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2.1. Un'introduzione agli investimenti diretti esteri: Ide verticali e orizzontali.

Prima di passare in rassegna lo studio empirico sugli investimenti diretti esteri è necessario spiegare alcuni concetti chiave e alcune distinzioni fondamentali.

Effettuare un investimento diretto estero significa investire capitale in un'impresa situata all'estero: viene definita Greenfield Investment la creazione di un nuovo impianto in un paese all'estero; viene invece definito Brownfield Investment un investimento effettuato tramite fusione o acquisizione (Mergers & Aquisitions) di un'impresa estera già esistente. Dunque il proprietario di un'impresa che decide di espandere la sua produzione all'estero potrà multinazionalizzare la sua impresa attraverso un investimento Greenfield o un investimento Brownfield.

La seconda distinzione da tenere in considerazione è quella tra investimenti diretti esteri orizzontali (Ideo) e verticali (Idev). Si parla di investimento orizzontale quando si investe in una filiale all'estero che produce gli stessi beni già prodotti da un impianto presente nel paese di origine dell'impresa: tale situazione può essere definita come una sorta di "clonazione" dello stesso impianto produttivo già presente in patria. Altro aspetto che caratterizza un investimento orizzontale è il fatto che esso sfrutta economie di scala a livello d'impresa rinunciando a quelle a livello d'impianto. Il concetto di economie di scala non verrà approfondito in questa sede; ci limiteremo a sapere che un'impresa sfrutta economie di scala quando all'aumentare dell'output corrisponde una diminuzione dei costi medi. Pertanto le economie di scala a livello d'impresa riflettono una situazione in cui all'aumentare delle dimensioni dell'impresa corrisponde una diminuzione del costo medio totale, mentre quelle a livello d'impianto si verificano quando alla maggior dimensione dell'impianto corrisponde un minor costo medio totale. Grandi economie di scala a livello d'impresa incentivano l'investimento all'estero: più aumentano le dimensioni dell'impresa, più i suoi costi medi di produzione diminuiscono e di conseguenza aumentano i ricavi. Grandi economie di scala a livello d'impianto prediligono invece la concentrazione della produzione in un grande impianto perché più è grande la

dimensione dell'impianto più bassi sono i costi medi: in questo caso l'imprenditore non sarà incentivato ad investire all'estero.

Per determinare se un'economia sfrutta grandi economie d' impresa (come già detto, il costo medio totale diminuisce all'aumentare della dimensione dell'impresa) piuttosto che d'impianto (dove il costo medio totale diminuisce all'aumentare delle dimensioni dell'impianto), si può confrontare la dimensione delle imprese con quella degli impianti. Se il rapporto tra la dimensione dell'impresa e la dimensione dell'impianto è rilevante, allora tale economia è caratterizzata da economie di scala a livello d'impresa: le imprese hanno un buon incentivo ad investire in quel paese e diventare così multinazionali. Solitamente le economie di scala a livello di impresa sono caratteristiche di settori come quello dei trasporti, dei prodotti chimici e del settore elettrico. Quando il valore dato dal rapporto tra dimensione dell'impresa e dimensione degli impianti è molto basso, allora la produzione sarà caratterizzata da economie di scala a livello d'impianto e non ci sarà incentivo a multinazionalizzare l'impresa.

Analizziamo un investimento verticale: investire verticalmente significa frammentare la produzione tra il paese d'origine dell'impresa e quello dove si è deciso di investire. Questo significherà dunque affidare una determinata fase del processo produttivo ad un impianto che si trova all'estero, e questo necessariamente porterà alla rinuncia di economie di integrazione.

