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Adam Smith e il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici

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Academic year: 2021

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1 INDICE

Introduzione ... 2

Capitolo I. Il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici tra homo oeconomicus e Adam Smith’s problem ... 8

I.I.L’HOMO OECONOMICUS: PARADIGMA SCIENTIFICO ED EVOLUZIONE STORICA ... 9

I.II.ADAM SMITH E L'HOMO OECONOMICUS: INVISIBLE HAND, PRUDENCE E RAZIONALITÀ ... 22

I.III.L’ADAM SMITH’S PROBLEM:“PSEUDO-PROBLEMA” E RISOLUZIONE ... 38

I.IV.LA MANO INVISIBILE REINTERPRETATA: UN NUOVO RAPPORTO TRA INTERESSI PRIVATI E INTERESSI PUBBLICI NEL SISTEMA SMITHIANO... 49

I.V.CONCLUSIONE ... 53

Capitolo II. Sympathy, impartial spectator e self-love: la dimensione dell'altro nella morale smithiana ... 56

II.I.SULLA SYMPATHY: IMMAGINAZIONE, SCAMBIO ED EQUILIBRIO DEI SENTIMENTI ... 58

II.II.SULL’IMPARTIAL SPECTATOR... 66

II.III.APPROVAZIONE E DISAPPROVAZIONE: ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA SYMPATHY COME DINAMICA SOCIALE ... 79

II.IV.LA CIVIL SOCIETY TRA SYMPATHY E IMPARTIAL SPECTATOR: LO SFOGGIO DELLA RICCHEZZA ... 86

II.V.SUL SELF-LOVE: L’INTERESSE PRIVATO ALLA LUCE DELLE PRATICHE SOCIALI ... 93

II.VI.CONCLUSIONE ... 104

Capitolo III. Interesse privato e interesse pubblico nell’economia smithana: tensione allo scambio e divisione del lavoro ... 110

III.I.IL PRINCIPIO CHE DETERMINA LA DIVISIONE DEL LAVORO: LA TENSIONE ALLO SCAMBIO COME INTERESSE PRIVATO ... 113

III.II.LA DIVISIONE DEL LAVORO COME INTERESSE SOCIALE: LA METAFORA DELLA FABBRICA DEGLI SPILLI ... 123

III.III.CIRCOLARITÀ TRA INTERESSE PRIVATO E SOCIETÀ ... 133

III.IV.CONCLUSIONE ... 138

Conclusione ... 141

Bibliografia ... 145

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Introduzione

La seguente tesi ha come obiettivo principale quello di riflettere criticamente sul ruolo dell’individuo nelle società civili, ricostruendo l’interpretazione storiografica che è stata data alla riflessione etico-economica di Adam Smith.

L'idea della tesi nasce da alcuni interrogativi che mi sollecitano quotidianamente. Dalle crisi economiche ai dissesti politico-sociali, i problemi spingono per essere ridefiniti e ricollocati non solo all'interno di un contesto esplicativo di tipo economico che impegnato a ricercare la sostanza della propria prospettiva nella totale indipendenza dalle altre scienze, ma nell'ambito di uno sguardo scientifico più ampio che si apra alla riconsiderazione delle relazioni tra etica, politica ed economia.

Come afferma Piketty, quando parla del rapporto tra istituzioni europee e politiche di austerity, La prima conclusione è che occorre diffidare, in una materia del genere, di ogni determinismo economico: la storia della distribuzione delle ricchezze è sempre una storia profondamente politica, che non si esaurisce nell’individuazione dei meccanismi puramente economici.1

L'attenzione a questi ambiti di relazione tra le diverse scienze apre lo spazio per la riconsiderazione di un'altra relazione, quella tra interesse privato ed interesse pubblico. Anzitutto, occorre fare chiarezza su questi due concetti fondamentali, quello di interesse privato e quello di interesse pubblico. A cosa ci riferiamo quando parliamo di “privato” e “pubblico” nell’epoca moderna? Come si definisce la loro relazione?

Uno dei metri di paragone che ho deciso di adottare è la riflessione di Hannah Arendt, contenuta in Vita Activa. Dal suo testo estrapolerò pochissimi concetti chiave, necessari per il mio percorso.

Cominciamo dall’interesse pubblico. Lo spazio pubblico di cui parla la Arendt non è definibile come un vero e proprio “spazio fisico”, ma come una condizione di possibilità dell’esser-in-comune2, quasi un concetto trascendentale di politica.3

La Arendt definisce in due modi il significato di “pubblico”. Quello maggiormente significativo per il seguente lavoro è quello di spazio pubblico come realtà condivisa.4 Questa definizione è importante poiché la “condivisibilità” del mondo è il nucleo concettuale dello spazio pubblico5; in particolare è l’aver in comune 1 T. Piketty, 2016, p. 43. 2 H. Arendt, 2015, p. 37. 3 S. Forti, 2006, p. 285. 4 H. Arendt, 2015, p. 37. 5 ivi, p. 39.

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qualcosa, senza perdere la propria soggettività, quello a cui si riferisce. Infatti, afferma la Arendt, La sfera pubblica, in quanto mondo comune, ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce, per così dire, di caderci addosso a vicenda.6

Ciò che caratterizza la sfera pubblica, dunque, è la sua intrinseca relazionalità. Solo e soltanto perché abbiamo un “mondo” comune, noi possiamo essere “noi” stessi, riconosciuti ed apparire come tali dagli altri. L’oggettività del mondo comune, garantisce anche la dimensione soggettiva degli individui: la relazionalità è un fondamento dell’individualità.

L’altro concetto è quello di “privato”. Per la Arendt lo spazio privato è quello in cui si è, letteralmente, “privati degli altri”, da soli.7 Infatti, afferma la Arendt che La

privazione implicita nella privacy consiste nell’assenza degli altri; […]. Qualunque cosa faccia rimane senza significato e senza conseguenza per le altre persone, e ciò che a lui importa è privo di interesse per loro.8 Nella privacy, nell’essere privati, dunque, si viene privati, secondo la Arendt, dell’autenticamente umano: nessun rapporto oggettivo con gli altri, nessuna condivisione. In qualche modo, è come se si uscisse dal mondo, se non si facesse più parte del mondo.

Intendendo il privato come “privazione”, la Arendt applica un’operazione di reciproca esclusione concettuale tra il pubblico e il privato, alla cui base sta la presenza o l’assenza dell’”altro”.9

Quali conseguenze possiamo trarre nel rapporto tra interessi privati e pubblici? Pur essendo vero che la Arendt più che criticare il concetto di privato in quanto tale, critica l’inarrestabile avanzata della civil society, che annichilisce sia la dimensione pubblica che quella privata10, è impossibile non scorgere nelle parole della filosofa tedesca critica dell'interesse privato inteso come a-relazionale ed una propensione per la dimensione condivisa e relazionale, propria dell'interesse pubblico, che rende autentica la vita umana.11

Se possiamo essere d’accordo sul carattere relazionale della sfera pubblica, siamo meno d’accordo su quello a-relazionale della sfera privata. Sorge spontanea, qui, una domanda: la differenza tra le due sfere sta realmente nel loro essere o non essere 6 ivi. 7 S. Forti, 2006, pp. 295-296. 8 H. Arendt, 2015, p. 44. 9 S. Forti, 2006, p. 297. 10 S. Forti, 2006, pp. 298-299.

11 La Arendt, a p. 51, riporta l’affermazione di Locke, contenuta nel Second Treatise of Civil Government, sez. 27, il comune non è di alcuna utilità.

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“abitati” da relazioni inter-umane? La rappresentazione dell’interesse privato come interesse privo dell’”altro” è corretta? Ripartire da una revisione del concetto di interesse privato è il primo passo per una miglior comprensione del ruolo dell’individuo all’interno della società e dunque di una nuova rappresentazione dell’individuo nella civil society.

Il metodo che adotteremo, per indagare il problema dell’interesse privato e delle sue relazioni con l’interesse pubblico, è composto da due elementi. Dapprima, la prospettiva sulla quale ci muoviamo è l’economia politica.

