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Le espansioni, le produzioni e i conflitt

Come abbiamo visto nel primo capitolo, il gruppo Edison decise di dare incremen- to alla sua attività chimica con la fine degli anni Quaranta. Precedentemente il gruppo Edison aveva due modeste unità industriali operanti in tale settore: lo stabilimento della APE di Vado Ligure (SV) e il 50% dell’Azienda industriale San Marco a Porto

Marghera. Quest’ultima aveva una produzione di carburo di calcio e di calciocianami- de. Posto il problema di incrementare l’attività del gruppo in campo chimico, l’azienda pose anzitutto l’attenzione sul settore del cloro e della soda caustica. In Italia a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta esisteva solo una piccola produzione di queste due sostanze per via elettrochimica.

Alla produzione di cloro e soda caustica si affiancò poi anche la produzione di ace- tilene (prodotta a partire dal carburo di calcio della San Marco di Porto Marghera). Dunque fu da questi due elementi fondamentali – il cloro e l’acetilene – che il gruppo Edison iniziò la produzione nel petrolchimico di Porto Marghera. A questo punto l’azienda – non potendo iniziare da zero tutto lo studio dei processi e degli impianti – ricorse all’aiuto di importanti industrie chimiche estere che avevano una solida espe- rienza in questi campi. Grazie a questa scelta obbligata, i tempi di realizzazione degli impianti furono molto celeri. Con l’aiuto dell’americana Monsanto Chemical Compa- ny di St. Louis, la Edison costituì la SIC e parallelamente intravide la possibilità di

produrre trielina acquistando il procedimento dalla tedesca Wacker.

Nel gennaio del 1951 iniziarono i lavori di costruzione e già in agosto, dello stesso anno, fu avviata la prima produzione di cloro, alla quale seguì la produzione di trielina e di CVM. Ma nel 1952, con il ritrovamento di rilevanti quantitativi di metano nella val

Padana, il gruppo Edison cambiò le sue iniziative industriali nel comune di Venezia. Questo idrocarburo gassoso – nel caso della val Padana di tipo secco – presentava buone possibilità di utilizzo per le attività chimiche della maggiore impresa elettrica italiana e anche grazie ai bassi prezzi concessi dall’AGIP l’Edison acquistò dalla tedesca BASF il procedimento per la produzione di acetilene da metano. Già dal 1953 venne

messo in marcia il primo dei due impianti che fornivano acetilene al Petrolchimico di Porto Marghera fino alla fine degli anni Sessanta.

Producendo acetilene da metano, si rendeva disponibile un gas residuo che l’Edison decise di utilizzare come materia prima per la produzione di ammoniaca, estendendo così l’attività al campo dei fertilizzanti (SIAI). Dalla produzione di ammo-

niaca si passò all’acido nitrico e quindi ai fertilizzanti azotati. Sempre dall’acetilene, a Porto Marghera, si generavano acetaldeide, acido nitrico, acetato di vinile, ecc.

Con la fine degli anni Cinquanta, la Edison – sempre a Porto Marghera – si inserì nel settore delle fibre sintetiche con l’ , il cui impianto entrò in funzione nel 1959.

Questa società sfruttava la disponibilità di ammoniaca e di acetilene, le quali, attraver- so il nitrile acrilico e l’acido cianidrico, costituivano le materie prime per la fibra sinte- tica Leacril. Infine va ricordata anche l’attività della ICPM, nata per portare in Italia la

chimica del fluoro.

Con l’aumentata disponibilità di petrolio che si ebbe dalla metà degli anni Cin- quanta, l’Edison aveva deciso – per espandere l’attività nel settore chimico – di creare una nuova unità produttiva, invece di ampliare quella di Porto Marghera. La località prescelta fu Mantova, scelta sia per la sua vicinanza al mercato occidentale italiano, sia per la sua posizione all’incrocio di importanti direzioni di traffico, sia infine per la di- sposizione favorevole in ordine all’alimentazione elettrica. Inoltre per quanto riguarda i trasporti – fattore di notevole incidenza nei costi dell’attività industriale del settore chimico, sia per quanto riguarda le materie prime, che nei riflessi della distribuzione dei prodotti finiti – ci si poteva servire della via d’acqua costituita dal sistema Mincio- Po. Il gruppo Edison decise di costruire a Mantova i suoi stabilimenti per sfruttare le risorse della petrolchimica, sviluppando la produzione di olefine come lo stirolo mo- nomero e il polistirolo, destinato quest’ultimo ad ampliare la gamma delle materie pla- stiche a disposizione per soddisfare le richieste del mercato.