La produzione dell'output generalmente è suddivisa in varie fasi, talvolta è conveniente che tali fasi produttive abbiano luogo nello stesso impianto (in questo caso non si deciderà di effettuare un investimento verticale), talvolta è conveniente che queste siano ripartite tra diversi stabilimenti produttivi. Si prenda per esempio un'azienda che produce formaggio, la cui produzione è ripartita in tre fasi: mungitura del bestiame per l'estrazione del latte, sterilizzazione del latte, lavoro manuale attraverso un particolare procedimento di cottura. Frammentare queste tre fasi in tre diversi stabilimenti comporterebbe costi di trasporto e allo stesso modo una perdita in termini di tempo: bisognerebbe infatti sterilizzare il latte dopo la mungitura, farlo raffreddare, imbottigliarlo e prepararlo per il trasporto, scaricarlo dal veicolo che lo trasporta una volta raggiunto l'impianto dove viene lavorato il latte, riportarlo alla

temperatura necessaria per lavorare il formaggio. Tutte queste operazioni richiedono una spesa sia in termini di denaro che di tempo.

Effettuare un Idev significa rinunciare ad economie di integrazione appunto perché localizzare una fase del processo produttivo all'estero coinvolgerà altre procedure e altre spese che non si sarebbero dovute sostenere se si fosse concentrata la produzione in un unico impianto. Questi costi potrebbero essere relativi all'imballaggio di beni intermedi, al trasporto da un paese all'altro, o ancora potrebbero anche essere dovuti a tariffe doganali imposte dal governo del paese terzo: analizzeremo gli aspetti delle politiche commerciali negli ultimi paragrafi (Barba Navaretti e Venables, 2006).

2.2. I fatti stilizzati sugli investimenti diretti esteri.

Lo studio empirico svolto da Navaretti e Venables (2006) analizza l'andamento dei flussi di Ide mondiali, attraverso l'osservazione di dati estratti dai database dell'UNCTAD e della Banca Mondiale. I due autori mettono in luce che a partire dal 1985 i flussi di investimenti diretti esteri sono aumentati, avendo essi un tasso di crescita sostenuto, tasso che poi registrava un calo nel quadriennio tra 2001 e 2005. Nell'ultimo quindicennio del ventesimo secolo il PIL mondiale e le esportazioni in termini reali crescevano ad un tasso annuo rispettivamente del 2.5% e del 5.6%, mentre gli Ide totali in entrata crescevano ad un tasso del 17.7% (Barba Navaretti e Venables, 2006).

Tra il 1999 e il 2000 i flussi totali di Ide registravano un picco eccezionale mentre nel 2001 i flussi di investimenti diretti esteri in entrata scendevano a 823 miliardi di dollari, 42 miliardi in meno rispetto ai flussi registrati nel 1999 (che ammontavano a 865). Il picco eccezionale di investimenti registrato nel 2000 era dovuto all'aumento di fusioni e acquisizioni di società estere (M&A) all'interno dell'Unione Europea manifestatosi grazie al consolidamento dell'euro, all'aumento delle quotazioni azionarie (in euro) e alla conseguente crescita di fiducia nei confronti della nuova moneta unica. D' altra parte la contrazione registrata nel 2001 dipendeva invece dalla diminuzione di M&A, dovuta al crollo delle quotazioni azionarie di cui la bolla della

"new economy", partita dagli Stati Uniti e diffusasi poi in tutto il mondo, era principale responsabile.

Nonostante i flussi di Ide sotto forma di M&A registrassero picchi e cali, fusioni e acquisizioni costituiscono di fatto la forma prevalente di investimenti diretti esteri (Barba Navaretti e Venables, 2006). Secondo le fonti riportate dall'UNCTAD, circa un terzo del commercio mondiale avviene tra società controllate appartenenti alla stessa multinazionale oppure tra casa madre e le sue affiliate. Tali fonti dimostrano inoltre che nel settore manifatturiero le vendite complessive delle sussidiarie di IMN statunitensi situate nell'UE eccedono di oltre il triplo il valore di quanto l'Ue non importi dagli Usa, un dato molto simile al valore dato dal rapporto tra le vendite di sussidiarie europee situate negli Usa e le importazioni da parte degli Stati Uniti di beni provenienti dall'Ue.

