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Interventi per l’ordine pubblico e per evitare la paralisi civica Lo stato di terrore, sconforto e confusione, la sensazione di trovarsi davvero alla fine

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 121-124)

del mondo e di dover affrontare il Giudizio Universale senza sentirsi pronti a sostenere il tribunale celeste deve essere stato un duro banco di prova per la stabilità mentale della popolazione. Le cronache già esaminate forniscono effettivamente molte testimonianze di una certa polarizzazione ed esasperazione dei comportamenti: rifugiarsi nell’estremismo religioso era comune quanto abbandonarsi ad ogni piacere terreno.

A volte nell’uomo che è preda della paura, quando essa diventa eccessiva, si possono innescare meccanismi di involuzione sociale e culturale. L’uomo in preda a una grande paura può smarrire la fede, può contribuire attivamente a disgregare tutto ciò che lo tiene legato alla sua famiglia e alla società in cui vive. Come le cronache ci testimoniano, l’uomo può perdere la sua natura di animale sociale e divenire un elemento solitario, slegato da ogni contesto e isolato, in preda all’istinto di sopravvivenza309

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Essere preda di estremismi che coinvolgano pienamente la sfera emotiva non può che sfociare in comportamenti violenti. La persona di indole violenta, in tempi di peste, come confermato non solo dalle cronache ma anche dai documenti ufficiali, si trovava particolarmente stimolata e indotta a dar maggior sfogo alla sua natura. Altrettanto normale, in queste circostanze, che la violenza insita nel codice genetico umano potesse manifestarsi anche in chi abitualmente avrebbe un animo mite e incline al dialogo. La necessità di procacciarsi tutto ciò che potesse essere utile a preservare la propria vita e la voglia di tenersi lontano da tutto quanto quella stessa vita potesse metterla in pericolo, erano condizioni sufficiente a scaldare qualsiasi tipo di animo. A maggior ragione quando i fumi dell’alcool contribuivano a delineare come ancora più critica una situazione che l’emergenza e la particolarità della peste rendevano unica.

La morte divenuta più comune della vita stessa nella quotidianità dell’uomo non poteva non sortire qualche effetto, non poteva non essere in alcun modo responsabile della discutibile condotta morale di qualche persona. L’abbandonarsi al godimento di ogni piacere materiale, comportamento eletto quasi a nuova religione i cui personali rituali

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andavano svolti con costanza e dedizione, portava in dote quegli eccessi di cui abbiamo avuto ampia testimonianza. Inoltre la sessualità, il desiderio e la libido sarebbero anche pulsioni giustificate da quella che era la circostanza per eccellenza della peste e di tutte le grandi epidemie: il pesante e soffocante clima di morte. La sfera della sessualità e tutti gli atteggiamenti ad essa di contorno sarebbero in qualche modo concatenate alla morte e al lutto: reazioni allo stato psicologico del cordoglio. Il dolore porta spesso alla scomparsa della libido. A volte invece può capitare l’opposto: dopo la perdita può manifestarsi un grande desiderio sessuale. La possibile interpretazione antropologica si indirizza verso un impellente desiderio di vita da contrapporre alla morte: naturale finalità del coito è la procreazione di una nuova vita. Facendo in modo che la specie possa perpetuarsi, perché è alla vita stessa che si consente di continuare, l’atto sessuale è un’azione che si contrappone alla morte310. Sono senza dubbio considerazioni che coinvolgono la sfera più istintuale dell’uomo ma è altrettanto vero che le cronache hanno più volte dimostrato come gli uomini in tempo di peste fossero mossi da tutto fuorché dalla ragione.

Quali che fossero le motivazioni e le possibili giustificazioni di tali atteggiamenti e delle violenze che essi potevano produrre, per le istituzioni di Venezia era necessario ricondurre la città in quell’alveo di legalità vista come sempre più necessaria in condizioni critiche come quelle portate dalla pestilenza. L’emergenza portò le autorità a sospendere un’attività che nel bene o nel male poteva anche favorire spazi e momenti di comunicazione e che alimentava l’economia interna della città di Venezia.

