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Intensità energetica dell'industria regionale

7 Confronto di alcuni metodi econometrici per prevedere i consumi energetici

7.1 Caso dell’industria in Emilia-Romagna

7.1.3 Intensità energetica dell'industria regionale

I valori aggiunti ed i consumi di energia possono essere rapportati tra loro, seguendo il metodo dell’intensità energetica.

L’intensità energetica è definita come il rapporto tra consumo di energia primaria e PIL (Zuliani, 2015). Un valore alto di intensità energetica indica un alto consumo nel convertire l’energia in valore economico e, dunque, una bassa efficienza. Una bassa intensità energetica, al contrario, indica una migliore performance economica per unità di energia consumata. L’intensità energetica quindi è da molti considerata una misura attendibile per l’efficienza energetica dei sistemi economici e per indicare il grado di disaccoppiamento tra la crescita dei consumi d’energia primaria e la crescita del PIL.

108 L’efficienza energetica italiana sembra attestarsi su buoni livelli. Il confronto dei valori dell’intensità energetica delle diverse nazioni evidenzia infatti la buona posizione del nostro Paese.

Figura 7-12. Intensità energetica in Europa nel 2015 (tep/M€; MISE, 2017).

Il Ministero dello Sviluppo Economico, nel documento che descrive la Strategia Energetica Nazionale (SEN) al 2017, sulla base di dati Eurostat, mostra come ’intensità energetica Italiana sia pari a circa 100 tep (tonnellata equivalente di petrolio) per milione di euro di PIL nel 2015, in leggero incremento rispetto al 2014 (+2,5%), ma comunque ben al di sotto della media UE 28 di 120 tep per milione di euro di PIL (MISE, 2017).

Si rileva che il confronto fra le intensità energetiche di paesi diversi, volto a misurarne il differente grado di disaccoppiamento tra crescita del consumo energetico e crescita del PIL presenta comunque alcune difficoltà, soprattutto a causa delle modalità di conversione dei PIL nelle varie valute nazionali.

Il PIL è calcolato nella valuta di ciascun paese; quindi per fare confronti internazionali le singole valute devono essere convertite in una unità monetaria comune; solitamente ci si riferisce al dollaro americano. E’ possibile convertire i valori dei PIL scambiando le valute nazionali al tasso di cambio di mercato (MER). Alternativamente, è possibile impostare i tassi di conversione in modo che il valore di ogni valuta sia equivalente in termini di qualità e quantità di buoni e servizi acquistabili dai consumatori. Questo è il cosiddetto metodo a parità di potere d’acquisto (Purchasing Power Parity, PPP) ed è calcolato tramite un paniere dei prezzi mantenuto da OCSE e Banca Mondiale. Ma possono esservi notevoli differenze nel confrontare le intensità energetiche con i due metodi (MER o PPP), perché i valori del tasso di cambio di mercato (MER) sono fissati in conformità alla legge del prezzo unico per merci scambiate in regime di concorrenza internazionale. Il che non è verificato per tutti i prodotti. Ad esempio, per i prezzi dell’energia si ipotizza la libera concorrenza in un mercato internazionale perfetto. L’analisi storica mostra invece come possano presentarsi pratiche distorsive dei prezzi, tassazioni, sussidi o regolamentazioni nazionali che possono favorire una forma di energia rispetto alle altre (per esempio il nucleare in Francia o in Inghilterra).

109 D’altro canto, anche il metodo PPP presenta alcune problematiche. È difficile innanzitutto calmierare i prezzi di beni e servizi scambiati nel mondo reale. Inoltre, il confronto tra prezzi spesso non considera adeguatamente la qualità dei beni e servizi. È ben noto che beni e servizi dei paesi in via di sviluppo sono di qualità generalmente inferiore a quelli delle economie avanzate, il che induce una sottostima del prezzo. Inoltre il metodo MER considera solo il prezzo unico internazionale di beni e servizi e non considera i prezzi dei singoli Paesi, col risultato di sottostimare il PIL dei paesi in via di sviluppo, dove i prezzi sono generalmente bassi. L’intensità energetica calcolata è dunque spesso maggiore del caso reale. Al contrario, il metodo PPP considera i singoli prezzi nazionali ma non la qualità di beni e servizi, sovrastimando il PIL dei Paesi in via di sviluppo. L’intensità energetica in questo caso è minore del dovuto. Questa distorsione è ovviamente presente anche quando si confrontano le performance delle economie avanzate, sebbene in modo quantitativamente meno vistoso. Nella conversione dei PIL occorre tenere conto di queste considerazioni.

Un'altra problematica relativa al calcolo dell’intensità energetica dei paesi in via di sviluppo, le cui statistiche energetiche, risultano a volte poco affidabili soprattutto nel conteggio delle fonti rinnovabili distribuite o della biomassa, e dunque sottovalutano notevolmente il consumo energetico effettivo di molti dei paesi poveri. Vi sono poi spesso imprecisioni nella conversione di combustibili ad un denominatore comune.