Quando si analizzano le imprese multinazionali ci sono diverse variabili da tenere in considerazione, una di esse è l'occupazione: nell'esempio che segue considereremo la relazione tra occupazione e vendite delle IMN in Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna.

La tabella seguente confronta le quote di occupazione e di vendite possedute da multinazionali estere nei quattro principali paesi europei, in particolare delle IMN del settore manifatturiero in un lasso di tempo complessivo che va dal 1994 al 2001.

Tabella 2.1. Quote relative a occupazione e vendite delle controllate estere (nel settore manifatturiero) attraverso partecipazioni di maggioranza in Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna (1994 – 2001).

ITALIA GERMANIA FRANCIA GRAN BRETAGNA Periodo : 1995 2001 1994 2001 1994 2001 1994 1999 Vendite : 9,2 22,3 13,3 8,3 28,7 35,9 30,6 36,1 Occupati: 8,4 10,9 7,3 5,8 23,1 30,8 18,1 20,4 Fonte: OECD DATA

Confrontando questi dati, si nota che le quote di vendite e di occupati in Italia e Germania sono minori rispetto a quelle britanniche e francesi. Questo significa che le sussidiarie estere situate in Italia e Germania hanno un impatto minore su vendite e

occupazione rispetto a quanto non ne abbiano in Francia e Gran Bretagna, pertanto da questi dati si potrebbe dedurre che Francia e Gran Bretagna sono paesi maggiormente aperti nei confronti delle IMN manifatturiere estere mentre Italia e Germania lo sono meno.

Le statistiche dell'UNCTAD dimostrano che la maggior parte degli Ide viene effettuata da parte di paesi avanzati: tra il 2002 e il 2004 il 90 % dei flussi di investimenti proveniva da un paese avanzato, nonostante si fosse registrata una crescita di flussi di Ide in uscita dai paesi in via di sviluppo (in particolare Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud e Singapore) tra 1970 e 1995. I flussi di investimenti in uscita da questi paesi toccavano l'apice nel 1995 rappresentando il 15,3 % di flussi mondiali, ma qualche anno dopo, in seguito alla crisi asiatica del 1997, questi diminuivano notevolmente.

Gli Stati Uniti rappresentano a oggi i maggiori investitori, seguiti dall'Unione Europea in cui a fine degli anni '90 il totale di IDE in uscita si attestava al 54% dei flussi in uscita mondiali. Buona parte di investimenti europei veniva effettuata tra paesi membri dell'Ue (investimenti intra-UE) in seguito alla creazione del mercato interno. La percentuale europea potrebbe creare confusione: se il 54,4 % dei flussi in uscita mondiali proveniva dall'Ue, perché è stato affermato che gli Usa sono il primo investitore mondiale? Esiste una distinzione tra gli investimenti effettuati tra stati appartenenti all'Unione Europea (investimenti intra-UE) e quelli effettuati tra stati federali statunitensi (intra-USA): i primi sono considerati internazionali, mentre i secondi sono considerati nazionali e non vengono dunque registrati nei flussi di IDE in uscita.

Le statistiche dell'UNCTAD evidenziano anche che nel 1995 i flussi di investimenti in uscita dai paesi in via di sviluppo erano pari allo 0,9 % del loro PIL, mentre quelli in uscita dai paesi avanzati erano pari all' 1,3% del loro PIL. Tra 1997 e 2003 gli investimenti in uscita dall'Ue registravano una crescita eccezionale e raggiungevano il 5,4% del PIL dell'Unione, il che faceva alzare la media dei paesi avanzati portandola al 2,9% (Navaretti e Venables 2006).

La maggior parte di IDE è diretta verso i paesi avanzati (Stati Uniti e paesi membri dell'Ue), anche se l'attrattività nei paesi in via di sviluppo è aumentata. Le fonti

dell'UNCTAD riportano che tra il 1970 e il 2004 la percentuale di IDE diretta verso i paesi avanzati era compresa tra il 58% e il 78%, mentre i paesi in via di sviluppo (come Asia, America Latina e Cina) registravano rialzi e ribassi in termini di attrazione di IDE.