A differenza del gruppo Edison, quello della Montecatini intraprese fin da subito una via differente. Dopo aver rilevato una fabbrica che produceva gomma sintetica – la SAIGS

–, la riattivò e l’estese. Vennero creati due stabilimenti, uno che utilizzava il metano forni- to sempre dall’AGIP e produceva ammoniaca, acido nitrico, nitrato ammonico e urea

(Montecatini Azoto) e l’altro che utilizzava petrolio grezzo – dal deposito di Porto Mar- ghera giungeva via fiume – producevano: etilene, propilene, butiene, butadiene, polietili- ne, stirolo e polistirolo (Montecatini Idrocarburi). Dalla metà degli anni Cinquanta venne avviato un impianto pilota per la produzione di una nuova materia plastica: il polipropile- ne (nome commerciale Moplen). Un’altra differenza rispetto all’Edison – e poi anche all’ENI – fu l’utilizzo di tecnologie per la maggior parte proprie.

Anche l’ENI entrò nella petrolchimica, ma nella seconda metà degli anni Cinquan-

ta. La sua entrata fu voluta sostanzialmente per trovare un utilizzo dell’ingente quanti- tà di metano che l’ente pubblico ritrovò in val Padana, non essendo in grado in quegli anni, di trovare un diverso economico utilizzo. La scelta petrolchimica permise all’azienda di Stato una distinzione verticale ascendente.

Inizialmente l’input “obbligatorio” fu proprio il metano, ma già prima del comple- tamento dell’impianto fu deciso un ampliamento e una diversificazione. Fu costruito un secondo impianto – la produzione fu aumentata da 35.000 t a 55.000 t – che aveva come input non più il metano, ma il butano prodotto dalle raffinerie di petrolio del gruppo ENI (per molto tempo considerato un prodotto indesiderato e utilizzato come

combustibile). L’espansione dell’input fu facilmente realizzata visto che il butilene – al- la base della produzione della gomma sintetica – si poteva estrarre sia dal metano sia dal gas di raffineria (ad esempio il butano). Poi, visto che dalla trasformazione del me- tano si ricavava azoto, fu avviata una linea di produzione di fertilizzanti azotati che permise una notevole diminuzione del prezzo dei fertilizzanti azotati. Inoltre fu pro-

dall’etilene che era un sottoprodotto dello stabilimento. Oltre agli impianti dell’ANIC

vennero costituite altre due società: la prima – la Società chimica Ravenna – aveva la funzione di produrre CVM ed era una join-venture tra l’ANIC e la tedesca Wacker (che

apportò la tecnologia) la seconda – la Phillips Carbon Black Italia – era sempre una

join-venture, ma con la Phillips Petroleum e produceva nero fumo (da idrocarburi liqui-

di e con un processo produttivo indipendente dall’ANIC, le cui produzioni servivano

in parte anche all’ANIC, mentre il rimanente veniva venduto). Come l’Edison anche

l’ENI utilizzò principalmente tecnologia e assistenza estera.

Grazie a Ferrara, la Montecatini inaugurò la sua politica industriale in campo petrol- chimico, ma di fronte all’entrata dell’Edison, prima e dell’ENI poi, decise la costruzione

