3. Metodologia
3.3. Interviste
Le interviste utilizzate per questa analisi sono state raccolte durante il corso del tirocinio curriculare del Master MAINS, in quattro sessioni divise in due giorni: il 28 novembre 2017 sono state raccolte tre interviste, mentre il 30 novembre è stata raccolta l’ultima. La raccolta delle testimonianze si è rivelata piuttosto agevole, in quanto, essendo parte integrante
dell’ambiente lavorativo, non è stato difficile mettermi in contatto con i soggetti intervistati e concordare un incontro faccia a faccia.
La scelta sulla tipologia di intervista è ricaduta sul metodo delle ‘in-depth interviews’ poiché permette di sfruttare la conoscenza e l’esperienza diretta sulla questione dell’intervistato. Le in-depth interviews sono uno degli strumenti della ricerca qualitativa più sfruttati, perché un dialogo con un esperto/partecipante diretto dell’oggetto di ricerca permette di cogliere aspetti del fenomeno che altrimenti non sarebbe possibile far emergere, permettendo un livello di approfondimento senza eguali (Rossman e Rallis, 1998).
Per questo lavoro sono state utilizzate interviste semi-strutturate, dove una lista di domande aperte uguale per tutti gli intervistati veniva somministrata, ma poi si è lasciato che la conversazione avanzasse liberamente, andando quanto più a fondo ritenesse opportuno facendo emergere informazioni magari non previste, ma spontaneamente offerte. Si è, inoltre, cercato di creare un clima di fiducia, in modo che gli intervistati fossero incoraggiati a parlare liberamente e sollecitati a dilungarsi su alcuni aspetti interessanti che emergevano gradualmente.
Le undici domande che costituiscono il canovaccio dell’intervista verranno riportate in appendice, mentre invece si è scelto di non riportare le domande di ‘follow-up’ che sono emerse durante le sessioni, per due motivi: da una parte, per forza di cose le domande di follow-up non sono le stesse per ogni sessione e non permettono di essere analizzate con un approccio comparativo, dall’altra, per questioni di riservatezza nei confronti delle dichiarazioni degli intervistati. Dato che le domande di follow-up hanno più volte spinto i soggetti a lasciarsi andare a vere e proprie confidenze, esse verranno considerate come informazioni fornite ‘off the record’ e quindi non direttamente citate verbatim nel capitolo di analisi, ma più come importanti dati volti ad informare il contesto nel quale l’analisi verrà formulata. Inoltre, visto che è importante per il ricercatore non cadere in una dinamica di ricerca di risposte tendenziose, quindi influenzate dalle aspettative dell’intervistatore, si considereranno come risposte non soggette ad influenzamenti solo quelle legate alle undici domande originarie.
Essendo le interviste semi-strutturate, le domande somministrate durante le diverse sessioni avevano forma flessibile, anche se per il bene dell’indagine tutti gli argomenti affrontati nelle undici domande dovevano essere discussi nel contesto dell’intervista. Un elenco di domande preformate ha inoltre permesso di non scadere in digressioni infruttuose.
nell’organigramma aziendale, differenti livelli di anzianità e diverse job description. Ognuno dei soggetti ha ricoperto un ruolo cruciale durante il progetto e questo ha permesso di raccogliere informazioni che permetteranno di costruire in fase di analisi un’immagine tridimensionale del processo di innovazione.
I soggetti, nello specifico, sono così identificati:
S1 – Membro del Consiglio di Amministrazione di Spindox a capo della Direzione Consulting S2 – Manager senior di Spindox a capo della Service Line ‘Business Proposal’ della Direzione Consulting
S3 – Project office jr., Business Unit Digital Business S4 – Ai tempi del progetto tirocinante, Direzione Consulting
Tutte le interviste sono state condotte di persona tramite colloqui privati e sono state registrate su supporto digitale. Per la stessa natura dell’ambiente in cui si è realizzata l’indagine, cioè un’azienda di medie dimensioni e in un contesto di tirocinio per la conclusione del master, non c’è modo di garantire il completo anonimato degli intervistati una volta che il Project Work sarà terminato e pubblicato. L’autrice ha cercato in buona fede di garantire per quanto più possibile la confidenzialità delle fonti e per questo ha offerto un accordo verbale con gli intervistati per garantire ai soggetti il diritto di revisione su eventuali citazioni riportate nel capitolo di analisi.
