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3. Il quadro d’insieme degli ammortizzatori sociali

3.1. Le integrazioni salariali

Le integrazioni salariali rappresentano l’archetipo degli ammortizzatori sociali, essendo qui particolarmente evidente l’esigenza sociale di garantire il reddito dei lavoratori mediante il subentro della parte pubblica all’impresa, nell’obbligazione retributiva. Oltre alla funzione propriamente previdenziale, l’evoluzione legislativa dell’istituto delle integrazioni salariali ha messo in luce la natura di strumento di politica economica, ad immediato sostegno del sistema delle imprese.

Sin dalle origini, infatti, l’istituto della Cassa integrazione guadagni si è prestato ad essere adattato alle vicende economiche del Paese: dalla necessità di supportare la riconversione industriale della produzione bellica, al sostegno di specifici settori industriali, o nell’ambito di interventi di aiuto a zone geografiche investite da calamità naturali (a partire dalla Gestione speciale per il Vajont).

Le integrazioni salariali, inoltre, garantiscono una protezione riflessa del beneficiario, quale risultato di un’azione sociale diretta a fronteggiare le conseguenze di un fatto collettivo che investe l’impresa e riguarda anche i dipendenti32. In questo senso gli istituti di sostegno al reddito assumono una caratterizzazione «interventista» nell’ambito del diritto pubblico dell’economia, allo stesso livello dei contributi alla produzione, del credito agevolato, degli incentivi vari.

La natura pubblico-economica e plurifunzionale di questi ammortizzatori sociali è resa evidente dal fatto stesso che essi sono preordinati al conseguimento di risultati sul piano dell’occupazione, dell’attività produttiva o dell’assetto della politica industriale in generale33. Secondo l’accezione a cui si è fatto riferimento, la denominazione

“ammortizzatori sociali” finisce quindi con il sintetizzare i due aspetti principali di tali strumenti: la finalità contenitiva degli effetti dannosi connessi alle dinamiche economiche

32 N. LANFRANCONI, La Cassa integrazione guadagni come strumento di politica economica e sociale, in

Prev. soc. 1966, p. 44.

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della produzione e l’imprescindibile interesse pubblico, oltre che collettivo, che legittima un intervento di politica pubblica a sostegno del lavoro.

Ciò premesso, occorre considerare che tale tipologia di intervento previdenziale, proprio in ragione della sua natura politico economica, finisce necessariamente con l’incidere, volutamente o come effetto rebound, sul mercato del lavoro. Per tale ragione occorre stabilire quale sia, in ultimo, il risultato atteso: se esso sia la protezione dello status di lavoratore, oppure se il sostegno del lavoratore nel mercato comporti necessariamente la garanzia di una prospettiva occupazionale. L’assunzione di una prospettiva rispetto all’altra ha conseguenze di non poco rilievo guardando alle interrelazioni fra strumenti di tutela contro la disoccupazione e regole di funzionamento del mercato del lavoro: tant’è che nel secondo caso si dovrebbe cercare di alterare nella minor misura possibile i meccanismi naturali di scambio intrinseci ad un sistema di mercato, cercando di assecondare in modo virtuoso le interconnessioni tra sicurezza sociale e mercato del lavoro.34

Ripercorrendo la storia normativa delle integrazioni salariali, è infatti evidente come ad esse siano state riconosciute nel tempo funzioni ulteriori, facendone un uso politico piuttosto che tecnico. Da istituto concepito per salvaguardare la continuità reddituale dei lavoratori in caso di eventi esterni e temporanei aventi ripercussione sull’andamento della produzione, ben presto la cassa integrazione è diventata lo strumento a cui fare ricorso anche per supportare eventi interni all’impresa attraverso l’introduzione dell’integrazione straordinaria. A fronte di crisi di entità tale da determinare situazioni di eccedenze di personale, connesse per l’appunto all’impossibilità o alla scarsa convenienza economica dell’impresa ad utilizzare la prestazione lavorativa della forza lavoro, l’intervento della cassa integrazione guadagni aveva infatti l’utilità di salvaguardare l’assetto occupazionale in attesa della ripresa della normale attività, proprio in quanto l’evento che generava lo stato di bisogno da mancanza di lavoro si presupponeva essere transitorio.

