“Il mio percorso professionale nell'aeroporto di Pisa è iniziato nel 1987 come assistente di scalo, assistente al servizio passeggeri stagionale. Avevo fatto una selezione dove era richiesto di parlare bene l'inglese ed io sapevo farlo, quindi ho cominciato così, come precaria”.
È laureata?
“Io mi sono laureata da grande, a trent'anni, in Storia del Teatro e dello Spettacolo, Storia dell'Arte qui a Pisa”.
Come donna ha incontrato delle difficoltà nel suo percorso verso il vertice?
“Beh, all'inizio, nel trasporto aereo negli anni 70, noi donne eravamo poco più che piante decorative, nel senso che si doveva assistere il passeggero e sorridere. Ma, per quanto riguarda gli incarichi tecnici tipo piano carico dell'aereo mobile, la gestione della spedizione merci e tutte queste cose qui, si riteneva che la donna, non si sa come mai, non poteva parlare con un comandante per chiedergli, per esempio, quanto carburante voleva fare. In buona sostanza era un ambiente difficile per la donna, pieno di discriminazioni. Quindi, cose che oggi sono perseguite dalla legge prima erano all'ordine del giorno. Era sicuramente un ambiente duro.
Io discriminazioni vere e proprie non ritengo di averne avute, però il clima dell'aeronautica non era favorevole alle donne. Infatti, anche tutt'ora, di donne dirigenti con posizioni apicali nel trasporto aereo, compagnie aeree e aeroporti ce ne sono molte meno che in altri settori. Poi tutto originava nell'aviazione civile e in molti casi, all'epoca, erano dirigenti che uscivano dall'aviazione militare, quindi era un'area che sicuramente non era favorevole alle donne. È stata però anche un'area che mi ha insegnato a pensarmi cittadino del mondo e a non rapportarmi unicamente al mio piccolo mondo, pur lavorando in un aeroporto piccolo come era allora l'aeroporto di Pisa. Già ero cambiata dagli studi in Inghilterra, perché indubbiamente quando ti metti a studiare seriamente una lingua straniera gli orizzonti si
allargano molto, e questo è un settore come altri dove sopravvivono e vanno avanti le aziende che guadagnano, quindi è un settore con le sue specificità ma anche come tutti gli altri settori economici. L'aeroporto poi, alla fine, è un'azienda di servizi che però deve fare investimenti infrastrutturali e svilupparsi nel tempo secondo il piano di sviluppo concordato con lo Stato”.
Ha fatto dei corsi di formazione?
“ Io li ho fatti perché nella mia storia è stato più facile, anche per le condizioni che c'erano, chiedere di fare dei corsi piuttosto che chiedere un aumento, e devo dire che ho avuto fortuna perché i vertici aziendali, che sono cambiati nel tempo, mi hanno sempre detto con entusiasmo «si si, vai, fai». Questo forse è un suggerimento, perché quando a volte non è il momento di chiedere un aumento, perché è chiaro che se viene dato un aumento a te poi ci sono anche le altre persone che lo possono richiedere, invece per un corso, un master, una cosa di questo genere, se fatta bene e seriamente, l'azienda ti può dire di sì perché fa comodo anche a lei”.
Ci sono state delle persone che l'hanno supportata in questo suo percorso?
