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Intervista con Francisco Infante (Venezia, agosto

2012)

Lei ha spesso citato il ’bianco nulla’, l’infinito e la filosofia orientale come collegati alla figura di Malevič: potrebbe parlarmi del suo rapporto con il misticismo dell’avanguardia suprematista e con il Buddhismo Zen?

Per cominciare, devo dire una cosa semplice. Io, come artista, non parto dalla cultura e mai vi sono partito. Ho sempre cercato di tradurre in atto quei significati che sono nati in me, in altre parole di non prendere qualcosa dal mondo esterno - non dalla cultura, ad esempio - ma appunto dalla realizzazione di quei significati che sono nati in me in qualche modo incomprensibile. L’essenziale non viene da lì, ma da qui [dentro]. Voglio dire, io non sono un uomo acculturato. Non vengo dalla cultura: comunemente si crede che gli artisti abbiano un’opinione elevata a proposito della cultura. Io della cultura non ho un’opinione assai elevata. Non perché non mi piaccia, ma perché ho una diversa priorità. Mi sembra che l’arte sia sempre più elevata e significativa della cultura. La cultura, naturalmente, ha per me un significato. Ed in questo senso non si può sottovalutare il significato di Malevič per il mio destino di artista. Ho compreso il suprematismo attraverso il ’nulla bianco’, e non attraverso gli elementi suprematisti. La cultura ha un

significato, ovviamente. E per me pure, ma ho già visto Malevič essere lui stesso un artista che tentava di realizzare l’idea di infinito.

Quindi per lei il nulla bianco di Malevič ha un grande significa- to?

Certamente, ha avuto una grande importanza, e per questa ragione dal punto di vista culturale Malevič ha esercitato su di me una forte impressione. Ma anche prima di conoscere Malevič io stavo facendo dei tentativi per rappresentare metaforicamente l’infinito, che agitava la mia coscienza. Inoltre, posso parlare della cultura orientale. Quando entro in contatto con la cultura orientale, mi sembra che in essa ci sia qualcosa di molto vicino [a me]. Ecco, ad esempio, ho visitato il Nepal ed il Tibet nel 2000 e là ho visto alcune installazioni. Era il 2000 ed io mi ero occupato di infinito sin dal 1961, vale a dire da quarant’anni, senza sosta. Ho capito che l’installazione come infinito viene dal Nepal. Io lì ho visto tutte queste installazioni, che a volte vengono trattate in modo frivolo. Io [le ho guardate] al di là della precisione della formulazione, al di là della nitidezza della comprensione di ciò di cui l’uomo si occupa. E mentre realizzavo la mia installazione, ho visto in questa un simbolo dell’infinito. E questo è importante. E in generale l’arte deriva dalla simbolizzazione. È importante che nel significato simbolico stia questa o quella azione nell’arte. In sostanza mi si chiedeva che significato possiedano per me e la tradizione di Malevič e la cultura orientale. Lo possiedono, ma a posteriori. Quando io già prendevo da solo coscienza di qualcosa in me stesso. Credo che questa sia una conseguenza della mia origine moresca. Infatti mio padre era spagnolo, ma originario del sud della Spagna -l’Andalusia- dove vivevano gli arabi. Ho visto le fotografie di mio nonno, e gli assomiglio molto. Quando sono stato all’interno di una moschea di Cordoba, sono stato colpito dal modo in cui l’infinito era stato lì realizzato alla perfezione. Questo ha prodotto su di me un’impressione molto potente. Ho scorto in me stesso una risposta molto viva e profonda. Per esempio, guardo Raffaello, e non suscita in me alcuna reazione. Al contrario la desta una moschea di Cordoba.

Nel passaggio dalle installazioni cinetiche agli Artefatti la sua posizione rispetto allo spettatore è completamente cambiata: da un’esperienza quasi teatrale di percezioni multiple e cangianti (mu- sica, colori, immagini) si arriva ad una documentazione fotografica

asettica di una catarsi già avvenuta all’interno del flusso infinito della natura, che è mediata attraverso la ’visione del terzo occhio’. Cosa le ha fatto modificare la sua posizione in modo così radicale?

