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Interventi educativi per l'aggressività infantile

da medico potrei anche acconsentire Ma come donna vi assicuro che non vi è

DALLA TEORIZZAZIONE ALLA PROGETTUALITÀ EDUCATIVA.

3.2. Interventi educativi per l'aggressività infantile

Il comportamento aggressivo in alcuni bambini costituisce un indicatore significativo predittivo di difficoltà nel percorso di crescita. La tendenza a sviluppare tale modalità può essere individuata e contenuta già precocemente. Il successo dell'intervento dipende dalla tempestività con cui si realizza, dalla flessibilità nell'applicare il trattamento più adeguato al singolo e al suo nucleo familiare nel far sì che emergano alcune abilità prima che le tendenze e comportamenti problematici diventino problemi manifesti.

Secondo l'approccio psicanalitico la genesi di una pulsione aggressiva va individuata nella lunga dipendenza del bambino dai genitori. Secondo GUNTER AMMON 266 è importante non ostacolare il bambino nel suo primo contatto con l’ambiente.

Attualmente cercare di ridurre l’apporto distruttivo e degenerativo dell’aggressività, quindi distogliere l’uomo dall’autodistruzione della conflittualità, anche a livello mondiale che non prevede una fine, né un fine, né un ritorno alla pace, tutto questo non comporterebbe né l’annullamento, né la repressione dell’aggressività, intesa nel significato di espressione positiva per l’affermazione e la difesa di sé. Le più gravi forme di aggressività esplodono nella società, nella famiglia, nella scuola che soffocano l’esigenza dell’affermazione della persona umana. Solo la famiglia, la scuola e la società che consentono il       

265 Ivi, p. 139. Di particolare interesse è la tesi finale in "Sciences criminologiques" di A. CHIARINI, Aggressività, impulsività ed emozioni. Per una criminologia clinica volta alla prevenzione, Università "Jean Monnet", Bruxelles 2008. Cfr. G. MASTROENI, Aggressività e homo sociologicus, Armando, Roma 1997 in cui l'Autore affronta il tema dell'aggressività nell'ottica psicosociologica e tenendo conto del rapporto strettissimo, quasi osmotico, che intercorre tra i fatti culturali e l'individuo.

266 AMMON G., (1973), Le dinamiche di gruppo dell'aggressività, trad. di G. Banti, Astrolabio, Roma, p. 44.

148 maggior spazio di affermazione personale possono agire in modo pacifico. La psicologia sociale e la psicanalisi sono accomunate da un grande consenso circa la necessità di abolire stili educativi repressivi, in quanto forieri di violenze. La realizzazione di sé si incontra con la presenza e l’esigenza di interagire con l’alterità, di relazionare con gli altri da noi. In questo contesto relazionale si pone il problema di come permettere l’espansione identitaria di ogni soggetto, senza prevaricazione e sopruso. In termini psicologici occorre individuare i meccanismi che possono facilitare e agevolare condizioni di rispetto per la soggettività dell’altro e per il controllo della propria aggressività. L’uomo è l’animale sociale e come è in grado di essere aggressivo e distruttivo, è anche capace di collaborazione, altruismo e cooperazione. Dunque è necessario individuare le situazioni che agevolano nel bambino l’emergere di stabili comportamenti collaborativi e cooperativi267.

Una volta accertata la naturale presenza dell'aggressività nel bambino costituisce un grave errore degli adulti negarla, mentre il problema centrale è favorire la giusta canalizzazione della carica aggressiva, di modo che essa consenta l'espressione in forme produttive e non distruttive.

La relazione affettiva può costituire un elemento di inibizione dell'aggressività; pertanto la condicio sine qua non di un contenimento degli impulsi distruttivi è una buona relazione madre-figlio.