di un petrolchimico a Brindisi (che venne avviato nel 1962). Il fatturato, per quanto ri- guarda quello di Ferrara – e in generale nel gruppo – non andava bene. Secondo uno dei due amministratori delegati della Montecatini – Piero Giustiniani – il petrolchimico di Ferrara fino al 1956 era considerabile in una specie di fase sperimentale nonostante una spesa di 25 miliardi di investimenti. Solo dal 1956 iniziarono le attività realmente petrolchimiche su standard produttivi comparabili a quelli dei concorrenti. Nei quattro anni successivi gli investimenti nello stabilimento di Ferrara ammontarono a 31 miliar- di: questo piano di investimenti prevedeva la riduzione dei prezzi di vendita sul mercato di circa il 3-4% l’anno, ma le cose non andarono secondo le previsioni. La flessione era stata di gran lunga superiore e per il solo 1961, ad esempio, si erano ottenuti soltanto 27 milioni contro i 43 previsti. Gli ampliamenti che si susseguirono a Ferrara «appaiono quindi una perenne rincorsa per recuperare un ritardo tecnico-organizzativo che aveva origini lontane: nella eccessiva fiducia nei propri procedimenti tecnologici e nella ritar- data decisione dell’opzione petrolchimica»483. In più si aggiungeva una politica com-

merciale inadatta, ossia mutata dall’antica tradizione dell’azienda di «attesa del cliente», che se poteva andare bene per il commercio dei fertilizzanti, non era così adatta per i nuovi settori della plastica e delle fibre, dove la ricerca del cliente e l’attiva politica pro- mozionale e pubblicitaria si era rivelata essenziale484. Anche il settore dove la Monteca-

tini regnava incontrastata – quello dei fertilizzanti – scontava la nuova concorrenza dell’Edison e soprattutto dell’ANIC. Le quote di mercato della Montecatini si ridussero

progressivamente e diminuì notevolmente anche il prezzo di mercato dei fertilizzanti, fino a quando nel 1960 le spinte concorrenziali iniziarono a essere progressivamente mitigate dalla tendenza ad accordi collusivi tra i tre gruppi, mettendo argine alla caduta dei prezzi485.

483BOTTIGLIERI, Una grande impresa chimica cit., p. 355. 484 Ibid., pp. 354-355.

485MOIOLI, La frontiera della petrolchimica in Italia cit., p. 92. Per un andamento dei prezzi dei fertiliz- zanti dal 1954 al 1961 si veda ibid., tab. 2.

Anche i primi passi dello stabilimento di Brindisi sembravano ripercorrere «il dram- ma» di Ferrara, ovvero la rincorsa verso standard dimensionali via via maggiori e l’insistenza – «malgrado le continue difficoltà incontrate» – verso le tecniche ideate all’interno della società. Dopo continue richieste di finanziamento per completare l’impianto, i rubinetti del credito si chiusero. I maggiori esponenti del sistema finanzia- rio presenti nella Montecatini imposero un freno alla politica d’investimento e la sosti- tuzione di Giustiniani. Così la Montecatini nel 1962 era già in difficoltà – i bilanci nega- tivi erano già presenti dal 1958486 – e i dividendi vennero decurtati, ma la vera crisi av-

venne l’anno seguente e per porre rimedio, temporaneo, alla situazione finanziaria fu – siglato nel 1963 un accordo con una grande impresa petrolifera: la Royal Dutch Shell487.

L’accordo prevedeva la cessione a quest’ultima società del 50% del settore petrolchimi- co della Montecatini (Ferrara idrocarburi e gli impianti di Brindisi) – costato alla società anglo-olandese 58 milioni di sterline – e la successiva riorganizzazione in una join venture: la Monteshell petrolchimica488. Questo accordo – secondo i tecnici dell’IMI – portava a

entrambe società molti vantaggi. La Montecatini sarebbe stata avvantaggiata nella que- stione finanziaria, aveva la possibilità di una più efficace penetrazione commerciale sui mercati esteri (appoggiandosi al nome e all’organizzazione della Royal Dutch Shell) e aveva l’opportunità di prevenire ulteriori inasprimenti concorrenziali per il «ventilato in- serimento del gruppo Shell in Italia nel ramo petrolchimico». Invece la Royal Dutch Shell aveva la possibilità di associarsi con un nome «scientificamente molto apprezzato e ricco del lato brevettuale (il gruppo vanta 1130 brevetti concessi in Italia e 9441 con- cessi all’estero)» e infine, la Royal Dutch Shell aveva la facoltà di essere preferita per la fornitura di greggio489.

