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tiroideo avanzato

Capitolo 4 Introduzione alla parte sperimentale

Il laboratorio presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi è da tempo impegnato nello sviluppo di inibitori tirosin-chinasici, al fine di ottenere candidati farmaci per il trattamento del carcinoma tiroideo.

Uno degli scaffold privilegiati nel campo di questa classe di composti è rappresentato dal nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico; ad oggi è stata testata l’efficacia su linee cellulari di carcinoma tiroideo umano di due derivati:

N N N NH2 PP1 PP2 N CH3 N N N NH2 N Cl 1-tert-butil-3-p-tolil-1H-pirazolo

[3,4-d]pirimidin-4-ammina 1-tertbutil-3-(4-clorofenil)-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidin-4-ammina

Figura 15. Derivati pirazolo[3,4-d]pirimidinici attualmente studiati nel carcinoma tiroideo Questi composti hanno dimostrato potenti proprietà inibitorie nei confronti della RET chinasi e sono pertanto capaci di ridurre la proliferazione cellulare e, per quel che riguarda il PP1, il fenotipo invasivo di carcinoma tiroideo, sostenuto da riarrangiamenti RET/PTC1 (IC50≈30 µM) [29]. D’altra parte mentre la RET

chinasi è altamente sensibile al PP1, in virtù di un residuo di glicina, situato sul fondo della tasca idrofobica adiacente al sito di legame dell’ATP, in cui si inserisce la porzione fenilmetilica del composto [29], non vale altrettanto per il PP2; questo infatti non è selettivo per la RET, poiché in grado di inibire anche la proteina c- Src, un effettore essenziale a valle della via RET-mediata, e chinasi correlate. Questo non permette peraltro di escludere addizionali effetti indiretti in vivo [30]. Recentemente l’attenzione è stata focalizzata sulla messa a punto di una terapia mirata alla cura del carcinoma papillare tiroideo dedifferenziato (DePTC),

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frequentemente associato a mutazioni V600EBRAF; come già menzionato nel

capitolo primo, il carcinoma papillare tiroideo è infatti solitamente curabile combinando chirurgia, ablazione con radioiodio e terapia soppressiva a base di levotiroxina; tuttavia in circa il 5% dei casi le cellule possono regredire ad uno stato di dedifferenziazione, di solito accompagnata da una crescita tumorale più aggressiva, dalla diffusione di metastasi e dalla perdita di capacità di uptake dello iodio, fattori questi che rendono il tumore refrattario ai tradizionali approcci terapeutici.

A tale riguardo, il gruppo di ricerca presso cui ho svolto la mia tesi sperimentale ha sviluppato due nuovi derivati a nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico (CLM3 e CLM29): N N N N HN N N N N HN CLM3 CLM29 CH3

Figura 16. Nuovi derivati a nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico

I due composti risultano attivi nei riguardi di diversi target, tra cui la RET chinasi, EGFR e VEGFR, in particolare VEGFR-2; la loro attività antitumorale, saggiata sia in vitro che in vivo, si esplica attraverso un’inibizione concentrazione- e tempo- dipendente sia della proliferazione cellulare, accompagnata da un incremento dell’apoptosi, sia della migrazione. Nella figura 17, sono riportati i risultati del saggio WST-1, che rappresenta un metodo sensibile ed accurato per la valutazione della proliferazione cellulare, basato sulla riduzione del sale di tetrazolio WST-1 da parte delle deidrogenasi cellulari:

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Le concentrazioni di CLM3 e CLM29 utilizzate sono state di 1, 10, 30 e 50 µM; nelle cellule primarie di DePTC il CLM3 è in grado di inibire in maniera significativa, rispetto al controllo, la proliferazione cellulare (Fig. 17A) e risultati analoghi sono stati ottenuti con il CLM29 (Fig. 17B).

I risultati del saggio condotto su cellule tiroidee follicolari sane (Fig. 17C e Fig. 17D) mostrano invece una piccola seppur significativa riduzione della proliferazione rispetto al controllo.

Per il CLM3 è stata inoltre dimostrata una notevole capacità nell’inibire la crescita tumorale e la neovascolarizzazione neoplastica in assenza di un’apprezzabile tossicità; questi effetti sono stati saggiati in vivo attraverso l’iniezione sottocutanea in topi CD nu/nu della linea cellulare AL, ottenuta a partire da cellule primarie di DePTC e recante una mutazione V600EBRAF.

