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La situazione precipita, intervengono le Istituzion

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 81-85)

I riflessi di questa teoria si fecero sentire attraverso una sorta di timore reverenziale, di una consapevolezza che, sebbene non assunse un ruolo guida all’interno della macchina organizzativa delle autorità, era comunque bene non dimenticare per una questione di buon senso.

Un substrato talmente intriso di credenze religiose era ovviamente terreno di coltura ideale per una cultura fortemente fatalista che tendeva chiaramente a scoraggiare una politica interventista a tutto campo, una presa di posizione decisa: tutto era già deciso, tutto derivava dal volere di Dio e non si poteva contrastare l’arbitrio dell’Onnipotente.

L’arretratezza e l’incapacità dell’organizzazione amministrativo-sanitaria è stata trattata abbastanza nei precedenti capitoli e, come si è potuto notare dagli aneddoti narrati dalle cronache, era un’evidenza conclamata un po’ ovunque. Questo aspetto, unito alla fede di una società permeata dalla religione e alla possibile concretezza di una città commerciale potrebbero essere alla base del ritardo da parte delle autorità veneziane nel registrare la pestilenza e nei tempi di reazione contro di essa. Un tale ritardo, da parte delle autorità veneziane, è stato dunque considerato piuttosto comprensibile193. Come è infatti ben noto, per trovare il primo accenno della peste a Venezia da parte delle sue autorità bisogna aspettare la fine di marzo, quando invece notizie ufficiali provenienti dalle colonie erano note ben due mesi prima. La peste sbarcò sull’isola di Candia (la denominazione veneziana

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Il ritardo tra il sempre più probabile arrivo alla fine di gennaio della peste e i suoi primi riflessi ufficiali a fine marzo è evidenziato da Alberto Tenenti che, come scritto sopra, assegnò pari responsabilità a tutti i fattori di cui si è accennato: religiosità, calcolo politico e arretratezza sanitaria e organizzativa. TENENTI 1997, p. 33.

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dell’attuale isola di Creta nel mare Egeo) e dilagò con gli stessi effetti che di lì a poco divennero tristemente noti anche ai veneziani. Le misure prese dalle autorità veneziane del luogo si prefigurarono come una sorta di sperimentazione per quella che successivamente sarebbe stata la linea guida dei provvedimenti presi dalla madrepatria194. In pratica i tempi di reazione delle autorità veneziane, paragonati a quelli studiati e riscontrati in altre parti d’Italia, non sembrarono così fuori dall’ordinario, anzi risultarono paragonabili a quelli degli altri comuni della penisola195.

A questo punto la sensazione più forte che potrebbe trasparire, leggendo le cronache, è che forse si aspettò comunque troppo per intervenire: il “bubbone” era già scoppiato e le conseguenze non poterono più essere ignorate, neanche dalle stesse autorità che probabilmente cercarono di occultarne fino alla fine la presenza.

Quando la pestilenza raggiunse il suo picco il numero dei veneziani colpiti dal morbo e di quelli caduti sotto i suoi strali raggiunse livelli di estrema drammaticità. L’emergenza divenne ben presto evidente a tutti, per rendersi conto di essa non era necessaria l’ufficialità di un proclama delle autorità veneziane. Per inquadrare la drammaticità della situazione sarebbe stato sufficiente camminare lungo le calli, affacciarsi nei campi e campielli e navigare attraverso i canali, si sarebbe notato sempre lo stesso desolante e tragico panorama: i cadaveri erano ovunque e non si riusciva, per l’elevato numero di decessi giornalieri, a rimuoverli tutti e in tempo per evitare che cominciassero a decomporsi insepolti. La morte coinvolgeva anche chi era incaricato al trasporto delle salme nei luoghi preposti per la sepoltura.

Molto probabilmente la situazione apparve chiaramente come non più sostenibile e tale da costringere le istituzioni a reagire prontamente e con estrema fermezza: era in gioco la sopravvivenza non solo della vita civile di Venezia ma l’esistenza stessa della città lagunare.

