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La peste sbarca in laguna

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 67-69)

«Questa, che ora son per descrivere, fu la peste più terribile, che sia mai ricordata, dico la celebre Peste Nera. Tale sciagura non fu mai né più generale né più atroce»153. L’impatto emotivo che la peste del 1348 lasciò in eredità ai Veneziani si percepisce chiaramente anche secoli dopo la sua conclusione nell’opera del dottor Angelo Antonio Frari, pubblicata a Venezia nel 1811.

Venezia visse altre pestilenze nei secoli successivi, alcune delle quali causarono un numero di vittime talmente elevato che avrebbero potuto rivaleggiare con la peste nera, la peste per eccellenza. Nonostante la continua ricorrenza di gravi flagelli la peste del 1348 conservò il primato tra gli eventi più drammatici nella storia delle epidemie.

Alcune delle cronache veneziane del tempo tramandano in modo abbastanza vivido tutto il dramma vissuto dalla popolazione durante quei terribili mesi, mentre altre, comprese le documentazioni ufficiali, sembrano faticare a focalizzare l’attenzione sugli effetti arrecati dalla pestilenza alla vita sociale ed economica di tutta la laguna.

Ponendo la peste quasi in secondo piano rispetto a tutto il resto, queste ultime sono maggiormente orientate a trattare altro. Improntate sulla narrazione delle vicende della città lagunare a partire dalle sue origini prediligono soffermarsi su quegli episodi che ne hanno caratterizzato la crescita e la magnificenza: per lo più azioni guerresche, stipule di trattati commerciali e l’esaltazione delle figure dei suoi dogi154

. La peste è in pratica trattata alla stregua di un avvenimento marginale, quasi un incidente di percorso sulla strada del raggiungimento del successo per la Serenissima Repubblica.

Una grande potenza marittima come Venezia basava la sua potenza sulla propria nutrita e agguerrita flotta, e fondava la sua ricchezza sullo sfruttamento delle rotte commerciali, delle risorse delle colonie e dei traffici con gli altri empori disposti lungo tutto il Mare Adriatico e il Mediterraneo orientale. L’occupazione in terra straniera e gli accordi commerciali stipulati permettevano alla Serenissima di prosperare e di rafforzare la propria posizione dominante sui mari del bacino mediterraneo. Una solida posizione che tuttavia

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FRARI 1811, p. 296.

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poteva essere resa fragile da particolari avvenimenti e dalle voci che da essi si dispiegavano.

Oggi, come ieri, notizie dal carattere particolarmente infausto hanno ripercussioni sulle attività commerciali e sul giro d’affari ad esse collegato: notizie riguardanti l’esistenza di una contagiosissima pestilenza potrebbero avere l’effetto, nella migliore delle ipotesi, di limitare fortemente ogni rapporto mercantile facendo diminuire il volume del traffico merci importate ed esportate, nella peggiore di far cessare ogni attività determinando il crollo dell’intera economia di una città e della regione ad essa associata. Per tali motivi è stato ipotizzato che le istituzioni veneziane abbiano preso in mano la situazione preoccupandosi prima di tutto di evitare pericolose fughe di notizie e di minimizzare l’accaduto. Tutte le comunicazioni in uscita da Venezia potrebbero esser state filtrate con estrema attenzione per evitare di spargere il panico lungo le abituali rotte commerciali e di allarmare acquirenti e fornitori. Come ben sappiamo e come presto impararono a loro spese gli stessi Veneziani, la morte nera non fu un’epidemia come tante e la sua aggressività e contagiosità furono presto proverbiali e irrefrenabili: nascondere la presenza della peste a Venezia divenne ben presto impossibile. Per alcuni studiosi, finché fu possibile, le notizie in entrata e in uscita vennero filtrate con l’intenzione di preservare la stabilità economica della città: dalla ricchezza di carattere commerciale proveniente dall’estero dipendeva infatti tutto il fervore artigianale e commerciale interno. Per ultimo, la notizia di un epidemia e di una città in ginocchio poteva arrivare anche alle orecchie sbagliate e suscitare gli appetiti di conquista di nemici vicini e lontani155. Potrebbe forse essere questa la ragione per cui non si conosce con certezza la datazione dell’arrivo della peste a Venezia.

Nell’estrema difficoltà di stabilire con precisione la data dell’arrivo in laguna della peste, a chi volle occuparsi del problema non restò che formulare ipotesi e basarsi sulle fonti storiche. Carenti le cronache e poco soddisfacenti le fonti ufficiali il problema rimane tuttora aperto. La documentazione ufficiale più antica in cui è palesato per la prima volta il problema della peste reca la data del 30 marzo 1348, documento in cui viene resa nota la nomina da parte del Maggior Consiglio di una commissione di tre membri con l’incarico di supervisionare «super omni modo et via que videretur eis pro conservazione sanitatis et ad

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La tesi del probabile volontario occultamento di alcune specifiche notizie, quelle che avrebbero potuto influire negativamente sulle attività commerciali di Venezia e sul notevole volume di affari da esse derivanti, è esposta, per esempio, in TENENTI 1997, p. 33. Oltre alla paralisi delle attività commerciali e la conseguente paralisi dell’economia interna, le motivazioni perché la peste sia stata ridimensionata potevano dunque essere affiancate ad altre paure di carattere prettamente militare, rischiando così di causare ripercussioni catastrofiche. DELUMEAU 1978, p. 169.

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evitandum coruptionem in terra»156. L’accenno al mantenimento dello stato di salute della cittadinanza, con la speranza di riuscire a limitare la corruzione dell’aria già in atto, fa ben capire quale fosse l’emergenza da fronteggiare. I continui e frequenti contatti con l’Oriente, luogo da cui come visto partì il contagio, e la sua vocazione marinara resero Venezia una vittima predestinata e probabilmente una delle prime città italiane a subire gli effetti devastanti della pestilenza. Per tali ragioni è opinione ormai diffusa tra gli storici contemporanei che la peste a Venezia fosse giunta in gennaio e, probabilmente, che i suoi devastanti effetti iniziarono a evidenziarsi ben prima del 30 marzo157.

A supporto dell’ipotesi dell’arrivo della pestilenza a fine gennaio ci sarebbe anche la testimonianza considerata oculare e quindi attendibile di Francesco de Grazia, autore del

Chronicon Monasterii di S. Salvatoris Venetiarum: «Postea, eo anno, de mense februari,

curialis mortalitas pullulare cepit, et paulatim, et in tantum de die in diem crevit»158. Quasi sicuramente la popolazione locale non dovette attendere la seconda metà del mese di marzo per avere consapevolezza di quale fosse l’entità dell’epidemia sbarcata in laguna e portata dalle navi mercantili provenienti dall’Oriente.

Nel documento La peste a Venezia - tesi (pagine 67-69)