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Interesse privato e interesse pubblico nell’economia smithiana: tensione allo scambio e divisione del lavoro

Il seguente capitolo tratterà la tensione allo scambio e la divisione del lavoro, non solo come elementi circoscrivibili all’interno del settore economico-produttivo, ma anche come presupposti morali dell’agire individuale nella civil society. Attraverso l’analisi di questi due argomenti sarà possibile apprezzare come, nell’ottica di Smith, il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici sia costantemente mantenuto, senza mai spezzarsi in senso dicotomico, nell’azione dell’individuo.

Dato, nel capitolo II, lo schema morale che fa da sfondo al pensiero smithiano, è possibile provare a reinterpretare anche la riflessione economica alla luce di un equilibrato rapporto tra self-love e sympathy. La famosa frase di Adam Smith, intorno al rapporto tra interessi privati, ossia It is not from the benevolence of the butcher, the brewer, or the baker, that we expect our dinner, but from their regard to their own interest. We address ourselves, not to their humanity but to their self-love, and never

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talk to them of our own necessities but of their advantages356, adesso, non creerà più

problemi. Anche se volessimo porre il self-love alla base dell’attività economica, è stato fissato uno sfondo morale simpatetico nel quale il self-love subisce una ridefinizione concettuale. Esso non è più “l’egoismo”, tipico del self-interest, bensì è l’amor di sé, che si trova mediato dall’attività dell’impartial spectator e che non si pone antiteticamente alla sympathy. Non ci troviamo più di fronte l’homo oeconomicus, l’individuo egoista, bensì di fronte all’individuo smithiano, il quale tiene conto dell’”altro” non solo nella formulazione dei giudizi morali (sul sé e sugli altri) ma anche nell’attività economica. Reintroducendo l’”altro” nel discorso economico, Adam Smith salvaguardia anche l’attività economica da possibili derive individualiste dell’interesse privato. Questo perché l’attività economica non si pone in un settore separato rispetto a quella morale. Il rapporto tra interesse privato e interesse pubblico, secondo questa lettura, tende costantemente all’equilibrio e di conseguenza anche l’economia non è più il luogo dell’egoismo, bensì è il luogo dell’incontro tra individui. In definitiva, l’economia e la morale non sono più in contrasto.

Fatta questa premessa, relativamente alla dimensione del self-love anche nell’economia smithiana, possiamo introdurre gli argomenti di questo capitolo conclusivo, attraverso una domanda: come agisce l’individuo, per far fronte alle sue esigenze, nella civil society?

L’individuo, trovandosi impossibilitato a soddisfare tutti i suoi bisogni attraverso il proprio lavoro si trasforma in un “mercante”, che baratta il prodotto del suo lavoro con quello altrui. Lo scambio e il baratto sono gli strumenti più efficaci per perseguire i propri interessi, più della guerra e più della benevolenza. Il mercato non si pone tanto come un semplice luogo economico, ma come una forma mentis dell’individuo smithiano. Il tutto, ovviamente, non comporta la riduzione delle categorie morali a quelle economiche, quanto il contrario: il mercato come categoria morale, più che come luogo economico, è conseguenza di una naturale predisposizione dell’individuo.

L’”altro” è reinserito nell’attività economica, poiché la contrattazione e lo scambio prevedono il confronto con individui differenti. Questo “altro”, però, non viene declinato strumentalmente, ma, in quanto anche l’attività economica si pone come atto morale, esso è il fine implicito dell’attività di scambio. In questo modo, pur non essendone perfettamente consapevole, l’individuo, seguendo il suo interesse personale,

356 A. Smith, 1981, pp. 26-27.

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tende naturalmente all’”altro”, ma non in maniera strumentale. La dimensione del self- love che spinge l’attività economica, non è più la dimensione dell’egoismo ma può garantire anche un equo rapporto tra individui.

Dalla tensione allo scambio, poi, si passa a quella che Smith chiama la division of labour, la divisione del lavoro. Tale divisione sociale del lavoro è la conseguenza dell’attività commerciale, in quanto quest’ultima stimola la produzione delle merci e un’organizzazione più efficiente del lavoro sia livello sociale, sia a livello tecnico. Grazie alla sua profonda incidenza nella società, la divisione del lavoro produce un generale benessere sociale, tanto da porsi come vero e proprio motore per la realizzazione di “bene pubblico”.

