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Intersezioni e compenetrazion

4.1. La crisi della rappresentanza del lavoro nella fabbrica

Come abbiamo visto nel precedente capitolo, a livello sindacale gli anni Sessanta avevano portato una rilevante novità: le Sezioni aziendali sindacali (SAS), ovvero un

nuovo organo sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, «articolato nei reparti, non fondato su di una élite o su di un comitato di bravi compagni, ma fondato su un este- so legame del sindacato con la maggior parte possibile di lavoratori e quindi su una intensa vita democratica del sindacato all’interno dell’azienda»723. Ogni sindacato ne

aveva una e i suoi componenti erano nominati dai rispettivi sindacati. Principale van- taggio di questo organo era dato dalla relativa capillarità della rappresentanza. Si tenga presente che il settore chimico, a differenza degli altri settori industriali, era altamente suddiviso, non che si fosse suddiviso nel tempo, ma nacque proprio così. Come si è visto, era articolato in piccoli o medi gruppi di operai e tecnici. Era un nuovo organo, ma non l’unico. All’interno dei luoghi di lavoro erano già presenti le commissioni in- terne, che però avevano un “grosso” limite, ovvero la rappresentanza assai limitata. Questo specialmente nell’industria petrolchimica. Si tenga conto che, ad esempio, alla Edison settore chimico di Mantova nel 1965, la CI era composta da 10 rappresentanti

che dovevano rappresentare poco meno di 1.700 dipendenti724. Invece alla Edison

settore chimico di Porto Marghera, la CI era composta da 11 sindacalisti a fronte di

poco più di 5.600 dipendenti725. Con la travagliata istituzione e l’entrata in funzione

delle SAS – che abbiamo avuto modo di vedere precedentemente – la capacità di ana-

lisi delle condizioni del lavoro e del salario – ad esempio – dei sindacati si ampliò no- tevolmente specialmente se si considera che dai primi Sessanta, il sindacato – con la contrattazione aziendale – usò proprio le SAS come sua emanazione e come cardine

della politica rivendicativa726. Man mano che la contrattazione articolata si imponeva

723 Cfr. l’intervento di Rinaldo Scheda al già citato convegno di Modena del 1963, riportato in M.P.

DEL ROSSI, Rinaldo Scheda. L’importanza dell’organizzazione, Roma, Ediesse, 2001, p. 184. La SAS «è

l’organismo di massa che esprime la capacità e la volontà autonome dei lavoratori di elaborazione dei problemi rivendicativi che sorgono dal rapporto di lavoro, di contrattazione e di direzione effettiva dell’azione sindacale nell’azienda nell’ambito delle linee di politica sindacale della Federazione di cate- goria e della CGIL». Cfr. Appunti sull’impostazione confederale alla discussione sui temi del rapporto sindacato- lavoratori, della costruzione e del rafforzamento delle strutture dei sindacato nei luoghi di lavoro, p. 1 allegato alla

circolare della CGIL n. 2112/1963 (Convegno grandi fabbriche) in ASCGIL, SGC, 1963.

724IMSC, ACGIL, FILCEA-MN, b. 1158, fasc. 1, sottofasc. 1965, Esito delle votazioni per l’elezione della CI della Società Edison di Mantova, sd.

725IVESER, FILCEA-VE, b. 4, fasc. 3, verbale riassuntivo delle votazioni per l’elezione della CI Edi- son del 1965, pp. 1-2.

726 Si tenga conto che la CISL non rivendicò questo ruolo perché era estranea alla concezione della fabbrica come epicentro dell’azione rivendicativa. S. SECHI, Strutture aziendali e potere sindacale, in Problemi

del movimento sindacale in Italia. 1943-1973, a cura di A. Accornero, Milano, Feltrinelli, 19772, p. 811 (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Annali, 1974-1975).

emerse un progressivo conflitto con le commissioni interne, che comunque rimane- vano l’unico organo riconosciuto nelle relazioni industriali (a eccezione dei comitati misti che abbiamo visto all’ANIC).