La massa tumorale è divenuta detectabile dopo 10 ore dallo xenotrapianto e negli animali di controllo ha mostrato un progressivo ma lento incremento delle proprie

Figura 17. Risultati del saggio WST-1 in cellule di DePTC o di controllo, trattate con CLM3 o

CLM29 per 24h [31]

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dimensioni; al quarantesimo giorno gli animali di controllo e quelli trattati sono stati sacrificati.

I risultati ottenuti hanno rivelato che il CLM3 alla dose di 40 mg/kg die è in grado di inibire in maniera rilevante la crescita tumorale, con un effetto terapeutico divenuto significativo a partire dal diciannovesimo giorno dall’impianto cellulare (quattro giorni dopo l’inizio del trattamento). Il CLM3 inoltre non ha mostrato effetti tossici, come si evince dalla modesta perdita di peso degli animali trattati rispetto al controllo (Fig. 18B).

I meccanismi che sottendono invece all’azione anti-angiogenica del CLM3 sono presumibilmente correlati ad una up-regulation di uno dei principali inibitori endogeni dell’angiogenesi, il TSP-1 (trombospondilin-1). Il CLM3, come d’altro canto anche il CLM29, incrementa infatti nella linea cellulare AL l’espressione del TSP-1, che da un lato è in grado di promuovere l’apoptosi delle cellule endoteliali e dall’altro interagisce con molte proteine extracellulari, coinvolte nel processo di neovascolarizzazione, tra cui il VEGF [31].

Inoltre l’attività anti-proliferativa, saggiata attraverso un’inibizione dell’espressione del gene codificante per la ciclina D1 coinvolta nel ciclo cellulare e quella pro- apoptotica del CLM3 si manifestano non solo nei confronti delle cellule tumorali, ma anche di quelle endoteliali:

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La linea cellulare HMVEC-d (human dermal microvascular endothelial cells) è particolarmente sensibile a basse concentrazioni di CLM3 (IC50 0.40±0.22 nM

dopo 72h di esposizione), mentre linee cellulari di carcinoma tiroideo, come quella dedifferenziata 8305C (IC50 9.20±5.06 µM dopo 72h di esposizione), che

esprime la RET endogena o la linea cellulare TT (IC50 26.93±7.60 µM dopo 72h

di esposizione), che esprime invece la forma mutata, richiedono concentrazioni più elevate affinché possa essere inibita la loro crescita.

Ne deriva che l’eccellente efficacia anti-angiogenica del CLM3 è accompagnata da un’attività inibitoria meno marcata nei riguardi della RET chinasi.

Nella figura sottostante sono invece riportati gli effetti pro-apoptotici del CLM3: Figura 19. Effetti del CLM3 in vitro sulla proliferazione cellulare dopo 72h di esposizione [32]

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Dopo 72h di trattamento è stata riscontrata una significativa percentuale di apoptosi sia nelle cellule endoteliali HMVEC-d sia nelle linee cellulari 8305C e A549, seppure a più alte concentrazioni [32].

I risultati ottenuti sono estremamente incoraggianti ed hanno avviato la ricerca verso una ottimizzazione del CLM3, allo scopo di chiarire i requisiti strutturali, essenziali al raggiungimento di una piena e concomitante inibizione di VEGFR-2 e della RET chinasi, così da ottenere inibitori VEGFR-2/RET ad azione duale. Studi preliminari di docking, condotti sulle proteine target, hanno rivelato che il CLM3 è in grado di legarsi al sito di legame dell’ATP, in maniera del tutto analoga ad altri inibitori tirosin-chinasici; ciò è stato successivamente confermato saggiando il composto sulle proteine target ricombinanti umane.

Di seguito viene riportata la modalità di legame del lead in questione a VEGFR-2 (Fig. 21) e alla RET chinasi (Fig.22):

- L’atomo di azoto in posizione 2 dell’anello pirazolopirimidinico stabilisce un legame idrogeno (sopra indicato attraverso una linea nera tratteggiata) con il residuo di cisteina in posizione 919 dello scheletro principale;

- la porzione feniletilamminica è invece circondata dai residui amminoacidici delle catene laterali;

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- il gruppo feniletilico stabilisce contatti idrofobici coi residui di leucina e

fenilalanina, in posizione 840 e 918 rispettivamente.

- L’atomo di azoto in posizione 5 dell’anello pirazolopirimidinico stabilisce un legame idrogeno con l’alanina in posizione 807;

- il nucleo centrale della molecola è tra i residui A756, V738 e L881;

- la porzione feniletilica occupa il lobo N-terminale, attraverso interazioni idrofobiche con i residui V804, L802, I788, L779 e K758 delle catene laterali. In questo caso, rispetto al precedente, la porzione feniletilamminica è piuttosto esposta al solvente e questo è presumibilmente alla base della minore attività del CLM3 nei riguardi della RET chinasi, osservata attraverso una valutazione funzionale sulle linee cellulari 8305C e TT.