La distinzione tra divisione “tecnica” del lavoro, tipica della fabbrica, e divisione “sociale” del lavoro, propria della società, sarà fondamentale per comprendere come la divisione del lavoro non sia una semplice categoria economica, ma sia, più in profondità, una dimensione morale di cooperazione tra individui. Essa, stimolata dalla tensione allo scambio individuale, si pone come un interesse pubblico, che a sua volta agisce retroattivamente sulla dimensione del self-love, rinforzando la tensione al baratto. L’interesse della società si svela come fondamentale per l’attività stessa dell’individuo: non è più qualcosa di oscuro e incomprensibile, ma qualcosa di tangibile e che influenza il self-love stesso.

Se la tensione allo scambio può essere identificata con l’interesse personale, in quanto mira al soddisfacimento dei bisogni individuali, e la divisione del lavoro con l’interesse pubblico, in quanto organizza e struttura socialmente il lavoro producendo benessere per tutta la società, risulterà evidente che interesse privato e interesse pubblico si trovino in una relazione di vicendevole influenza, senza che l’uno possa essere appiattito all’altro. L’indipendenza dei due viene salvaguardata, venendone affermata l’interdipendenza.

Il percorso di questo capitolo conclusivo, dunque, è già delineato. Partiremo proprio dall’analisi del mercato in Smith, per giungere a quella della divisione del lavoro: focalizzeremo l’attenzione prima sulla tensione dello scambio e sui suoi presupposti, mostrando come il self-love ad esso presupposto non sia un impulso egoistico, per poi derivare quello che Vincent-Lacrin definisce come il “dato” della società civile, ossia la divisione del lavoro, mostrando come la stessa divisione del lavoro si ponga come interesse generale della società che entra in relazione con la tensione allo scambio.

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Quando parliamo della civil society, dunque, non ci riferiamo solo e soltanto a una società totalmente concentrata sulla produzione, che priva gli individui della dimensione morale, alla così detta società capitalista in quanto società determinata in toto dalla produzione capitalista357, bensì a una società commerciale che esplica una propria attività morale. La società civile, la società commerciale, viene a delinearsi come il luogo in cui i moral sentiments descritti nel capitolo II si sviluppano, dando vita alla complessa dialettica tra self-love, sympathy e impartial spectator, tanto nell’ambito morale, quanto nell’ambito economico.

Nella prima sezione si indagherà il principio che determina la divisione del lavoro, ossia la propensione allo scambio. Più che da una razionale e consapevole scelta del bene pubblico, la divisione del lavoro è conseguenza della tendenza allo scambio e all’attività commerciale degli individui. L’aspetto interessante sarà quello di mostrare come la tensione allo scambio e al baratto, legata alle tensioni del self-love, non sia antitetica rispetto all’interesse pubblico, bensì ne sia il fondamento nel sistema smithiano. Questo sarà possibile osservando come alcuni dei meccanismi della morale smithiana si ritrovano anche nella WN.

Nella seconda sezione cercheremo di mostrare come la metafora della fabbrica degli spilli, utilizzata da Adam Smith per esemplificare il problema della divisione del lavoro, non sia letterale ma necessiti di un’interpretazione. Non ci troviamo di fronte all’estensione alla società di un meccanismo aziendale, bensì di un modello attraverso cui comprendere l’organizzazione sociale del lavoro. In questo senso, la divisione del lavoro si pone come cooperazione parzialmente consapevole tra gli individui e come

357 Noi viviamo oggi nell’epoca del capitalismo. Per molti la parola capitalismo è una mostruosità. Ma a molti di quelli che si accaniscono contro il capitalismo accade come al signor Joudain del Bourgeois Gentilhomme, il quale per quarant’anni aveva parlato in prosa senza saperlo. Essi mettono in pratica il capitalismo senza neppur accorgersene, L. Brentano, 1968, p. 13. Il capitalismo, nella prospettiva di Brentano, sorge in antitesi all’economia feudale, che sorge da quella naturale, non appena gli imperi e i possedimenti diventarono così estesi da non poter essere più amministrati da un organo centrale, senza un progredito sistema di mezzi di trasporto, ivi, p. 14.