Sennonché, la condizione della transitorietà della contrazione, elemento determinante

34 Vedi S. RENGA, Il sistema di sicurezza sociale per i disoccupati: uno scenario per il futuro, in M.

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per giustificare un intervento pubblico di per sé distorsivo del regolare funzionamento del mercato, è stata ampiamente disattesa nella prassi amministrativa volta a concedere l’integrazione salariale, fino ad essere definitivamente rimossa con il meccanismo delle proroghe, che dal 1972 sono diventate virtualmente illimitate.

Per di più, riconoscendo con la l. n. 675 del 1977 la causale d’integrazione straordinaria della crisi aziendale di particolare rilevanza sociale, si è finito con il non presupporre neanche la possibilità di un risanamento produttivo dell’impresa. Contemporaneamente, lo stravolgimento degli elementi strutturali originari della CIG ha dato il via ad un modus legiferandi che ha portato alla proliferazione di disposizioni settoriali e fattispecie speciali di erogazione del trattamento straordinario35. Si è assistito

così al frequente ricorso a tecniche di precostituzione dei requisiti giuridici atti a giustificare sul piano formale l’intervento delle integrazioni salariali – basti pensare ai casi dell’intervento Gepi ed Insar – finendo con il creare una categoria di “anime purganti” del mercato del lavoro. Uno status permanente, quello del cassaintegrato, che ha rappresentato per lungo tempo la fotografia di un sistema del tutto bloccato sulla conservazione dell’esistente, seppur fittizio, e senza alcuna proiezione verso politiche di creazione di opportunità di lavoro.

In questo quadro la l. n. 223 del 1991 ha rappresentato, nelle intenzioni del legislatore dell’epoca, un considerevole sforzo di razionalizzazione della disciplina. Si è innanzitutto con essa riaffermato il criterio della temporaneità, ponendo rigorosi limiti di durata ed esigendo che la concessione del trattamento straordinario venisse subordinata alla prospettiva di ripresa dell’attività. Tutto ciò al fine di riallineare la disciplina delle integrazioni salariali a meccanismi di intervento pubblico non interferenti sulle dinamiche del mercato del lavoro. In tal senso va letta, ad esempio, la previsione che esclude la sommatoria dei vari istituti (prima cassa integrazione e poi mobilità), definendo in modo categorico i limiti di durata dei vari istituti. Parimenti orientata a restituire trasparenza al mercato è la disposizione che impone un incremento contributivo e la sospensione dei

35 L’evoluzione funzionale delle integrazioni salariali è diffusamente illustrata da S. RENGA, Mercato del

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rimborsi delle quote di trattamento di fine rapporto, maturate durante il periodo di cassa integrazione, al datore di lavoro che collochi i propri dipendenti in mobilità tardivamente36.

Malgrado una struttura innovativa e dotata di indiscutibile razionalità, ancora una volta ha prevalso l’ottica di breve respiro e la l. n. 223 del 1991 ha finito con l’essere disattesa in via di fatto, travolta da una sorta di controriforma in via amministrativa. Con una serie di provvedimenti dilatori e derogatori si è difatti riaffermata la politica del singolo caso, volta a sostenere la singola impresa o lo specifico settore in difficoltà, senza alcun rispetto della congruenza con l’impianto normativo complessivo.

Se da un lato l’evoluzione e le contraddizioni dell’istituto in esame non fanno che confermare quanto si è detto a riguardo della funzione di strumento di politica economica delle integrazioni salariali, nella veste di legislazione di ausilio alle imprese, occorre tuttavia evidenziare che tale finalità non può che costituire un effetto indiretto di un istituto che deve comunque sempre restare preordinato alla rimozione dello stato di bisogno del lavoratore. Ciò in quanto, diversamente, si correrebbe il rischio di perdere di vista quello che abbiamo detto essere lo scopo principale dell’ammortizzatore sociale, ossia intervenire per attutire l’impatto di circostanze esterne sul rapporto di lavoro, consentendo il reinserimento del lavoratore nel contesto lavorativo, che sia esso quello originario oppure altro in cui il percorso di riqualificazione professionale consenta la collocazione.