Perché? La prospettiva della Arendt, secondo cui l’economia politica sarebbe una contraddizione in termini, in quanto l’economia è “gestione della casa”12, e la

politica è “gestione del pubblico”13, porta con sé un’ipotesi: che interessi privati e

interessi pubblici si escludano a vicenda e che essi siano concettualmente contrapposti.14 Ciò che questa tesi si prefigge come obiettivo è quello di mettere in discussione questa contrapposizione per rianalizzarne il significato nelle moderne società civili. Volendo analizzare il concetto di interesse privato, proprio dell’economia, e quello di interesse pubblico, proprio della politica, l’economia politica si impone come la disciplina più manifestamente vocata ad accogliere la nostra riflessione.

L’economia politica, proprio per la capacità di trattare congiuntamente economia e politica, assume una dimensione prettamente moderna: è nel mondo moderno, dal XIX secolo in poi, che il problema dei rapporti tra interesse privato e interesse pubblico si è fatto più forte. Non a caso, Hegel, in Grundelinien der Philosophie des Rechts, afferma che Die Staatsökonomie [...] Es ist dies eine der Wissenschaften, die in neuerer Zeit als ihrem Boden entstanden ist. Ihre Entwicklung zeigt das Interessante, wie der Gedanke (Smith, Say, Ricardo) aus der unendlichen Menge von Einzelheiten, die zunächst vor ihm liegen, die einfachen Prinzipien, der Sache, den in ihr wirksamen und sie regierenden Verstand herausfindet.15 La prospettiva dell’economia politica riappare

12 Il termine “economia” deriva dal greco οἶκος, "casa" o anche "beni di famiglia", e νόμος (nomos), "norma" o "legge" o “regola”.

13 Il termine “politica” deriva dal greco πόλις, “città” e τέχνη, “arte” o “tecnica”; ovvero "arte di governare".

14 H. Arendt, 2015, p. 22.

15 G. W. F. Hegel, 1970, pp. 346-347. Traduzione G. W. F. Hegel, 2010, pp. 159-160: L’economia politica […] È questa una delle scienze che sono sorte nell’età moderna come in loro terreno. Il suo sviluppo mostra lo spettacolo interesssante di come il pensiero (v. Smith, Say, Ricardo) movendo dall’infinita moltitudine di fatti singoli, che si trovano dapprima davanti ad esso, rintraccia i princìpi semplici della cosa, l’intelletto che è attivo in essa e che la governa.

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lecita solo se si riesce a mostrare come tra interessi privati e interessi pubblici, sia possibile, almeno in potenza, una dialettica non dicotomica, ma sintetica.

Il secondo elemento, direttamente connesso al primo, è il recupero del pensiero di Adam Smith. I motivi che ci spingono a questo “recupero” del pensiero smithiano sono due. Il primo, sta nel fatto che, se ci riferiamo all’economia politica come prospettiva dalla quale partire, non possiamo prescindere dalla riflessione di Adam Smith, comunemente definito come il “padre dell’economia politica classica”. Una riflessione intorno al pensiero di colui che rese “scientifica” l’economia politica è necessaria se vogliamo muoverci in questa prospettiva.

Il secondo motivo per cui ho deciso di riprendere Adam Smith è che grazie alla sua riflessione, l’economia politica risulta essere la disciplina che maggiormanete riesce a darci le coordinate per reinterpretare il difficile rapporto tra interessi privati e pubblici. Come lo stesso Smith afferma all’inizio del IV libro della Wealth of Nations16, Of

Systems of Political Oeconomy, l’economia politica, considered as a branch of the science of a statesman or legislator, proposes two distinct objects; first, to provide a plentiful revenue or subsistence for the people, or more properly to enable them to provide such a revenue or subsistence for themselves; and secondly, to supply the state or commonwealth with a revenue sufficient for the publick services. It proposes to enrich both the people and the sovereign.17 Questo passo contiene un punto

fondamentale per la nostra argomentazione: anzitutto, Smith considera l’economia politica come quella scienza del “legislatore”, dunque di carattere politico, che permette di curare sia l’interesse privato, offrendo agli individui la possibilità di garantirsi una sussistenza, che quello pubblico, garantendo alla res publica le condizioni della propria attiva permanenza.

Attraverso la rilettura di Adam Smith, cercherò di mostrare come la dimensione relazionale sia già insita all’interno dell’interesse privato. Per questo, sarà necessario comprendere il sistema economico smithiano, esposto nella Wealth of Nations, alla luce dell’altra sua opera, Theory of Moral Sentiments18, all’interno della quale la dimensione

morale dell’individuo, composta dalla complessa dialettica tra sympathy e self-love, appare profondamente relazionale. L’interesse privato, fondato su una morale in grado

16 D’ora in avanti ci riferiremo alla Wealth of Nations con WN 17 A. Smith, 1981, p. 428.

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di valorizzare l’”altro” attraverso la formulazione del giudizio individuale, non si troverà più in contrasto con l’interesse pubblico.

Il lavoro che presentiamo si articolerà in tre capitoli, ognuno dei quali potrà dare un contributo alla tematica dei rapporti tra interessi privati e interesse pubblico.

Il primo passo sarà quello di analizzare il rapporto di mutua circolarità che si è venuto a creare tra l’homo oeconomicus19, il modello etico-antropologico ancora

utilizzato dalla teoria economica mainstream, e l’Adam Smith’s problem. Si chiarirà quali legami sussistano tra il modello dell’homo oeconomicus e l’Adam Smith’s problem e e quali conseguenze si possano far valere per articolare il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici.

Il passo successivo del lavoro sarà quello di ricostruire l’ossatura portante della morale smithiana, mettendo in luce come l’”altro” ne risulti un elemento imprescindibile. Mostrando come l’”altro” sia implicitamente contenuto nella morale smithiana, si pongono le fondamenta per una nuova considerazione del rapporto tra interessi privati e interessi pubblici. La domanda fondamentale da cui sono partito è la seguente: l’”altro”, nella morale smithiana, gioca un qualche ruolo per la felicità dell’individuo? Questa sezione è centrale per la nostra tematica, in quanto vuole mostrare come il fondamento dell’interesse pubblico, ossia il valore dell’”altro”, sia già implicito nella formulazione dei giudizi morali dell’individuo. Il rapporto tra sympathy, impartial spectator e self-love è caratterizzato dalla profonda attenzione che l’individuo pone nell’altro. In particolare, cercherò di mostrare come il self-love vada necessariamente ridefinito. In Smith, infatti, non è possibile definire il self-love attraverso l'esclusivo ricorso all'egoismo.

Una volta mostrato il ruolo decisivo dell’”altro” nella componente morale del pensiero smithiano, si imposta un’altra domanda. Così come nella morale smithiana, il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici tende all’equilibrio, che cosa accade nell’attività economica? L’argomento del terzo ed ultimo capitolo è volto a chiarire questo aspetto, trattando la tensione allo scambio e la divisione del lavoro.

Le conclusioni tratte dai tre capitoli, dunque, saranno fondamentalmente tre: la prima, che l’individuo smithiano non è l’homo oeconomicus, per cui l’Adam Smith’s problem risulta uno “pseudo-problema”; la seconda, che l’”altro” nell’impalcatura morale ed economica smithiana non è marginale, così come lo è per l’homo

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oeconomicus; la terza, che questa considerazione si estende anche nell’ambito economico.

La generale conclusione della tesi, invece, è che un'articolazione tra interesse privato ed interesse pubblico non basata sulla scissione e la reciproca esclusione implica un ripensamento dei fondamenti antropologici dell'economia politica e che tali fondamenti emergono se si riconosce che l'economica è, pure quando si fatica a riconoscerlo, in costante relazione con etica e politica. Per raggiungere ed argomentare una tale posizione è stato fondamentale ripercorrere la riflessione di Adam Smith al quale è stata spesso, impropriamente, associata la visione dell'homo oeconomicus. Ricostruendo l'Adam Smith Problem si è notato come esso sia uno “pseudo-problema”, poiché nella prospettiva smithiana la considerazione dell'"altro" che ci “abita” e “abita” il mondo fuori di noi è un fattore fondamentale per la definizione del giudizio morale e delle scelte economiche.