“Beh, molte direi, molte e di genere maschile, per cui a loro favore va detto che io ho sempre avuto facilità chiedendo ad un uomo «mi spieghi come si svolge questo?». In genere ho trovato grande generosità di fronte a mie domande come «spiegami, vorrei capire questo», non ho mai trovato una chiusura a riccio con risposte del tipo «non mi fare perdere tempo». È chiaro che nei rapporti di lavoro c'è un do ut des che, che se è quello di natura sessuale, come purtroppo avviene, e dico senza moralismo, perché le relazioni nelle aziende possono esistere visto che siamo esseri umani e quando si entra in un'azienda ci si porta tutto noi stessi, purtroppo però se avviene con superiori, può essere in un certo momento un ascensore. Però, se dopo l'ascensore casca, ad un certo punto c'è una caduta brusca e quindi, senza falsi moralismi, non lo consiglierei. Detto questo, però, se tu hai un rapporto con qualcuno più simile a te che ti può insegnare, ti può spiegare, ti può consigliare qualcosa, devi essere disponibile ad aiutarlo per fare il suo lavoro. Io, per esempio, ero piuttosto brava in italiano e lo aiutavo a fare meglio le sue relazioni, però, magari, in contraccambio si restava la sera fino all'ora di cena e lì potevo anch'io raccontare le cose e
avere degli input. È chiaro che tutto questo avviene se tu, quando entri in azienda, non hai l'orologio in mano perché questo è importante. Io non ho figli ed è chiaro che, anche se ho avuto fortuna ad avere colleghi o superiori che mi hanno aiutata, poi ho avuto come mentore l'amministratore delegato di SAT, l'ingegner Ballini, che mi ha preceduto e che poi è morto, e dopo il consiglio di amministrazione ha incaricato me. Lui è stato veramente un mentore, cioè una persona che in maniera disinteressata ti forma per un incarico che non è tanto quello che stai svolgendo ma è interessato a valorizzare le tue potenzialità. È un atto di generosità essere interessati a sviluppare le potenzialità di un altro, è un atto di generosità che però deve avere dei ritorni in termini di energia di disponibilità del giovane, che non ti dice «io non ti faccio questo perché non ho tempo, oppure se ti faccio questo mi aumenti lo stipendio», ci deve essere un rapporto di consapevolezza per cui anche al mentore qualcosa deve tornargli indietro, perché le aziende sono gruppi di persone che lavorano per il perseguimento di obiettivi economici, non sono no profit oppure associazioni benefiche. Quello che a volte vedo oggi è che i giovani vorrebbero un mentore però non sono disposti a dare, e questo non esiste. Certi ragazzi dicono «ah, il mio professore ha fatto questo, ha fatto quello, io gli ho dovuto fare questo», sì, ma guardalo dall'altro punto di vista, ti ha dato l'opportunità di fare degli approfondimenti che altri non faranno mai perché si fermeranno al programma d'esame, non avranno un minimo di visibilità. Certo, è chiaro che quando lavori per un altro lo fai per lui quindi la visibilità se la prende lui, però tutta la vita è così. Quindi, questo aspetto nel caso delle donne è delicato perché viviamo in una cultura latina un po maschilista, dove la donna giovane può avere l'impressione di avere le strade rapidamente aperte. Sì, le può avere però deve stare attenta perché certe cose possono funzionare da boomerang, invece, secondo me, un rapporto professionale corretto, magari un pochino più lungo e più basato sulla disponibilità a dare e non solo a ricevere, basato però sul piano puramente professionale, è molto più solido. Forse fai meno passi super veloci, però quelli lì sono costruiti sulla roccia”.
Secondo Lei, nell'ambito lavorativo, fa differenza per una donna avere famiglia o meno?
“Molta, molta. Questo, per quanto mi riguarda, è un problema che non ho risolto. Mi sono sposata a cinquantasei anni e non ho figli. In sostanza, ho fatto la ragazza tutta la vita”
Quindi Lei ha rinunciato alla sua vita privata?