Passando dunque a ricostruire brevemente la disciplina, benché i rimaneggiamenti normativi che hanno caratterizzato l’evoluzione di questo istituto siano stati numerosi, il nucleo normativo della cig ordinaria tuttora discende dall’art. 1 della l. n. 164/1975, dall’art. 8, co. 4 e 5, l. n. 160/1988 e dall’art. 14, co. 2, l. n. 223/1991; mentre la cig straordinaria è regolata dalla legge n. 223/1991.

La legge n. 92 del 28 giugno 2012, cd. riforma Fornero, non ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina della cassa integrazione e comunque esse saranno esaminate nel prosieguo della trattazione, nell’ambito di una più generale analisi della legge n. 92/2012.

Entrambe le tipologie di intervento, ordinaria e straordinaria, hanno come presupposto la temporaneità della crisi e dunque la previsione di una ripresa produttiva,

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benché la compromissione della condizione di transitorietà della contrazione e le numerose proroghe e deroghe all’impianto originario dell’istituto abbiano trasformato l’esigenza della certezza della ripresa nella probabilità del verificarsi della stessa, fino ai casi in cui si è arrivati a prescindere dalla possibilità di ripresa per la particolare rilevanza sociale dell’intervento. Come già visto, benché emanata con l’intento di arginare sulla base di un buon impianto legislativo una scomposta metamorfosi delle integrazioni salariali, la stessa legge n. 223 del 1991 non è mai entrata veramente in funzione, rappresentando in fase di applicazione l’ennesimo cattivo esempio di erogazioni a fondo perduto per imprese ormai irreversibilmente improduttive. Ciò grazie ad un uso disinvolto degli atti amministrativi, che di fatto ha portato a stravolgere il dato normativo sul piano delle «sussidiazioni» in

deroga per la gestione di crisi occupazionali37.

Gli strumenti in deroga alla disciplina legale sono talmente variegati e frammentari che non è possibile nell’economia della trattazione tracciarne un quadro di sintesi. Pur tuttavia, essi presentano rilevanti profili di interesse per ciò che riguarda lo sviluppo di un

welfare «territoriale», in quanto sono espressione di un intervento pubblico mirato

nell’attività di implementazione delle politiche sociali ed economiche, e dunque tale aspetto sarà analizzato nella parte terza di questo lavoro.

Con riferimento alle cause integrabili, la cassa integrazione garantisce il salario ai lavoratori in caso di disoccupazione temporanea, sollevando il datore di lavoro dal pagamento delle retribuzioni: il ricorso alle integrazioni ordinarie presuppone il verificarsi di situazioni aziendali che impediscono l’adempimento dell’obbligazione lavorativa, dovute ad eventi transitori non imputabili all’imprenditore e ai lavoratori o a situazioni temporanee di mercato. L’integrazione straordinaria opera invece nei casi in cui vengano in essere contrazioni produttive determinate da ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali, oppure da crisi aziendali.

Per quanto concerne i soggetti beneficiari, essi sono i lavoratori delle imprese industriali, edili ed affini, e agricole. L’area di tutela dell’integrazione salariale straordinaria è circoscritta ad imprese che abbiano mediamente occupato più di 15

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lavoratori nel semestre precedente la richiesta di intervento. La progressiva estensione delle integrazioni salariali ad altri settori, ha ampliato la tutela nella direzione di una copertura più diffusa, che va dalle imprese artigiane, alle imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione o alle imprese esercenti attività commerciali con più di 50 dipendenti. E ancora, un altro importante ampliamento della platea dei beneficiari, introdotto dall’art. 19 della D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito in L. n. 2/2009, riguarda l’estensione delle integrazioni salariali agli apprendisti, inizialmente esclusi insieme ai dirigenti e i lavoratori a domicilio.