«La qualità del rapporto madre-figlio è tale da avere degli effetti di deprivazione e di carenza»268. Come ricorda ROBERT AUBREY HINDE possiamo definire la relazione (anche quella educativa) come la storia ricordata dalle precedenti interazioni269. Il parallelo tra la relazione madre-bambino ed insegnante-allievo, argomenta ILARIA CASTELLI , si fa ancora più incalzante se consideriamo che «recenti lavori hanno mostrato che il legame di attaccamento che il bambino instaura nella relazione primaria con la madre viene trasferito nelle relazioni con altre figure adulte, come assistenti ed insegnanti: il caregiver non è soltanto la       

267 Ivi, pp. 45-46; cfr.: VENZA G.,(2007),Dinamiche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo, Angeli, Milano; CHIODI A.,. DI FRATTA M, VALERIO P.,(2009),Counseling psicodinamico di gruppo. Funzione e ruolo dell'osservatore negli interventi brevi, Angeli, Milano.

268 GARDELLA O.,(2007), L'educatore professionale, Angeli, Milano, p. 75. 269 Cfr. HINDE R. A., (1982), Le relazioni interpersonali, Il Mulino, Bologna.

149 madre, ma vi sono anche altre figure di accadimento per il piccolo da parlare di caregivers multipli»270.

La letteratura psicologica è densa di ricerche, da ERIK. H. ERIKSON, a RENÉ A. SPITZ, a JOHN BOWLBY271. Il comportamento violento di individui cresciuti in istituzioni o in famiglie disgregate è una tragica conferma di tale tesi. E' opportuno sottolineare il ruolo, l'importanza dei meccanismi d'identificazione nella formazione dell'identità personale.

Comunque si evincono dagli studi psicoanalitici inerenti la psicopedagogia del comportamento aggressivo alcuni punti fermi quali:

esigenza di un intervento preventivo di realizzazione di una buona relazione madre-bambino, quale premessa ad una gestione positiva dell'aggressività e dei rapporti interpersonali;

importanza dei modelli adulti di identificazione che determinano qualità e direzione della pulsione aggressiva;

influenza educativa sul passaggio di forme sempre più simboliche, complesse e ritualizzate di espressione dell'aggressione.

      

270 CASTELLI I., (2002),Costruire contesti affettivo-relazionali, in "Scuola Materna", 2, p. VII. Lo studio cui si riferisce l'autrice è condensato nel testo di R.C. PIANTA, La relazione bambino-insegnante. Aspetti evolutivi e clinici, Raffaello Cortina, Milano 2001.

271 ERIKSON E. H., (2008), Infanzia e società, trad. di L. A. Armando, Armando, Roma; SPITZ R. A., (2000), Dialoghi dall'infanzia. Raccolta di scritti, a cura di Robert N. Emde, Armando, Roma; SPITZ R.A., (2002), Il primo anno di vita. Studio psicoanalitico delle relazioni oggettuali, trad. di C. Masina e V. Volterra Capogrossi, Armando, Roma.

150 3.2.1. Come gestire l'aggressività attraverso la fiaba e il gioco simbolico

L'aggressività è un impulso da educare, perché, senza una sua gestione, il bambino tenderebbe istintivamente ad esplosioni di rabbia, fino ad indirizzare tale energia verso se stesso o verso gli altri. Di conseguenza, in momenti di crisi o di opposizione, tale comportamento potrebbe innescare la tendenza a farsi del male(come sbattere la testa contro il muro, o sbattersi oggetti addosso), indicando quanto, in questi casi non ci sia un adeguata interiorizzazione e consapevolezza nel bambino del concetto di limite e di pericolo.

Tra gli strumenti che un genitore può usare abbiamo la narrazione di favole (storie in cui il personaggio affronta situazioni simili a quelle che sta vivendo il bambino)272. Le fiabe parlano ai bambini in un linguaggio simbolico, è per questo che riescono ad attrarne l’attenzione e a favorire l’immedesimazione, riducendo i conflitti interiori del bambino, placando l’angoscia e offrendo soluzioni.