Quando mi occupavo di arte cinetica (c’erano così tante varianti di cinetismo tra gli anni Sessanta e Settanta), l’essenza dell’arte cinetica era che nell’arte era diventato possibile applicare il movimento tecnico-meccanico. Tutto qui. Questa è la sua essenza. Questa tendenza ha avuto il suo inizio e la sua fine. Ho cominciato a sentirmi oppresso dai limiti di una tale azione, da una certa mancanza di prospettive. Avevo già prodotto tanto, che non c’era più spazio per spostarsi ulteriormente in quest’arte cinetica, per come l’avevo intesa io, naturalmente. Ho deciso di concentrarmi sulle mie qualità individuali di artista. L’arte cinetica richiede un certo sforzo per organizzare le altre persone, portarle in quel luogo. La creazione di alcune grandi opere richiede la cooperazione di pittori, ingegneri, operai, che danno vita a tutto questo, e così via. Di tutto questo ero stanco, ad essere onesto. Non era questo il mio lavoro, avevo sentito. E l’assenza di prospettive mi metteva di fronte alla domanda ’cosa succederà’, ’cosa posso fare’ ? E ho riflettuto: visto che l’arte è una cosa personale, di conseguenza bisogna che si concentri sulla mia persona. E così ho iniziato a comprendere il mondo in modo quasi filosofico. Ho capito che il mondo non è solo infinito, ma anche misterioso.

In questa questione mi interessa il fatto che la sua priorità da un certo punto in avanti non riguarda più il pubblico (nelle installazio- ni cinetiche le persone assumevano una posizione attiva, potevano avvicinarsi e toccare, girarci attorno...), ora invece le immagini so- no statiche, e il pubblico intrattiene con loro un rapporto passivo. Lo fa con un intento ben preciso?

Certo, lo faccio consapevolmente. Il fatto è che esiste un’arte e qualcuno che la fa. Io penso che l’arte sia fatta da una sola persona, non per qualcuno, non per la gente, ma fatta affinché quella stessa persona diventi un Uomo. Io così credo. Per quale motivo è necessario che diventi un Uomo? Per incarnare il potenziale che è dentro di sè, per realizzare se stesso, per levarsi in piena altezza. Perché ci sono moltissime persone (7 miliardi), ma questo non vuol dire esattamente che ognuna di esse sia un Uomo. Ho una visione cristiana del mondo, e tutto il tempo mi appello al Vangelo: trovo ci siano dei

significati che mi interessano e mi turbano. Nel Vangelo si dice: ”chi è nato dalla carne è carne, e chi è nato dallo spirito è spirito”. Da questo traggo la conclusione che una persona debba nascere due volte. La prima volta - da una madre e da un padre, e questo non è ancora un Uomo, ma una persona potenziale, nominale. E per diventare un Uomo in quel senso di cui parlano i grandi, egli deve nascere nello spirito. E nel Vangelo si dice in modo diretto ”nascere nello spirito”. Nascere nello spirito è un qualcosa che non viene da sé, ma che richiede uno sforzo. Questa è un’altra questione. Ma il fatto della seconda nascita è molto importante per gli uomini. L’arte è uno dei pilastri, che permette agli esseri umani di nascere dallo spirito ed occuparsi di arte. Certamente, ci si potrebbe occupare di arte e non essere nati dallo spirito, tuttavia, per occuparsi di scienza, di arte, di filosofia, di religione, di politica, bisogna essere nati una seconda volta. L’uomo stesso sente questo momento di nascita: un momento, in cui egli si alza sui due piedi, verticalmente. Tutti gli uomini, formalmente, camminano su due piedi, ma in realtà avanzano strisciando a carponi. Questa visione del mondo e la domanda su cosa è arte e su cosa sono io in questo mondo, mi hanno portanto ad un punto tale da rendermi cosciente che l’arte è una zona fantastica in cui si può realizzare sè stessi, non per qualcun altro. Nel Vangelo si dice: ”ciò che è elevato per gli uomini è un abominio di fronte a Dio”. Un uomo non si dovrebbe mostrare di fronte agli altri, non dovrebbe essere pronto a fare qualcosa per loro, dovrebbe, prima di tutto, agire per se stesso, per alzarsi su due gambe, per assumere la posizione verticale. Ma lui può rispondere solo di fronte a Dio, ma non di fronte ad altre persone, che sono proprio come lui, e forse anche peggiori, non ancora nati nello spirito. Lo stesso nascere nello spirito non è cosa di per sè evidente: è una cosa abbastanza complicata. L’arte è data a priori, prima della nostra comparsa e che continuerà ad esistere anche dopo la nostra dipartita: l’arte è uno dei pilastri. L’uomo si appoggia sempre a qualcosa, all’arte, alla scienza, all’artigianato. L’arte esiste a priori ed è interessante il fatto che essa non si formi per mano di qualcuni, bensì si sviluppi indipendentemente. Nell’arte non funziona alcuna strategia, perché la stretegia è cosa assai limitata. Io sono un uomo, non una macchina; cerco di prendere coscienza di cosa mi circonda nel mondo. Non mi sono occupato solamente di arte cinetica, ma anche di arte geometrica, progetti di fantasia, ma ho lasciato tutto questo, perché è tutto senza speranza. Occupandosi di Arte, che è cosa autosufficiente, si può scoprire qualcosa in se stessi.