I meri confronti tra consumi di energia primaria tra diversi paesi rischiano di considerare le differenze nelle condizioni economiche, produttive, geografiche e morfologiche dei rispettivi territori. In particolare il consumo di energia primaria del settore industriale dipende dal tipo di attività produttiva. Ad esempio nell’industria pesante ci sono molte attività energivore (produzione di acciaio, cemento, carta, petrolchimica) che producono prodotti dal valore aggiunto non elevatissimo (commodities) e finiscono per pesare negativamente sul mix economico-energetico nazionale; l’intensità energetica dipende molto dai mix produttivo presente delle diverse regioni. Può essere utile quindi delimitare il confronto dei valori dell’intensità energetica tra regioni climaticamente simili o tra sistemi economici con mix produttivi analoghi così da comprenderne meglio le prestazioni in termini di efficienza energetica e di disaccoppiamento tra indici di crescita economica e di consumo energetico. Inoltre può essere utile effettuare l’analisi delle serie storiche dell’intensità energetica in singole regioni. Per l’Italia si evince ad esempio come la crescita del PIL sia associata ad una crescita dell’energia primaria consumata, ma con intensità energetica calante (negli ultimi 20 anni il disaccoppiamento tra PIL e consumo d’energia italiani ha raggiunto il 15% del totale). Attribuire però questa prestazione ai programmi d’efficienza energetica non è immediato: il mix del consumo energetico nazionale è cambiato molto negli ultimi 10-15 anni per la decrescita dell’industria chimica e petrolchimica e per il passaggio al gas naturale.

110 L’analisi delle serie storiche sull’intensità energetica come valutazione sull’efficienza dei processi di consumo di energia primaria mostra alcune problematiche. In generale, i paesi avanzati sono caratterizzati da un sistema di produzione meno intensivo nel consumo di energia primaria ma uno stile di vita a più alto consumo energetico. Al contrario, i paesi in via di sviluppo sono caratterizzati da un sistema di produzione con consumo di energia più elevato, ma uno stile di vita a minor impatto energetico. L’economia è un sistema interconnesso e occorre grande attenzione nel paragonare l’impronta energetica nelle singole economie nazionali senza considerare i valori di energia contenuta in materiali finiti o semilavorati e servizi scambiati per evitare valutazioni inesatte sia nel confronto tra Paesi diversi che nella quantificazione del disaccoppiamento tra economia e consumo di energia primaria. Di seguito si riporta la serie storica delle intensità energetiche del settore industriale in Emilia-Romagna.

Tabella 7-4. Intensità energetiche annuali del settore industriale in Emilia-Romagna (tep/M€; elaborazione su dati Enea e Istat, 2017).

Anno Intensità energetica (tep/Meuro) 1988 118,95 1989 126,94 1990 123,71 1991 117,61 1992 118,85 1993 116,27 1994 115,91 1995 119,03 1996 119,87 1997 120,92 1998 119,81 1999 121,11 2000 119,90 2001 122,27 2002 126,13 2003 127,72 2004 134,61 2005 143,39 2006 133,27 2007 118,78 2008 116,12

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Figura 7-13. Intensità energetiche annuali del settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea e Istat, 2017).

L’intensità energetica del settore industriale viene ottenuta come il rapporto tra il consumo energetico finale e il valore aggiunto del settore industriale; la serie storica presenta un primo picco nel 1989, a cui segue un andamento lineare su valori costanti (attorno ai 120 tep/Meuro) sino al 2000, per poi crescere sino al picco più alto del 2005. A seguire l’intensità energetica industriale presenta un andamento decrescente sino al 2008, dovuto soprattutto al calare dei consumi del settore.

Tabella 7-5. Variazione annuale dell’intensità energetica del settore industriale in Emilia-Romagna (Enea e Istat, 2017). Anno Tasso di variazione annuale intensità energetica 1988 1989 0,067 1990 -0,025 1991 -0,049 1992 0,011 1993 -0,022 1994 -0,003 1995 0,027 1996 0,007 1997 0,009 1998 -0,009 1999 0,011 2000 -0,010 2001 0,020 2002 0,032 2003 0,013 2004 0,054 2005 0,065 2006 -0,071 2007 -0,109 2008 -0,022

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Figura 7-14. Serie storica della variazione annuale dell’intensità energetica del settore industriale in Emilia-Romagna (Enea e Istat, 2017).

Il grafico dei tassi di variazione annua dell’intensità energetica per l’industria in Emilia-Romagna è ottenuto attraverso il rapporto tra la differenza fra due anni consecutivi ed il valore relativo all’anno meno recente (∆∆∆∆IE = ((((t1-t0))))/t0). Per questo motivo, se l’intensità cresce il relativo tasso sarà positivo; se invece diminuisce, il

tasso presenterà valori negativi. Per il ventennio dal 1988 al 2012 mostra un valore medio pari a 0, confermando una sostanziale costanza dei valori di intensità energetica per il settore industriale. Si noti come le oscillazioni sono più importanti nel triennio precedente alla crisi economica del 2008.

