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CAPITOLO 3: STUDIO CLINICO

3.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO: LE TERAPIE LOCO REGIONALI NEOADIUVANT

La complessità del paziente con malattia epatica cronica e l’eterogenicità del HCC continuano a modificare lo sviluppo di trattamenti efficaci. Diverse terapie si sono evolute in questi ultimi anni includendo terapie chirurgiche, loco-regionali e chemioterapiche.

Il trapianto di fegato in particolare, più che la resezione epatica, è associato ad una buona sopravvivenza libera da malattia se compiuto su pazienti ben selezionati. Mazzaferro et al. [69] hanno introdotto i così detti Criteri di Milano (una lesione ≤ 5 cm; due o tre lesioni ≤ 3cm) ottenendo una sopravvivenza libera da malattia nei pazienti trattati con TOF per HCC pari alla sopravvivenza in pazienti trapiantati senza HCC.

A fronte di un progressivo miglioramento dei risultati clinici dopo TOF, si sono moltiplicati gli studi focalizzati sull’utilità delle terapie neoadiuvanti in termini di miglioramento della sopravvivenza libera da malattia dopo trapianto nonché di riduzione del drop-out dalla lista di attesa e di downstaging, ossia riduzione della estensione tumorale tale da consentire il trapianto. I principali trattamenti utilizzati in pazienti in lista di attesa sono la TACE e la RFA.

La TACE è la tecnica più utilizzata in vista del trapianto ed è indicata in pazienti cirrotici allo stadio A o B di Child-Pugh per prevenire la progressione del tumore durante l’attesa in lista e per ridurne le dimensioni così da rientrare nei criteri di Milano. Majno et al. [131] per primi riportarono in un loro studio il concetto di TACE come tecnica neoadiuvante al trapianto, ottenendo una miglior sopravvivenza libera da malattia nei pazienti con necrosi completa del tumore dopo TACE, rispetto ai pazienti non trattati o non responsivi alla TACE. In conseguenza di questo primo studio ne sono seguiti altri in letteratura [132, 133] con risultati differenti e non ancora universalmente accettati, ma la TACE resta comunque un approccio importante nel prevenire la progressione del tumore e nel ridurre le sue dimensioni, soprattutto per noduli >3 cm o per noduli multipli. Recentemente, nuovi trattamenti intra-arteriosi, quali la TACE con particelle a rilascio di farmaco e la radioembolizzazione con Y90 sono state introdotti nella pratica clinica con risultati promettenti che li renderebbero altamente indicati in pazienti potenzialmente trapiantabili [120, 134, 135].

La RFA, in pazienti candidati al trapianto, viene utilizzata soprattutto come terapia neo-adiuvante in tumori entro i criteri di Milano, visto la sua scarsa efficacia nel trattamento di noduli grandi. Per pazienti ben selezionati, il rischio di invasione locale e recidiva tumorale dopo RFA è piuttosto basso con percentuali di necrosi più elevate rispetto alla TACE soprattutto per noduli < 3cm [135-138].

Si conclude quindi che per noduli singoli <3 cm, in una collocazione anatomica favorevole, la RFA sembra essere più appropriata mentre per tumori più grandi o multifocali sembra essere più indicata la TACE. Infine nuove strategie proposte prevedono la combinazione delle diverse terapie loco regionali precedentemente elencate o la combinazione di terapie loco regionali con terapie sistemiche quali sorafenib, ma tale approccio necessita di ulteriori validazioni.

Le terapie loco-regionali pre-trapianto, ormai adottate universalmente, hanno due obiettivi fondamentali: far rientrare nei criteri di Milano i pazienti esclusi da tale classificazione perché possano essere sottoposti a TOF e prevenire l’uscita dalla lista di attesa migliorando la sopravvivenza a lungo termine per quei pazienti che rientrano nei criteri di Milano ma non vengono sottoposti a TOF nell’immediato. In base all’obiettivo prefissato si può quindi distinguere tra “Downstaging therapy” e “Bridging therapy” [139].

Downstaging therapy

Per downstaging therapy si intende l’utilizzo di terapie loco regionali neoadiuvanti in grado di ridurre le dimensioni del tumore per rientrare nei criteri stabiliti per il trapianto (criteri di Milano [69]). Inoltre è stato proposto il ruolo del downstaging nel selezionare i pazienti a basso rischio di recidiva post-trapianto sfruttando la risposta al trattamento come valore predittivo.