Questi ultimi organismi se da una parte avevano ampliato la rappresentanza e con- seguentemente la comprensione della fabbrica e dei sui problemi, d’altra avevano due grossi limiti: uno interno e l’altro esterno. Il primo era che le SAS, in quanto strutture

separate e corrispondenti ai singoli sindacati, in un periodo di tentativi unitari, ostaco- larono spesso quella tendenza all’unità che si iniziava a intravedere nei primi anni Ses- santa. Il secondo era che i componenti delle SAS erano nominati dai sindacati.

Quest’ultimo limite emergerà in modo evidente con l’entrata in forza di nuovi sogget- ti politici prima – si pensi a Porto Marghera – e del movimento studentesco, poi. Dall’Autunno caldo, con solo 3 mesi di trattative, il 12 dicembre del 1969 alle SAS

venne riconosciuto il ruolo «di agente della contrattazione per le materie proprie del livello aziendale»727, ma la situazione nelle fabbriche era notevolmente cambiata.

Come primo effetto della fusione della Edison con la Montecatini ci fu la firma di un accordo sulla nocività al Petrolchimico di Porto Marghera. L’accordo – sottoscrit- to solo dai componenti della CI della CISL e della UIL il 19 aprile del 1967728 – preve-

deva che i reparti che avrebbero dovuto godere dell’indennità per i lavori nocivi fos- sero stabiliti da un «esame obiettivo delle condizioni ambientali» e in caso «venisse ac- certata la mancanza dei presupposti per la corresponsione dell’indennità di nocività o gravosità nella misura di fatto erogata, questa sarà come tale soppressa» e corrisposto un indennizzo729. Successivamente l’individuazione dei reparti venne affidata ai Centri

universitari di Medicina del lavoro di Padova e Pavia che individuarono solo 7 reparti a cui l’azienda doveva corrispondere l’indennità. Questo accordo aveva delle «clausole rovinose per i lavoratori» e per questo motivo prese il via «la lotta serrata del gruppo forni [ex San Marco] e lavorazioni collegate che getterà scompiglio nelle centrali sin- dacali» e soprattutto una «guerra» dentro la Federchimici tra la corrente di sinistra e la segreteria di Alfredo Fabris. Questo scompiglio venne creato perché alcuni gruppi di operai scesero in lotta in modo autonomo e in dura polemica col sindacato.

Per generalizzare la lotta, nata alla ex-San Marco – ricordiamo che era diventato un reparto del petrolchimico (l’Unità R) – alcuni quadri del Petrolchimico chiesero

727M. RICCI, Industria chimica privata: sviluppo industriale, politica del sindacato ed evoluzione dei contenuti della

contrattazione collettiva, in La contrattazione collettiva in Italia (1945-1977), a cura di B. Veneziani, Bari, Ca-

cucci, 1978, p. 88.

728 Secondo il Comitato operaio di Porto Marghera – era affiliato a Potere operaio – furono i loro componenti il fattore decisivo per la non firma della FILCEP (ACSP, ASVF-VE, b. 1, fasc. «Aziende Edi-

son P. Marghera», sottofasc. Volantini vari, Comitato operaio di Porto Marghera, Operai della Petrolchi-

mica, 16 giugno 1969, volantino). Il volantino è riprodotto in PERNA, Classe sindacato operaismo al Petrol-

chimico di Porto Marghera cit., pp. 83-84.

un’assemblea generale di fabbrica per imporre lo sciopero. La CGIL fu costretta ad ac-

cettare e lo sciopero fu indetto per il 25 agosto per la durata di 3 giorni. Soltanto nel secondo giorno, quando venne interessata la Unità R si registrò una percentuale di astensione del 66% – secondo Il Gazzettino – mentre i turnisti e i giornalieri del Pe- trolchimico scioperarono nella misura del 10-11%, ovvero circa 500 dipendenti rima- sero fuori. Si tenga conto che i lavoratori della Unità R erano i più interessati, perché la FILCEP aveva chiesto per tale unità una riduzione dell’orario di lavoro di 6 ore set-

timanali – da 42 a 36 ore – motivando la richiesta con l’alto grado di nocività e l’elevato numero di infortuni e malattie professionali nei reparti dell’ex San Marco (reparti forni e ferroleghe)730.