Nella società capitalistica, come si potrà notare nel capitolo successivo, è il denaro e non più la terra il nuovo propulsore dell’economia nella società. Il mutamento avviene poiché con la società capitalista non si produce più esclusivamente per il proprio consumo […]. Si produce interamente, oppure in parte, per la vendita, L. Brentano, 1968, p. 19. Il valore della merce, ora più di prima, è determinato dal prezzo monetario e non più esclusivamente dalla qualità tecnica del prodotto. Il grande ed importante

cambiamento tra la società capitalista e quella feudale è, ovviamente, giocato dal capitale: esso è valore che genera plusvalore. Il capitale, attraverso una serie di contratti, genera la possibilità di riprodursi, ma soprattutto di accrescersi: il profitto, in sostanza, è questo. Passaggio di K. Marx: trasformazione della merce in denaro, M – D e poi trasformazione del denaro in merce, D – M, con l’aggiunta del lavoro e poi pluslavoro, per arrivare alla definitiva formula D – M – D’; dove M=merce, D=denaro e dove D’=D+ΔD, ossia denaro con plusvalore, questo eccedente o questo di più, io lo chiamo plusvalenza (Mehrwerth), K. Marx, 1960, Libro I, Sezione II, Capitolo IV, pp. 113-121.

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“bene pubblico”. Dall’analisi della divisione sociale del lavoro potremo apprezzare come essa influenzi la stessa tensione allo scambio.

La terza ed ultima sezione, infine, mostrerà come sia possibile articolare una relazione di interdipendenza tra l’interesse privato e l’interesse pubblico, in quanto, anche nel sistema economico smithiano, la dicotomia tra self-love e sympathy non è contemplata.

III.I. Il principio che determina la divisione del lavoro: la tensione allo scambio come interesse privato

Per introdurre la tensione allo scambio e mostrare come essa sia mossa dal self- love, Adam Smith, seguendo il metodo newtoniano di ricerca scientifica358, basato sulla ricerca di principi esplicativi dei fenomeni, si pone una domanda intorno al principio che determina la divisione del lavoro: quali sono le cause della divisione del lavoro?

Anzitutto, viene esclusa la razionale e perfetta consapevolezza del benessere della società: non è originariamente l’effetto di una saggezza umana che prevede e persegue quella generale opulenza che essa determina.359 A quest’affermazione ne fa eco un’altra, presente nella TMS: When by natural principles we are led to advance those ends, […] we are very apt to impute […] and to imagine that to be the wisdom of man, which in reality is the wisdom of God360. È impossibile, secondo Smith, che gli

individui abbiamo una così profonda consapevolezza e una così acuta comprensione del mondo, da poter perfettamente determinare quello che è il “benessere” per la società, in questo caso identificato con il fine della divisione del lavoro.

Come già mostrato nel capitolo I, la teoria della mano invisibile esemplifica non tanto l’incontrollata attività dell’individuo nella ricerca dell’interesse personale, quanto la “consapevole inconsapevolezza” delle potenzialità della ragione umana. L’individuo ha un più modesto compito, ossia quello di condurre e curare il proprio interesse ed è stato naturalmente predisposto per questo, così come mostrato nel capitolo II, intorno alle tensioni del self-love. Rispetto a Dio, All’uomo è riservato un settore molto più modesto ma più adatto ai suoi deboli poteri e alla sua limitata capacità di comprensione: la cura della propria felicità, di quella della sua famiglia, dei suoi

358 Per approfondire la tematica relativa ai rapporti tra Isaac Newton e Adam Smith si veda anche P. Barrotta e C. Raffaelli, 2006.

359 A. Smith, 2013, p. 91. 360 A. Smith, 1976, p. 87

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amici, del suo paese. Il fatto che gli sia occupato nella contemplazione del settore più sublime non giustifica la sua negligenza verso il più modesto.361

L’individuo, attraverso la consapevole362 razionalità, non può conoscere in

anticipo tutti gli effetti delle proprie azioni e dunque scegliere il “meglio” per la società: la razionalità dell’uomo non ha la forza per farlo, mentre nella cura dei propri interessi è possibile comprendere, con una maggiore seppur non definitiva consapevolezza, i propri bisogni.