Questo approccio, testato per primo da Majno et al. [131](Hopital Paul- Brousse, Villejuif, France), viene sempre più adottato vista la buona sopravvivenza libera da malattia dopo trapianto nei pazienti con un downstaging di successo [133, 140, 141]. Ravaioli et al. [142] hanno infatti dimostrato che la sopravvivenza libera da malattia a 1 e 3 anni tra il gruppo di pazienti che rientra nei criteri di Milano e il gruppo che eccede i criteri ma è sottoposto a downstaging, è comparabile: 80% e 71% contro il 78% e 71%; mentre secondo Yao et al. [141] la sopravvivenza libera a 4 anni si aggira addirittura al 92% dopo downstaging.

Appare quindi legittimo far uso del downstaging in coloro che eccedono i criteri di Milano e non presentano metastasi a distanza, ma appare allo stesso tempo evidente che servono criteri di inclusione nel protocollo di downstaging ragionevoli e ben definiti perché non si crei una incontrollabile competizione nei confronti delle donazioni, già limitate, tra pazienti soggetti a downstaging, sempre più in aumento, pazienti entro i MC e pazienti in lista trapianto per altre cause non tumorali.

Il criterio fondamentale di inclusione nel programma di downstaging è la possibilità di buona sopravvivenza post-trapianto se il downstaging va a buon fine, per questo sono esclusi a priori pazienti con metastasi o trombosi dei grossi vasi. Ma oltre questo criterio fondamentale si ritrovano in letteratura svariati criteri, il principale rappresentato dalla semplice esclusione dai criteri di Milano [132, 133, 140]. Nel tempo questi criteri si sono estesi e alcuni

autori prendono in considerazione valori ben più ampi riguardo a dimensione e numero di noduli: l’esclusione dai criteri UCSF [68] (1 nodulo ≤ 6.5cm o da 2 a 3 noduli, tutti ≤ 4.5cm; diametro totale ≤ 8cm), un TTV> 250 cm3 [143], l’esclusione dai criteri up-to-seven [70].

Un recente articolo di Prasad et al. [144] ha raccolto gli elementi chiave circa i criteri di selezione al trapianto valutati alla International Consensus Conference on Liver Transplantation For Hepatocellular Carcinoma del 2010 a Zurigo, cercando di delineare dei criteri per un consenso internazionale. Secondo tale studio si sono ottenuti buoni risultati nel downstaging anche per pazienti oltre i criteri di Milano, potendo estendere tali criteri a: numero di noduli fino a 5 (visto che il numero di noduli non correla con l’invasione micro vascolare), AFP<400 ng/mL, tempo di attesa in lista di 3-6 mesi dopo il downstaging per tumori in stadio avanzato. Criteri che dovrebbero essere accompagnati da altri markers tumorali quali risposta radiologica, profilo molecolare e altri markers sierologici e per i quali c’è bisogno di ulteriori studi.

Oltre a stabilire i criteri di inclusione sarebbe opportuno definire gli end- points per un downstaging di successo. Gli studi presenti in letteratura tengono in considerazioni fattori diversi in grado di selezionare i pazienti sottoponibili a trapianto dopo terapia neoadiuvante: l’inclusione nei criteri di Milano dopo trattamento (con o senza AFP < 400ng/ml), [140-142, 145-147] la risposta al trattamento utilizzato (riduzione del 50% della grandezza [132]

o riduzione del 30% del diametro delle lesioni [133]), TTV < 115 cm3 e AFP<400 ng/ml [148], il pattern di crescita tumorale [149] (successo del 33% se tumore infiltrante, successo del 100% se tumore non infiltrante).

L’AFP in particolare è stata considerata come ottimo fattore predittivo di un downstaging di successo e di sopravvivenza post-trapianto. Ravaioli et al. [142] hanno selezionato i pazienti sottoposti a downstaging con AFP<400 ng/ml durante il periodo di attesa di trapianto e hanno osservato una sopravvivenza libera da malattia a 3 anni del 71%, equivalente al gruppo di pazienti che non hanno subito downstaging ma che rientravano già di partenza entro i criteri di Milano. In linea con questi risultati alcuni autori consigliano che per pazienti con AFP>1000 ng/ml un downstaging di successo debba prevedere una diminuzione dei livelli di AFP tale da arrivare almeno a valori minori di 500 ng/ml prima del trapianto [150].

In ultimo è importante citare i criteri di fallimento della downstaging therapy come proposti da Yao et al. [151] a seguito dell’International Consensus Conference on Liver Transplantation for hepatocellular carcinoma, i quali includono:

- evidenza di progressione del tumore con esclusione permanente dalla lista di attesa (invasione vascolare, dimensioni del tumore o numero di noduli oltre i criteri di inclusione, diffusione extra epatica);

-­‐ morte per qualsiasi causa prima del trapianto; -­‐ recidiva HCC dopo trapianto.