Quel che qui a noi interessa non è tanto l’efficacia dello sciopero – in sé modesta – ma la capacità di Potere operaio di influire sulle scelte della CGIL. Alcuni giorni dopo

lo sciopero uscì un articolo nelle pagine de Il Gazzettino che illustra bene lo sconcerto del quotidiano della DC:

è stato rilevato come la inopportunità di questa azione in un momento poco favorevo- le sia, più che espressione della volontà della corrente dominante del sindacato social- comunista, un autentico atto di imposizione della corrente cosiddetta filocinese, che sembra da qualche tempo a questa parte avere assunto il governo della FILCEP […] e che avrebbe i propri punti di forza alla Vetrocoke e in uno sparuto ma ben organizzato gruppo all’interno della stessa Petrolchimica Edison731.

Dunque, la politica di Potere operaio era di

premere sul sindacato, recepirne l’indicazione della lotta articolata, per fabbrica ed all’interno delle singole fabbriche, per reparto: ma, nello stesso tempo, condizione as- solutamente indispensabile, preparare la lotta rimettendo in piedi un meccanismo in- terno di articolazione fra avanguardia di massa e massa operaia complessiva. Le condi- zioni erano dare: la lotta della nocività aveva formato un nucleo assolutamente consi- stente di classe operaia giovane, politicamente consapevole della necessità dell’organizzazione e dei temi politici di questa organizzazione. Le parole d’ordine era- no date: “contro, oltre il muro del contratto”, contro oltre il muro della pianificazione capitalistica, della gabbia sindacale sul contratto732.

Non sta a queste pagine il compito di ricostruire la vicenda complessiva di Potere operaio – e di altri gruppi – all’interno del Petrolchimico e nella zona industriale di Marghera. Quel che a noi interessa rilevare è la presenza di due “nuove” questioni per

730 Modesta riuscita dello sciopero all’Edison, «Il Gazzettino», edizione di Venezia, 26 agosto 1967. Nau-

fraga la CGIL alla Petrolchimica, «Il Gazzettino», edizione di Venezia, 30 agosto 1967. CHINELLO, Sindaca- to, PCI movimenti negli anni sessanta cit., t. 1, pp. 509-510. Cfr. anche T. NEGRI, Pipe-line. Lettere da Rebibbia, Roma, Deriveapprodi, 20092, p. 96; Porto Marghera/Montedison. Estate ’68, a cura di “Potere Operaio” di Porto Marghera, Firenze, Centro G. Francovich, 1968, p. 12; M. CACCIARI, Sviluppo capitalistico e ciclo

delle lotte. La Montedison di Porto Marghera, «Contropiano», 2 (1969), pp. 404-405.

731 Naufraga la CGIL alla Petrolchimica, «Il Gazzettino», edizione di Venezia, 30 agosto 1967. 732 Porto Marghera/Montedison. Estate ’68 cit., p. 14.

la zona industriale di Marghera: la lotta all’interno della FILCEP e il primo sciopero

proclamato contro la nocività. Del primo punto se ne è già parlato e si continuerà a parlare in queste e nelle prossime pagine, invece per il secondo sottolineiamo degli aspetti che poi riprenderemo successivamente. Il primo consiste nel fatto che fu l’Unità R a far nascere e a scendere in sciopero in modo consistente, e furono i reparti dell’ex Sicedison a seguire. Il secondo è la “novità” tra i motivi della proclamazione dello sciopero. È pur vero che fu proclamato “contro la nocività”, però è da rilevare che il motivo principale era il taglio dell’indennità, quindi per una questione economi- ca, anche se strettamente legata a un “nuovo” tema che da quel momento in avanti fu

il tema del petrolchimico di Porto Marghera. Da questo punto in avanti Potere operaio

(e dopo il luglio 1968 il Comitato operaio di Porto Marghera)733 – riuscirà a guidare le

lotte – in forme inedite e molto dure – per due anni, fino all’autunno caldo del 1969734.

