella repressione dell‟insider trading e rappresenta la maggior frizione nella

dialettica tra le varie istituzioni intervenute in materia. In particolare, con il caso Dirks35, si è cercato di specificare

ulteriormente quanto affermato dalla teoria fiduciaria. Tale vicenda processuale riguarda l‟ipotesi di un analista

finanziario, Raymon Dirks, specializzato nel settore assicurativo e dipendente di una società di intermediazione, la Delafield Child, Inc., che venne a sapere da un certo Ronald Secrist, ex dipendente

33

Si fa, qui, riferimento ad una “ relationship of trust and confidence between the

parties to a transaction”. 34

Si veda, sul punto, CASELLA, Alcune osservazioni in tema di insider trading, in Giur. Comm. 1989, III, pag. 796 ed 818.

35

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29

della società assicurativa Equity Funding Corporation of America, che la contabilità di quella stessa società risultava viziata da diverse falsità. Dirks, accertate personalmente tali informazioni, tentò, senza risultato, di promuovere un procedimento investigativo di fronte alla SEC ed, infine, di far pubblicare i risultati delle sue ricerche sul Wall Street Journal. Sebbene né la SEC, quale organo di vigilanza, né il giornalista con cui era in contatto gli dettero credito, egli tentò di “mettere in guardia” i suoi clienti, consigliando loro di vendere i titoli della società assicurativa. La vendita di tali titoli provocò, di lì a poco, il crollo vertiginoso del loro valore e questo portò la SEC a sospendere le quotazioni sui titoli e ad accertare gli eventuali falsi in bilancio. Qualche giorno dopo, le informazioni certificate da Dirks vennero pubblicate. La SEC riconobbe, in capo all‟analista finanziario, una responsabilità in qualità di tippee, dato che questi aveva diffuso selettivamente le informazioni in suo possesso. La sua responsabilità venne ricostruita anche alla luce del caso Investors vs Management Co. (1971) in considerazione della violazione della rule 10(b)-5. Egli, in altri termini, era considerato responsabile per aver ricevuto e sfruttato un‟informazione riservata, per essendo a conoscenza del fatto che la stessa provenisse da un‟insider36

. Sebbene la condanna nei confronti dell‟analista fosse limitata ad una censura, questa venne da lui stesso impugnata; ma la Corte d‟Appello riconfermò nuovamente la sanzione amministrativa inizialmente irrogata. Successivamente, la Corte Suprema riformò la condanna e ricondusse la teoria fiduciaria anche alla tematica del tipping, riprendendo, in ciò, l‟argomento accennato nella footnote 12 della

36

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30

sentenza Chiarella37. La Corte di ultima istanza statunitense arrivò, infatti, ad ammettere che si potesse configurare, in caso di violazione di un obbligo fiduciario dello stesso, anche una

responsabilità del tippee verso la società o i soci stessi. Tale responsabilità non deriverebbe, però, dalla mera ricezione di

un‟informazione rilevante, ma dalla sua impropria ricezione. Richiamando al termine ricezione impropria, sembrerebbe che la Corte abbia fatto riferimento al caso in cui il tippeer insider, violando l‟obbligo fiduciario che lo leghi alla società o al socio, comunichi comunque le informazioni ricevute, pur sapendo che l’informazione ricevuta gli sia giunta in violazione di un tale obbligo. In realtà, in questo caso, l‟insider tippee verrebbe meno ai propri doveri di natura fiduciaria, solamente laddove, dall‟operazione di mercato, ne abbia tratto un profitto diretto o, comunque, indiretto. Il concetto di profitto risulta qui inteso in senso molto ampio, tanto che in ciò vengono a ricomprendersi anche eventuali benefici alla reputazione o promesse di futuri guadagni. Tuttavia, laddove manchi un profitto a vantaggio di Secrist , la SEC sarebbe portata a negare la responsabilità dello stesso Dirks. Questo porrebbe un ulteriore freno anche alla Corte Suprema rispetto ai propri intenti di garantire un‟estesa inibizione delle negoziazioni basate su informazioni riservate. Nel disastroso caso Dirks, è, tuttavia, possibile rinvenire una flebile vittoria da parte della Commissione: nella footnote 14, la Corte ebbe modo, tra le tante cose, anche di ampliare la categoria degli insiders di diritto, includendovi anche i temporary insiders, ovvero quei soggetti che, in peculiari casi ed in virtù delle speciali relazioni con l‟attività della società, abbiano accesso alle informazioni esclusivamente

37

Vedi il 21 S.E.C. Docket 1401 (1981), secondo cui “The Tippee’s obligation has

been viewed as arising from his role as a partecipant after the fact in the insider’s breach of a fiduciary duty”.