Malgrado questi correttivi frammentariamente succedutisi, va però detto che si è ancora lontani dal conferire alle integrazioni salariali il carattere di universalità che in base all’art. 38 Cost dovrebbe essere riconosciuto alla tutela contro la disoccupazione involontaria, una tutela che secondo la Corte Costituzionale non ammette squilibri e sperequazioni38.

Per poter beneficiare della cassa integrazione straordinaria i lavoratori devono poter vantare un’anzianità lavorativa presso la stessa azienda di almeno 90 giorni nel momento in cui l’impresa ha presentato la richiesta di trattamento. La durata della prestazione non può essere superiore a 13 settimane, eccezionalmente prorogabili fino a 52. Il trattamento corrisposto è pari all’80% della retribuzione globale relativa alle ore non prestate comprese tra 0 e il limite orario contrattuale, che non può in ogni caso superare la durata normale dell’orario di lavoro.

Una disciplina del tutto particolare vige per le integrazioni salariali in agricoltura, ove le peculiarità tipiche del settore – caratterizzato da una discontinuità occupazionale praticamente fisiologica – hanno infatti indotto il legislatore a prefigurare un sistema di tutela strutturato su cause integrabili specifiche (intemperie stagionali o altre cause non imputabili al datore di lavoro o ai lavoratori) e su meccanismi di calcolo dei requisiti contributivi del tutto singolari. Al riguardo occorre precisare che i trattamenti di integrazione salariale nel settore agricolo sono subordinati all’occupazione, presso la stessa

38 C. Cost. sentenza n. 36 del 2000, il riferimento della Corte alla teoria dell’inammissibilità delle lacune non

riguarda espressamente gli ammortizzatori, ma offre una lettura del precetto costituzionale che non lascerebbe spazio a disparità di trattamento.

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azienda, per oltre 180 giornate di lavoro effettivo nell’anno di riferimento.

Anche nel settore edile l’intervento della cassa integrazione guadagni è regolamentato da una disciplina specifica, applicabile alle aziende industriali dell’edilizia e affini, alle aziende artigiane del medesimo settore, alle aziende industriali ed artigiane esercenti attività di escavazione e lavorazione di materiali lapidei. Al pari del settore agricolo, l’integrazione è riconosciuta alla ricorrenza di cause integrabili specifiche: intemperie stagionali e, in base all’art. 10 della legge n. 223/1991, qualsiasi altra causa non imputabile al datore di lavoro o ai lavoratori ivi comprese quelle riconducibili al mancato rispetto dei termini previsti nei contratti di appalto per la realizzazione di opere pubbliche di grandi dimensioni e ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria assunti contro la criminalità mafiosa.

La richiesta delle integrazioni salariali da parte delle imprese industriali, sia che si tratti di integrazione salariale ordinaria sia che si richieda l’integrazione straordinaria, deve essere proceduta da una procedura di consultazione sindacale diretta ad esplicitare le ragioni della contrazione produttiva e a stabilire i criteri di scelta dei lavoratori che verranno sospesi dall’attività lavorativa. L’erogazione dell’intervento straordinario presenta caratteri di maggiore complessità, in quanto l’impresa deve presentare, insieme alla richiesta di accedere alla cassa integrazione, anche un programma contenente le eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale, che in ogni caso non possono travalicare il limite dei due anni, fatta salva la possibilità che con decreto ministeriale siano concesse proroghe per programmi di particolare complessità. Già si è detto come a questa possibilità si sia fatto ampio ricorso in passato, fino a stravolgere, per via amministrativa, la coerenza della rigorosa disciplina legislativa. Di norma nella scelta dei lavoratori da sospendere deve essere adottato il criterio della rotazione tra lavoratori adibiti alle medesime mansioni, a meno che non vi siano ragioni tecnico-organizzative impeditive per disattendere tale criterio, circostanza che in ogni caso l’impresa è tenuta ad indicare.

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