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Intervista a Tommaso Gianni, Avvocato delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario (C.L.A.P Roma)

Zoe - Cos'è Clap? Di cosa si occupa? In che senso difende i diritti degli indifendibili?

Tommaso - Clap è un acronimo che sta per Camere del Lavoro Autonomo e Precario. Queste Camere nascono se non ricordo male nel novembre del 2013 da una rete di centri sociali che vanno a creare un'associazione sindacale vera e propria. Chiaramente qual'è l'esigenza basilare da cui muove Clap e che ha dato vita a questo progetto? Quello di andare a tutelare e difendere tutte quelle forme di lavoro precario e sfruttato, in tutte le sue forme, subordinato, parasubordinato, migrante che normalmente sono state, nel corso degli ultimi, sono state di fatto abbandonate a se stesse dall'operato classico dei sindacati confederali. Questo perché? Perché da una parte non corrispondevano al classico lavoro in fabbrica dove era più facile costruire una coscienza collettiva, qui invece si tratta di una nuova classe precaria che ha caratteristiche diverse e prerogative diverse, come la frammentazione e l'isolamento. Ok? Quindi andando per gradi dobbiamo innanzitutto dire come ha operato Clap per mettere a tema tali caratteristiche e organizzare e soggetti che attraversano questa nuova classe precaria. Da una parte mettendo insieme, creando proprio degli spazi fisici, in cui far incontrare questi soggetti e farli conoscere tra di loro. Perché spesso parliamo di gente che nemmeno si conosce, quindi insomma lavoratori autonomi, freelance che non si conoscono e non sanno di avere delle condizioni lavorative e esistenziali comuni e quindi non sanno neanche che queste loro caratteristiche individuali se collettivizzate, condivise, possono diventare anche un punto di forza di tutti quanti. Come dicevo muovere da spazi fisici, e questa è una delle sfide, cioè far sì che gli spazi autogestiti diventino i nuovi dispositivi sindacali per riportare appunto il sindacato alla sua originaria forma di Camera del Lavoro. A livello metropolitano con connessioni anche a livello nazionale, sappiamo infatti che Clap ora esiste a Padova e Napoli.

Zoe- Ok, allora com'è fatta la composizione sia di chi si avvicina a Clap, sia invece di chi ne fa parte? Tommaso- Beh la composizione è brutta, perché i poveri sono brutti (risate), e le lotte sono vecchie. No vabè allora tra le caratteristiche di questa classe precaria c'è la giovinezza, cioè parliamo di lavoratori che da 10/15 anni si sono affacciati nel mondo del lavoro. E quindi da quando sono iniziate le grandi Riforme, parliamo ad esempio della Legge Biagi e quindi è anche, diciamo che la composizione di chi si rivolge a Clap rispecchia quello che è il problema generazionale, oggigiorno. E siccome è un'organizzazione spontanea, è ovvio che chi fa parte di Clap rispecchia le stesse caratteristiche di chi ci si rivolge, dato che siamo i primi a vivere uno stato di precarietà e abbiamo sentito la necessità di attivarci per sensibilizzare su questi temi. E naturalmente il dato rilevante è naturalmente collegato... tra le vertenze che maggiormente seguiamo c'è ad esempio il comparto della Sanità, e per la maggior parte parliamo di donne, di terapiste, fisioterapista, logopedista, e quindi c'è una composizione molto femminile.

Zoe- Ok, che vuol dire lavoro gratuito per te?