(31)

31

nell’interesse della società e, quindi, assumano il fiduciary duty. Questa estensione della categoria degli insider di diritto anche a certi outsiders ha, sostanzialmente permesso alla Commissione di pervenire, in diversi casi, alla condanna di certi soggetti, che, se non ci fosse stata tale estensione, sarebbero stati tranquillamente assolti. Possiamo, infine, ricordare, il caso Tomè, noto in Italia per lo scandaloso coinvolgimento del finanziere Leati: in quell‟occasione, nell‟ambito del giudizio di appello38

, si registrò una condanna, fondata sulla sopra citata footnote 14, basandola sulla sussistena di quella medesima relazione confidenziale speciale tra il convenuto e la società Seagram, di cui lo stesso era consulente. Per questo, si preferì la ricostruzione del c.d. temporary insider fatta da Dirks, rispetto alla c.d. misappropriation theory, sostenuta, invece, dalla sentenza di primo grado39.

38

SEC vs. Tomè, 833 F. 2d, 1087 (1987).

39

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2.2. La tender offer e la rule 14(e)-3.

Un‟ulteriore ed allettante ipotesi di sfruttamento di informazioni riservate è rappresentata dalle cc.dd. offerte pubbliche di acquisto: proprio perché la notizia ancora non risulta essere pubblica, una volta divulgata al pubblico, l‟offerta su determinati titoli si tradurrà inevitabilmente in un aumento di valore degli stessi rispetto al valore in corso e questo permette di ottenere un profitto, che si accrescerà in considerazione della possibilità di operare sul mercato delle options. Le options, infatti, conferiscono al soggetto che le possiede un diritto di acquisto o di sottoscrizione di titoli ad un prezzo prestabilito, in genere inferiore rispetto alla quotazione corrente. Questo garantisce la possibilità di ottenere enormi guadagni, anche per mezzo di investimenti minimi e con un grado di rischio prossimo allo zero. Per di più, in questi casi, l‟abuso viene incentivato dalle difficoltà che possono emergere con riferimento a queste pratiche: raramente, le informazioni relative alle operazioni di acquisizione di titoli, soprattutto se negative, vengono rese dalla società target. La fonte è, molto spesso, esterna alla società i cui titoli siano oggetto di tender offer e questo fa sì che i soggetti che generino tali informazioni non rientrino né nella categoria degli insiders, né in quella dei temporary insiders. Proprio questo rende difficile sussumere tali ipotesi all‟interno degli schemi tipici dell‟insider trading. La consapevolezza di queste difficoltà ha porta la SEC ad emanare una norma ad hoc per cercare di reprimere tali tipologie di abuso, realizzabili in occasione di offerte pubbliche di acquisto: la norma in questione riguarda la sec. 14(e), introdotta, nel 1968, nell‟ambito del Williams Act. Attraverso una tale norma, difatti, per apprestare una più attenta tutela agli investitori, si venne a predisporre, per la prima volta, una puntuale regolamentazione dell‟o.p.a. e si permise, dunque, il rastrellamento fino al limite del 5% delle

(33)

33

azioni di una compagnia, prevedendo, al superamento di una tale quota, l‟obbligo di annunciare il contenuto del proprio portafoglio e delle proprie intenzioni. Al comma (e), inoltre, si dichiarò l‟illiceità di ogni condotta manipolativa o fraudolenta e di ogni abuso informativo che si realizzi in occasione di tender offer o di altre forme di sollecitazione degli investitori. La SEC, nonostante lo sforzo prodotto nell‟introduzione di una tale disposizione, si trova, in ogni caso, a fare i conti con l‟ampia delega riconosciutagli in ordine alla predisposizione dei mezzi regolamentari e all‟individuazione delle singole pratiche illecite. Nel contesto di una tale delega, la Commissione esercitò la propria potestà regolamentare nel 1980, dando luogo così all‟emanazione della rule 14(e)-3, con cui si rivolge a tutti coloro che, in presenza di un‟offerta in atto od in corso di lancio, risultino in possesso di informazioni rilevanti e, comunque, non pubbliche. In questi casi, si ammette che, laddove questi sappiano, o siano in grado di sapere, che l‟informazione sia riservata, venga fatto loro divieto di operare sui titoli coinvolti e su quelli ad essi collegati (come nel caso delle options). Valutando il testo della norma rimane, tuttavia, evidente l‟intenzione del legislatore di superare le problematiche riscontrate nella repressione dei tradings basati su informazioni certamente rilevanti ma non pubbliche, definibili non

come inside quanto piuttosto come market information. Si tratta, difatti, di informazioni provenienti non dall‟intero della

società, ma dall‟esterno. Questa elasticità, non riguarda, quindi, solamente la definizione di quei soggetti sui cui gravi il divieto sopra citato, ma anche le formule con cui si indichi l‟origine

dell‟informazione e le categorie di informazioni coinvolte. Ecco perché, ad un iniziale e succinto elenco dei potenziali

tippeers e degli strumenti finanziari negoziabili, segue una clausola di chiusura volta a rendere l‟applicazione della rule in