Parlando di simboli nello sviluppo psichico infantile, ci sembra interessante introdurre il pensiero di Bruno Bettelheim (1903 –1990). Egli si occupò di psicologia dell’età evolutiva e in particolare di autismo infantile. Il suo arduo obiettivo era quello di offrire al bambino autistico un ambiente e delle esperienze di vita in grado di ridurne l’isolamento emotivo e aiutarlo a sviluppare la propria personalità. Bettelheim descrive in modo suggestivo le più belle e conosciute fiabe: da Hansel e Gretel a Cappuccetto Rosso, da Biancaneve alla Bella Addormentata nel bosco. Per l’autore la fiaba sviluppa la creatività, dà spazio al gioco semantico e segnico. E’ uno strumento educativo prezioso, rappresenta un punto di riferimento per la vita interiore del bambino e la vita relazionale dello stesso con l’adulto. Il bambino ha bisogno di un’educazione morale che velatamente, e soltanto per induzione, gli indichi i vantaggi del comportamento morale, non mediante concetti etici astratti, ma tramite quanto gli appare tangibilmente giusto e, quindi, di significato riconoscibile. Nelle fiabe non è importante tanto il contenuto manifesto, esplicito, quanto il significato simbolico comune in qualsiasi società ed epoca. Queste storie si occupano di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e       

151 quindi parlano al suo Io e ne incoraggiano lo sviluppo, calmando nel frattempo pressioni preconsce e inconsce.

La fiaba semplifica tutte le situazioni, i suoi personaggi sono nettamente tratteggiati, e i particolari, a meno che non siano molto importanti, vengono eliminati. Questo permette al bambino di afferrare il problema nella sua forma più essenziale, mentre una trama più complessa gli renderebbe le cose più difficili. Tutti i personaggi sono tipici, anziché unici.

È importante sottolineare che non è il trionfo finale della virtù a promuovere la moralità, bensì il fatto che sia l’eroe a risultare maggiormente esemplare per il bambino, permettendogli di identificarsi con lui nelle sue lotte. Grazie a questa identificazione il bambino immagina di sopportare con l’eroe prove e tribolazioni, e trionfa con lui, quando la virtù coglie la vittoria. Il bambino compie questa identificazione da solo, le lotte interiori e col mondo esterno dell’eroe fanno nascere in lui il senso morale. La fiaba non ha solo la funzione di intrattenere il bambino, bensì gli permette di conoscersi e favorisce lo sviluppo della sua personalità. Nelle fiabe il male è onnipresente come il bene. Essi si incarnano in certi personaggi e nelle loro azioni, così come sono presenti nella vita e nelle inclinazioni verso l’uno o l’altro. È questo dualismo che pone il problema morale e richiede una lotta affinché possa essere superato. Tale lotta instilla in lui il senso morale. Inoltre con la figura della matrigna, o della nonna in Cappuccetto Rosso, o della strega, si scinde la madre buona e quella cattiva, permettendo al bambino di andare contro la madre cattiva senza che s’istauri il senso di colpa. La fantasia della cattiva matrigna preserva l’immagine della madre buona.

Il succo di queste fiabe non è la morale, sostiene Bettelheim273, ma piuttosto la fiducia di poter riuscire. La vita può essere affrontata con la fiducia di poter sormontare le sue difficoltà o con la prospettiva della sconfitta: anche questo costituisce un importantissimo problema esistenziale. Il bambino, man mano che cresce, deve imparare a capirsi sempre meglio, per poi imparare a comprendere gli altri in modo da entrare in rapporto con loro.

      

273 BETTELHEIM B.,(2003),Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano; BETTELHEIM B.,(2002), Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano.