Infatti, il giudizio di Adam Smith intorno al “beneficio pubblico” razionalmente calcolato è impietoso: Non ho mai visto che sia stato raggiunto molto da coloro che pretendono di trafficare per il bene pubblico. Questa invero non è una pretesa molto comune presso i commercianti e bastano pochissime parole per dissuaderli nel professarla.363 In un certo senso, non è l’interesse pubblico in sé, come idea regolatrice degli individui, a condurre nella civil society la divisione del lavoro.

In accordo con la parzialità della razionalità dell’individuo, possiamo affermre che la divisione del lavoro È la conseguenza necessaria, sebbene assai lenta e graduale, di una certa propensione della natura umana che non persegue una utilità così estesa: la propensione a trafficare, barattare e scambiare una cosa con un’altra.364 Non la

consapevolezza degli individui sulle conseguenze sociali delle loro azioni, non una benevolenza estesa verso tutta la società, quanto una propensione al commercio, allo scambio in generale da parte degli individui: ciò che determina la nascita della divisione del lavoro, dunque, non è una scelta razionale del meglio per la società, quanto una più modesta tendenza naturale al commercio e al mercato, strumenti necessari per soddisfare i bisogni individuali. È il self-love, l’amor di sé, che spinge gli individui a barattare e scambiare merci. Mercato e divisione del lavoro, nell’analisi economica della WN, sono inscindibili.

Veniamo introdotti al problema della tensione allo scambio, attraverso l’analisi dei presupposti della divisione del lavoro. Questo legame, di per sé, è molto significativo: mostra come un dato relativo all’organizzazione del lavoro, che è sociale,

361 A. Smith, 2014, p. 465.

362 Sul tema dell’inconsapevolezza dell’azione si consiglia l’articolo A. Witzum, 2008. 363 A. Smith, 2013, p. 584.

364 A. Smith, 2013, p. 91. Anche nella TMS, troviamo un riferimento alla capacità di linguaggio come facoltà fondamentale per l’uomo, che però, forse, può essere poggiata su una dimensione sociale: Il desiderio di essere creduti, il desiderio di persuadere, di guidare e dirigere altre persone, sembra uno dei nostri più forti desideri naturali. È forse l’istinto sul quale si fonda la facoltà del linguaggio, la facoltà caratteristica della natura umana., A. Smith, 2014, p. 630. Forse il linguaggio, dunque, poggia sulla dimensione sociale della sympathy, della tensione verso l’altro.

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implica una tendenza naturale degli individui che compongono quella determinata società.

Questa “naturale” tensione allo scambio e al baratto, che possiamo ricondurre a al self-love, però, non deve farci cadere nell’errore di considerare l’egoismo il fondamento antropologico del mercato e della divisione del lavoro. Richiamando il capitolo II del seguente lavoro, il self-love è differente dal self-interest, dunque, quando in Smith si parla di self-love non si intende quella propensione egoistica al soddisfacimento dei propri bisogni, quanto un principio molto più ampio. Con self-love intendiamo un’attività sociale, mediata dall’impartial spectator e che dunque è determinata anche grazie alla sympathy. La dimensione dell’altro è già insita nel self- love; quantunque fosse il self-love a muovere l’attività degli individui, dunque, non si creerebbe un problema di egoismo.

Questo da un punto di vista morale. Visto e considerato che l’economia, per Smith, rientra all’interno di un più ampio progetto di analisi del comportamento umano, non è possibile considerare il self-love fuori dalla dimensione morale, di conseguenza non è possibile considerare l’attività economica fuori da quella morale.

È dunque un fattore individuale, la propensione allo scambio, a determinare un’organizzazione sociale come la divisione del lavoro: il dato importante è che, non essendoci una distinzione tra comportamento morale e comportamento economico in Smith, almeno nei suoi presupposti, non si corre il rischio di rendere la società frutto dell’egoismo individuale.365 Il mercato e lo scambio, dunque, non sono concetti

esclusivamente economici, ma sono dei modi di relazionarsi, sono degli atti morali, che presuppongono una morale, quella in cui il self-love richiama automaticamente sympathy e impartial spectator.