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Capitolo I. Il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici tra homo oeconomicus e Adam Smith’s problem.

Alla luce della dicotomia tra spazi privati e spazi pubblici, sorge spontaneamente una domanda, legata al ruolo degli individui all’interno delle società civili. Com’è possibile articolare una dialettica tra gli interessi privati e gli interessi pubblici? Possono coesistere interessi privati differenti e generare interessi pubblici, che non riguardino direttamente gli individui stessi, ma la collettività? Una soluzione al rapporto tra interessi privati e interessi pubblici nella civil society, è stata data attraverso la figura dell’homo oeconomicus.

Cos’è l’homo oeconomicus? Il primo capitolo si porrà l’obiettivo di chiarirlo, analizzandone, brevemente, anche il suo sviluppo storico. Perché esso è una figura così importante? Per due motivi. L’homo oeconomicus, infatti, ha permesso alle moderne scienze economiche di trovare un fondamento epistemologico-antropologico “puro” al discorso scientifico e di ottenere uno strumento di indagine storiografica, capace di gettare nuova luce sull’analisi storica ed economica nelle epoche precedenti. L’importanza dell’homo oeconomicus è sia epistemologica-antropologica, sia storiografica; entrambi questi aspetti, come vedremo lungo il primo capitolo, sono connessi alla tematica in questione.

Perché l’homo oeconomicus risulta determinante per il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici? La ragione è che, interrogandoci sulla posizione dell’individuo nella società, ci interroghiamo altresì sul rapporto tra il suo interesse e quello della società stessa. Se l’individuo si rappresenta come homo oeconomicus, le sue azioni saranno rivolte all’esclusivo perseguimento degli interessi personali, senza tenere in conto l’”altro” nel suo “calcolo”; se non è così, come vedremo, le cose cambiano profondamente.

L'immagine dell'homo oeconomicus si costituisce attraverso una netta cristallizzazione attorno alla figura di un “agente individuale” che, seppure inserito in un contesto sociale, è, nella sostanza delle proprie scelte, da esso indipendente e costantemente orientato a perseguire e massimizzare i propri interessi. Su questo sfondo, l’interesse pubblico non entra a far parte degli obiettivi di questo individuo “egocentrato”. A mio avviso, la radice di questo problema sta nella rappresentazione dell’”altro”: l’”altro” non viene considerato, nell’ipotesi dell’homo oeconomicus, come un elemento rilevante per l’agente. Rilegato ad un ruolo marginale, esso diviene uno strumento dell’homo oeconomicus per il perseguimento del proprio interesse.

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La rappresentazione del presente, poi, ha anche effetto sul passato: trovato un modello epistemologico stabile, lo si astrae a tal punto da pensare di poterlo applicare a tutte le epoche storiche, trovando un’unità storica che dal passato porta al presente. Proprio per questo motivo, in questo capitolo vedremo come la figura dell’homo oeconomicus abbia influenzato l’interpretazione di Adam Smith. Il filtro dell’homo oeconomicus al pensiero smithiano ha generato, a mio avviso, quello che viene comunemente definito l’Adam Smith’s problem, ossia la presunta antitesi tra la Wealth of Nations e la Theory of Moral Sentiments.

In definitiva, ripensare l’interpretazione storica dell’individuo smithiano, significa ripensare il presupposto metodologico proprio delle scienze economiche, ossia l’homo oeconomicus egoista, individualista, che non considera l’”altro” come un valore per la propria azione.

Nel primo capitolo, tenendo sullo sfondo il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici, che come vedremo nelle prospettive della moderna economia politica sono intesi in senso antitetico, cercherò di chiarire due concetti: lo sviluppo storico-concettuale dell’homo oeconomicus e la sua applicazione alla riflessione smithiana.

Nella prima sezione si risponderà alle seguenti domande: che tipo di modello antropologico viene presupposto dalle moderne teorie economiche? Quali sono le sue caratteristiche? Qual è stata l’evoluzione storico-filosofica di questo modello?

Nella seconda sezione, invece, si vedrà come questo modello epistemologico-antropologico si sia posto anche come criterio interpretativo del pensiero economico di Adam Smith.

Nella terza sezione cercherò di dimostrare l’inapplicabilità di questo schema al pensiero smithiano, chiarendo alcuni punti chiave del cosiddetto Adam Smith’s problem. Infine, nella quarta sezione, proporrò una nuova interpretazione della mano invisibile, nella quale non si dà il predominio dell’interesse privato su quello pubblico. In questo modo, si aprirà la strada a una alternativa linea interpretativa di Smith, la quale può aiutarci ad intendere il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici.

I.I. L'homo oeconomicus: evoluzione storica e paradigma scientifico

Prima di vedere come la teoria dell’homo oeconomicus si presenti nelle moderne scienze economiche e quali ne siano le caratteristiche principali, è necessario un brevissimo excursus storico sul concetto di homo oeconomicus e sulla sua definizione di agente “egocentrato”. L’obiettivo di questa breve ricostruzione storica dell’homo

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oeconomicus sarà quello di contestualizzare la graduale eliminazione della componente relazionale dall’economia politica. Questa indagine storica si soffermerà principalmente su tre autori, Wicksteed, Pareto ed Edgeworth, mentre altri, come Gossen e Robbins, verranno soltanto accennati. In tal modo, potremo mettere in luce la transizione dal periodo classico a quello neoclassico in ambito economico, nella quale si sono andate a definire le caratteristiche antropologiche dell’homo oeconomicus.20

Questa prima parte è legata al tema generale poiché, nel costituirsi di un modello antropologico individualista, l’homo oeconomicus, si è gradualmente ridotto il valore21

dell’interesse pubblico nelle scelte dell’individuo; se l’individuo viene rappresentato come individualista o egoista, “egocentrato”, il valore dell’interesse pubblico perde mordente, retrocede, diventa superfluo. Questa riduzione del peso specifico dell’interesse pubblico nelle scelte dell’individuo è dovuta a una lenta e graduale espulsione dell’”altro” dall’interesse privato degli individui.

Di quale soggetto economico stiamo parlando? L’agente razionale di cui si occupa la scienza economica, nipote del vecchio uomo economico, si è liberto di tanti orpelli, tra cui quello della filosofia edonistica, ma resta ancora profondamente individualista, completamente definito nella propria sfera individuale; non è capace di simpatia o di amore, come è incapace di invidia o odio.22 Relativamente alle assunzioni

antropologiche delle moderne scienze economiche, sembra che questa definizione di Bruni ne colga perfettamente il presupposto filosofico-antropologico e morale. Quel cosiddetto “criterio razionale” viene a definirsi come una “massimizzazione” degli interessi personali, a discapito della sua dimensione interpersonale.23

Volendo reinterpretare il rapporto tra interesse privato e interesse pubblico, ma volendo al contempo reinterpretare il pensiero di Adam Smith, sarebbe necessario partire proprio dal filosofo scozzese. In questo caso, visto che la ricostruzione del

20 ivi.

21 Sul concetto di “valore” nell’economia, è di rilievo la prospettiva di Zamagni, espressa

nell’introduzione a S. Zamagni, 1994. Egli si pone una domanda, relativamente al comportamento degli individui nella società civile: Quale è allora l’unico fondamento pensabile atto a far coerire in società esseri diversi che non si limitano a subire le azioni esterne, ma pretendono di esercitare un’iniziativa? Secondo Zamagni è proprio il “valore”, in senso formale. Egli argomenta dicendo che, Se gli esseri umani sono liberi, la loro spontaneità si accorderà se troverà un valore su cui convergere. Non si tratta dunque di stabilire un valore, come per esempio quello della “libertà”, quanto di lasciare che i valori possano liberamente associarsi. La libertà, in sostanza, è il prerequisito di ogni valore e non solo. I valori sono i principi capaci di suscitare un’adesione non passiva, senza far leva su semplici inclinazioni. Per questo il valore è quel fondamento su cui volontà libere giungono a concordare, in quanto libere. A conclusione di ciò, Zamagni afferma che è anche per questo, infine, che l’economia non può avere un’esistenza utile separata dall’etica. Riferimenti a p. 10 del testo citato.