152 Mircea Eliade274 descrive le storie come modelli per il comportamento umano che danno significato e valore alla vita. Altri ricercatori orientati verso la psicologia del profondo sottolineano le analogie tra gli eventi fantastici nei miti e nelle fiabe e quelli che hanno luogo nei sogni, anche se le fiabe rappresentano desideri più manifesti rispetto ai sogni. La fiaba proietta l’allentamento di tutte le tensioni e offre modi per risolvere i problemi. Ci parla nel linguaggio di simboli che rappresentano un contenuto inconscio. Fanno appello alla mente conscia e inconscia, all’ Es, all’Io e al Super-io. Ecco il perché della loro efficacia con i bambini: nel contenuto delle fiabe vengono espressi in forma simbolica fenomeni psicologici interiori.

La fiaba garantisce dopo lotte, sofferenze e conflitti un sicuro lieto fine e ciò consente al bambino di vivere accanto ai personaggi le passioni e le emozioni più intense, senza temere esiti distruttivi o sensi di colpa.

Il bambino vive in un mondo in cui realtà,magiae fantasia si mescolano costantemente. La fiaba corrisponde al suo mondo, diverso da quello reale e non li confonde come teme l'adulto.

Alcuni pedagogisti, ma anche scrittori come DANIEL PENNAC, sottolineano il ruolo attivo del bambino nei confronti della fiaba275.

I bambini, oggi più che in passato, hanno bisogno di ricevere suggerimenti in forma simbolica, circa il modo in cui affrontare i problemi della vita e arrivare indenni alla maturità; suggerimenti che gli permettano di accettare la natura problematica della vita stessa, senza rimanerne atterriti e/o cercando di negare o di fuggire dalla realtà stessa.

      

274 ELIADE M.,(1907 – 1986) fu fenomenologo delle religioni, antropologo, filosofo e saggista; studioso del mondo arcaico e orientale, esperto di yoga e di sciamanesimo. Per i contatti giovanili avuti con il fascismo rumeno lo studioso fu criticato da molti suoi colleghi europei di sinistra, specialmente in Francia. Il suo pensiero, rispetto a molti altri antropologi, si caratterizza non solo per l'attenzione ma per una sua sentita adesione al modo arcaico, una sintonia che egli manifesta nel primato antropologico che egli riconosce alla categoria del sacro. Cfr. AERCELLA L., P. PIUSI, R. SCAGNO, Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica, Jaca Book, Milano 1998. 275 PENNAC D., (2007), Diario di scuola, Feltrinelli, Milano; cfr. CAMBI F., LANDI S.,

ROSSI G. ,( a cura di ), (2008), L'immagine della società nella fiaba, Armando, Roma .

153 Le fiabe non negano le difficoltà che ognuno di noi è chiamato ad affrontare nella vita di tutti i giorni; mettono altresì onestamente il bambino di fronte ai principali problemi umani. I bambini, come ognuno di noi, hanno bisogno di trovare un significato che dia senso alla loro esistenza e noi sappiamo che solo chi impara a far fronte e a lottare contro le difficoltà della vita può trovare questo significato. La lotta contro le difficoltà è inevitabile, è una parte dell’esistenza, che solo chi affronta con risolutezza può superare e uscirne più forte.

L’essenza e l’utilità delle fiabe sta proprio nell’infondere la fiducia di poter riuscire in ciò che si è intrapreso. Le fiabe dicono al bambino che la vita può essere affrontata con la fiducia di poter superare le difficoltà o con la prospettiva della sconfitta, consentendogli di accettare la natura problematica della vita.

Intorno ai 2 anni, tra la fine dello stadio sensomotorio e l'inizio di quello preoperatorio, compare nel bambino il gioco simbolico, una forma di gioco che ha ricevuto molta attenzione dagli studiosi dello sviluppo negli ultimi anni.

Si tratta di un «gioco che implica la rappresentazione di un oggetto assente: l'immaginazione si appoggia sugli elementi concreti disponibili e, trasfigurandoli, crea strutture originali con un dinamismo simile a quello che si realizza nel processo onirico. Accompagnandosi con i gesti, con la mimica, con una partecipazione psicofisica globale, il bambino elabora ed esprime, mediante la spregiudicatezza dell'attività analogico-combinatoria, l'esigenza vivissima di ricostruire le situazioni e gli eventi più disparati»276.