3.4. Limitazioni
Questo studio presenta una serie di limitazioni, dovute sia al suo design, che a alla natura del lavoro e delle limitate risorse a disposizione. Prima di tutto, è necessario riconoscere che l’intero lavoro non segue il progetto di IaT dalla fase di inception a quella di implementazione, dato che i tre mesi di durata dello stage si sono rivelati insufficienti alla conclusione del progetto e poiché necessità di carattere aziendale hanno causato un temporaneo rallentamento dei lavori di realizzazione dell’evento charrette. Questo ha fatto sì che l’intero impianto del Project Work venisse rivisitato e ridimensionato, limitandosi ad analizzare la fase di inception e tralasciando tutto ciò che accadrà dopo. Il poter seguire il progetto nelle fasi successive fino a conclusione e magari renderlo parte di uno studio che raccoglie più di un caso di studio in ambito di Open Innovation e processi di innovazione partecipata costituirebbe un interessante lavoro di ricerca, degno di una futura tesi di dottorato.
A causa della limitata natura del project work e l’assenza di una seconda base di dati non è stato possibile realizzare una triangolazione dello studio, limitando il suo potenziale
validante. L’esistenza di una documentazione scritta, di relazioni finali, o di una base statistica, quale un questionario somministrato a tutti i partecipanti della charrette, avrebbe permesso, per l’appunto, di triangolare l’analisi delle interviste ed il process tracing con una seconda analisi delle fonti secondarie, donando maggiore credibilità e affidabilità allo studio.
In fase di operazionalizzazione, due limiti sono chiaramente emersi: dapprima, l’impossibilità di garantire che le interviste siano state condotte con un approccio neutro, volto ad evitare del tutto un atteggiamento tendenzioso e invitante i soggetti intervistati a rispondere in maniera da accontentare l’intervistatore; in secondo luogo, la scelta di non trascrivere le interviste limita non di poco le capacità di analisi della base di dati, poiché impedisce l’analisi del testo, ma si limita ad un’analisi dei contenuti verbali.
In ultimo, chi scrive è irrimediabilmente coinvolto nel progetto e nella realtà aziendale di Spindox, essendovi stata tirocinante per la fase conclusiva del master, aver ricevuto una proroga del rapporto di tirocinio ed essendo desiderosa di continuare a lavorare per l’azienda nel vicino futuro. Questo aspetto espone il lavoro ad un notevole rischio di bias, poiché il ricercatore non opera da una prospettiva esterna e disinteressata, ma bensì immerso nella cultura e nelle dinamiche aziendale e poiché è evidente un certo conflitto di interessi tra il desiderio di produrre un degno elaborato accademico e riscuotere approvazione in ambito lavorativo.
Se da un certo punto di vista, conoscere approfonditamente la realtà di Spindox mi ha permesso di cogliere sottigliezze e sottintesi che hanno informato la mia analisi, dall’altra il tasso di coinvolgimento personale ed emotivo non possono non aver influenzato, e forse annebbiato, il mio giudizio complessivo.
4. Analisi
Il capitolo descrive l’attività di analisi condotta: partendo dalle premesse discusse nei capitoli precedenti si procederà ad analizzare i contenuti delle interviste raccolte sul campo per ricostruire il processo di innovazione in ambito consulenziale di Spindox. Il capitolo è stato diviso in modo da rispecchiare i diversi argomenti affrontati nelle interviste. Nella fase introduttiva è stato chiesto agli intervistati di presentarsi e contestualizzare il proprio ruolo in azienda, mentre parlando di Innovation as Transformation si è cercato di ricostruire come il progetto sia nato in seno a Spindox e di cogliere le diverse prospettiva da cui gli intervistati vi si sono approcciati. Successivamente si è indagato su quale fosse l’idea originaria di hackathon a cui ci si era ispirati per la fase di messa in prova del metodo per poi confrontarla con i principi basilari della Charrette Design e vedere dove i due concetti si sovrappongono. Nella fase finale, invece, si è ampliato l’orizzonte di discussione per interrogare le diverse visioni personali sulle strategie innovative messe in campo, il paradigma dell’Open Innovation e la sua sovrapposizione con l’ecosistema e la cultura organizzativa di Spindox.