22 L. Bruni, 1997, p. 4. 23 ivi.

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pensiero morale smithiano sarà articolata con maggiore ampiezza nel capitolo II, possiamo vedere le tappe storiche immediatamente successive a Smith, che hanno determinato la nascita del cosiddetto homo oeconomicus.

Un modo particolarmente proficuo per comprendere la figura dall’homo oeconomicus, potrebbe essere quello di porlo in relazione con una figura della letteratura inglese, ossia il Robinson Crusoe.24 Perché prendere a modello il personaggio del libro The life and Adventures of Robinson Crusoe, scritto da Daniel Defoe nel 1719? Esso è un vero e proprio paradigma, da cui poter partire per comprendere i caratteri principali dell’homo oeconomicus e del suo sviluppo storico. White afferma che Crusoe thus became a representative rational economic individual, allocating his available resource to obtain maximum satisfaction25, e Grapard, facendogli eco, afferma che Robinson Crusoe has often seen as representing homo economicus per excellence.26 Scegliere Crusoe come personaggio non è casuale, in quanto esso permette all’economia neoclassica di svelare un principio economico determinante, ossia che la razionalità economica è nella sua sostanza un’operazione individuale di ottimizzazione vincolata.27 L’interpretazione del Robinson Crusoe, però, non si ferma alla mera constatazione della razionalità come sua caratteristica peculiare; un altro punto interessante è il ruolo, o meglio, l’”assenza”, di Venerdì. Il selvaggio che diventerà l’”aiutante” di Crusoe, in questa canonica intepretazione, è assolutamente superfluo. Egli è sì una presenza, ma è soltanto la figura che constata la superiorità dall’individuo razionale ed economico, che applica le sue doti di organizzazione e gestione delle risorse per la sopravvivenza. Crusoe, dunque, è il perfetto paradigma dell’individuo capitalista: è solitario, privo di un istinto sociale, ma attraverso la sua razionalità sopravvive e prospera.

Il punto di partenza di questa interpretazione del Crusoe28 va ricercato in Austria, nella seconda metà del XIX secolo. L’esempio di Robinson Crusoe, in merito a ciò, diventerà molto comodo per la scuola austriaca.29 Il primo utilizzo del modello

24 ivi, p. 9.

25 M. V. White, 1987. 26 U. Grapard, 1995, p. 37.

27 L. Bruni, 1997, p. 10. Sull’evoluzione della moderna scienza economica ed in particolare sul ruolo di V. Pareto, segnaliamo anche L. Bruni, 2004. Sul tema del superamento della dicotomia stato-mercato e la riconsiderazione della socialità all’interno dell’economia, si segnala S. Zamagni e L. Bruni, 2004. Infine, sul tema dell’”altro”, nell’economia, si segnala L. Bruni, 2006.

28 K. Marx parla di “robinsonate”, riferendosi alla mitizzazione che è stata fatta del naufrago di Defoe, più che al libro e al personaggio in sé e per sé. Marx, 1973, Marx, 1968-1970.

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Crusoe è presente nell’economista tedesco30 Hermann Heinrich Gossen. Egli, nel testo

Die Entwickelung der Gesetze des menschlichen Verkehrs, und der daraus fließenden Regeln für menschliches Handeln, pubblicato nel 1854 rappresenta il primo tentativo di costruire la scienza economica partendo dall’economia individuale e poi, partendo da essa, costruire il sociale.31 Il modello Crusoe32 permetterà a Gossen di spiegare come i comportamenti umani siano sempre tese alla massimizzazione degli obiettivi individuali.

In seguito, pur non venendo mai abbandonato del tutto, il modello del Crusoe perderà mordente, in favore dell’homo oeconomicus. Un’influenza decisiva sulla strutturazione dell’homo oeconomicus moderno come modello antropologico delle scienze economiche, è stata svolta dalla riflessione economica dell’inglese Wicksteed. In Wicksteed ritroviamo lo stesso uso “austriaco” della parabola di Robinson Crusoe, partendo la sua teoria dall’ipotesi di soggetto isolato.33

Il punto di partenza di Wicksteed è il cosiddetto “principio marginale”, una vera e propria “rivoluzione” che esso ha operato in relazione all’impostazione classica inglese. Nell’introduzione della sua Commonsense of political economy, del 1910, Wicksteed afferma che il primo tassello di questa nuova impostazione è stato quello di aver basato l’economia sulla psychology of choice between alternatives34, ossia aver

identificato l’economia con una “prassologia”. Da questa affermazione ne deriva che the general principles which regulate our conduct in business are identical with those regulate our deliberations, our selection between alternatives, and our decisions, in all other branches of life.35 Come in Grossen, anche Wicksteed ritiene che il momento economico non necessiti dell’”altro” per attivarsi; infatti, nel capitolo IV del suo lavoro afferma che Hitherto our examination of the administration of resources has been conducted purely from the personal or individual point of view […] To these we must

30 Prussiano per l’esattezza, visto che visse tra il 1810 e il 1858, periodo in cui la Germania non era ancora politicamente unificata.

31 L. Bruni, 1997, p. 11.

32 Bruni, nella nota 20 di p. 11 del suo testo, ci informa che il Crusoe a cui si riferisce Gossen,

probabilmente, era il Crusoe dell’opera di J. H. Campe, Robinson the Young, pubblicato nel 1779-1780. Questo perché, secondo White, gli economisti inglesi probabilmente risentirono del cambiamento avvenuto nella letteratura inglese sulle robinsonate dopo il 1950, le quali “represented Crusoe more as an individual calculatin costs and benefits in the manner of an English shop keeper, White, Robinson Crusoe, 1987, p. 218.

33 ivi, p. 13.

34 Il testo a cui riferiamo, seguendo le citazioni di Bruni nell’articolo che stiamo analizzando, è l’edizione del 1933 del Commonsense of political economy di P. Wicksteed, p. 2.

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now turn, making the momentous transition from personal to communal economics.36 Se

c’è un passaggio a una “economia comune”, allora deve essere preesistente un’economia individuale: ciò si riallaccia alla figura del Crusoe, in quanto Venerdì è “successivo” all’”economicizzazione” delle decisioni sull’isola deserta, operata individualmente dal Crusoe. Il punto centrale della tesi dell’isolamento dell’individuo nella sua attività economica è espresso al capitolo V, dove, attraverso il concetto di non-tuismo, non-tuism in inglese, elimina la possibilità di rendere operativa la dimensione interpersonale all’interno delle discipline economiche.37

Occorre vedere come Wicksteed arrivi a formulare questo concetto di non-tuism, centrale nella tematizzazione dell’”altro” nell’economia marginalista. Anzitutto, il problema di fondo che ha impedito alla scienza economica di progredire è stato quello di aver limitato lo studio dell’economia a solo quelle azioni caratterizzate da un certo motivo38, ossia, per usare le parole di Wicksteed, the desire to possess wealth.39 Questo atteggiamento, il desiderio della ricchezza, era ovviamente in contraddizione con la scelta religiosa40 dell’economista inglese: l’altruismo, in questo caso, veniva espulso dalla disciplina economica.41 Come afferma lo stesso Wicksteed, We are only concerned with the “what” and the “how”, and not at all with the “why”.42 Non più il

“chi”, ma il “cosa” e il “come” sono gli oggetti della disciplina economica.

Era necessario, però, reinserire la dimensione dell’”altro” nella riflessione di Wicksteed. Anzitutto, ricalcando la scuola austriaca, afferma che l’economia è un gioco a somma positiva43: la cooperazione avviene tra individui che hanno un vantaggio nell’intraprenderla.44 Questo è un primo riferimento, seppur legato a uno “sfruttamento”

reciproco, all’“altro”.

In secondo luogo, Wicksteed afferma che tutti i tipi di relazione a somma positiva may be fitly called “economics”.45 A questo punto, egli definisce le economic forces, come anything and everything which tends to bring men into economic

36 ivi, p. 127.