Tra 1988 e 1993 soltanto il 24.6% di IDE era diretto verso i paesi in via di sviluppo, quota che saliva fino al 40% tra 1992 e 1997, per poi scendere al 21.33% e risalire al 34% tra il 2002 e il 2004. I dati sono illustrati dalla tabella seguente:

Tabella 2.2 Percentuale di IDE in entrata nei paesi avanzati e nei paesi in via di sviluppo nel periodo 1970 – 2007, dunque prima della crisi finanziaria mondiale del 2007/2008.

1970- 1973 1974- 1978 1979- 1983 1984- 1988 1989- 1991 1992- 1994 1995- 1997 1998- 2001 2002- 2005 2006- 2007 Paesi avanzati 74% 73% 68% 79% 80% 60% 57% 75% 66% 65% Pvs 26% 27% 32% 21% 20% 40% 43% 25% 34% 35%13 Fonte: UNCTAD.

Questo trend al rialzo dipendeva principalmente dalla Cina, verso la quale tra 1988 e 1993 affluiva il 4.6% di tutti gli investimenti diretti esteri mondiali, quota che cresceva fino all'8.4% tra 2000 e 2004. Nell'Africa del Sahara del Sud invece i flussi di Ide in entrata erano modesti: seppur incrementata passando dall'1.1% (registrato nel 1988) al 2.5% tra 2002-2004, la percentuale di capitali investiti nell'Africa Subsahariana era davvero poco consistente. Gli Ide costituivano comunque per tutti i paesi in via di sviluppo una grande occasione di crescita che essi non avrebbero potuto finanziare autonomamente.

La tabella 2.2. descrive i flussi di Ide in entrata nei paesi avanzati e in via di sviluppo (in percentuale) prima della crisi finanziaria del 2007/2008. E' possibile analizzare cosa è accaduto ai flussi di Ide nel periodo in cui scoppiò crisi e nel periodo post crisi, in particolare analizzeremo i flussi espressi in milioni di USD, nel periodo che va dal 2007 al 2012:

Tabella 2.3. Flussi di Ide in entrata nei paesi sviluppati e in via di sviluppo, espressi in milioni di USD, nel periodo compreso tra 2007 e 2012 (durante e dopo la crisi finanziaria del 2007/2008).

2007 2008 2009 2010 2011 2012 Paesi sviluppati 1.319.893 1.026.531 613.436,1 696.417,8 820.008,5 560.718,1 PVS 589.430,5 668.438,8 530.288,8 637.063 735.212,2 702.825,6 Fonte: UNCTAD.

Come si può intuire da queste cifre, nei paesi sviluppati i flussi cominciano a diminuire dal 2008 in poi, nel 2012 si registra la cifra più bassa di flussi di Ide in entrata nei paesi sviluppati. Nei paesi in via di sviluppo invece, il trend tende al rialzo e poi al ribasso: nel 2008 crescono i flussi, nel 2009 si registra il flusso di Ide più basso, flusso che cresce invece nel 2010 e nel 2011 (anno in cui si registra l'aumento più consistente di flussi in entrata nei pvs); nel 2012 poi i flussi di Ide in entrata nei pvs calano rispetto all'anno precedente ma sono comunque consistenti se si guarda agli anni 2007/2008 o 2009/2010.

Nel 2001 il 61% di investimenti diretti esteri proveniva dai paesi avanzati ed era diretto verso i paesi in via di sviluppo. L'Italia era il paese europeo che non solo aveva la quota più bassa di IDE in uscita, ma anche di investimenti in entrata. Infatti tra 1997 e 2003 in Italia il rapporto tra IDE in entrata e PIL era pari allo 0.9%, mentre la media europea era 4.42% (Barba Navaretti e Venables, 2006).