4.1. Introduzione
Chiedere ai soggetti intervistati di iniziare con una breve presentazione ha permesso di rompere il ghiaccio, stabilire il clima dell’incontro e aprire una linea di comunicazione diretta e dal tono amichevole. Inoltre, ha permesso di ottenere una panoramica sulle competenze e mansioni degli intervistati e il loro ruolo nel progetto.
Dalla profilazione dei soggetti intervistati emerge come siano stati coinvolti, fin dall’inizio, sia persone afferenti al gruppo manageriale di Spindox che risorse giovani, con un profilo Jr. Si scopre, inoltre, come l’idea dell’intero progetto non appaia nascere attraverso un evento formale, o strutturato, ma in maniera spontanea, al punto che nessuno degli intervistati ha saputo riportare in forma aneddotica un vero e proprio momento costituente del progetto di Innovation as Transformation, ma semplici impressioni di come “in genere” nascono le idee in Spindox.
Interessante è come le persone sono entrate in contatto con il progetto, ne sono state coinvolte e come i ruoli sono andati a configurarsi. Di nuovo, l’organizzazione orizzontale di Spindox e la cultura “da startup”, come si ama definirla in azienda, ha influito sul processo: il coinvolgimento dei soggetti è partito da una genuina manifestazione di interesse. Il core team è stato formato da due persone, un capo di service line e una project office junior che hanno lavorato fianco a fianco in maniera intensiva, mentre un altro top
manager, a capo di una direzione, e un’altra project office junior hanno svolto il ruolo di osservatori privilegiati e audit, come attività coadiuvante ai primi due.
4.2. Innovation as Transformation
In questa parte dell’intervista si è discusso il progetto di IaT secondo il punto di vista dei suoi partecipanti. In particolare, si è andato ad indagare su quali fossero le forze ispiratrici del progetto, quali gli obbiettivi che ci si è posti e come i soggetti intervistati si siano visti all’interno del progetto in termini di ruolo svolto e di contributo offerto.
Le risposte raccolte hanno dipinto un quadro composito, dove le singole esperienze e prospettive di ognuno emergono in maniera chiara, sottolineando sia dove le varie interpretazioni si sovrappongono, sia in quali termini emergono dei disallineamenti nel modo di interpretare e concepire il progetto tra i diversi soggetti.
Tra gli operatori della direzione Consulting esiste la consapevolezza del bisogno di sviluppare un’offerta consulenziale specifica per Spindox. Questo viene più volte discusso, in varie gradazioni di dettaglio, lungo tutte le interviste in maniera trasversale. La percezione che le operazioni di ristrutturazione della direzione Consulting avvenute la primavera scorsa segnino un momento di passaggio e debbano sfociare in una nuova offerta strutturata e spendibile per i consulenti e per Spindox emerge forte, chiara e impaziente, ed è proprio da lì che sembra nascere seminalmente il progetto di IaT. È in quest’ottica che si è immaginato IaT come la prima vera occasione per la nuova direzione Consulting di prendere un’idea dal potenziale dirompente, ma ancora in forma tutt’al più teorica, e di trasformarla in un prodotto di valore per il mercato della consulenza.
Secondo le testimonianze, il progetto è caratterizzato in fase di sviluppo dal tipico approccio ‘Spindox’, cioè un misto di analisi attenta e scrupolosa e una buona dose di fluidità nelle dinamiche di lavoro: analisi di mercato e di benchmark che vanno ad individuare nuovi bisogni del settore e possibili nicchie da presidiare si accompagnano a ricerche teoriche sullo stato dell’arte in ambito di Business Transformation e ad un team working fluido e spontaneo.