37 L. Bruni, 1997, p. 14. 38 ivi, p. 14.

39 P. Wicksteed, 1933, p. 163.

40 Wicksteed era un pastore protestante. 41 L. Bruni, 1997, p. 15.

42 P. Wicksteed, 1933, p. 165. 43 L. Bruni, 1997, p. 15. 44 P. Wicksteed, 1933, p. 166. 45 ivi.

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relations.46 Identificazione delle forze economiche con tutte quelle “forze”

dell’individuo che lo spingono ad intraprendere relazioni “economiche”.

Il passo successivo è quello decisivo. La relazione economica di cui Wicksteed parla is entered into at the prompting of the whole range of human purposes and impulses, and rests in no exclusive or specific way on an egoistic or sel-regarding basis47; l’attività economica si identifica con la generalità di tutti gli impulsi e mai con l’egoismo o con il self-interest nello specifico. La razionalità tipica delle decisioni interpersonali è, in sostanza, identica a quella delle decisioni economiche, dunque la dimensione “economica” è alla base di tutte le decisioni individuali.

Una volta definite l’attività economia come il settore che spinge gli individui a intraprendere relazioni peculiarmente “economiche” e dopo aver definito le relazioni economiche come catalizzatori di tutti gli impulsi umani, Wicksteed può introdurre il “non-tuismo”. Il punto essenziale del suo non-tuism, è espresso dal passaggio: as soon as he moved by a direct and disinterested desire to further the purposes or consult the interests of those particular “others” for whom is working at the moment […] the transaction on this side cease to be purely economic.48 Il dato importante che possiamo trarre non è tanto la reintroduzione di un “altro” generico nell’analisi economica, quanto le condizioni con cui l’altro viene reintrodotto. L’elemento importante del non-tuismo è che l’”altro” generico non si trasformi in un agente personale, ma resti impersonale: l’attività economica per Wicksteed, dunque, ha come caratteristica principale l’impersonalità, ossia il non considerare l’”altro” come un individuo personale, ma solo come un generico “altro”. La simpatia e più in generale le relazioni interpersonali, dunque, non trovano spazio nella sua analisi economica.49 Infatti, Wicksteed afferma che it would be just as true, and just as false, to say that the business motive ignores egoistic as to say that it ignores altruistic impulses. The specific characteristic of any economic relation is not its “egoism” but its “non-tuism”.50

Riassumendo l’impostazione di Wicksteed, si può affermare che la dimensione dell’”altro” come persona viene espulsa dalla scienza economica. Questo “altro”, però, non è del tutto eliminato: l’”altro” che viene considerato come “utile” alle scienze

46 ivi, p. 168.

47 ivi, p. 169. 48 ivi, pp. 173-174.

49 Come ci informa Bruni nella, nota 28 di p. 16 dell’articolo citato, Wicksteed specifica (p. 175), che nel comportamento effettivo ritroviamo a volte anche comportamenti tuistici nel mercato, ma queste sono interferenze di altre sfere, extra-economiche, che bisogna, con un’operazione di astrazione, trascurare. 50 P. Wicksteed, 1933, p. 181.

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economiche è l’”altro” impersonale, privato della sua dimensione umana. In questo modo, la categoria del “tu” perde senso, in favore di un generico e impersonale “altro”. L’impersonalità, dunque, è la dimensione in cui l’individuo come homo oeconomicus si muove nelle società civili, impersonalità che annulla del tutto la possibilità di riconoscere nell’altro un interesse valido per il sé.

Un altro tassello importante nella ricostruzione storica dell’homo oeconomicus è rappresentato dalla riflessione di Pareto. Anzitutto, vediamo su quali concetti sia stato possibile realizzare il passaggio dal suo Cours d’économie politique, pubblicato nel 1896-1897, al Sunto, pubblicato nel 1900: il primo ha un’importanza strategica, in quanto racchiude i primi 5 anni del lavoro dell’economista svizzero di “economia pura”, mentre il secondo è l’opera in cui Pareto affronta i fondamenti epistemologici della sua teoria della scelta. Il passaggio può anche essere espresso diversamente: si passa dall’introduzione del concetto di “ofelimità”, Cours, alla teoria della scelta nell’economia, Sunto, nella quale risulterà fondamentale il concetto di impersonalità dell’agente economico.

Nel Cours, Pareto introduce una nuova nozione, l’ofelimità, al posto della vecchia e alquanto confusa concezione di utilità, ancora legata alle considerazioni filosofiche dell’edonismo e dell’utilitarismo.51 L’ofelimità viene definita da Pareto

come un rapporto di convenienza, che soddisfi un qualsiasi bisogno, utile o inutile, legittimo o meno52; in questo modo Pareto ritiene di aver “scovato” un fatto,

indipendentemente dal soggetto, in quanto ciò che importa è che solo e soltanto un desiderio venga “soddisfatto”. La scienza economica, di conseguenza, diventa la scienza dell’ofelimità.53

Perché introdurre questo concetto di ofelimità nella scienza economica? Lo scopo è stato proprio quello di cercare di togliere le “supposizioni” dall’economia e condurre tale disciplina alla scientificità. Basta leggere la premessa del Cours di Pareto: Lo scopo principale che ci siamo proposti scrivendo questo libro, è stato dare uno schizzo della scienza economica considerata come una scienza naturale e fondata solo su fatti. L’ofelimità dà la possibilità a Pareto di eliminare altruismo, egoismo e filosofia edonistica dal panorama della scienza economica; adesso l’economia pura si occupa di un solo movente, ossia “massimizzare l’ofelimità”, il “fatto puro” della scienza

51 L. Bruni, 1997, p. 18.

52 V. Pareto, 1896, § 7. 53 ivi, § 16.

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economica.54 Pareto, con tale concetto, taglia alla radice la possibilità che l’individuo

economico possa essere identificato come individuo utilitarista, poiché l’ofelimità va oltre il concetto di utilità, proprio dei primi marginalisti, in cui, comunque, era presente un tipo di relazionalità e di “edonismo”, come massimizzazione del piacere. Togliendo il concetto di utilità, egli, ritiene di aver risolto il problema della “persona” nel modello economico.

Si passa così al Sunto, testo del 1900, in cui viene esposta la sua nuova teoria della scelta, che in un certo senso rivede l’impostazione metodologica del Cours, ma identifica un nuovo modo di approcciarsi all’economia. Da adesso, tutto il suo sistema dell’equilibrio economico generale può essere costruito a prescindere dal concetto di utilità ma anche da quello di ofelimità: basta l’osservazione delle scelte che rivelano le preferenze55, come afferma Bruni.

A questo punto sorge spontanea una domanda: che ruolo svolge la dimensione interpersonale nella scienza economica? Pareto toglie completamente dall’economia pura le scelte altruistiche e, specificando i suoi nuovi compiti, afferma che si occupa delle scelte individuali, che egli compie considerando solo quelle scelte legate alle preferenze personali; da qui si può inferire che, tutto il resto, ossia quelle azioni che l’individuo fa considerando gli effetti che queste scelte avranno sugli altri individui56,

viene rimandato alla sociologia. Parafrasando Pareto, possiamo affermare che lo stesso soggetto diventa superfluo per la teoria economica pura. L’impersonalità della nuova teoria economica paretiana, dunque, non è più limitata all’”altro”, così come in quella di Wicksteed, ma si estende anche all’individuo, all’agente. Infatti, una volta che il soggetto ci ha dato la sua mappa di indifferenza “può anche sparire”.57

Ovviamente, anche Pareto si accorge che la dimensione relazionale ha un peso specifico troppo rilevante l’individuo. Il punto qui, è che essa viene completamente slegata da quella economica. In una lettera indirizzata a Benedetto Croce, Pareto afferma L’economia che studia e che parte dal fenomeno concreto, e c’è poi un’altra parte, la quale nasce da azioni non-logiche e che bisogna altresì studiare58. Questo “fenomeno concreto”, dunque, presenta due componenti: quella logica (dove i mezzi son adeguati al fine sia soggettivamente che oggettivamente) e una non-logica (classe

54 L. Bruni, 1997, p. 18. 55 ivi, p. 19.

56 V. Pareto, 1900, pp. 223.

57 L. Bruni, 1997, p. 19. Bruni si riferisce a V. Pareto, 1906, p. 122. 58 V. Pareto (a), 1900, p. 161.

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residuale, ma dove non vuol dire illogico o irrazionale).59 Naturalmente, l’economia si

occuperà della parte logica del fenomeno, mentre la sociologia, con tutte le difficoltà che ne derivano, proprio delle parti non-logiche.

