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Dal 1940 in poi il malcontento femminile cresceva sempre di più intorno ai nodi della famiglia e del lavoro. Le operaie delle fabbriche, contadine e mondine, stanche e sofferenti dalle condizioni a cui dovevano sottostare, si organizzarono e diventarono l'elemento trainante dell'opposizione popolare al regime. Quindi, la partecipazione femminile alla resistenza non avvenne soltanto da parte di una èlite intellettuale e culturale del Paese, com’era avvenuto durante il Risorgimento, ma si trattò di un fatto diffuso, realmente di massa.76 Queste donne sentivano che occorreva cominciare ad agire in prima persona, a disobbedire. Volevano per una volta vivere da uomini77. La loro aspirazione di tipo egualitario, “vivere da uomini”, coincideva con la volontà di lottare per la liberazione, come

75 A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia,2001, op,cit., p.63.

76 La resistenza e le donne: la partecipazione femminile al movimento di Liberazione, Quinto volume,fonti di memoria, A cura della

Federazione Provinciale dei Democratici di Sinistra di Padova “Enrico Berlinguer”, p.5 Sito internet:

donne diverse da come le considerava il regime.

Le donne svolgevano ruoli di organizzazione e di supporto all’azione delle brigate partigiane: si occupavano della stampa dei materiali di propaganda, attaccavano i manifesti e distribuivano i volantini. Furono loro a raccogliere gli alimenti, trasportare e raccogliere armi, munizioni, esplosivi, viveri, indumenti, medicinali. Svolgevano, inoltre, anche funzioni infermieristiche, preparavano i rifugi e i nascondigli per i partigiani e rivestivano un’essenziale ruolo di collegamento tra le brigate partigiane, organizzate in campagna, in montagna e in città, curando il passaggio delle informazioni.78

Durante la resistenza furono molte le donne che si impegnarono nelle strutture femminili. Tra queste strutture, un grande impegno nella lotta per la liberazione fu assicurato dai Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della Libertà (GDD). I gruppi si svilupparono nel 1943 per iniziativa del partito comunista, che aveva mostrato una notevole attenzione alla condizione femminile. Ad essi aderivano donne di tutte le età, esponenti di partiti ma anche donne che non erano politicamente inquadrate. Inizialmente la propaganda dei gruppi si rivolgeva alle donne come madri di famiglia e alle miserabili condizioni a cui dovevano sottostare, per poi assumere un valore politico nel momento in cui coinvolgevano le lavoratrici per cercare di risolvere problematiche relative all'eguaglianza, alla parità di salario ecc.

Questi gruppi organizzarono la resistenza antifascista in tutti i luoghi possibili: scuole, fabbriche, uffici e sempre a loro si dovete l'organizzazione di molti scioperi nelle fabbriche del nord dove erano occupate molte donne. Nei giorni che precedevano la liberazione, gli appelli dei Gruppi si incentravano tutti sullo stesso concetto, ossia che le donne avevano dimostrato la loro maturità contribuendo alla lotta in maniera non secondaria, e che di conseguenza meritavano il riconoscimento politico.79

All'indomani della liberazione dell'Italia dal fascismo, il 25 aprile 1945, nelle donne era maturata l'aspettativa di un riconoscimento, ma rimasero molto deluse in quanto vennero

77 G. Beltrami, La donna e la resistenza, in donna in cinquant'anni di lotte socialiste, 1924-1974, Partito Socialista Italiano, Circolo De Amicis, 1974, pp.13, 20.

78 La resistenza e le donne:la partecipazione femminile al movimento di Liberazione,Quinto volume,fonti di memoria .p.6 Sito internet: http://www.centrostudiluccini.it/attivita/resistenza/pdf/donne.pdf

ricacciate negli spazi consueti del privato, dopo esser state protagoniste non secondarie della lotta.

Mentre la guerra era ancora in corso, il decreto legislativo del 1° febbraio del 1945 n. 23, scaturito dall'accordo tra De Gasperi e Togliati, estendeva alle donne il suffragio universale, alle stesse condizioni degli uomini. L'articolo 3 del decreto escludeva dal diritto di voto le prostitute.80 L'esclusione delle prostitute dal diritto di voto comportava non il reale riconoscimento tardivo di un loro fondamentale diritto, ma una discriminazione tra le donne che erano degne del voto e donne che non lo erano. Inoltre non venne accordato alle donne l'elettorato passivo, cioè il diritto di essere elette oltre che di votare, ma si ovvierà a questo l'anno dopo con il D.L.L. 1 Marzo '46 n. 74, che riconosceva alle donne tale diritto.

Le italiane cominciarono ad esercitare il diritto di voto a partire dalle elezioni amministrative che si tennero in tutta la Penisola fra marzo e aprile 1946. Il 2 giugno dello stesso anno si recarono di nuovo alle urne per il referendum monarchia - repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente. Le donne elette furono 21 su 556 membri: 9 democristiane, 9 comuniste, 2 socialiste, 1 qualunquista.81

Fondamentali per la condizione femminile fu l'articolo 3 della Costituzione che stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge,

senza distinzione di sesso...” e gli articoli 29, 30, 31 che riconoscono “l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi nella famiglia, società naturale fondata sul matrimoni”;

L'articolo 51 della Costituzione sancisce, inoltre “il diritto delle donne di accedere agli

uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.82

A continuare ad insistere sulla restaurazione della famiglia tradizionale e ad avere un atteggiamento conservatore nei confronti della donna era la chiesa cattolica. Infatti il pontefice Pio XII, in diversi appelli e discorsi fatti in quegli anni, pronunciava sempre le

80 M. R. Cutrufelli, E. Doni, P. Guaglianone, E. Giannini Belotti, R. Lama, L. Levi, L. Lilli, D. .Maraini, C. Ravaioli, L .Rotondo, M. Saba, C. di San Marzano, M. Serri, S. Tagliaventi, G. Turnaturi, C. Valentini, 2001, op.cit., p.139.

81 F. Pieroni Bortolotti, 1987, op,cit, p.273.

stesse parole, “che cos'è la donna, se non l'aiuto dell'uomo?”83