Come già affermato in precedenza, gli investimenti diretti esteri vengono effettuati principalmente mediante fusioni e acquisizioni (investimenti Brownfield) di società già esistenti, anziché mediante l'apertura di nuovi impianti (investimenti Greenfield). I dati dell'UNCTAD dimostrano che, nel periodo compreso tra 1998 e 2002, gli investimenti Brownfield rappresentavano il 76.2% dei flussi totali, quota che poi scendeva al 52.4% tra 2002 e 2004 a causa del crollo dei titoli azionari:

Tabella 2.4. Percentuale di fusioni e acquisizioni in relazione agli IDE totali, anni di riferimento : 1998-2001; 2002-2004.

Periodo 1998 - 2001 2002-2004 Quota complessiva mondiale 75.59% 52.45%

Paesi avanzati 91.94% 68.4% Paesi in via di sviluppo 20.51% 17.40% Fonte: UNCTAD.

Come evidenziano i dati inseriti nella tabella, nel biennio 2002-2004 fusioni e acquisizioni avvenivano per lo più nei paesi avanzati, avendo essi una percentuale del 68.4%, anziché nei paesi in via di sviluppo verso cui affluiva solo il 17.4% di

Merger and Acquisitions.

Lo studio di Navaretti e Venables (2006) mette in luce che gli Ide vengono effettuati principalmente in settori high-tech e ad alto utilizzo di lavoro qualificato.

Una quota consistente di IDE è destinata al settore terziario, mentre le quote relative al settore manifatturiero sono ridotte, e ancora di più lo sono quelle relative al settore primario. Navaretti e Venables osservarono che nel 2003 la quota di investimenti destinati al settore primario era pari al 7%, quella destinata al settore manifatturiero era pari al 33% e quella destinata al settore terziario era pari al 60%.14 Se si

considerano poi i singoli settori, nel settore manifatturiero i prodotti chimici sono quelli in cui vengono investiti maggiormente i capitali esteri, seguiti da mezzi di trasporto e autoveicoli, e dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Nel settore terziario invece le quote più rilevanti di Ide si registrano nel campo della finanza e dei servizi alle imprese, dunque i settori in cui si investe maggiormente sono quelli che necessitano di una intensiva attività di ricerca e sviluppo (R&D) e di lavoratori qualificati. Questi settori sono caratterizzati da rilevanti economie di scala a livello d'impresa che, come già detto in precedenza, incentivano le imprese ad investire all'estero (Barba Navaretti e Venables, 2006).

Le imprese multinazionali sono talvolta più produttive e di dimensioni maggiori rispetto alle imprese nazionali: solitamente un'impresa multinazionale è più grande di un'impresa nazionale, come pure lo sono le filiali di IMN localizzate all'estero rispetto alle imprese locali di quel determinato paese. Quando si confronta una IMN con un'impresa nazionale bisogna tenere in considerazione quattro variabili:

– il fatturato,

– il valore aggiunto per dipendente, – il valore aggiunto per impresa, – il numero di occupati.

Generalmente i valori relativi a queste variabili sono maggiori quando si tratta di una IMN e minori quando si tratta di un'impresa nazionale. La tabella seguente riporta un confronto tra imprese nazionali e multinazionali in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti:

Tabella 2.5. Confronto tra IMN e tutte le imprese relativamente al settore manifatturiero a seconda del fatturato, della produttività del lavoro, del valore aggiunto e del numero di occupati. Anno di riferimento: 2005.

Francia Germania Gran Bretagna Usa Imprese a partecipa zione estera Totale delle imprese nazional i Imprese a partecipa zione estera Totale delle imprese nazionali Imprese a partecipa zione estera Totale delle imprese nazionali Imprese a partecipa zione estera Totale delle imprese nazionali Fatturato per impresa espresso in milioni di US $) 71.70 28.96 74.06 34.55 86.72 5.29 234.60 10.70 Valore aggiunto per impresa 18.28 7.41 - 11.99 25.45 2.09 66.20 3.80 Valore aggiunto per dipendente 0.06 0.05 - 0.07 0.11 0.08 0.08 0.07 Numero di occupati per impresa 302.38 142.36 241.45 170.68 231.73 24.99 782.50 52.90

Fonte: OECD (2003) e Stan database for industrial Analysis, vol. 2005, Release 05.