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34

questione facilmente estensibile, sia su un piano soggettivo che oggettivo. Siffatta clausola di chiusura, oltre a coinvolgere, le informazioni provenienti dalle classiche figure di insider, quali offerente ed emittente, tende a applicarsi anche ad altre figure di soggetti, derivanti dall‟ampia cerchia dei temporary insiders, che, in qualche misura, agiscono uno per conto dell‟altro. Per questo, la norma proibisce le negoziazioni non solo sulle azioni oggetto di o.p.a., ma anche su tutti i valori mobiliari che conferiscano l‟opportunità di ottenere i titoli interessati dalle offerte, prescindendo totalmente dal particolare rapporto con le controparti contrattuali. Infine, assume rilievo anche l‟estensione temporale del divieto: non si fa, infatti, riferimento ad un limite temporale preciso, bensì ad un termine ragionevole, di modo che la notizia o la sua fonte non siano rese pubbliche con un comunicato stampa o in altro modo40. In conclusione, tale norma regolamentare, pur nella sua particolarità, riesce a risolvere efficacemente molte delle difficoltà emerse in sede di applicazione della normativa antifrode, realizzabili nel mercato finanziario. La soluzione offerta risulta, però, parziale, in quanto limitata alle sole ipotesi di tender offer. Per questo, la risposta generale a tutte le limitazioni applicative della, già citata, teoria fiduciaria viene a prendere forma con l‟elaborazione della misappropriation theory, descritta, peraltro, da alcuni autori, come un‟ “entrata laterale41”.

40

Una tale specificazione la riscontriamo anche nella rule 10(5)-5.

41

CARBONE, Tutela civile nel mercato e Insider Trading, vol.2 (profili di

(35)

35

2.3. La nascita e lo sviluppo della “Misappropriation Theory”.

La “Misappropriation Theory” si sviluppò accanto alla Teoria Fiduciaria, nell‟ambito del medesimo contesto dottrinale scelto dalla Corte Suprema. Secondo una simile teoria, si è responsabili per frode, ex rule 10(b)-5, ogni volta in cui si utilizzi un‟informazione privilegiata violando il proprio obbligo verso la fonte di informazione; ossia, ogni volta in cui, per l‟appunto, ci si appropri dell‟informazione per uno scopo differente da quello per cui se ne dispone, prescindendo, dunque, dal particolare rapporto che leghi l‟insider con gli investitori con cui tratta. Si configura la responsabilità verso questi ultimi semplicemente in ragione della rottura del rapporto fiduciario tra l‟insider ed un soggetto diverso dall‟investitore (datore di lavoro o un cliente di quest‟ultimo). Tale teoria, inizialmente, venne posta all‟attenzione della Supreme Court, nell‟ambito del caso Chiarella. Tuttavia, in quell‟occasuibe occasione, tale tesi, pur se presentata, per la prima volta, in quella sede, non fu sottoposta al vaglio della giuria nei gradi precedenti. Nonostante l‟esistenza di un simile “vizio procedurale”, lo Chief Justice Burger accolse la misappropriation theory, evidenziando, fin da subito, la centralità che nella configurazione dell‟illecito assumeva l’appropriazione dell’informazione, seguita dal fatto di contravvenire all‟obbligo fiduciario. Nell‟evidenziare un tale aspetto, il Giudice, infatti, utilizzò alcuni termini di “certa veemenza”, dichiarando che la tipografia in cui Chiarella lavorava tappezzata da cartelli sui quali si ricordava ai dipendenti il divieto di utilizzare, a proprio vantaggio, le informazioni acquisite sul posto di lavoro, effettuando, sulla loro base, operazioni finanziarie. Ciò dimostra proprio che è il modo in cui si è raggiunto il vantaggio informativo che fa sorgere il dovere di astenersi o non rivelare e non tanto l‟esistenza di un eventuale rapporto fiduciario con la controparte.

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