quella retribuzione equa e sufficiente così come è prevista dal'art.36 della Costituzione. Quindi non lavoro gratuito in sé ma anche lavoro sottopagato, e sfruttato e manchevole di tutele, come spesso accade nel lavoro subordinato. Tra le caratteristiche fondamentali di questo lavoro, se ne vogliamo parlare, c'è … l'obbligo che grava sul datore di lavoro di corrispondere una retribuzione, retribuzione che deve essere equa e sufficiente in base all'art 36 della Costituzione. Quindi qualora non c'è questo sinallagma, cioè la relazione che intercorre tra la prestazione lavorativa e l'obbligo di retribuire allora per me già siamo nel lavoro gratuito in senso lato. E poi volevo dire anche, c'è un altro discorso, perché il lavoratore non ha solo l'obbligo di retribuzione, ma anche di pagare i contributi, ecc. e in assenza di tutele, quindi di norme che vanno a garantire il lavoratore nella continuità di retribuzione, quando non lavora per malattia, maternità ecc. è chiaro che questo va a creare un regime di instabilità, di insicurezza economica e quindi di precarietà. Ora tutte queste forme di lavoro flessibile, che poi sono state fatte in nome delle politiche europee adottate con la flexsecurity, e non solo, è chiaro, anzi le statistiche lo dimostrano, non hanno fatto altro che portare ad esasperare ai massimi livelli questa condizione di precarietà. Poi il lavoro gratuito va fatto anche rientrare nelle forme di lavoro invisibili, come ad esempio il lavoro domestico, non riconosciuto come tale, dunque non retribuito. Noi invece vorremmo che fosse riconosciuto il contributo, che si dà anche all'interno della propria famiglia, sottoforma di sussidi erogati dallo Stato e dagli enti pubblici.

Zoe- Invece per quanto riguarda il sistema dei Voucher?

Tommaso – Allora i voucher in Italia hanno avuto negli ultimi tre anni uno sviluppo enorme, tanto che nel 2016 mi sembra che siano stati venduti una cosa come centotrentacinque milioni di voucher, e però i voucher sono uno strumento che esiste dal 2003, con la Legge Biagi, governo Berlusconi e vi erano dei vincoli molto stretti, in realtà nemmeno troppo stretti, insomma il vincolo era che fossero utilizzati per attività esclusivamente occasionali. Sono rimasti latenti per cinque anni, finché non è arrivato il governo Prodi che li ha resi operativi, e ha messo il limite economico di 5000 euro per lavoratore nei confronti di ogni singolo committente. E per di più il lavoratore doveva essere o uno studente o un pensionato, infine potevano essere utilizzati soltanto nei settori in cui l'utilizzo era magari stagionale, come le vendemmie di breve durata. E poi invece col tempo sono state estese.... poi cosa succede? Quanto hanno questo boom che vediamo anche oggi? Con la Fornero nel 2012, che lo estende a tutti i settori lavorativi e a tutti i lavoratori, ok?

Zoe- Benissimo, invece per quanto riguarda il Jobs Act?

Tommaso- Dunque, allora il Jobs Act si inserisce all'interno un percorso che interessa il mercato del lavoro che se vogliamo possiamo far partire nel 2003 (Biagi), altrimenti dal Collegato Lavoro (2010), altrimenti dalla Fornero (2012) e cosa fa il Jobs Act? Che comunque interessa anche i voucher, eliminando la soglia dei 5000 euro, portandolo a 7000 euro. Ma non è tanto quello il discorso, dato che un lavoratore a voucher mediamente percepisce un reddito di 300 euro, quindi prima di arrivare a 5000 ce ne passa. Il discorso è un altro, e cioè che vi è un tetto per gli imprenditori che per ogni singolo lavoratore c'è un tetto di 2000 euro,

dunque questo fa sì che io imprenditore prendo un lavoratore e non posso dargli più di 2000 euro a voucher, ma che succederà? Che una volta che supero il limite di 2000 euro, lo mando via e ne piglio un altro. E così ci sono infiniti lavoratori a voucher continuamente.

Zoe- Il lavoro nero è legato al lavoro a voucher?

Tommaso- No, cioè il lavoro a voucher doveva far emergere il lavoro nero, quando in realtà l'effetto è esattamente l'opposto, perché funziona che io imprenditore ho un lavoratore a nero, che lavora tutti i giorni. Magari per due ore invece di dargli i soldi cash lo pago a voucher, vengo a fa' un controllo e io gli do i voucher. E quindi questo fa sì che il voucher sia una copertura del lavoro nero. E infatti Poletti è intervenuto a ottobre sulla tracciabilità dei voucher, che prevedeva che qualora il padrone, l'imprenditore volesse pagare a voucher il lavoratore, doveva prima comunicarlo telematicamente con un messaggio, comunque i dati del lavoratore ecc... ma in realtà basta che ti arriva l'Ispettorato e te un'ora prima gli hai mandato un messaggio, comunque ancora non ci possiamo esprimere perché non ci sono dati su questo. Poi, ok parliamo del Jobs Act?

Zoe- Sì vai.