Nel dicembre del 1969, Corrado Perna scrisse un articolo per i Quaderni di Rassegna

sindacale della CGIL, dove fece il punto della situazione sui delegati e i Consigli dei de-

legati alla Montecatini Edison di Porto Marghera. Secondo Perna, il fenomeno dei de- legati era presente ormai nella generalità della fabbriche chimiche di Porto Marghera, eccezion fatta per quelle piccole. L’iniziativa pratica di costruzione era stata condotta generalmente dalla CI e via via verificata e arricchita dalle assemblee di fabbrica. In al-

cuni casi come al Petrolchimico, l’assemblea aveva discusso ampiamente la portata politica dell’istituzione dei nuovi organismi in un confronto «talvolta aspro», con le posizioni di Potere operaio che, «com’è noto, teorizzando l’organizzazione operaia spontanea, individuano nei delegati un nuovo strumento di mediazione del sindacato davanti alle spinte dal basso della base operaia». Generalmente – prosegue sempre Perna – i delegati erano stati eletti con votazioni palesi o segrete a livello di reparto, e scelti sulla base della fiducia e delle capacità dei singoli. Molti di essi erano attivisti sindacali, ma la maggioranza erano semplici lavoratori che per la prima volta scopri- rono l’organizzazione sindacale. Il 90% dei delegati era composto da giovani, e questo anche nelle fabbriche in cui l’età media era elevata. Sempre Perna affermava che il rapporto tra il consiglio dei delegati e l’assemblea generale. Se a livello teorico era ab-

733 Il Comitato operaio di Porto Marghera – affiliato a Potere operaio – si costituì nel luglio del 1968. Lotte operaie e problema dell’organizzazione: luglio ’68-febbraio ’70, a cura del Comitato operaio di Por- to Marghera, Milano, Edizioni della libreria, 1970, p. 5. Cfr. anche G. SBROGIÒ, L’Assemblea autonoma di Porto Marghera, in Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, vol. I, a cura di S. Bianchi e L. Caminiti, Ro-

ma, Deriveapprodi, 2007, p. 225.

734 Per una ricostruzione esauriente del biennio si veda CHINELLO, Sindacato, PCI movimenti negli anni

sessanta cit., t. 2. Si veda anche PERNA, Classe sindacato operaismo al Petrolchimico di Porto Marghera cit. Se-

gnaliamo inoltre le ricostruzioni e le cronologie “operaiste”: Lotte operaie e problema dell’organizzazione: lu-

glio ’68-febbraio ’70 cit.; Porto Marghera/Montedison. Estate ’68 cit.; Ciclo capitalistico e lotte operaie. Montedison Pirelli Fiat 1968, introduzione di M. Cacciari, Padova, Marsilio, 1969, pp. 83-110; CACCIARI, Sviluppo

bastanza chiaro che l’assemblea era un organo deliberante sulle scelte di ordine gene- rale e il Consiglio dei delegati un organo tendenzialmente esecutivo, di fatto si affer- mò in alcuni casi una «tendenza sbagliata», ovvero l’accentramento delle decisioni nel consiglio e relegando l’assemblea a una pura funzione di ratifica delle scelte fatte. Era chiaro – continua Perna – che quando si parlava di questo rapporto, ci si riferiva «all’attuale fase dell’esperienza dei delegati, incentrata prevalentemente si modi di ge- stione della lotta». Anche nel rapporto tra il delegato e l’assemblea di reparto si ri- scontrano dei limiti, perché il momento dell’assemblea nel reparto «nei fatti non esi- ste», e al suo posto si realizzava «più una discussione sul piano individuale che una di- scussione e quindi una elaborazione e un confronto sul terreno della partecipazione collettiva». Il rapporto tra i delegati, i sindacati e la CI era molto stretto. La CI