Le suddette modalità di legame evidenziano chiaramente i limiti strutturali del CLM3, ma al tempo stesso ne hanno permesso una modifica razionale; nel laboratorio presso il quale ho svolto il lavoro di tesi sono stati infatti precedentemente sintetizzati derivati del CLM3, il cui anello feniletilamminico, in posizione 4 del nucleo eterociclico, è stato funzionalizzato in meta con sostituenti capaci di occupare la tasca di legame dell’ATP (RDP-Regulatory Domain Pocket). Inoltre per conferire maggiore flessibilità, il gruppo metilico della funzione feniletilamminica è stato rimosso. I sostituenti inseriti sono stati scelti in modo

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tale da rispettare i requisiti farmacoforici di legame sia a VEGFR-2 che alla RET chinasi e sono rappresentati da un gruppo aril-ammidico, aril-ureidico e aril- solfonammidico, in cui l’anello benzenico è stato differentemente sostitutito in posizione para: N N N N HN H N X R N X R VEGFR2 (IC50,µM) RET (IC50,µM) 1a CO C6H5 8.57 22.4 1b CO C6H4-4-Br 3.48 4.26 1c CO C6H4-4-NO2 3.29 17.1 1d CO C6H4-4-OCH3 2.66 24.1 1e CO CH2C6H5 6.45 22.6 2a CONH C6H5 2.16 7.04 2b CONH C6H4-4-Br 3.40 9.07 2c CONH C6H4-4-NO2 1.09 37%

46 2d CONH C6H4-4-OCH3 1.09 9.26 2e CONH CH2C6H5 6.74 10.3 3a SO2 C6H5 4.96 7.90 3b SO2 C6H4-4-Br 4.89 12.85 3c SO2 C6H4-4-NO2 1.03 57% 3d SO2 C6H4-4-OCH3 3.87 57.2 3e SO2 CH2C6H5 2.23 58.6

Come riportato in Tabella 2, l’attività funzionale di tutti i composti sintetizzati, espressa in termini di IC50, risulta incrementata, rispetto a quella del lead, nei

riguardi sia di VEGFR-2 sia della RET chinasi.

Partendo dall’analisi dei composti della serie caratterizzata dalla presenza del linker benzammidico (1a-1e), si nota come il composto 1a possieda nei confronti di VEGFR-2 una potenza inibitoria 6 volte superiore rispetto al CLM3. L’attività osservata è inoltre incrementata per inserzione di un sostituente elettron-attrattore in posizione para all’anello benzenico distale, come risulta dai composti 1b e 1c, ma un’inibizione ancora migliore è stata ottenuta con sostituenti elettron- donatori; la presenza infatti di un gruppo metossilico determina un incremento di attività di 20 volte rispetto al lead. In ultimo, l’omologo superiore del derivato 1a, indicato in tabella come 1e, è quasi equipotente al composto parentale.

Per quel che riguarda invece la RET chinasi, l’inserzione di gruppi elettron- donatori non modifica in maniera significativa l’attività e lo stesso dicasi nel caso del derivato 1e, il cui anello fenilico distale è collegato al linker ammidico mediante uno spaziatore metilenico. Al contrario, la presenza di sostituenti

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elettron-attrattori determina un incremento della potenza inibitoria da 1.5 fino a 5 volte.

Risultati analoghi sono stati ottenuti coi derivati 2a-e, che presentano un linker fenil-ureidico; tutti infatti hanno mostrato una maggiore attività, rispetto al lead, nei riguardi di VEGFR-2. Il composto 2a non sostituito risulta 25 volte più efficace del CLM3; l’inserzione di sostituenti in posizione para all’anello aromatico, indipendentemente dalla loro natura elettronica, mantiene inalterate le proprietà inibitorie. Anche l’omologo superiore 2e presenta un buon profilo di attività.

Per quel che riguarda la RET chinasi, l’efficacia del composto 2a è ridotta dalla presenza di un atomo di bromo o di un gruppo metossilico; tale tendenza è massima nel composto 2c, recante un gruppo nitro. Al contrario, l’omologo superiore 2e è quasi equipotente al composto non sostituito 2a.

I derivati che vedono invece la presenza di un linker benzen-solfonammidico sono potenti inibitori di VEGFR-2; l’inserzione di un atomo di bromo o di un metossile non modifica di molto l’attività inibitoria, mentre la presenza selettiva di un gruppo nitro o di uno spaziatore metilenico esercita un effetto positivo sull’efficacia osservata.