DONALD WOODS WINNICOTT è colui che ha contribuito ad evidenziare nuove concezioni sui significati del gioco simbolico, sottolineando l'estrema importanza di «quell'area intermedia», dove ciascun individuo può giocare le proprie progettualità, sostenute da un immaginario che viene agito in rapporto ad una realtà significata. Così si esprime WINNICOTT: «...esiste un'area intermedia di esperienza a cui contribuiscono la realtà interna e la vita esterna. È un'area che non viene messa in dubbio, poiché nessuno la rivendica, se non per il fatto che esisterà come posto di riposo per l'individuo impegnato nel perpetuo compito umano di mantenere separate, e tuttavia correlate, la realtà interna e la realtà       

276 FAENZA V.,(2005), L'arte di curare con l'arte. Discorsi di psicoterapia, Guaraldi, Rimini, p. 251.

154 esterna»277. Con questa asserzione l'autore pone l'esistenza di una terza realtà che «...costituisce la maggior parte d'esperienza del bambino e per tutta la vita viene mantenuta nella intensa esperienza che appartiene alle arti, alle religioni, al vivere immaginativo ed al lavoro creativo scientifico»278.

Per quanto concerne sempre il gioco simbolico, e la sua funzione per superare l'aggressività, va sottolineato, come esso occupi un ruolo particolare, perché costituisce la modalità espressiva più libera di cui il bambino dispone. ANNA MARIA MARCUCCINI sottolinea come il gioco simbolico consenta al bambino di realizzare la propria soggettività e di svolgere un tipo di funzione svolta nell'adulto dal linguaggio interiore.

«In una fase in cui l'adattamento al reale tende a contenere l'espansività di tutte le energie istintuali e affettive per canalizzare verso la formazione di un Io sempre più solido e sociale, il gioco simbolico, e con esso la capacità connessa alla fantasia, ne permette il deflusso. In ciò sembra verificarsi il superamento di un rapporto solo adattivo al reale e la possibilità di esperire la propria soggettività. Esso può quindi essere letto come l'esteriorizzazione e concretizzazione, attraverso azioni, di vissuti interiori affettivi, emotivi e aggressivi: svolge cioè quella funzione che nell'adulto è svolta dal linguaggio interiore e dalla riflessione sugli eventi, solo che nel gioco simbolico, come nel sogno, i vissuti interiori sono espressi in forma libera e autentica perché non mediati dall'Io. Per questo nel gioco, come nelle fantasie compensatorie, c'è libertà di identificarsi in un ruolo qualsiasi e di rappresentare una realtà costruita secondo un bisogno autentico ma inconsapevole. Secondo M. KLEIN, nel gioco avviene un processo di proiezione all'esterno di pericoli interni, per cui l'angoscia si trasforma in piacere»279.

Un caso particolare è quello dei bambini ospedalizzati per i quali la funzione simbolica del gioco è ancora più importante: alcuni giochi, tra i più tipici il gioco del dottore, servono ai bambini per affrontare e rielaborare l'ansia, la rabbia e le frustrazioni dell'esperienza che stanno vivendo. Il bambino, costretto a sperimentare emozioni dolorose che spesso non è in grado di dominare e assimilare, diventa capace, ripetendole più volte in forma simulata, di controllarle

      

277 WINNICOTT D. W., (2006),Gioco e realtà, trad. Giorgio Adamo e Renata Gaddini, prefazione di Renata Gaddini, Armando, Roma, p. 37.

278 Ivi, p. 38.

279 MARCUCCINI A. M.,(2010), L'educatore nell'asilo nido, Maggioli, Sant'Arcangelo di Romagna (RN), p. 207.

155 nella misura in cui le situazioni subite si trasformano in situazioni rivissute attivamente.