Questo problema della scienza economica senza sociologia può essere identificato per la prima volta nella riflessione di Pareto, più che in Wicksteed. Se la dimensione relazionale è presente nella sociologia60, in quella economica è assente. La “logicità” dell’azione, dunque, diventa il criterio per stabilire gli oggetti rispettivi della scienza economica e di quella sociologica. L’economia si occupa delle azioni logiche e la sociologia delle non-logiche. La parte relazionale, in quanto difficilmente sussumibile sotto rigide categorie logiche, venne assegnata alla sociologica, mentre quella a-relazionale all’economia.61 La relazionalità, nell’ottica di Pareto, non è una dimensione che compete all’economia.62

Riassumendo, in Pareto, si ha un’evoluzione della scienza economica in senso “egocentrato”, ancor più che estrema che in Wicksteed. Ci troviamo di fronte a un’economica “pura”, nella quale la relazionalità e la personalità sono definitivamente espulse, non solo dall’”altro”, ma anche dall’agente economico e dove solo la dimensione della “scelta”, l’ofelimità, è considerata valida. Differentemente da Wicksteed, che comunque conserva una, seppur generalissima, considerazione dell’”altro” con il concetto di non-tuismo, in Pareto, attraverso il concetto di ofelimità, non solo la dimensione interpersonale perde qualsiasi valore, ma anche l’individuo, l’agente, diviene impersonale.

La conseguenza che può esserne dedotta è che l’assunzione antropologica della metodologica di ricerca paretiana pone in essere una scissione tra le facoltà “economiche” dell’individuo e quelle “morali”, tra comportamenti “economici” e comportamenti “morali”. Questa distinzione ha alimentato e rafforzato la convinzione di un atto economico pre-morale o che lo stesso atto morale si basasse su quello economico.

59 L. Bruni, 1997, p. 20.

60 ivi, p. 22. 61 ivi.

62 Per Croce, per esempio, questa impostazione era metodologicamente precaria. Partendo da una posizione di monismo metodologico, e da una definizione arbitraria del confine tra la scienza economica e le altre scienze, L. Bruni, 1997, p. 22; il filosofo italiano pose un problema rilevante a questa

assunzione metodologica: [v]oi prlate di ritagliare da un fenomeno concreto una fetta, e studiare questa soltanto; ed io vi domando come fare a ritagliare quella fetta? […] Il criterio o il concetto direttivo non può esservi dato se non dalla natura stessa della cosa […], Corrispondenza tra Pareto e Croce, 1900-1901, pp. 122-123.

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L’ultimo autore che prenderemo in considerazione è Edgeworth. Egli è importante poiché, differentemente da Pareto e Wicksteed, a lui contemporanei, cercò di inserire la dimensione interpersonale dentro l’analisi economica.63 In questo modo,

vedremo un’impostazione differente rispetto alle due analizzate.

Secondo Bruni, per Edgewoth il mercato significa contrattazione, dove la dimensione personale, la simpatia, il volto dell’altro, sono centrali.64 La differenza

rispetto all’impostazione di Pareto è decisiva: l’atto economico è fondamentalmente un incontro di persone, in cui l’attività morale non è posteriore alla scelta del comportamento, economico o morale, logico o non logico, ma è inserita nello scambio economico.65

Con l’idea di “calcolo economico”, Edgeworth afferma che, the first principle of Econmics is that every agent is actuated only by self-interest.66 Questo però non implica uno stato di guerra tra gli individui. Il principio viene visto fin da subito come un contratto: Edgeworth definisce l’economia come un luogo in cui si “contratta”, si “scambia” qualcosa, non uno stato di guerra tra interessi privati.67 Per questo,

Edgeworth riprende l’analisi del Robinson Crusoe, con la differenza che il naufrago viene immediatamente presentato “insieme” a Venerdì, mostrando come il contratto economico non possa prescindere dalla dimensione relazionale.68

Uno degli aspetti più interessanti di Edgeworth, collegato a Smith, è la reintroduzione della sympathy smithiana all’interno della scienza economica. We might suppose that the object which X (whose own utility is P), tends – in a calm, effective moment – to maximize, in not P, but P + λΠ; where λ is a coefficient of effective symphony. And similary Y […] may propose to himself as an end Π + μΠ. What, then, will be the contract-curve of these modified contractors? The old contract curve between narrower limits […] As the coefficients of sympathy increase, utilitarianism becomes more pure […] the contract-curve narrows down to the utilitarian point.69 Descrivendolo matematicamente, Edgeworth attua una fondamentale apertura alla

63 L. Bruni, 1997, p. 24. Nella nota 41, Bruni inserisce anche Alfred Marshall tra coloro che ritengo che le relazioni interpersonali svolgano un ruolo importante nella teoria economica. Il punto particolare in Marshall è che, però, queste relazioni interpersonali debbono essere analizzate “dentro” l’economia e non si pongono mai fuori da essa. In un certo senso fonda una “sociologia economica”, la quale, almeno, ritiene la dimensione relazionale come centrale nell’economia.

64 L. Bruni, 1997, p. 24. 65 ivi, p. 25. 66 F. Y. Edgeworth, 1967, p. 16. 67 L. Bruni, 1997, p. 25. 68 ivi, p. 25. 69 F. Y. Edgeworth, 1967, p. 53, nota 1.

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sympathy tra i contraenti; il mercato non è “anonimo”, poiché i contraenti, i “mercanti”, non lo sono. Non si dà mai una perfetta situazione di anomia, in cui l’”altro” è un generico possessore di interessi che entra in una asettica e apatica relazione con l’individuo.70

In questo modo, l’aspetto della sympathy e quello delle relazioni interpersonali, riprese da Smith, gradualmente espulse dalle teorie economiche, vengono ri-considerate centrali nell’attività economica. Una sorta di “ritorno” a Smith, che tende a considerare la sympathy non fuori dall’economia, bensì come una parte integrante di essa. Come afferma Edgeworth, It has not been observed that between these two extremes, between frozen pole of egoism and the tropical expanse of utilitarianism, there has been granted to imperfectly-evolved mortals an intermediate temperate region; the position of one for whom neither counts fort nothing, nor yet “counts for one”, but counts for a fraction […] a factor doubtless diminishing whit what may be called the social distance between the individual agent and those of whose pleasures he takes account.71

Se ne può dedurre che, qui, pur vigendo l’interesse private come movente dell’individuo, non si produce una frattura tra il proprio interesse e quello altrui. La dimensione dell’”altro”, come dimensione carica di senso anche per l’agente economico, viene reintrodotta attraverso la particolare attenzione che Edgeworth pone alla sympathy. Se la sympathy è una fondamentale categoria per l’attività economica, in quanto è parte costitutiva dell’individuo stesso, allora l’interesse “pubblico” risulta riabilitato o per lo meno con una base solida da cui evolversi.

Riassumendo, questa impostazione è essenzialmente una voce fuori dal coro a cavallo tra il XIX e il XX secolo. È particolarmente interessante notare come l’impostazione predominante delle scienze economiche sia stata quella di Pareto, più che quella di Edgewoth e questo ha avuto delle conseguenze. Mentre Edgeworth invocava il ritorno alla sympathy come categoria analitica economica, si è andato via via definendo un’economia priva dell’”altro”, anche in forma generica, così come teorizzato da Wicksteed. Invocare il ritorno alla sympathy non era nient’altro che la constatazione, per Edgeworth, di un allontanamento netto dall’impostazione smithiana della scienza economica; non è stato un caso, come avremo modo di vedere, che l’interpretazione di Adam Smith abbiamo risentito profondamente di questa estromissione dell’altro e della sympathy dal pensiero economico.