Cum multi rumores et homicidia quotidie committantur occasione vini quod publice venditur in canali Sancti Marci, sicut est manifestum; ad obviandum predictis consulunt officiales de nocte quod super premissis per ducale dominium provideatur in hunc videlicet modum; quod quicumque inventus fuerit vendere vinum in aliqua parte canalis seu in aliquo rivo Venetiarum in barcha, burchio, vel plata, ammittat vinum311

Come si può notare, vietare il costituirsi di assembramenti di persone, oltre al valore strettamente sanitario che le autorità avevano intuito, aveva anche funzione di mantenimento di ordine pubblico. Le condizioni minime di sicurezza, per consentire che tutte le operazioni di contrasto alla pestilenza potessero essere espletate al meglio, andavano garantite anche con queste misure. Probabilmente si aveva ben chiara la

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La morte di una persona cara, così come vedere la stessa morte così diffusa e presente, provoca un grande dolore perché è vissuta come l’irrimediabile perdita della presenza della persona e dell’affetto che essa dava nella quotidianità, dai gesti alle parole. Questo grande dolore misto alla paura poteva spalancare le porte dell’irrazionalità e far compiere all’uomo qualsiasi gesto apparentemente incomprensibile. DI NOLA 1995, pp. 210-211.

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concezione di cosa fosse in grado di causare una massa di persone preda dell’eccessiva eccitazione che pervadeva le calli in tempo di peste.

La collettività tende infatti ad aggravare ogni sentimento di paura, ad esasperarne le reazioni che essa provocherebbe se ad esserne colpita fosse una singola persona. La paura può facilmente divenire “contagiosa” in una folla di persone fragili psicologicamente, perché provate dall’angoscia della peste, e provocare reazioni incontrollate e imprevedibili da parte della stessa folla: la resistenza di una persona forte e coraggiosa potrebbe essere fiaccata velocemente se essa stessa fosse parte integrante di una moltitudine di gente già in preda all’angoscia e al terrore312

. In altre parole, per quanto criticabile possa essere ai nostri occhi l’istituzione di una sorta di coprifuoco, il periodo della pestilenza probabilmente contribuì a diffondere un elevato grado di tensione psichica che poteva facilmente provocare reazioni che sarebbero potute sfociare nel parossismo dell’ira.

Il rischio concreto di disordini era probabilmente considerato anche in un’ottica più ampia, ovvero quella della paralisi totale di ogni attività comprese quelle fondamentali perché si potesse garantire il regolare funzionamento della vita civica della città.

La speranza che questa pestilenza potesse passare in fretta fu possibilmente alla base delle deliberazioni e condivisa dal doge e dalle istituzioni della Repubblica.

Spesso i comportamenti delle classi sociali più abbienti sono stati per tutti il metro di giudizio di cosa fosse opportuno e di cosa lo fosse meno. Imitati e portati a modello, i loro atteggiamenti finivano per influenzare gli stili di vita di chi aspirava ad un posto nella società che conta. Anche durante la peste il popolo probabilmente guardò a loro per avere un quadro più chiaro della situazione313. La fuga dei ricchi veneziani nelle ville della terraferma dovette gettare ancora più nel panico la popolazione.

Potrebbe non essere sbagliato interpretare anche sotto questo punto di vista quelle deliberazioni che richiamavano tutti quei rappresentanti dell’alta società che occupavano posti di rilievo e responsabilità nel tessuto cittadino.

Cum multi officiales exierint et exeant continue de civitate Rivoalti et propterea officia pertent deffectum

Vadit pars quod omnes officiales, qui sunt extra civitatem Rivoalti, debeant redisse usque ad diem sabati proximum per diem et si intra dictum terminum non redierint, sint extra sua officia et

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L’angoscia affonda le sue radici nell’ignoto. Scaturisce da tutto ciò che, non essendo nel repertorio dell’esperienza, suscita inquietudine, ansietà e dolorosa attesa per qualcosa che è fortemente temuta per il solo fatto di non essere nota. La peste coniugava entrambi i concetti di paura, visto in precedenza, e di angoscia. Angoscia perché si trattava di una malattia dalla provenienza e dalle cause ignote e per la quale non esisteva rimedio. Paura perché comunque impiegò poco tempo per farsi conoscere in tutta la sua drammaticità. DELUMEAU 1979, pp. 24-27.

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ultra hoc cadant ipsi officiales et quilibet eorum qui non rediret ad penas contentas in capitularibus suis quando reffutant officia sine causa et ut huic defectui salubriter obvietur, de cetero aliquis officialis non possit exire de civitate Rivoalti sub pena predicta314

Evitare il protrarsi delle paralisi istituzionale, burocratica ed economica e sanitaria era di certo lo scopo principale delle deliberazioni. Riportare la normalità anche da un punto di vista psicologico era probabilmente un’altra finalità inseguita dalle istituzioni. Il ritorno alla quotidianità precedente alla peste poteva sicuramente contribuire a far riacquistare fiducia alla popolazione, a scacciare la paura, per far sì che potessero riprendere tutte quelle attività necessarie alla sopravvivenza di una città che mirava a riprendere quei ritmi economico-commerciali che l’avevano portata a ricoprire un ruolo di assoluta protagonista nello scacchiere politico-commerciale dell’Adriatico e del Mediterraneo.

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 121-124)