nell’esperienza di Venezia, pur essendo rimasta fuori dalla struttura del Consiglio dei delegati, di fatto ne coordinava i lavori insieme al sindacato e rappresentava un ele- mento di raccordo fra l’assemblea generale e le organizzazioni sindacali. Queste tre componenti – dice sempre Perna – in quel momento si collocavano come un tutto unitario all’interno del quale si verificava un confronto continuo e aperto di posizioni, che generalmente superava le collocazioni di schieramento dei singoli sindacati.

Non è raro assistere a scontri anche duri fra singoli attivisti e organizzazioni di appar- tenenza, anche la nostra, su problemi sia di carattere generale e di linea, sia su altri di minore portata. I lavori e il dibattito sono cioè sempre tesi alla ricerca di un momento unitario, spesso con l’angolo visuale ristretto alla fabbrica e alle esigenze immediate poste dai lavoratori, perdendo talvolta di vista la visione complessiva dello scontro con il padronato, soprattutto sul terreno politico735.

Come abbiamo accennato più volte, al Petrolchimico di Porto Marghera esisteva una pluralità di forze politiche di “nuova” costituzione. La prima posizione rispetto ai delegati era quella di Potere operaio. La posizione sostenuta da questo gruppo era leggermente differente rispetto a quelle alla FIAT di Torino dove si vedeva Potere

operaio attaccare la figura del delegato. Al Petrolchimico di Porto Marghera – sempre secondo Perna – Potere operaio «assume una posizione non di attacco ai nuovi orga- nismi ma di “sospetto” rispetto alla capacità di recupero del sindacato e di una sua “strumentalizzazione” dei delegati». Il gruppo dirigente non partecipava all’elezione dei delegati, «ma larghe frange di base in precedenza influenzate da [Potere operaio] entrano nei nuovi organismi, pur mantenendo posizioni critiche sulla linea generale del sindacato». Si pensi che sin dal 1971 – dopo la prima elezione del Consiglio di fabbrica – fu eletto Lamberto Barina e due anni dopo Italo Sbrogiò736 – due dei com-

735C. PERNA, La Montedison di Portomarghera, «Quaderni di Rassegna sindacale», VII (1969), n. 24, p. 84.

736IVESER, FILCEA-VE, b. 42, fasc. 7 «Esecutivo petrolchimico», 14 settembre 1971; ibid., elenco al- legato a «Invio elenco nominativi dei componenti il Consiglio di fabbrica della Montedison Dipe», 7 novembre 1973.

ponenti di Potere operaio della CI 1968-1969 – nell’esecutivo del Consiglio di fabbri-

ca737. La seconda posizione era quella dell’Unione dei comunisti italiani (marxisti leni-

nisti). Questa posizione veniva da due reparti dove operava un gruppetto, con un cer- to seguito personale. La posizione di questo gruppo maoista era incentrata per la di- rezione diretta delle lotte da parte dei delegati senza passare per il Consiglio738. Per

quanto riguarda i contenuti politici di questi nuovi organismi, Perna afferma che que- sti