“Beh, rinunciato alla vita privata è una parola un po forte. Certo, non ho mai capito come si faccia nel momento in cui c'è un consiglio d'amministrazione e tu hai direttamente dei problemi oppure li ha il tuo capo, e tu sei a sua disposizione. Perché se hai un bimbo con la febbre e non sai cos'ha, aspetti il dottore e c'è la tua mamma col dottore, ed è lì che io non ho capito come si fa a gestire le due cose. È chiaro che sono abbastanza d'accordo con la Sandberg quando dice che il problema del marito te lo devi porre quando ti viene e non prima di averlo. E poi c'è un altro aspetto, cioè che il problema della famiglia dura un numero x di anni, perché quando i bambini hanno dieci anni e sono indipendenti mentre tu ne hai quaranta, è vero che ti di devi sacrificare tantissimo in quel decennio. Però, dopo, se hai un lavoro che ti piace, la mezza età la affronti meglio, mentre, se ti giochi tutto in quel periodo e dopo ti ritrovi casalinga, con i figli che ormai giustamente escono dal nido anche se stanno in casa ma comunque vogliono la loro vita la loro indipendenza, le relazioni amorose con mariti o con conviventi che oggi come oggi nessuno sa quanto durano, tutto sommato una carriera professionale gratificante può essere un bel passaporto per un periodo di vita molto lungo. Quando si è giovani si pensa solo alla giovinezza, poi si dice “mamma mia quando avrò quarant'anni sarò vecchia, ma che me ne importa”, ma non funziona così. In realtà, quando arrivi ai quaranta ti senti giovane come a venti e sai che hai altri quarant'anni di vita, quindi come limbo è lungo. Perciò, io alle nuove generazioni consiglierei prima di tutto di credere in una carriera professionale, che avviene solo se dai molto visto che c'è molta competizione. Se nella scuola devi dare tanto per avere risultati eccellenti, nel lavoro devi dar di più, perché nella scuola un professore non è limitato a quanti nove, dieci, ottimi può dare, ma sul lavoro tra tre, quattro candidati, alla fine deve sceglierne uno; quindi il lavoro è “più cattivo”, chiede di più. Detto questo penso che anche lì abbia ragione la Sandberg che dice alle nuove generazioni di cercarsi un compagno più adatto e che sin dall'inizio sia pronto a condividere la famiglia al 100%. Io ho dei collaboratori giovani e vedo che portano i bambini da dottore, fanno i babbi in una maniera diversa dagli uomini della mia generazione. Ecco, questo per una donna è molto importante. Anche questo lo dice la Sandberg, che è più giovane di me e quindi ha una visibilità su una generazione che io non conosco da dentro. Io ho risolto felicemente questo problema perché non avevo una vocazione alla maternità e quindi è stato semplice, però capisco che questa è
una mia peculiarità personale, ma tante volte ho pensato “come avrei fatto se in questo frangente”, “come avrei fatto se”.
Che consiglio darebbe a chi vuole imparare a vivere con equilibrio il proprio percorso di crescita personale e i differenti ruoli di figlia, madre e moglie lavoratrice?
“Io darei due consigli. Tutto non si può avere, nel senso che ragazze che hanno cominciato la carriera insieme a me e magari ora hanno dei nipotini sono nonne giovani, hanno altre cose che io non ho e io ne ho altre, quindi bisogna capire bene cosa una persona desidera. Però penso che siccome l'uomo propone e Dio dispone, in realtà quello che ci capita nella vita è sempre un incrocio tra quello che vogliamo e le opportunità o le criticità che dobbiamo superare. Sono anche in questo caso d'accordo con la Sandberg, prima di tutto perché gli obiettivi della vita non sono sempre gli stessi, quindi uno dice “io ora mi do l'obiettivo, mi sono laureata e mi voglio concentrare su questo”, se poi nel frattempo incontri l'uomo della tua vita capisci che è bene che ci si trasferisca in Australia perché lui ha una grande quantità di pecore, fa l'allevatore e io cambio tutto il mio stile di vita. Questa è una cosa legata a vivere, non ci si può autocastrare prima”.
È vero che quando si fanno dei colloqui lavorativi, la prima cosa che viene chiesta è se c'è l'interesse nel fare famiglia e avere figli?