Tommaso- Allora, il Jobs Act rafforza la flessibilità in uscita, perché parliamo soprattutto della Fornero e del Jobs Act. La Fornero va sostanzialmente a modificare il regime sanzionatorio dei licenziamenti alle imprese con più di 15 dipendenti, quindi le imprese dove in caso di licenziamento illegittimo era prevista la reintegra e reintroduce un rito specifico, che credo ti interessi di meno. E quindi?

Zoe- La reintegra, il licenziamento illegittimo...

Tommaso- Vabbè allora sul regime sanzionario già molto affievolito, va a impattare il Jobs Act, che va a creare un ennesimo regime sanzionatorio che si a accostare a quello già novellato dalla Fornero. Quindi abbiamo due regimi sanzionatori perché il Jobs Act prevede che si applichi il contratto a tutele crescenti per quei rapporti datati dopo il 7 marzo 2015. Ok? Per i contratti a tempo indeterminato si applicherà ancora il vecchio regime così come regolato dalla Legge Fornero, che come tu saprai prevede che per le aziende sotto i quindici c'è soltanto l'indennizzo economico e sopra invece ci può essere la tutela reale... Quindi insomma il Jobs Act regola i contratti nuovi insomma tramite il sistema a tutele crescenti. Che prevede un periodo di prova che ha la durata di 36 mesi, quindi 3 anni, all'interno dei quali il datore di lavoro può recedere da contratto, quindi licenziare il lavoratore senza dovergli niente, cioè liquidandolo. Invece dopo tre anni si stabilizza il rapporto, e in caso di licenziamento illegittimo è previsto invece un indennizzo basato sull'anzianità.

E rimane la tutela reale, quindi la reintegra, rimane per la fattispecie della discriminazione.

Ma è chiaro che non avverrà mai, perché un datore di lavoro non ti dirà mai “ti licenzio perché sei così e così”. Quindi che vuol dire licenziamento illegittimo? Quando non è motivato da giustificato motivo, oggettivo o soggettivo né da giusta causa. Comunque ricostruiamo tutto il quadro del mercato e del mondo del lavoro oggi. Un contratto che dovrebbe essere tipico, quindi che maggiormente tutela i rapporti di tipo subordinato in realtà non prevedendo più la reintegra nel posto di lavoro, se non per i casi di discriminazione, è un contratto che ha perso il suo valore e la sua connotazione. Il contratto a tempo determinato è stato

liberalizzato e quindi un lavoratore che ha lavorato tutta la vita a tempo determinato, e quindi aumenta la subalternità economica e psicologica nei confronti del datore di lavoro e quindi è facilmente ricattabile. Cioè se non stai zitto non ti rinnovo il contratto, da qui la difficoltà per le associazioni sindacali di cercare di portare avanti delle vertenze, difficoltà che si riscontra con le altre forme di lavoro atipico, come ad esempio l'apprendistato, gli stages, i voucher, che formalmente non sono inquadrabili come lavoro subordinato o autonomo ma non hanno nessun tipo di tutela. Poi?

Zoe- Ok torniamo un attimo sulla questione della ricattabilità.

Tommaso- Beh allora viviamo in un mondo in cui il posto di lavoro non è più una certezza, ma anzi per le ragioni che ti ho spiegato. Questo fa sì che il lavoratore non ha nessuna sicurezza all'interno del suo ciclo lavorativo, cioè può essere licenziato facilmente, dato che le sanzioni non sono più quelle di prime e poi perché deve sempre stare a rincorrere il rinnovo contrattuale e questo chiaramente lo sottopone a una debolezza nei confronti del datore di lavoro. Ne è succube totalmente.

Zoe- E quindi è disposto a qualunque condizione.

Tommaso- Esatto. Dato che sta passando l'idea, in Italia ma non solo, che il lavoratore non deve essere più tutelato perché le tutele del lavoro limiterebbe la crescita economica. Dunque si pensa di risolvere il problema attraverso la tutela del lavoratore nel mercato del lavoro, quindi tramite l'investire nelle politiche attive, quindi la Naspi, la Discol e così via... che però sono tutte misure workferiste e non weklferiste, che sono dovute quando il lavoratore si pone in una posizione attiva, cioè di ricerca di lavoro, e sono condizionate per esempio all'essere disoccupato del lavoratore e al fatto che sia disposto ad essere inserito all'interno di programmi occupazionali e che sia disposto ad accettare qualsiasi proposta lavorativa gli venga fatta. Qualora si rifiuti allora benissimo ti togliamo la Naspi perché non sei più soggetto utile al mercato del lavoro. E quindi anche in realtà il ricatto, non è solo all'interno del posto del lavoro, ma anche all'interno del mercato del lavoro e del sistema previdenziale. E insomma stiamo parlando di uno sfruttamento totalizzante. Zoe - Ok, tra le rivendicazioni maggiori di Clap c'è il reddito, me ne parli un po'? Cosa si intende per reddito? Cosa ne pensi?