Tabella 7-6. Peso dei consumi di combustibili solidi sul consumo finale totale nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Anno

Peso consumi finali di combustibili solidi sul

totale 1988 0,015 1989 0,014 1990 0,017 1991 0,014 1992 0,019 1993 0,015 1994 0,011 1995 0,014 1996 0,015 1997 0,013 1998 0,011 1999 0,007 2000 0,005 2001 0,005 2002 0,003 2003 0,002 2004 0,002 2005 0,002 2006 0,002 2007 0,001 2008 0,001

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Figura 7-15. Peso dei consumi di combustibili solidi sul consumo finale totale nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Nel ventennio considerato (1988-2008) il consumo di combustibili solidi nell’industria è sempre stato inferiore al 2% (1,9% è il picco massimo relativo al 1992), presentando un andamento decrescente molto pronunciato soprattutto dal 1996 al 2008, anno in cui il peso di questa tipologia di combustibile raggiunge il valore trascurabile di 0,1%. Questi valori mostrano con chiarezza l’ampia propensione del settore manifatturiero ed industriale regionale ad abbandonare progressivamente questa fonte di energia, anche a causa delle stringenti politiche ambientali messe a punto dal comparto.

Tabella 7-7. Peso dei consumi di prodotti petroliferi sul totale dei consumi finali nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Anno

Peso consumi finali di prodotti petroliferi sul

totale 1988 0,194 1989 0,175 1990 0,160 1991 0,146 1992 0,141 1993 0,125 1994 0,108 1995 0,119 1996 0,106 1997 0,108 1998 0,096 1999 0,095 2000 0,084 2001 0,078 2002 0,092 2003 0,076 2004 0,069 2005 0,061 2006 0,067 2007 0,056 2008 0,075

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Figura 7-16. Peso dei consumi di prodotti petroliferi sul totale dei consumi finali nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Il grafico del peso dei prodotti petroliferi sul totale dei consumi finali per il settore industriale mostra un andamento decrescente in tutto il periodo considerato, passando dal 20% del 1988 all’8% del 2008. Tale andamento è confermato dalla dismissione di impianti ad olio a favore del più pulito gas metano.

Tabella 7-8. Peso dei consumi di combustibili gassosi sul totale dei consumi finali nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Anno

Peso consumi finali di combustibili gassosi sul

totale 1988 0,587 1989 0,611 1990 0,616 1991 0,625 1992 0,625 1993 0,635 1994 0,642 1995 0,630 1996 0,643 1997 0,647 1998 0,653 1999 0,658 2000 0,666 2001 0,672 2002 0,658 2003 0,670 2004 0,687 2005 0,686 2006 0,679 2007 0,695 2008 0,671

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Figura 7-17. Peso dei combustibili gassosi sul totale dei consumi finali del settore industriale in Emilia- Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Il grafico del peso dei combustibili gassosi sul totale dei consumi finali del settore industriale in Emilia- Romagna mostra un incremento continuo dell’utilizzo di questa fonte energetica, passando da una percentuale del 59% nel 1988 al 67% del 2008. Il gas (soprattutto gas metano), è la fonte di energia più in uso nel comparto industriale emiliano romagnolo.

Tabella 7-9. Peso dei consumi finali di fonti rinnovabili sul totale dei consumi finali del settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Anno Peso consumi finali di rinnovabili sul totale 1988 0,005 1989 0,007 1990 0,009 1991 0,003 1992 0,005 1993 0,004 1994 0,015 1995 0,011 1996 0,011 1997 0,003 1998 0,003 1999 0,000 2000 0,002 2001 0,001 2002 0,006 2003 0,006 2004 0,011 2005 0,033 2006 0,031 2007 0,008 2008 0,005

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Figura 7-18. Peso dei consumi di fonti rinnovabili sul totale dei consumi finali nel settore industriale in Emilia-Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Il grafico del peso dei consumi finali di fonti rinnovabili nel settore industriale mostra un andamento altalenante con valori che rivestono negli anni considerati, percentuali da un minimo dello 0% del 1999 ad un massimo del 3,3% nel 2005.

Tabella 7-10. Serie storica del peso dei consumi di energia elettrica nel settore industriale in Emilia- Romagna (elaborazione su dati Enea, 2017).

Anno

Peso dei consumi elettrici sul totale dei consumi

finali 1988 0,198 1989 0,192 1990 0,198 1991 0,212 1992 0,210 1993 0,221 1994 0,225 1995 0,225 1996 0,225 1997 0,229 1998 0,237 1999 0,240 2000 0,244 2001 0,242 2002 0,242 2003 0,246 2004 0,231 2005 0,218 2006 0,222 2007 0,240 2008 0,247

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Figura 7-19. Peso dei consumi elettrici nel settore industriale sul totale dei consumi finali (elaborazione su dati Enea, 2017).

La serie storica dei consumi di energia elettrica mostra un andamento lievemente crescente nel periodo dal 1988 al 2008 attestando il peso di questa fonte sul consumo finale totale su valori compresi tra il 19% del 1989 a circa il 25% del 2008. L’energia elettrica rappresenta quindi una fonte sempre più rilevante anche per il settore industriale.