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Provvedimenti che saranno presi anche nelle altre colonie. La peste è nominata esplicitamente dal Senato nella deliberazione datata «Die penultimo aprilis», in cui si concede al conte, ai giudici e al consiglio di Ragusa (l’attuale città croata di Dubrovnik) la facoltà di condonare pene pecuniarie irrogate in precedenza proprio per l’imperversare della peste: «Quod scribatur nostro comti et comuni Ragusii cum pulcris verbis, condolendo de pestifero casu mortalitis, propter quam de personis multum diminuti dicuntur». Una deliberazione di carattere economico e amministrativo in cui l’argomento peste è sì trattato in modo marginale, perché citato come causa del provvedimento, ma lascia comunque intravedere le potenzialità negative che si resero già note nei territori della madrepatria. Senato, del. miste, n° 659.

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Alberto Tenenti sostiene che «l’accurata indagine di Elisabeth Carpentier sottolinea come questa fosse quasi la regola. […] l’incuria e la lentezza soprattutto sul piano amministrativo» erano in pratica i motivi per cui i governi dell’epoca non riuscirono ad attivarsi in tempo avendo spesso la possibilità di far tesoro delle esperienze precedenti. Fattore che vale di più soprattutto per chi aveva contatti diretti con regioni in cui la peste si era già manifestata in tutta la sua potenza distruttiva. TENENTI 1997, p. 33.

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La vera e propria catastrofe che colpì Venezia è testimoniata in diverse fonti che sono riuscite a tramandare la drammatica quotidianità vissuta in quei mesi. Quotidianità che si manifestava in continue veglie ai defunti e processioni di salme verso quegli abituali luoghi di sepoltura che andavano sempre più incontro alla saturazione, tanto da costringere le autorità a cercare di rimediare agli evidenti disagi della “sovrappopolazione” dei cimiteri cercandone anche di nuovi:

Et tantus fuit fetor, qod Dominatio mandavit portari sabulum in magna quantitate in omni cimiteriis civitatis; tamen modicum profuit. Et tunc mandavit quod nullus sepeliretur intra ambitum civitatis, nisi haberet propriam sepulturam; sed omnes portabantur cum platis, que stabant parate in diversis et multis locis civitatis, ita honerate sicut portantus ligna, ad S. Marcum Bochalama et S. Leonardum Fossamala196.

L’emergenza, come visto, produsse un cambiamento: ad un certo punto le autorità decisero, oppure si videro costrette, a smistare i morti privilegiando, per i tradizionali cimiteri cittadini, quanti vi avessero già una sepoltura di proprietà oppure quanti avessero le disponibilità finanziarie da potersi permettere di acquistarla. Il resto era destinato ai nuovi cimiteri.

La cronaca di Lorenzo de Monacis ci illustra una situazione che in maggio precipitò notevolmente:

In mense vero Maij adeo modum excessit contagia, ut campi, porticus, sepulture et omnia Ecclesiarum loca cadaveribus essent completa; […] multi condebantur sub stratis publicis, nonnulli sub pavimentis eorum habitationum, innumeri sine testi bus vitam linquebant197.

Quelle che erano le misure quotidiane prima che si manifestasse la pestilenza, quelle di cui era dotata qualsiasi altra cittadina italiana, si rivelarono evidentemente insufficienti e tali da richiedere misure straordinarie e specifiche per l’emergenza in corso.

Il quadro dipinto dal notaio veneziano de Monacis ci illustra una situazione ben peggiore di quanto si possa immaginare. Assodato il fatto che la peste avesse fatto il suo ingresso tra le banchine dei porti lagunari già negli ultimi giorni di gennaio, le istituzioni veneziane si videro costrette a varare misure d’emergenza nel mese di marzo, indice che la situazione era già precipitata prima del maggio di de Monacis ed era talmente grave da richiedere un intervento immediato. L’inasprimento segnalato nel mese di maggio, il continuo crescere dei cadaveri accatastati per le calli dichiararono totalmente inefficace la normale amministrazione e apparentemente insufficienti persino le misure straordinarie:

L’emergenza rese necessario che a spese dello stato, si incaricassero degli addetti che con dei brigantini a palo… remassero per i canali della città allo scopo di raccogliere i cadaveri dalle case

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Frammento del Chronicon Monasterii S. Salvatoris Venetiarum tratto da MUELLER 1979a, p. 78.