Tommaso - Sì beh è chiaro che per uscire da questo ricatto, generalizzato, e anche per riconoscere valore a quelle forme di lavoro che non sono riconosciute, appunto come il lavoro di cura, è chiaro che il reddito farebbe sì che il lavoratore aumenti il suo potere contrattuale nei confronti del padrone e quindi possa sottrarsi in parte al ricatto economico.

Zoe – Ma quindi tu intendi un reddito sganciato dalla prestazione lavorativa oppure un'altra forma?

Tommaso – Chiaramente è un reddito che rientra in uno Stato Sociale puro e non in uno stato, in un sistema ormai di wofkfare, invece che di welfare. Quindi sì immagino un reddito sganciato da qualsiasi precondizione lavorativa. Un reddito che non dipenda dal fatto che tu lavori o no, o che sei in cerca di lavoro o no, ma insomma si pone la questione della vita, della dignità umana non so come dire, di esigenze primarie che lo Stato dovrebbe garantire,, che so ci si potrebbe collegare anche il tema della casa. E però nel mondo del lavoro nello specifico avrebbe il risultati di permettere di confrontarsi davvero con la propria situazione, perché se tu per esempio prendi un reddito di 400 euro al mese è chiaro che non accetti un lavoro gratuito,

sottopagato se hai già un reddito di base di 400 euro, e comunque farebbe sì aumenti la domanda aggregata, quindi anche magari in ottica di rilanciare l'economia del Paese perché va ad aumentare la spesa interna ecc... Zoe- E da dove si prendono i soldi?

Tommaso – Vabbè dalle banche. No, vabbè che vuol dire da dove si prendono?

Zoe- Vabbè questa è la domanda che fanno sempre tutti quelli che sono contrari al reddito.

Tommaso- Beh, si prendono dalla fiscalità generale, per cui metti in moto un meccanismo di redistribuzione, e poi si va a vedere, discutere, se deve essere universale, si va a discutere se deve essere tarato a determinate soglie reddituali di ogni soggetto, però ecco un reddito minimo per tutti ci deve pure essere.

Zoe – Quindi si immagina un reddito di esistenza?

Tommaso – Per come la vedo io, anche se comunque al nostro interno ci sono delle divergenze, io posso dirti come la vedo io; io penso che sì debba essere un reddito d'esistenza, e l'unico punto su cui sono disposto è se si vuole andare a tarare sulle singole fasce soggettive, per cui il riccone deve percepire meno o nulla rispetto agli altri. Al tempo stesso, e su questo sono disponibile a discutere, ma comunque per ragioni etiche e costituzionali deve comunque essere garantito a tutti, almeno minimo. Poi sull'impatto in termini di condizioni lavorative e per condizioni di macroeconomia … te l'ho già detto e l'importante è che comunque non sia una misura di tipo workferista appunto. Cioè che non sia una misura condizionata al fatto che il soggetto sia già inserito nel mercato del lavoro o che stia cercando lavoro. Che comunque sia garantito comunque anche a chi è fuori dal mercato del lavoro. Questa è la certezza. Non come adesso per cui la Naspi è subordinata al fatto che tu stia dentro un progetto di riqualificazione occupazionale oppure al fatto che tu accetti qualsiasi proposta che ti viene avanzata, o che non corrisponde assolutamente al tuo profilo professionale o ai tuoi desideri lavorativi. Deve essere svincolata da tutte queste cose. E perché solo in questo modo si può riuscire in questo ricatto sociale.

Zoe – Ok, dai ti lascio libero. Tommaso – Daje, ciao.

Ringraziamenti

E' difficile se non impossibile riuscire a racchiudere in poche righe tutte le persone che in qualche