Nati per la gestione delle lotta in un rapporto di continua elaborazione e verifica con le assemblee di fabbrica, possiamo dire che i delegati – in un quadro complessivo delle prime esperienze – stanno assolvendo bene questo ruolo. Se vi è un limite da superare con estrema urgenza è proprio questo, nel senso che troppo spesso si giunge ad analisi che colgono puntualmente la realtà tecnica del processo produttivo, fin nei minimi det- tagli, ma tendenzialmente solo in direzione dello scopo immediato di una maggiore inci- denza della lotta, senza ancora coinvolgere nel dibattito e nella ricerca le basi di una

elaborazione complessiva che contesti dal reparto l’organizzazione capitalistica del lavoro e

di conseguenza individui i nodi da sciogliere per un’azione di attacco, nel reparto e nel- la fabbrica, alla condizione di sfruttamento. È vero, come rilevava un compagno della CISL, che il grande fatto politico dell’articolazione e dei delegati rispecchia, nel lavora- tore dei nostri settori, la maturata coscienza di non essere più un elemento comple- mentare e indiretto di un processo produttivo altamente automatizzato. È vero che è saltata quella sorta di soggezione nel rapporto fra le macchine, l’impianto «delicato» e pericoloso, «che non si può fermare», e l’uomo; ma è altrettanto vero che questa matu- razione politica, certamente decisiva nella prospettiva della contrattazione di fabbrica, non si trasferisce immediatamente in una elaborazione di linee rivendicative di reparto che saldino la fase di rivolta contro un processo produttivo che prima si riteneva unitario e intoccabile a livello di reparto, con la fase di egemonia sul processo, tendente ad elimi- nare i nodi attuali della condizione operaia739.

Infine Perna affrontò il punto dell’unità sindacale. L’autore affermò che certamen- te i delegati erano una organizzazione unitaria dal basso, «in una recente riunione dei tre Direttivi provinciali dei chimici, si è individuato nei delegati il nuovo sindacato unitario»740. Come fece notare Pietro Trevisan – membro della CI del Petrolchimico,

militante del PCI e segretario responsabile della SAS-CGIL del Petrolchimico741 – in una

tavola rotonda pubblicata Rassegna sindacale:

l’emarginazione di Potere operaio, che pure aveva una certa influenza all’interno della fabbrica, si è conclusa con la nascita dei delegati di reparto che questo gruppo ha osteggiato decisamente, individuando nei nuovi strumenti dell’autonomia e

737 Per l’elenco completo degli operaisti nella CI del 1968-1969 – maggioranza della componente

CGIL – si veda la n. 688 a p. 154.

738PERNA, La Montedison di Portomarghera cit., p. 85. 739 Ibid., pp. 85-86, corsivi nel testo.

740 Ibid., p. 86. Sui delegati si veda anche gli interventi riportati in R. AGLIETA, G. BIANCHI, P. MERLI

BRANDINI, I delegati operai. Ricerca su nuove forme di rappresentanza operaia, Roma, Coines, pp. 161-170. 741IVESER, FILCEA-VE, b. 4, fasc. 5, FILCEP-SSA Petrolchimica, circolare n. 15, 13 gennaio 1970.

dell’organizzazione operaia una manovra del sindacato per catturare la spinta di base. Ma l’inizio risale al momento in cui lo scontro con il sindacato era sul tipo di lotta. In un primo tempo la lotta a giorni alterni sembrava alla stragrande maggioranza dei lavora- tori l’unica in grado di bloccare la produzione. E questa linea veniva portata avanti da Potere operaio anche in direzione di una generalizzazione della lotta e dei suoi obiettivi (36 ore – parità normativa – 1.000 lire al giorno di aumento) a tutta Porto Marghera. Quando si è affermata la linea del sindacato dell’articolazione che produceva una lotta più incisiva con un minore sacrificio per i lavoratori, inizia il declino dell’influenza di Potere operaio. I lavoratori infatti sperimentano che l’articolazione bloccava totalmen- te la produzione e che la polemica sulla lotta a giorni alterni si sosteneva per motivi strategici estranei alla lotta contrattuale742.

A continuare nella tavola rotonda fu Armando Vanin – membro della CI del Pe-

trolchimico dal 1968743 – affermando che «il duro confronto con Potere operaio sulla

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