È interessante notare come più di un intervistato ha dichiarato di essere stato coinvolto nel progetto dai manager promotori durante un periodo di “idleness” (cioè di poco lavoro, assenza di commesse esterne) in azienda o semplicemente perché invitato a partecipare ad una delle review periodiche del progetto. Questo va a dare evidenza aneddotica di un approccio tipico in Spindox e che l’autrice ha potuto vivere direttamente sulla sua pelle:
si è disposti ad adeguarsi ad un sistema di assegnazione del lavoro quasi destrutturato, si può accumulare un notevole ed eterogeneo bagaglio di esperienze in poco tempo.
È necessario prendere nota di come durante le interviste il senso di identità collettiva all’interno del team di lavoro è emerso in maniera marcata e non retorica. Manifestazione di questa mentalità sono state le parole di uno dei manager coinvolti, vero promotore e ideatore di IaT, il quale si è manifestato reticente a intitolarsi questo o quel ruolo specifico, definendo il progetto uno sforzo “di squadra”.
Alcuni elementi di disallineamento che emergono: si registra, chiaramente, una disparità di vedute riguardo ai clienti target che il prodotto dovrebbe andare a servire. Se una parte del team immagina la trasformazione dell’Industry 4.0 nell’ambito del Piano Calenda, quindi dedicata alle PMI; dall’altra parte il top management di Spindox immagina il business della trasformazione digitale secondo l’attuale business model dell’azienda, che si basa su un limitato numero di clienti e commesse di grandi dimensioni e non su volumi costruiti su un’infinità di piccoli progetti per piccoli clienti. A giudicare dal tipo di risposte ricevute a riguardo, sembrerebbe che la contraddizione sia nata dal non aver avuto occasione di discutere di questo importante punto in fase di sviluppo del prodotto fino ad ora. È indubbio che se si vorrà rendere il progetto realmente spendibile in termini di affari, questo nodo andrà affrontato e sciolto, in quanto dal business model della direzione consulting dipenderà il tipo di prodotto finale che andrà a realizzarsi e si porterà sul mercato.
4.3. Hackathon
Come già discusso nel secondo capitolo, l’idea di un evento partecipativo a compimento del progetto IaT si è fatta strada fin dall’inizio sotto forma di hackathon. A questo proposito, le interviste hanno cercato di spiegare quale fosse la ratio dietro questa specifica scelta, sia per quanto riguarda il processo partecipativo, sia per la scelta dell’hackathon. Si è voluto, inoltre, comprendere con più chiarezza che cosa intendessero gli ideatori e i promotori di IaT con il termine, spesso inflazionato, di ‘hackathon’ e dove la loro idea di processo partecipativo potesse sovrapporsi ad un evento proceduralmente differente come la Design Charrette.
Dalle testimonianze emerge in maniera unanime la consapevolezza di dover sottoporre quanto elaborato all’interno di un gruppo chiuso ad una platea di analisi più ampia, secondo un approccio bottom-up. Questa scelta è motivata in diversi modi: per poter utilizzare la competenza unica dei consulenti, portatori di un know-how prezioso costruito
sul campo lavorando coi clienti quotidianamente, per creare un tavolo di prova dove validare o falsificare IaT e per sfruttare il potere di promozione delle idee che la contaminazione tra molteplici punti di vista può addurre.
L’hackathon è visto come uno strumento ottimale per perseguire questi scopi grazie ai tempi di lavoro serrati e alla partecipazione di molti individui dalle caratteristiche e competenze eterogenee. Come argomentato nel capitolo 2, queste caratteristiche dell’hackathon sono condivise anche dalla charrette.
Dove, però, l’hackathon diverge è l’aspetto competitivo dell’evento, oltre che l’intenzionale privazione del riposo, rispetto al focus collaborativo della charrette, ed è qui che le opinioni degli intervistati divergono. Se, da una parte, i due soggetti senior concordano sul fatto che la competizione non è affatto un aspetto importante, ma addirittura potenzialmente deleterio, per la riuscita dell’evento, i due collaboratori dal profilo più giovane hanno manifestato una marcata preferenza per la realizzazione di un evento ‘altamente’ competitivo, considerato da loro più motivante per i partecipanti. Altro aspetto potenzialmente conflittuale che emerge è la disponibilità o meno da parte del team promotore di mettere pienamente alla prova il processo di IaT ed essere disposto o meno a concepire l’evento come non un semplice banco di prova, ma un esperimento di elaborazione e creazione di valore a tutto tondo, dove il risultato finale possa mettere in discussione il modello IaT stesso e sviluppare soluzioni alternative.