Nella ricerca psicologica, in molti si sono dedicati allo studio dei giochi infantili, in particolare del gioco simbolico, non senza difficoltà: «il gioco pone un dilemma familiare agli psicologi: al pari di altri fenomeni quali l'intelligenza, il linguaggio, l'aggressività o l'altruismo può essere definito più facilmente a livello comportamentale che non teoretico»280.

In sintesi: la consapevolezza degli stretti rapporti fra attività ludica e vita psichica ha portato all'utilizzazione del gioco, in sede sia psicodiagnostica sia psicoterapeutica. L'analisi del comportamento ludico di un bambino offre, infatti, indicazioni sul livello del suo sviluppo motorio e intellettuale e permette di cogliere aspetti essenziali della sua vita emotiva e affettiva. Inoltre, la graduale presa di coscienza da parte di un bambino dei sentimenti da lui vissuti o fatti vivere ai personaggi del gioco può (come è stato sottolineato da ANNA FREUD281 e da MELANIE KLEIN282) avere una funzione terapeutica, o costituire un importante momento diagnostico.

JEAN PIAGET283 riteneva che i cambiamenti che avvengono nel gioco simbolico tendono a seguire una funzione a forma di U invertita. Attività simboliche, secondo Piaget, cominciano a emergere durante il secondo anno di vita, aumentano lungo i successivi tre o quattro anni, e poi declinano con l’età scolastica. Secondo Piaget, il gioco diviene più realistico via via che i pensieri del       

280 RUBINK. H. , FEING. G., and VANDEBERGB.,

Play , (1983), in P.H. Mussen (ed.) Handbook of Child Psychology, Vol. 4, John Wiley and Sons, New York .

281 SMIRNOFF V., (1974), La psicoanalisi infantile, trad di Gabriella Armando e Antonella Dolci, Armando, Roma, p. 218: "Anna Freud non nega che il gioco possa venir interpretato in termini simbolici, ma sottolinea che, se le associazioni prodotte dall'adulto testimoniano di uno sforzo volontario tendente a non sopprimere coscientemente nulla dal suo discorso, il gioco del bambino, al contrario, non corrisponde a tale attitudine. Anna Freud sottolinea soprattutto che l'interpretazione rimane difficile anche con la tecnica del gioco: il materiale simbolico ottenuto in questo modo obbliga a interpretazioni simboliche che possono essere incerte, se non arbitrarie".

KLEIN M., (1978), Principi psicologici dell'analisi infantile, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino p. 35. Cfr. pure EADEM, La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, in EAD., HEIMANN P., MONEY-KYRLE R. ( a cura di ),(1966), Nuove vie della psicoanalisi, Il Saggiatore, Milano.

283 PIAGET J.,(1972),La formazione del simbolo nel bambino. Imitazione, gioco e sogno. Immagine e rappresentazione, La Nuova Italia, Firenze.

156 bambino acquistano una maggiore logica. Egli ha previsto perciò un aumento e un calo nel gioco simbolico approssimativamente tra il primo e i sei anni. In aggiunta, l’inizio del gioco simbolico è accompagnato da un declino nel gioco sensomotorio, al posto del quale compare il gioco con regole. Lo schema piagetiano con ciò implica che in ambienti stabili forme meno mature di gioco sono cancellate ,quando al loro posto subentrano forme più mature. Per PIAGET le occasioni di fuga nel fantastico o di gioco simbolico tipiche della prima infanzia sono chiare manifestazioni di assimilazione del mondo esterno alle proprie esigenze profonde.

Il gioco per LEV SEMËNOVIČ VYGOTSKIJ è uno strumento di crescita emotiva e intellettiva. Egli si esprime nei seguenti termini: «Il primo paradosso del gioco è che il bambino opera con un significato staccato, ma in una situazione reale. Il secondo paradosso è che il bambino segue nel gioco la linea di minor