Data la premessa intorno al self-love come fondamento dell’impulso al baratto, adesso bisogna indagare il rapporto che intercorre tra lo scambio, come interesse privato e la divisione del lavoro, come interesse pubblico. In che modo è possibile legare la tendenza allo scambio e alla contrattazione, come espressione di interesse privato, con la divisione del lavoro, come struttura che opera nell’interesse pubblico?

Nella società civile l’uomo ha continuamente bisogno della cooperazione e dell’assistenza di un gran numero di persone366, in quanto la divisione del lavoro rende

365 In questo Smith si distanzia decisamente da Mandeville, 1987, autore de The Fable of Bees, in cui sosteneva l’importanza dei vizi, del lusso e dell’egoismo per il corretto funzionamento dalla società. 366 A. Smith, 2013, p. 91.

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tutti gli individui dipendenti l’uno dalle mansioni dell’altro; questi, però, non possono sempre lusingare gli altri per ottenere qualcosa in cambio. L’individuo, secondo Smith, per indurre gli altri ad assecondare le sue inclinazioni, si sforza di ottenere il consenso con attenzioni servili e lusinghe367, ma non può agire così sempre. Inoltre, se un individuo aspettasse un aiuto disinteressato da parte degli altri, invano se lo aspetterebbe soltanto dalla loro benevolenza.368

Bisogna, dunque, trovare un altro principio che possa determinare la collaborazione, ossia rendere socialmente utile la divisione del lavoro; ciò che si trova alla base della divisione del lavoro è una vera e propria transazione di tipo commerciale: dammi ciò di cui ho bisogno e avrai questo che ti occorre. In questo modo otteniamo dagli altri la massima parte dei servizi di cui abbiamo bisogno.369 La divisione sociale del lavoro viene attualizzata, resa socialmente utile, quando è possibile contrattare le specie di lavoro differenti che nascono dalla stessa divisione del lavoro.

Quando avviene ciò, l’individuo, prima di essere un soggetto specializzato in una determinata mansione, è un mercante. Gli individui sono dei mercanti perché Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro [amor di sé]370, e parliamo dei loro vantaggi, mai delle nostre necessità.371 Questo habitus, questo essere mercanti, è dato dalla nostra

innata capacità di scambiare, idee, opinioni, etc.: è questo ciò che incoraggia lo sviluppo della divisione del lavoro nella società. Non si sceglie di divenire mercanti, poiché la divisione del lavoro ha differenziato i bisogni, ma è l’inverso: è l’attività del mercato, l’essere mercanti, che spinge alla divisione del lavoro.

Il rapporto causale, secondo Smith, è questo: La divisione del lavoro è determinata dalla stessa disponibilità a trafficare per la quale con l’accordo, il baratto e l’acquisto otteniamo dagli altri la maggior parte dei servizi reciproci di cui abbiamo bisogno.372 In quanto tendenti al baratto, è naturale, secondo Smith, che gli individui si dividano i compiti nella società: se non fosse presente questa disponibilità al baratto ed allo scambio, la divisione del lavoro non potrebbe essere socialmente utile.

E così la certezza di poter scambiare tutta la quantità del prodotto del proprio lavoro che eccede il personale consumo per parti del prodotto del lavoro di altri di cui

367 ivi, ed. cit., p. 92. 368 ivi.

369 ivi.

370 La traduzione in A. Smith, 2013, usa “egoismo” e non “amor di sé”. Considerando l’excursus concettuale fatto nel capitolo II sul self-love, poniamo “amor di sé” al posto di “egoismo” nella traduzione, in quanto maggiormente fedele all’originale (concettualmente e letteralmente). 371 A. Smith, 2013, p. 92.

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si può aver bisogno, incoraggia tutti ad applicarsi a una occupazione particolare e a coltivare e perfezionare il proprio talento o ingegno per quella particolare specie di attività.373 È la certezza dello scambio, dunque, a determinare la divisione del lavoro e non viceversa; la divisione del lavoro è condotta naturalmente dalla tensione, anch’essa naturale, allo scambio. Un interesse generale, sociale, è condotto a partire da una naturale tensione individuale.

Un’ulteriore evidenza che la presenza della divisione del lavoro nella società è riconducibile alla determinazione della tensione allo scambio dell’individuo è data dalla

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