70 L. Bruni, 1997, p. 26.

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Da questa breve ricostruzione storico-concettuale dei presupposti antropologici delle scienze economiche, da Smith in poi, abbiamo visto come l’”altro” sia stato gradualmente espulso. Per l’economia pura, il vero referente del discorso è stato il Robinson Crusoe privato di Venerdì, divenuto, tra l’altro il personaggio di spicco del mainstream economico moderno.72

Le conclusioni che possiamo trarre da questo brevissimo excursus storico sono determinanti per il nostro percorso. Abbiamo mostrato, infatti, che nelle riflessioni di Wicksteed e Pareto (principalmente), la figura dell’”altro” nella dimensione economica dell’individuo è stata annullata. In questo modo, le relazioni tra gli interessi privati e quelli pubblici, che naturalmente poggiano sulla rappresentazione dell’”altro” come parte consistente delle proprie scelte da parte dell’individuo, vengono completamente annullate nella disciplina economica. Ciò che importa, a questo punto, è solo l’interesse privato dell’individuo e non la sua relazione con la società.

Ma siamo sicuri che questo tipo di impostazione “egocentrata” sia ancora presente nelle moderne discipline economiche? Per vedere se questa teoria dell’homo oeconomicus sia ancora predominante negli ambienti delle scienze economiche, basta sfogliare un qualsiasi manuale di economia. Soffermiamoci ad esempio sulle pagine iniziali del manuale di Kreps nelle quali ci si chiede quali siano le categorie analitiche fondamentali della teoria microeconomica.

Nel capitolo I, Kreps presenta alcuni spunti di carattere «filosofico», che possono essere utili alla comprensione dei fondamenti della microeconomia. In particolare, egli si pone una domanda, da cui possiamo trarre alcune conclusioni di carattere filosofico. Quali sono le categorie analitiche fondamentali della teoria microeconomica?73

La teoria microeconomica studia il comportamento di agenti economici individuale e l’aggregazione delle loro azioni all’interno di differenti contesti istituzionali74. Secondo Kreps sono quattro: l’agente individuale, il comportamento dell’agente, il contesto istituzionale in cui si muovo gli agenti e la tendenza alla creazione di un equilibrio tra i vari comportamenti. Relativamente al nostro discorso, ci

72 S. Bowles e H. Gintis, affermano che dagli anni ’70 del secolo precedente, economists in a variety of fields reintroduced homo economicus to the profession, con chiare ed evidenti differenze rispetto a quello dell’età vittoriana, il “primo” homo oeconomicus. S. Bowles and H. Gintis, 1993, pp. 84-85.

73 D. M. Kreps, 1993, p. 17. 74 ivi.

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interessa notare i primi due presupposti analitici, l’agente individuale e il suo comportamento, senza necessità di approfondirli ulteriormente.

Nel caso dell’agente, ciò che a noi interessa, i due tipi di agenti presi in considerazione sono il consumatore e l’impresa.75 Come si comporta questo agente? La

definizione data del comportamento degli agenti è la seguente: il comportamento prende sempre la forma di una massimizzazione vincolata di una qualche funzione obiettivo. […] Normalmente si suppone che i consumatori abbiano delle preferenze che sono rappresentate da una funzione di utilità, e scelgano in modo da massimizzare la loro utilità compatibilmente con un vincolo di bilancio.76

Sembrerebbe che uno degli aspetti “empiricamente rilevanti” della realtà sociale sia la massimizzazione delle preferenze da parte degli individui, una massimizzazione razionalmente indirizzata. Le caratteristiche dell’agente ipotizzato sono: l’esclusiva attenzione al proprio interesse personale, la piena consapevolezza di questo interesse e la perfetta razionalità nel raggiungerlo. Sullo sfondo di questa interpretazione del fenomeno, troviamo, o meglio “è assente”, l’”altro”, l’individuo differente dall’agente, che non viene considerato come possibile finalità.

In definitiva, non esiste alcuna considerazione dell’”altro” tra le caratteristiche dell’homo oeconomicus, di quell’individuo che è presupposto dal Kreps; è come se l’homo oeconomicus fosse inserito in un contesto sociale nel quale è utile tenere conto della presenza degli altri in senso solo strategico. Perché la massimizzazione dell’interesse deve essere una categoria rilevante per l’analisi economica, mentre l’esperienza sociale dell’individuo no?

Da ciò deriva un’importante conseguenza: l’espulsione dell’interesse pubblico come categoria rilevante per la vita economica dell’individuo. Questo modello antropologico, dunque, presuppone un homo oeconomicus self-interested, che non vede nell’interesse pubblico una parte consistente delle sue decisioni. All’espulsione dell’”altro” dalle categorie di analisi del comportamento individuale, ne consegue l’espulsione dell’interesse pubblico dall’’analisi economica: le due sono strettamente connesse.

Questo individuo presupposto dal Kreps, porta con sé le stesse caratteristiche dell’individuo economico di Pareto. Possiamo dunque affermare che quel tipo di impostazione è ancora presente all’interno delle discipline economiche.

75 ivi, pp. 17-18.

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A questo punto, sorge spontaneamente una domanda: è possibile ritenere l’homo oeconomicus un’ipotesi valida, capace di porsi a fondamento di un’analisi economica? Proveremo a risolvere questo problema, risolvendo preliminarmente un’altra questione, ossia: la categoria dell’homo oeconomicus è, come vedremo con l’Adam Smith’s problem, una categoria storiografica valida?

Interpretazione storiografica e modello epistemologico trovano la medesima matrice nell’individuo come uomo economico. L'interpretazione dicotomica di Adam Smith che ha nutrito l'Adam Smith Problem e l'intelaiatura epistemologica che è stata recepita e consolidata dalla scienza economica mainstream hanno la stessa radice. Esse sorgono dalla necessità di depurare la visione dell'economia da ogni relazione con l'etica e la politica.

Se si elimina l’”altro” dalla disciplina economica e si considera l’atto economico, inteso come massimizzazione dei profitti, come estraneo alla morale, intesa come relazione tra individui, il modello interpretativo che si applica a Smith, risentirà di questi presupposti. Risentendo di tali presupposti, si interpreterà la divergenza tra i testi smithiani, o la presunta divergenza, come la prova di una scissione. Da un lato troveremo un testo di economia politica, che tratta l’individuo come homo oeconomicus, dall’altro troveremo un testo di filosofia morale, che tratta l’individuo come soggetto morale. Il primo “egocentrato”, il secondo “altruista”.

La gestazione prima e la creazione poi dell’homo oeconomicus ha generato un modello antropologico che è stato applicato ad Adam Smith. A questo punto possiamo passare a vedere come l’homo oeconomicus è stato applicato alla riflessione smithiana, prendendo come paradigmatici due testi: Le passioni e gli interessi dell’economista tedesco Hirschman e Smith’s travel on the ship of state dell’economista statunitense Stigler.

I.II. Adam Smith e l'homo oeconomicus: invisible hand, prudence e razionalità Descritta la genesi e l'evoluzione dell'homo oeconomicus, è necessario vedere come questo modello di comportamento economico sia stato legato alla riflessione smithiana, in modo tale da poter meglio osservare come l’homo oeconomicus sia divenuto il nucleo dell'Adam Smith's problem. Si procederà, anzitutto, vedendo quali sono stati i concetti propri della riflessione di Adam Smith, che hanno permesso di legare l'homo oeconomicus all'individuo smithiano; successivamente, se ne mostreranno gli evidenti limiti. I concetti chiamati in causa saranno essenzialmente tre, tutti tra loro

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collegati: invisible hand, prudence e razionalità. Per conseguire l’obiettivo prefissato, dopo una breve introduzione alla teoria della “mano invisibile” si passerà all’analisi di due testi: il primo, di Albert Otto Hirschman, Le passioni e gli interessi: argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo, e il secondo, di George Joseph Stigler, Smith’s travel on the ship of state. Muovendo dalla loro lettura, sarà possibile individuare i motivi che hanno spinto ad identificare l’individuo smithiano con l’homo oeconomicus.