Nell’ottobre dello stesso anno, sempre per sanare la situazione finanziaria, la Mon- tecatini iniziò le trattative per assorbire una grande industria elettrica italiana: la SADE,

ormai priva di impianti, per via della nazionalizzazione, ma ricca di ingenti crediti ver-

486BOTTIGLIERI, Una grande impresa chimica cit., p. 351.

487ZAMAGNI, L’industria chimica italiana e l’IMI cit., p. 42. Si veda anche G.F. LEPORE DUBOIS, C.

SONZOGNO, L’impero della chimica. Cinquant’anni di battaglie, piani, complotti, guerre con più vinti che vincitori,

lotte per il potere più che per l’industria, alla radice dell’ultimo confronto: il caso Enimont, Roma, Newton Comp-

ton, 1990, pp. 44-45. Secondo Guido Carli – in quegli anni Governatore della Banca d’Italia – «la Montecatini aveva un terribile bisogno di capitali liquidi per far fronte a una massa d’investimenti po- co redditizi e fuori misura rispetto alle risorse della società», questo giudizio va comunque successivo perché l’intervistato affermò che Banca d’Italia era allo scuro sulle condizioni finanziarie del gruppo (G. CARLI, Intervista sul capitalismo italiano, a cura di E. Scalfari, Roma-Bari, Laterza, 1977, pp. 92-93).

488S. HOWARTH, J. JONKER, A History of Royal Dutch Shell, vol. 2, Powering the Hydrocarbon Revolution,

1939-1973, Oxford, Oxford University Press, 2007, p. 339. BOTTIGLIERI, Una grande impresa chimica

cit., p. 355. Si veda anche Il Gruppo Montecatini nel 1963, in MONTECATINI, Relazioni e Bilancio 1963, Mi- lano, 1964, pp. 5-9.

489ASI-IMI, SM, n. 12293, «Rapporto sulla Montecatini», redatto dal dott. E. Papasogli, dal dott. G. Martella e dal dott. N. Picca, 11 maggio 1964, pp. 49-50.

so lo Stato490. Le trattative si conclusero un anno e mezzo dopo, a condizioni molto

favorevoli per la Montecatini491.

Anche il settore chimico dell’Edison non andava bene, nonostante la modernità dei suoi impianti chimici e la loro grandezza (molto grandi per quegli anni). Secondo Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani a «rovinare» la Edison fu l’incapacità di prevedere l’andamento dei prezzi. Gli impianti – come quelli della Montecatini – furono pro- grammati in base a una certa redditività, a certi prezzi e a certe condizioni generali del mercato. Tutti fattori che furono stravolti dalla fine del monopolio della Montecatini, grazie all’ingresso della stessa Edison e dell’ANIC492. Comunque grazie alla miriade di

aziende che componevano il gruppo, l’Edison riuscì a mantenere il bilancio in condi- zioni non disastrose493, ma nel 1961 la Sicedison – e tutte le imprese chimiche del

gruppo, ad eccezione della Celene – chiuse per la prima volta il bilancio in maniera negativa (passò da un utile di quasi 2 miliardi a una perdita di circa 10 miliardi494) e di

conseguenza la Monsanto uscì dalla Sicedison e dall’ACSA495.

Con l’avvento della nazionalizzazione dell’energia elettrica la Edison si ritrovò con ingentissimi crediti con i quali riuscì ad arginare le perdite dei settori produttivi496,

questo grazie all’incorporazione, nel febbraio 1964, di sedici società: le società ex- elettriche – ormai dei gusci vuoti ma ricche di crediti verso lo Stato –, la Sicedison, l’ICPM ed altre società minori497. Con queste fusioni riuscì a mantenere un utile netto

in attivo fino al 1965498. Dopo la nazionalizzazione del core business elettrico, la Edison

si presentava – secondo Vera Zamagni – come «una congerie di attività senza forma e con un presidente inadeguato alle nuove sfide», l’ingegnere Giorgio Valerio che aveva comandato una società elettrica e non chimica e abituata ad agire in un contesto di rendita monopolistica499. L’ingegnere peggiorò la situazione – nel 1963 – sostituendo

490 Sul dibattito sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica si veda: G. MORI, La nazionalizzazione in

Italia: il dibattito politico-economico, in Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. V, Gli sviluppo dell’ENEL. 1963- 1990, a cura di G. Zanetti, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 147-173.