“Le racconto un colloquio che ho fatto io con la mia direttrice commerciale. Quando lei era stagista ed io ero al suo posto, le chiesi “ma lo sa che con me si lavora fino a tardi, lei come si vede?”. Lei era fidanzata, quindi le chiesi “ come si vede in un futuro?” e mi rispose : “Dottorè, io sono figlia di un carabiniere, ho fatto l'università, mi sono laureata in Marketing con 110 e lode a Pisa e nel frattempo lavoravo la notte in pizzeria. Per fare le nove di sera non c'è bisogno di fare la manager, basta fare la commessa”. Quindi ci vuole un po' di realismo. Uno, in un colloquio di lavoro, si deve dare per quello che è. È chiaro che l'azienda vuole tanta disponibilità dalle persone in carriera perché è un mondo difficile, pieno di emergenze, la velocità del business, il fatto che prima ti scrivevi le lettere. Io l'ho conosciuto quel tempo, poi è arrivato il fax, ora le mail, la gente vuole la risposta subito, e via discorrendo. Quindi queste disponibilità le aziende la vogliono, però esistono anche condizioni o situazioni che prima non si presentavano, si pensi alla spesa via internet, farsi
portare a casa la roba dal supermercato, oppure qui abbiamo la lavanderia in aeroporto, la parrucchiera, e la persona quindi nell'ora di pausa può fare determinate cose”.
Certo, è vero che tutto non si può avere, ognuno deve cercare il proprio equilibrio, non c'è la regola che vale bene per tutti, però ognuno deve sapere il proprio punto di equilibrio, per esempio con la leadership al femminile io mi ritengo fortunata perché ho potuto fare carriera lentamente e fare una specie di body building mentale, rispetto allo stress di reggere certe decisioni e certe angosce o certe ansie, che sono inevitabili quando sei un capo azienda. Io ho visto a volte persone giovani che hanno ereditato l'azienda del babbo, che magari è morto di colpo, ecco, mi sono chiesta “povero come fa?”, perché a trent'anni puoi essere un grandissimo specialista esperto, però, reggere i rapporti in un consiglio di amministrazione o reggere determinate angosce, non è facile se non sei preparato, questo vale per l'uomo come per la donna. Quando a me hanno nominato amministratore delegato, io mi sono domandata: “ora ho il sistema nervoso adatto?”, perché se la notte dormi è già qualcosa perché il giorno dopo sei riposata e i problemi poi, sono problemi degli uomini che gli affrontano gli uomini, nel senso gli esseri umani; però se la notte non dormi perché vai sotto stress, e io ho visto persone avere burnout per questo tipo di problemi, maschi, femmine, perché certe persone reggono certi livelli di responsabilità e oltre il livello nervoso non ce la fa, queste sono cose che uno, una di se deve capire. Ci sono persone per esempio che amano esercitare la loro leadership, pensiamo ai grandi insegnanti, ai grandi medici, capendo l'individuo e valorizzando quell'individuo, ci sono persone che invece amano invece perseguire degli obiettivi e per raggiungerli sono disposti a tutto, ci sono persone che, invece hanno bisogno della creatività per fare le cose sempre in maniera diversa perché sennò si annoiano, ce ne sono altre che hanno bisogno di procedure perché sennò si angosciano e quindi sono bravissimi nel calcolare i numeri con cinque decimali, nell'applicare con precisione procedure, introdurre piccole variazioni; quindi la società umana ha bisogno di tutto, però ognuno deve un po' capire qual'è la cosa prevalente di se stesso poiché alla fine la ricerca di tutto è la felicità, non il biglietto da visita dove c'è scritto amministratore delegato. Tra l'altro una persona che esprime felicità è leader di natura, e tutti voglio sapere come fa ad essere serena, forte e centrata e positiva, mentre la persona angosciata, irritata, irascibile, infelice non attira nessuno, quindi non è mai vista come la persona che aiuterà il gruppo ad andare oltre e a risolvere un problema, perché la leadership
è quella. Quindi che sia un gruppo di lavoro dentro un'azienda, che sia un gruppo di studio, un seminario dentro all'università, che sia una persona dentro ad un'associazione, quella che diventa leader è quella persona che dagli altri è percepita come la persona da cui si va se c'è un problema. Se invece questa persona qui è tutta accartocciata su se stessa, esprime depressione, infelicità, chi ci va?. Secondo me, a questo punto, bisogna capire bene la propria natura e qual'è il posto in cui la persona può esprimere la propria leadership. Lei pensi ad una bravissima infermiera, e bravissima infermiera non solo nella condizione tecnica, o pensi cosa può essere una parrucchiera, come una psicologa, nel senso che per esprimere la leadership non bisogna essere per forza grandi”.