Bridging therapy

Per bridging therapy si intende una terapia loco regionale neoadiuvante effettuata nei pazienti che rientrano nei criteri di Milano [69] e sono quindi in lista di attesa per il trapianto, per prevenire la progressione tumorale. A tale proposito non è ancora presente una teoria universalmente accettata, alcuni studi [152] hanno addirittura valutato la possibilità che le terapie neoadiuvanti al trapianto possano essere uno dei fattori prognostici di bassa sopravvivenza per la crescente tendenza all’invasività causata dalla parziale distruzione del tumore che segue TACE, PEI o RF, soprattutto nei noduli più grandi o multipli.

Naturalmente va valutata la probabilità di fuoriuscita dalla lista di attesa e la probabilità di complicanze associate alla bridging therapy, perché il beneficio di prevenire la fuoriuscita dalla lista di attesa sia maggiore del rischio di complicanze determinate dalla bridging therapy. La termoablazione a RF presenta un tasso di eventi avversi (es. versamento pleurico, sanguinamento peritoneale) di quasi il 10% e una mortalità periprocedurale dello 0-0.3% [107]. Per quanto riguarda la TACE la sua principale grave complicanza, lo scompenso epatico, è ormai rara (0-5%) [140] ed sembra essere ulteriormente ridotta dall’introduzione della DEB-TACE.

Diversi studi si sono interessati di dimostrare quali criteri debbano essere utilizzati per stabilire la necessità di una bridging therapy, ma i risultati sono

ancora dubbi. La maggior parte degli autori considerano il tempo di attesa in lista e il rischio di progressione tumorale come criteri fondamentali.

Secondo Pomfret et al. [150] ci sono evidenze convincenti circa l’utilizzo di terapie neoadiuvanti in pazienti con un tempo di attesa di almeno 3-6 mesi o un rischio elevato di progressione del tumore (1 nodulo di 3 cm o 3 lesioni), mentre i pazienti con un nodulo singolo minore di 3 cm possono non essere sottoposti a terapia pre chirurgica soprattutto se con un tempo di attesa in lista minore di 3-6 mesi (visto il loro basso rischio di uscita dalla lista, 0% a 12 mesi). Fujiki et al. [139] hanno recentemente valutato l’effettivo beneficio della terapia neoadiuvante in pazienti con HCC. In particolare le terapie pre chirurgiche sono state considerate necessarie nei pazienti fuori dai criteri di Milano (downstaging) e nei pazienti entro i criteri di Milano con moderato rischio di dropout dalla lista (expected dropout>15%) o con tempo di attesa al trapianto >6 mesi o con HCC con caratteristiche ad alto rischio. In pazienti con basso rischio di dropout dalla lista (expected dropout: 5-15% o expected waiting time: 3-6 mesi), tali terapie sono invece state considerate opzionali. Alcuni autori reclamano un tempo minimo di attesa al trapianto dopo le terapie loco regionali denunciando un tempo insufficiente per la differenziazione del tumore se il trapianto è troppo ravvicinato [42].

Recentemente, la Consensus Conference on Liver Transplantation for Hepatocellular Carcinoma del 2010 ha pubblicato delle raccomandazioni specifiche circa la selezione dei pazienti da sottoporre a brigding therapy

[153]. Per i tumori T1 (1 nodulo ≤ 1,9 cm) non viene consigliata alcuna terapia neoadiuvante e l’eventuale decisione di intraprendere un trattamento deve essere basata sulla valutazione del rischio di complicanze periprocedurali e del tempo di attesa in lista. Per i tumori T2 (1 nodulo 2-5 cm; 2 o 3 noduli ≤ 3cm) viene consigliata una terapia loco regionale neoadiuvante se il tempo di attesa in lista è maggiore di 6 mesi, soprattutto se con un tumore vicino al limite superiore di 5 cm o se con alti livelli di AFP. Per tempi di attesa inferiori a 4 mesi o superiori a 9 mesi non si rileva differenza in termini di probabilità di progressione della malattia nei due gruppi di pazienti, trattati e non. In conseguenza delle considerazioni appena fatte è facile osservare che, soprattutto per i tumori allo stadio T2, non sono stati trovati dei criteri biologici sulla base dei quali stabilire il reale beneficio di un trattamento neoadiuvante.

Lo scopo di questa tesi è di valutare retrospettivamente i risultati clinici a lungo termine di pazienti cirrotici con HCC allo stadio T2 sottoposti a TOF dopo TACE, rispetto ai risultati ottenuti in un’analoga serie di pazienti non sottoposti ad alcun trattamento loco-regionale pre-TOF, al fine di identificare possibili criteri di selezione per la TACE quale bridging therapy in questa specifica popolazione di pazienti.

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