491AMATORI, Montecatini: un profilo storico cit., p. 67.

492E. SCALFARI, G. TURANI, Razza padrona. Storia della borghesia di stato, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 103.

493ZAMAGNI, L’industria chimica italiana e l’IMI cit., p. 43.

494ASSOCIAZIONE FRA LE SOCIETÀ ITALIANE PER AZIONI, Società italiane per azioni. Notizie statistiche, Roma 1964, p. 1115.

495LEPORE DUBOIS, SONZOGNO, L’impero della chimica cit., p. 41. 496SCALFARI, TURANI, Razza padrona cit., pp. 104-105.

497 Le fusioni per incorporazione furono deliberate nella riunione dell’assemblea degli azionisti del 14 dicembre 1963 (Relazioni sul bilancio Edison ’63, «Trentagiorni», III (1962), n. 6, p. 7) e l’atto di fusio-

ne fu firmato il 29 febbraio del 1964 (con effetto dal 1° luglio dello stesso anno) (CCMN, RD, 84424, Società Edison, «atto di fusione», 29 febbraio 1964, pp. 1-2).

498 Cfr. la ricostruzione dei bilanci dell’Edison – dal 1962 – elaborata da Marchi e Marchionatti sui dati di Mediobanca – R&S, L’industria chimica, cit. – riportata in MARCHI, MARCHIONATTI, Montedison

1966-1989 cit. p. 347.

Carlo Ciriello con Guido Molteni che «non aveva chiaro il quadro del complesso delle iniziative chimiche»500. Comunque la Edison reinvestì queste ingenti disponibilità finan-

ziarie per finanziare largamente il suo sviluppo nei vari settori industriali, tra cui princi- palmente quello chimico501.

Nel corso del 1965, dunque venne avanzata l’idea di fondere la Montecatini e l’Edison. L’operazione fu eseguita all’insaputa del presidente della Montecatini – Car- lo Faina – che invece pensava a una “irizzazione”, ovvero a un aumento della quota azionaria dell’IRI, che era azionista da molto tempo della Montecatini. A favore della

fusione si schierò il governatore della Banca d’Italia – Guido Carli – che tra le altre cose era preoccupato del possibile allargamento delle imprese pubbliche, fatto che sa- rebbe stato la conseguenza dell’“irizzazione”. Per preparare la fusione fu incaricata la Mediobanca di Enrico Cuccia che giunse a conclusione – a dispetto delle resistenze di Faina – nel dicembre del 1965. A fusione conclusa l’ex presidente della Montecatini venne eletto presidente onorario, l’ex presidente della Edison – Giorgio Valerio – presidente effettivo e l’ex amministratore delegato della Montecatini – Giorgio Mace- rata – che aveva negoziato la fusione, amministratore delegato della nuova società: la Montecatini Edison502.

dirigenti – è espresso in MARCHI, MARCHIONATTI, Montedison 1966-1989 cit. p. 38.

500ZAMAGNI, L’industria chimica italiana e l’IMI cit., p. 44.

501G. ALZONA, Crisi delle grandi concentrazioni finanziarie. Il caso Montecatini-Edison, «L’Impresa», XIV (1972), n. 6, p. 425.

3.1. Ampliamenti e contrazioni

Una delle conseguenze dirette della nascita della Montecatini Edison fu l’uscita della Royal Dutch Shell dalla Monteshell petrolchimica503, che ricordiamo era proprietaria

degli stabilimenti a Ferrara e Brindisi. A causa di questo fatto la società cambiò deno- minazione in Montesud petrolchimica504 e la Royal Dutch Shell venne liquidata – con

un esoso esborso finanziario – e alla fine del 1967 la Montesud petrolchimica venne in- corporata nella Montecatini Edison insieme ad altre molte società del gruppo505.