Quale conseguenza possiamo trarre da questa identificazione? Anche Smith, il “padre della moderna economia capitalista”, partiva dal presupposto che l’individuo delle civil society fosse un homo oeconomicus, un agente perfettamente razionale, che non considerasse l’”altro” come un valore per la propria azione e di conseguenza concentrato esclusivamente sull’interesse privato? Adam Smith risulterebbe così il padre del capitalismo anche per tale suo modello antropologico; modello antropologico che non contiene l’interesse pubblico al suo interno.

Cominciamo con la famosa metafora della mano invisibile. Se ciò che lega gli individui è il loro "contrattare" o "scambiare" i vari interessi privati, possiamo dedurre che il mercato, luogo dello scambio economico, diventi il cuore dell'impalcatura teorica del liberismo. Lo stesso interesse della società civile, l'interesse pubblico, è legato insolubilmente al funzionamento del mercato: più esso funziona, più si produrrà il "bene" della società. Si perseguirà, potremmo dire, l'interesse pubblico, attraverso il perseguimento degli interessi privati e la ricerca del mutuo vantaggio; in quanto l’interesse della società è mosso dagli interessi privati, è naturale che gli interessi privati possano tra di loro comunicare, scambiare ed essere vicendevolmente utili.

La fiducia nella possibilità che il mercato, in quanto luogo dell’incontro degli interessi privati, possa regolare positivamente anche i rapporti tra cittadini, si manifesta nella teoria della mano invisibile77 di Adam Smith: He generally, indeed, neither

77 Sul tema della invisible hand e su come essa sia stata particolarmente centrale nella riflessione economica sino ai giorni nostri, si consiglia K. Arrow, 1987; K. Arrow and F. Hahn, 1971, p. 1; J. Tobin, 1992, p. 117. Da un punto di vista esegetico, l’uso dell’invisible hand è estremamente limitato nell’opera smithiana, per l’esattezza solo tre volte. La prima nella History of Astronomy: Fire burns, and water refreshes; heavy bodies descend, and lighter substances fly upwards, by the necessity of their own nature; nor was the invisible hand of Jupiter ever apprehended to be employed in those matters, A. Smith, 1980, pp. 49-50. Il secondo, nella TMS: The rich [...] are led by an invisible hand to make nearly the same distribution of the necessaries of life, which would have been made, had the earth been divided into equal portions among all its inhabitants, and thus without intending it, without knowing it, advance the interest of the society […], A. Smith, 1976, pp. 184-185. Il terzo ed ultimo, nella WN: By preferring the support of domestic to that of foreign industry, he intends only his own security; and by directing that industry in such a manner as its produce may be of the greatest value, he intends only his own gain, and he is in this,

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intends to promote the public interest, nor knows how much he is promoting it. By preferring the support of domestic to that of foreign industry, he intends only his own security; and by directing that industry in such a manner as its produce may be of the greatest value, he intends only his own gain, and he is in this, as in many other cases, led by an invisible hand to promote an end which was no part of his intention. Nor is it always the worse for the society that it was not part of it. By pursuing his own interest he frequently promotes that of the society more effectually than when he really intends to promote it.78 Gli individui perseguono il loro interesse ma nel perseguirlo è come se fossero condotti da una “benevola” mano invisibile, che fa in modo che tra di loro entrino in relazione e si accordino, diffondendo al resto della società tutti gli effetti benefici. Béraud afferma che la métaphore de la «main invisible» est devenue le symbole de son oeuvre. Quand on l’évoque aujourd’hui, c’est le plus souvent pour décrire le mécanisme d’un marché concurrentiel où chaque agent, en cherchant à maximiser son gain, contribue à mécanisme qui conduit à un «optimum» social79, spiegando perfettamente la tradizionale interpretazione della mano invisibile smithiana.

Da “contratti” privati, che puntano soltanto al soddisfacimento dei bisogni personali, si ottengono dei benefici sociali, pubblici. Il dato importante è che l’interesse privato soggiace a quello pubblico e in qualche modo lo “fonda”, lo “garantisce” e lo rende operativo nella società.

In che modo lo “fonda”? L’interesse privato, che sembrerebbe egemone nella prospettiva della mano invisibile, è l’unico interesse di cui l’individuo abbia una qualche consapevolezza. Proprio in quanto l’individuo ha una consapevolezza maggiore di questo interesse, egli è spinto naturalmente a curarlo. La mano invisibile, se interpretata egoisticamente porta a una precisa conseguenza: le azioni degli individui as in many other cases, led by an invisible hand to promote an end which was no part of his intention. Nor is it always the worse for the society that it was not part of it. By pursuing his own interest he frequently promotes that of the society more effectually than when he really intends to promote it., A. Smith, 1976 (a), p. 453. Sull’interpretazione della mano invisibile, si consiglia sopratutto E. Rothschild, 2001, con particolare riferimento alle pp. 116-156, capitolo The Bloody and Invisible Hand, in cui la Rothschild fa un’ampia ricostruzione del significato e del peso possibile di tale teoria all’interno del pensiero smithiano, rintracciandone anche le possibili origini, nel Macbeth di Shakespeare o nell’Edipo di Voltaire.

78 Da A. Smith, 1981, p. 456; trad. It. Quando preferisce il sostegno dell'attività produttiva del suo paese invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue

intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo, A. Smith, 2013, p. 584.

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nella civil society sono sempre orientate al perseguimento dei propri interessi, in quanto questi interessi personali sono gli unici “intellegibili” o “maggiormente intellegibili”, differentemente dalle azioni legate agli interessi “pubblici”.

Questa teoria della mano invisibile, che rivaluta il rapporto tra interessi privati e interessi pubblici, si lega molto bene all'idea dell'homo oeconomicus: l’individuo economico, che prudentemente e razionalmente “dirige” tutti i suoi sforzi alla massimizzazione del proprio interesse. Qui si dà, dunque, una rappresentazione precisa dell’individuo, un vero e proprio ethos: l’uomo, scisso tra i suoi interessi privati e i suoi interessi pubblici, quando agisce, mira razionalmente all’aumento del proprio interesse e “accidentalmente” persegue anche quello della società. In questo senso il mercato, come luogo di incontro tra gli interessi privati, diventa promotore degli interessi pubblici, anche se “accidentalmente”. Sempre Béraud, sul legame tra individuo e società, fondato sulla consapevolezza razionale del proprio interesse, afferma che Si «la main invisible» conduit les hommes au bien-ȇtre commun, ce n’est pas en faisant appel à des inclinations qui affectent les décisions d’un agent rationnel.80

Dalla teoria della mano invisibile possiamo dedurre il primo punto di aggancio tra l’interpretazione comune dell’individuo smithiano e l’homo oeconomicus: entrambi curano “naturalmente” l’interesse privato in quanto intellegibile, mentre l’interesse pubblico non rientra tra i loro obiettivi.

Perché l’interesse privato è diventato un criterio così importante nell’analisi di Adam Smith? Nella ricostruzione storica che Hirschaman fatta dell'interesse come “scudo” dalle passioni, uno degli elementi-chiave della sua “vittoria”, è stato l'efficienza razionale che lo contraddistinse. È impossibile slegare l'interesse personale dal calcolo razionale. Scrive Hirschman, Una massima come “l’interesse non mentirà” era stata originariamente un’esortazione a perseguire tutte le proprie aspirazioni in maniera ordinata e ragionevole; essa auspicava l’inserzione di un elemento di calcolo e di efficienza, oltre che di prudenza, nel comportamento umano, qualche che fosse la passione da cui esso era fondamentalmente spinto.81

Perché superiorità? Quali vantaggi comportò questa “razionalità dell’interesse”? Anzitutto, si pensava aver trovare una base “realistica”, legata all’agire dell’individuo nella società da cui poter sviluppare un’analisi della civil society.82 Inoltre, l’interesse si

80 ivi.

81 A. O. Hirschman, 2005, p. 36. 82 ivi, p. 41.

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