I dati inseriti nella tabella 2.5 mostrano che i valori relativi al fatturato, al valore aggiunto per impresa, al valore aggiunto per dipendente e al numero di occupati delle

IMN sono molto più grandi rispetto a quelli delle altre imprese nazionali, in particolare il confronto dei dati relativi a Stati Uniti e Gran Bretagna mostra un grande divario: se si guarda alla Gran Bretagna il fatturato delle IMN eccede di circa 81 milioni di dollari quello delle altre imprese manifatturiere; negli Usa il fatturato delle IMN eccede di circa 204 milioni di dollari quello delle altre imprese; se si guarda all'occupazione si nota che in Gran Bretagna e Usa il numero di occupati nelle IMN rispetto alle imprese nazionali è maggiore rispettivamente di 205 e 730 impiegati. I dati relativi a Francia e Germania sono ridimensionati rispetto a Gran Bretagna e Usa ma il confronto mostra comunque che il fatturato delle IMN e il numero di occupati è maggiore rispetto a quello delle imprese nazionali.

Infine le osservazioni di Barba Navaretti e Venables (2006) evidenziano che a partire dal 2000 molte imprese hanno deciso di disintegrare il processo produttivo ed effettuare un investimento verticale. In precedenza è stato spiegato che un investimento verticale implica la suddivisione del processo produttivo in varie fasi e la loro ripartizione tra impianti che si trovano in paesi diversi. Solitamente un'impresa multinazionale trae vantaggio da questo tipo d'investimento quando il paese in cui va ad investire le offre un vantaggio in termini di costo: per esempio potrebbe offrirle la possibilità di risparmiare sul costo del lavoro oppure su quello delle materie prime.

Facciamo un esempio che evidenzia come le variabili di cui abbiamo parlato finora influenzano la decisione di un investitore. Assumiamo che un'impresa decida di investire in un paese all'estero per sfruttare un vantaggio di costo sul lavoro perché in quel determinato paese il lavoro ha una bassa retribuzione, ma che abbia invece convenienza ad approvvigionarsi di materie prime nel paese d'origine dell'investitore. L'investitore potrebbe decidere di disintegrare il processo produttivo in tre fasi o anche di più, e di localizzare varie sussidiarie in paesi diversi perché ogni paese offre un vantaggio migliore ad un determinato stadio di produzione. Supponiamo per esempio che la Piaggio, azienda italiana che produce motoveicoli, effettui un investimento verticale decidendo di frammentare la produzione per ridurre i costi. Poiché per la produzione di uno scooter servono ingegneri meccanici per la progettazione del motore, operai per l'assemblaggio e ingegneri elettronici per la

produzione di dispositivi digitali, la Piaggio potrebbe decidere di procurarsi solo alcune materie prime in Italia (per esempio pneumatici, carene, sellini) e sfruttare invece il lavoro di ingegneri meccanici francesi per la progettazione dello scooter, degli operai romeni per l'assemblaggio, della tecnologia inglese per gli indicatori del cruscotto. La produzione sarebbe dunque suddivisa in quattro fasi e tra quattro paesi diversi perché un impianto verrebbe localizzato in Francia per la progettazione dello scooter, un impianto in Inghilterra e un impianto in Romania mentre nel paese d'origine avrebbe luogo solo l'approvvigionamento delle materie prime. La frammentazione del processo produttivo tra diversi stati darebbe luogo alla produzione di componenti intermedi che dovrebbero essere trasportati da un paese all'altro, pertanto è vantaggiosa solo se i costi di trasporto non sono troppo alti e se non ci sono barriere commerciali tra uno stato e l'altro.

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