A fusione avvenuta il nuovo gruppo si trovò a gestire nell’Italia settentrionale tre stabilimenti petrolchimici (Porto Marghera, Ferrara e Mantova). Il ciclo di lavorazione di questi stabilimenti e la loro posizione geografica comportavano lo spostamento fra i tre stabilimenti di prodotti petroliferi e chimici, finiti e semilavorati. Questi movi- menti venivano effettuati utilizzando i mezzi convenzionali, come le autocisterne, le cisterne ferroviarie e le bettoline fluviali. Ma la crescita dei trasporti, la graduale inte- grazione degli impianti installati nei tre stabilimenti e le esigenze di una gestione inte- grata e programmata del complesso, comportarono la valutazione da parte della so- cietà di un considerevole incremento futuro dei trasporti interaziendali e imposero la creazione di adeguate infrastrutture specializzate di trasporto. Per tale scopo, dal 1968506 fu pensato e progettato un complesso di tubature che consentissero il traspor-

to di prodotti sia allo stato liquido che gassoso507. Il principio che assunse la Monteca-

tini Edison era che lo stabilimento di Porto Marghera – in quanto situato in un porto petrolifero efficiente –, avrebbe costituito il punto di partenza delle condutture. Il tracciato delle canalizzazioni prevedeva il punto di incontro a Monselice (PD) dove si

diramava in due tronconi: uno verso Mantova e l’altro verso Ferrara. Le tubazioni progettate erano: una per la virgin nafta (eventualmente propilene), una per l’etilene, una per l’olio combustibile e l’ultima per i prodotti chimici (cumene, etilbenzolo e

503HOWARTH, JONKER, A History of Royal Dutch Shell, vol. 2, cit., p. 341. Si veda anche SCALFARI,

TURANI, Razza padrona cit., pp. 146-147.

504 La società fu costituita il 19 dicembre del 1963 per gestire il petrolchimico di Brindisi – col no- me di Petrolchimica – e nell’assemblea del 24 aprile 1964 cambiò la denominazione in Monteshell pe- trolchimica. Infine con l’assemblea del 30 settembre 1966 venne modificato il nome in Montesud pe- trolchimica (ASSOCIAZIONE FRA LE SOCIETÀ ITALIANE PER AZIONI, Repertorio delle società italiane per azioni 1967, vol I,Roma 1967, p. 1579).

505 Cfr. MONTECATINI EDISON, Relazioni e Bilancio 1967, Milano, 1968.

506 Relazione del Consiglio di amministrazione, in MONTECATINI EDISON SPA, Relazioni e bilancio dell’esercizio

1968, Milano, 1969, p. 20.

507ASMN, PG, b. 1344, fasc. Montecatini Edison, MONTECATINI EDISON, Condotte Porto Marghera,

benzolo)508. A capo dell’oleodotto fu costruito un complesso petrolchimico costituito

da un impianto di cracking termico, un impianto per la produzione di butadiene, un impianto per la produzione di dicloroetano e di CVM, un impianto per la produzione

di percloro-etilene, un parco serbatoi per complessivi mc 212.000, impianti ausiliari e servizi generali509.

Ma torniamo agli inizi degli anni Sessanta, quando in quel periodo l’industria pe- trolchimica italiana aveva assunto una fisionomia già bel delineata per quanto concer- neva la distribuzione geografica e la struttura degli impianti. Sin dalla costruzione dei primi impianti petrolchimici, in Italia si affermarono due distinte correnti. La prima fu seguita dalla Edison e dall’ANIC ed era orientata ad attrezzare gli stabilimenti per la

produzione di quantità rilevanti di un ristretto numero di sostanze finali. Gli interme- di ottenuti dalla lavorazione dell’idrocarburo di partenza – per i quali non era previsto il reimpiego diretto – venivano venduti sul mercato o ceduti ad aziende associate, a loro volta specializzate nella produzione di pochi elementi macromolecolari. Ad esempio si può citare lo stabilimento dell’ANIC di Ravenna che produceva gomma

sintetica e che cedeva alla consociata Società chimica Ravenna gli elementi per la sin-

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