La stessa porzione benzen-solfonammidica ha dato invece luogo a risultati contrastanti per quel che riguarda l’attività nei confronti della tirosin-chinasi RET; il composto 3a presenta una potenza inibitoria maggiore rispetto al CLM3, ma la presenza di un bromo, di un gruppo nitro o di un metossile causa una progressiva perdita di attività. Lo stesso dicasi per il composto 3e.

Il presente lavoro costituisce un continuum dell’attività di ricerca pregressa, sviluppata dal laboratorio presso cui ho svolto la mia tesi sperimentale, con il duplice scopo di chiarire ulteriormente le relazioni struttura-attività dei derivati appartenenti alle tre classi sopra menzionate e di incrementare l’attività nei confronti della RET chinasi.

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I composti da me sintetizzati sono riportati nella Tabella 3:

N N N N HN H N X R N X R 1f CO C6H4-4-F 1g CO C6H3-3,4-diOCH3 2f CONH C6H4-4-F 2g CONH C6H3-3,4-diOCH3 3f SO2 C6H4-4-F 3g SO2 C6H3-3,4-diOCH3

Tabella 3. Inibitori tirosin-chinasici sintetizzati

Scopo di questa tesi è stato anche, dietro indicazione dei colleghi modellisti dell’Università di Napoli, cercare di modificare il linker amminico in posizione 4 del nucleo eterociclico del derivato 2d, riportato in Tabella 2 e di seguito raffigurato, con un atomo di ossigeno o uno di zolfo:

49 N N N N X H N HN O O X= -S-; -O-

Si ritiene infatti che le suddette modifiche possano incrementare la flessibilità del composto, consentendogli un migliore adattamento nella tasca di legame di VEGFR-2.

La procedura di sintesi adottata per l’ottenimento dei derivati 1f-g, 2f-g e 3f-g è stata la seguente: Br NHNH 2 NH2NH2 H2O OEt H NC NC N N H2N NC 1 2 3 HCOOH N N N O HN POCl3/DMF N N N N Cl 4 5

50 H2N HCl Et3N N N N N HN NO2 H2 Pd/C NN N N HN NH2 6 7 N N N N HN NH2 7 RCOCl N N N N HN H N R O N N N N HN H N HN O R RNCO N N N N HN H N RSO2Cl S O O R 1f-g 2f-g 3f-g f: C6H4-4-F g: C6H3-3,4-diOCH3 Et3N

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La reazione del 1-(2-bromoetil)benzene, 1, con la idrazina monoidrata, entrambi commercialmente disponibili, fornisce la 1-feniletilidrazina, 2, che messa a reagire con il 2-(etossimetilen)malononitrile, anch’esso commerciale, dà il 4-amino-1- feniletil-1H-pirazolo-5-carbonitrile, 3. Segue una reazione di ciclizzazione con acido formico, per ottenere l’intermedio 4, l’1-feniletil-1H-pirazolo[3,4-

d]pirimidin-4(5H)-one; il trattamento col reattivo di Vilsmeier, formatosi a partire

da POCl3 e DMF, fornisce il corrispondente 4-cloroderivato, 5, che conduce

all’intermedio 6, per reazione con la 3-nitrobenzilammina cloridrato, in presenza di trietilammina. L’idrogenazione catalitica dell’intermedio 6, condotta utilizzando il catalizzatore Pd/C, in quantità pari al 10% del peso secco del reagente, a temperatura ambiente e pressione atmosferica, fornisce l’amminoderivato 7. Quest’ultimo viene trattato con l’opportuno reagente per dare gli inibitori tirosin- chinasici d’interesse. In particolare, la reazione con l’appropriato aroil-cloruro, in presenza di trietilammina, fornisce i composti 1f-g; il trattamento con l’opportuno isocianato dà i derivati ureidici 2f-g, mentre l’aggiunta dei solfonilcloruri conduce ai derivati solfonammidici, 3f-g.

Inoltre, come precedentemente accennato, nel tentativo di verificare quale fosse l’importanza dell’eteroatomo legante l’anello pirimidinico ed il gruppo m- nitrobenzenico, abbiamo deciso di sostituire l’azoto sia con un atomo di zolfo che con uno di ossigeno. Ho cercato quindi di ottenere gli intermedi 6a e 6b, secondo lo schema di seguito riportato:

52 N N N N Cl 5 N N N N S 6a NO2 N N N N O 6b NO2 HS NO2 HO NO2 Et3N Et3N

Schema 2. Sintesi degli intermedi 6a e 6b

La 4-cloro-1-feniletil-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidina, 5, viene addizionata in

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