Infine, viene auspicato il conseguimento di un altro risultato ancillare all’obbiettivo di business: l’evento partecipativo come occasione di team building e di promozione di conoscenza reciproca tra i vari consulenti Spindox operanti in giro per l’ Italia. A questo riguardo, l’evento assume una doppia valenza legata a tematiche e problematiche emerse a più riprese durante le interviste, più ampie del solo progetto IaT e legate alla stessa natura organizzativa e culturale dell’azienda.
4.4. Design Charrette
Affrontando il tema della Design Charrette si è cercato di determinare quanti e in quale capacità conoscessero già questa realtà, cosa si aspettassero a scatola chiusa i meno informati sul tema, le ragioni ponderate della proposta di creare un evento charrette e le aspettative riposte in questo particolare processo partecipativo.
promotore dell’evento charrette in Spindox, non solo si è presentato come informato sulla charrette e sulle sue peculiarità, ma ha anche potuto condividere la sua esperienza come partecipante di ben due eventi di charrette nel corso degli ultimi anni. Questo ha contribuito ad un livello di consapevolezza esperienziale sulle aspettative e circostanze di realizzazione di un tale evento, in termini di entusiasmo, ma anche di possibili rischi per la riuscita del progetto.
In particolare, emerge l’importanza di riuscire a gestire al meglio e con consapevolezza i processi articolati e compositi della charrette: se chi deputato al ruolo di mediatore non riuscirà a trascinare i partecipanti e a guidarli nelle varie fasi di elaborazione e confronto al meglio, il prodotto finale potrebbe risultare molto lontano dagli obbiettivi prefissati. Raccogliendo le aspettative degli intervistati sulla charrette e sulla sua realizzazione, si presentano dei punti di convergenza: l’intenzione di realizzare un evento al di fuori degli spazi e del clima lavorativo, la partecipazione volontaria al fine di raccogliere persone con un più alto tasso di motivazione, l’estensione dell’invito a tutti i membri della consulting, le aspettative di vedere uscire dall’esperimento un prodotto consulenziale già pronto all’offerta sul mercato e di sfruttare il progetto in termini di team-building e gratificazione per i consulenti.
Il ruolo della charrette di catalizzatore motivazionale per i suoi partecipanti appare in tutte le testimonianze: l’auspicio è di realizzare un evento mutualmente vantaggioso. Da una parte, l’azienda arriva ad elaborare un nuovo prodotto pronto ad essere presentato ai clienti, dall’altra la possibilità di essere coinvolti in un progetto tanto sfidante e formativo deve gratificare i consulenti che vi partecipano, favorire la conoscenza reciproca personale e di competenze, promuovere un clima di coinvolgimento e motivazione per il proprio lavoro, in linea con le aspettative di cultura aziendale di Spindox. A tal proposito, viene osservato da diversi intervistati l’importanza di una composizione eterogenea e non spontanea dei vari gruppi/squadre che andranno a formarsi: emergono chiaramente aspetti come l’equilibrio di genere e l’intenzione di separare quei soggetti che hanno costruito forti relazioni interpersonali sul lavoro per promuovere nuove conoscenze e relazioni virtuose.
Opinioni discordanti, invece, si riscontrano sulle tematiche di carattere logistico riguardo la durata, le circostanze di partecipazione in termini di rapporto di lavoro e le tempistiche per la realizzazione vera e propria dell’evento.
Tutti gli intervistati concordano sul fatto che la charrette avvenga lungo più giorni consequenziali, ma su quanti questi siano, cioè su quanto tempo sia reputato necessario per portare a compimento l’esperimento, le opinioni variano. C’è chi propone non più di 36-48 ore, osservando che col passare delle ore la motivazione cala, la stanchezza si accumula e gli output declinano in numero e in qualità; altri invece, tenendo in considerazione la complessità dell’operazione, arrivano ad ipotizzare di tenere i consulenti impegnati sul progetto fino ad un’intera settimana lavorativa.