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3. Evoluzione dell’organizzazione del lavoro: la rottura del binomio lavoro-

1.2. La costruzione pretoria del modello sociale europeo

Nell’analisi dell’evoluzione del modello sociale europeo non si può non evidenziare il ruolo decisivo svolto dalla Corte di giustizia che, proprio in ragione dell’originaria tara sociale dei Trattati, ha finito con l’essere il propulsore del processo di integrazione europea nell’ambito dei diritti sociali. Volendo sintetizzare in modo sommario l’orientamento dei giudici di Lussemburgo, si può riscontrare una «sorta di décalalge dalle «ragioni del mercato» verso un apprezzamento sempre più attento delle «ragioni della solidarietà» e delle finalità sociali protette dagli ordinamenti nazionali»22.

Le linee evolutive delle decisioni della Corte possono essere ricondotte a tre tendenze di massima. In primo luogo, una giurisprudenza per così dire «additiva», in materia di tutela contro le discriminazioni per genere; si tratta di casi in cui l’intervento giurisprudenziale è andato a colmare vuoti regolativi con l’effetto di estendere il campo di protezione, mediante la specificazione del fenomeno tutelato (si pensi ad esempio alla nozione di discriminazione indiretta), oppure arrivando in via di interpretazione a creare connessioni tra ambiti di regolazione apparentemente estranei (come nel caso delle discriminazioni nei confronti delle lavoratrici part-time). Un secondo filone di sentenze evidenzia la funzione di sorveglianza del processo di integrazione assunta dalla Corte: afferiscono a questo gruppo le sentenze rese in esito a procedure d’infrazione, tra queste soprattutto gli ambiti di applicazione delle fonti di hard law, rispetto alle quali, piuttosto che un’attività interpretativa, la Corte svolge un controllo sostanziale sulla corretta trasposizione nell’ordinamento interno (gran parte di queste decisioni riguardano la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro)23.

Infine, va annoverato il più recente filone giurisprudenziale riguardante le modalità di recepimento delle direttive «morbide» degli anni ’90 che, proprio in ragione dell’alleggerimento dell’armonizzazione, finiscono con lo scontare un eccesso di

22 Così S.GIUBBONI,Diritti e solidarietà in Europa, cit., p. 50.

23 A titolo di esempio, in questo ambito, l’Italia è stata destinataria di ben due procedure d’infrazione

riguardanti la trasposizione nel nostro ordinamento della disciplina sulla nomina del coordinatore per la sicurezza sentenza: sentenza 25 luglio 2008, causa C-504/06 Commissione c. Repubblica italiana e sentenza 07/10/2010, causa C-224/09 Commissione c. Repubblica italiana.

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indeterminatezza. In questi casi la Corte interviene per irrigidire la fonte sovranazionale e dare effettività all’opera di armonizzazione degli standard di tutela. E’ il caso, ad esempio, delle decisioni in materia di orario di lavoro in cui la Corte ha ricondotto alla nozione di orario di lavoro anche tempi non strettamente lavorativi, quali i tempi di attesa fra una prestazione e l’altra24. O ancora, con riferimento al contratto part-time, la Corte ha dato

corpo al principio di non discriminazione tra lavoratori part-time e lavoratori full-time, censurando con nettezza normative e prassi applicative elusive del principio25.

Questa rapida e sommaria ricognizione della giurisprudenza della Corte di Giustizia consente di evidenziare come già prima della modifica dei Trattati «non è più il mercato l’entità di riferimento le cui deroghe in nome di obiettivi sociali devono apparire giustificate e proporzionate, ma al contrario, è l’obiettivo di valenza sociale che può subire delle motivate e limitate deroghe strumentali al perseguimento dell’interesse solidaristico»26. Si tratta di un’inversione di prospettiva tutta riconducibile alla giurisprudenza comunitaria e quindi, prima della modifica dei Trattati, ancorata ad una base instabile e senza fondamento normativo. Tanto da poter esser, in alcuni casi, nuovamente ribaltata nella sfera dei rapporti fra diritti sociali fondamentali di natura collettiva e libertà economiche: è il caso delle “allarmanti” sentenze sull’esercizio delle prerogative sindacali (le note pronunzie Laval e Viking) nelle quali, senza negare il rango di diritti fondamentali del diritto di sciopero e di contrattazione collettiva, la Corte ha ritenuto opportuna la “ponderazione comparativa” con alcune libertà economiche altrettanto fondamentali nel diritto europeo e cioè la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento.

Ebbene, tale conclusione ha evidenti effetti limitanti dell’esercizio dei diritti sindacali, che rappresentano un ostacolo all’esercizio delle libertà economiche

24 Cfr. Corte Giust. sentenza 3 ottobre 2000, causa C-303/98, SIMAP; sentenza 9 settembre 2001, causa C-

151/02, Jaeger; sentenza 1° gennaio 2005, causa C-14/04, Dellas; ord. 11 gennaio 2007, causa C-437/05, Vorel.

25 Cfr. Corte Giust. 10 giugno 2010, cause riunite C-395 e 396/08, Inps c. Bruno e a. e Corte Giust. 22 aprile

2010, causa C-486/08, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols c. Land Tirol.

26 G. RICCI, L. DI VIA, Monopoli previdenziali e diritto comune antitrust, in S. SCIARRA (a cura di),

Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano. Profili di diritto interno e comunitario, Bologna, 2007, p. 73.

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fondamentali delle imprese di paesi di recente accessione, che cercano di insediarsi in contesti nazionali caratterizzati da più avanzati standard sociali. Secondo la Corte in tali casi la limitazione non sarebbe giustificata dal perseguimento di finalità di interesse generale. Così argomentando si rischia però, come paventato da chi esprime forti dissensi all’operato della Corte, di innescare una tendenza al ribasso, che si realizza con l’opzione di standard regolativi meno onerosi per i prestatori di servizi. Una competizione regolativa, insomma, di certo non virtuosa, rispetto alla quale la Corte di giustizia, con interpretazioni di maggiore o minor rigore, finisce con il rappresentare l’ago della bilancia27.

A conferma di quanto sia complesso ricostruire un percorso univoco nella giurisprudenza della Corte, è bene peraltro segnalare che in altri ambiti la Corte ha manifestato un approccio del tutto diverso, se non addirittura opposto: ci si riferisce a quel filone giurisprudenziale in cui la Corte di Giustizia ha impedito che i principi sulla libera concorrenza si infiltrassero entro i confini del diritto della sicurezza sociale, negando ad esempio che le normative nazionali che impongono l’iscrizione obbligatoria dei dipendenti a regimi assicurativo/previdenziali, gestiti da enti di diritto pubblico, possano determinare una violazione delle regole di concorrenza ora codificate negli artt. 101, 102 e 106 TFUE. Ciò in quanto la Corte sottrae tali enti alla qualificazione di «imprese svolgenti attività economica», proprio in ragione della funzione di carattere esclusivamente sociale che essi sono chiamati a svolgere e della finalità eminentemente solidaristica assolta dal regime assicurativo/previdenziale28.