Secondo Lei i comportamenti premianti sono innati o s'imparano?
“Tutti e due, perché a volte vedi le persone che si avvitano in scelte negative una sull'altra, è chiaro che se tu sei depresso vedi solo le criticità e non vedi le opportunità, quindi non le cogli poiché le criticità ti vengono addosso e dici “guarda come sono sfortunata!” e queste si moltiplicano all'infinito. Quindi bisogna avere la volontà, ad un certo punto, di prendere in mano il proprio destino e dire “il mio destino dipende da me”, consapevoli che poi ci sono cose che non dipendono da noi, nel senso che se piove non dipende da me; ho preso l'influenza e in parte può dipendere da me, quindi la prossima volta mi metto la maglietta. Però vedo che le persone a volte si avviluppano in scelte che non portano a niente, sono persone che rifiutano di avere un occhio oggettivo sulla propria vita, le faccio un esempio: spesso ho visto donne che quando gli vanno male i rapporti amorosi si sfogano sul lavoro e cominciano a dire che il lavoro non gli piace, il lavoro non va bene ecc., e invece no, bisogna concentrarsi sul lavoro. È il lavoro che ti deve far star bene e, nei momenti in cui i rapporti amorosi ti vanno male, ti deve far stare serena, tanto prima o poi le relazioni si sa che si chiudono, poi si aprono e via dicendo. Quindi ci vuole disponibilità a capire che non bisogna perdere le opportunità perché nel mondo siamo in tanti, c'è concorrenza per le parti della fetta migliore e ci possono essere opportunità e criticità, ma la cosa peggiore quando attraversi una criticità è che perdi quella lucidità di vedere quelle opportunità che ti consentiranno di uscire da lì. Questo è un lavoro che se tu sei consapevole, ti siedi e dici “mi fai vedere in questa criticità che opportunità c'è?”, perché in ogni criticità, in ogni cambiamento, se si guarda l'esimo della parola crisis, c'è un'opportunità, perché c'è un
cambiamento, però io mi devo fermare e la devo vedere, se invece mi scattano tutti i meccanismi di autocommiserazione, di depressione ecc. sicuramente non la vedo, e siccome di treni non ne passano tanti per la maggior parte delle persone, se quando passano tu non li vedi, poi c'è da aspettare parecchio”.
Ci sono comportamenti vincenti tipicamente femminili?
“Alcuni direi di sì, senza cadere negli stereotipi perché a volte ce li hanno anche gli uomini. Prima di tutto, direi la capacità di costruire una squadra senza far scattare il testosterone o competizioni eccessive o fuori luogo, perché a volte gli uomini tendono ad essere competitivi per natura. Una donna può essere una tessitrice di rapporti, abbiamo meno testosterone nelle vene e quindi una capacità di restare calme e non far scattare l'ormone in situazioni, dove, se nasce una contrapposizione con potenzialità distruttive, è più facile per una donna incassare un colpo che per un uomo. Nell'uomo c'è l'orgoglio maschile, il rischio che si vedano fuori e fanno a cazzotti, come donna questo c'è meno e quindi questi possono essere dei vantaggi. C'è una capacità, nella donna, di fare più cose insieme mentre è famoso che gli