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abbandonate per poi portarli nelle isole di San Marco in Boccalama o di San Leonardo Fossamala o a Sant’Erasmo o su altre isole ancora al di fuori della città dove venivano gettati a mucchi in fosse ampie e profonde scavate a questo scopo con grande impegno. Molti spiravano (solo) su queste imbarcazioni e molti che ancora respiravano rendevano l’anima soltanto in queste fosse. Anche molti di questi nocchieri furono colpiti dall’epidemia della peste. Preziose suppellettili domestiche, denaro, oro e argento erano rimasti incustoditi nelle case abbandonate senza che fossero trafugati dai ladri perché tutti erano come incredibilmente paralizzati, vittime del panico198.

Francesco de Grazia e Lorenzo de Monacis ci illustrano alcune tra le prime misure adottate dalle autorità preposte al mantenimento della salute nella città di Venezia: misure straordinarie per i cimiteri in città e l’apertura di nuovi sepolcreti creati proprio per far fronte a quell’emergenza.

L’importanza della conservazione della salute pubblica è evidentemente fondamentale e per il dottor Angelo Antonio Frari, che fu presidente della magistratura di sanità marittima, era altrettanto importante che di essa se ne occupasse l’autorità pubblica; la quale fosse quindi responsabile di preservare con ogni mezzo

il tesoro prezioso della salute, allontanare da essa ogni causa di calamità e di sciagura, e tener d’occhio specialmente quelle funeste malattie popolari di contagio specifico, che sogliono mietere le vite degli uomini a migliaja, e cangiare in istato di avvilimento e di comune desolatrice miseria la pubblica prosperità199.

Per far sì che tutto possa funzionare al meglio la profilassi deve essere sostenuta con validità e convinzione: «Molto possono le misure sanitarie opportunamente prese e con energia sostenute, molto i mezzi profilatici debitamente usati»200. La corretta attuazione delle norme di profilassi da parte delle autorità veneziane nel corso dei secoli e delle epidemie che li riguardarono permise di superare le criticità «e migliaia di individui, intere popolazioni, a mercé di quelle e di questi [misure sanitarie e mezzi profilatici], scamparono da gravi ed imminenti rovine»201.

Quanto si rivela efficace a prevenire si rivela invece inutile qualora le misure dimostratesi idonee si prendessero troppo tardi, quando la malattia è già dilagata. Il dottor Frari è pienamente consapevole dell’importanza delle tempistiche d’attuazione delle norme, perché anche un piccolo ritardo invalida l’adeguatezza delle norme facendo perdere loro efficacia e relegandole al solo compito di limitare quei danni che, identificandosi nel

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Ibid., pp. 74-76.

199

Parte introduttiva dell’opera di FRARI 1811, p. V.

200

Ibid., p. VI.

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numero dei morti, sono già ingenti nel momento stesso in cui se ne ha coscienza: «il male si è già dilatato ed ha fatto progressi. Non si può più arrestarlo»202.

Una società in salute e una popolazione sana e al riparo dalle malattie non sono presupposti rilevanti solo da un punto di vista strettamente sanitario. Esse diventano condizioni fondamentali anche per l’importanza che quella stessa società può rivestire nel mondo economico e commerciale. Angelo Antonio Frari fu perfettamente consapevole che

La grandezza politica delle nazioni dipende in gran parte dai provvedimenti che riguardano la salute. La vigilanza pubblica può agevolmente prevenire moltissimi mali della Società, e segnatamente quelli che dipendono dalla diffusione delle malattie popolari di contagio specifico, andando incontro ad esse con mezzi pronti, attivi ed efficaci203.

Già nel 1348 la Serenissima Repubblica sembrò avere bene in mente quali fossero le priorità di una città che basava le sue ricchezze su di una economia di tipo prevalentemente commerciale. I provvedimenti presi durante la peste mostrano come le autorità fossero coscienti di quanto la salute di cittadini e commercianti fosse necessaria per il sostentamento di tutte quelle attività necessarie a mantenere la grandezza di Venezia.

Un ottimo stato di salute della popolazione era fondamentale per mantenere in funzione le istituzioni e le attività a esse collegate, per mantenere attivi e competitivi gli equipaggi delle navi mercantili e di quelle che costituivano la flotta militare di difesa alla laguna. La salute era fondamentale anche all’economia interna di Venezia. In questa ottica vanno analizzate quelle misure che, se prima furono di carattere restrittivo per salvaguardare la salute collettiva, divennero in seguito, al calare della virulenza della peste, più permissive permettendo ad esempio la riapertura di quelle attività chiuse in precedenza per precauzione. Provvedimenti che alla lunga si rivelarono efficaci.

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 81-85)