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Gli inviti al pagamento emessi dall'Agenzia delle Dogane ed altri atti ritenuti impugnabili.

Le pronunce della Suprema Corte di Cassazione in materia di atti impugnabili.

3.5 Gli inviti al pagamento emessi dall'Agenzia delle Dogane ed altri atti ritenuti impugnabili.

La giurisprudenza del Supremo Collegio che si è formata in questi anni ha permesso a vario titolo l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di vari atti (note, visure, inviti al pagamento, estratti di ruolo) emessi da vari enti impositori (quali ad esempio l'Agenzia delle Dogane), con i quali veniva portata a conoscenza del contribuente, soggetto passivo, la pretesa avanzata.

Da notare che, ancor prima della riforma dell'art. 2 del D. Lgs. n. 546/92, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, aveva già previsto la possibilità di impugnare un provvedimento non elencato nell'art. 19 citato.

Invero, con la sentenza n. 185 del 26 marzo 1999118, i giudici di

legittimità hanno consentito l'impugnazione del provvedimento di revoca della proposta di accertamento con adesione, stabilendo che la revoca di tale provvedimento, di cui all'art. 3 del D.L. n. 546/1994 convertito nella legge n. 656/1994, in cui vi è già stata l'accettazione

del contribuente, non solo rientrava nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, ma, inoltre, che nemmeno lo stesso atto fosse impugnabile.

Sotto questo profilo è interessante segnalare come le sezioni unite, pur avendi sottolineato la tassatività degli atti impugnabili avanti al giudice tributario, ai sensi dell'art.19 del d. Lgs. n.56/92, legittimano una interpretazione estensiva della norma, in linea con la soluzione che era già stata accolta dalla giurisprudenza a proposito all'articolo 16 del D.P.R. n. 636/1972, sulla scia dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 313 del 3 dicembre 1985).

I giudici di legittimità concludono che di conseguenza il provvedimento di revoca della proposta di adesione è stato ricondotto in considerazione dello scopo che ha e degli effetti che produce, quale atto necessariamente presupposto dell'avviso di accertamento, nella nozione di avviso di accertamento. In altri termini, si poteva senz'altro assumere, che tra gli atti impugnabili ex art. 19 rientrino tutti quelli che hanno come finalità l'accertamento della sussistenza e dell’entità del debito tributario, indipendentemente dalla loro denominazione, in quanto suscettibile di produrre una lesione diretta ed immediata della situazione giuridica del contribuente.

Con tale motivazione pertanto le Sezioni Unite del Supremo Collegio, ancor prima delle novelle del 2001 del 2005, che hanno esteso la giurisdizione tributaria a tutti tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, e che pertanto hanno fatto sì che si parlasse di una giurisdizione tributaria esclusiva, avevano ricondotto nell'alveo della giurisdizione delle commissioni tributarie il provvedimento di revoca della proposta di accertamento con adesione, escludendo, fin da allora, la possibilità di impugnare tale atto dinanzi al TAR, ma, per di più, affermando l'impugnabilità dell'atto stesso pur non essendo inserito fra quelli elencati nell'articolo 19.

Successivamente, la Corte di Cassazione si è pronunciata anche in merito agli inviti al pagamento emessi dall'Agenzia delle Dogane. Come sappiamo, la materia dei diritti doganali e delle imposte di fabbricazione e consumo è stata attribuita alla competenza della commissione tributaria con la riforma ad opera della Legge n. 448 del 2001. Anteriormente al primo gennaio del 2002 la materia doganale rientrava nella competenza del Tribunale ai sensi dell'articolo 9 del c.p.c..

La Corte di Cassazione si è trovata, infatti, a dover dirimere la questione circa l'impugnabilità o meno degli inviti al pagamento emessi per il recupero di dazi o accise.

In un primo caso sottoposto al proprio giudizio, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 22015119

depositata in cancelleria il 13 ottobre 2006, pronunciandosi circa l'impugnabilità di un invito al pagamento emesso dall'Agenzia delle Dogane per il recupero a posteriore dei dazi su segnalazione della commissione europea, ne ha riconosciuto l'impugnabilità dando ragione e condividendo la premessa dei giudici delle commissioni tributarie che avevano ravvisato l'interesse ad agire all'azione di accertamento negativo del debito di imposta in capo al destinatario dell'invito di pagamento di cui all'art. 93 del regolamento doganale. A parere dei giudici infatti la norma dispone che l'invito al pagamento precede l'atto di ingiunzione e si fa pervenire al debitore a mezzo degli agenti doganali o a mezzo di posta con ricevuta di ritorno. Pertanto l'invito al pagamento rappresenta l'atto altresì con il quale l'amministrazione finanziaria, conclusa la propria attività di accertamento, esteriorizza gli esiti di tale controllo rendendo edotto il contribuente della maggior pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito verso l'erario pena l'avvio della procedura esecutiva sulla base della succedanea ingiunzione. Proseguono i giudici ricordando che il sistema normativo introdotto dal D.P.R. n. 43/88 non ha intaccato la funzione dell'avviso di

pagamento tant'è che all'art. 67 si stabilisce espressamente che se sono infruttuosamente scaduti i termini di pagamento delle somme indicate in tale avviso, si procede alla formazione del ruolo, pertanto, con tale atto di messa in mora l'amministrazione manifesta il diritto al recupero della maggior pretesa a titolo di imposta.

Nel proseguo della pronuncia i giudici di legittimità fanno ancora riferimento all'azione di accertamento negativa sottolineando che: “tale azione sulla debenza del tributo trova ragion d'essere in uno stato di incertezza sull'esistenza e la portata dei presupposti impositivi indotto da tale atto di intimazione, suscettibile di arrecare concreto ed attuale pregiudizio posto che ove tale situazione di incertezza oggettiva non venisse rimossa, resterebbe legittimata l'azione esecutiva erariale con lesione dei diritti soggettivi al contribuente”.

Concludendo, affermando che questo risultato utile e giuridicamente rilevante conseguibile solo con l'intervento del giudice, qualifica e giustifica l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., che del resto non aveva mai incontrato preclusioni fino a che la giurisdizione tributaria, in materia doganale, è rimasta incentrata presso l’AGO, priva di poteri di annullamento di atti amministrativi e facultata perciò alla autonoma valutazione di merito sul rapporto fiscale sottostante attraverso l’azione di cognizione ordinaria.

Infine, la Corte di Cassazione richiamando la sentenza n. 9181/03, in cui era stato affermato che la giurisdizione tributaria era una giurisdizione di annullamento, esercitabile nei confronti di specifici atti e come tale incompatibile con le azioni di accertamento negativo sperimentate in via preventiva indipendentemente dall'esistenza di un formale provvedimento impositivo od accertativo tra quelli elencati tassativamente, sottolinea che “per la verità l’interpretazione analogica o estensiva dettata dall'esigenza di non diminuire le passate garanzie difensive, imporrebbe di riconsiderare la possibilità di ricorrere contro ogni atto, comunque denominato, che contenga gli elementi necessari a portare a conoscenza del contribuente l'an ed il quantum della pretesa dell'amministrazione e la cui mancata osservanza appare suscettibile di incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente”.

Successivamente nel 2007, i giudici legittimità ritornano sull'argomento con la sentenza n. 21530120 depositata in

cancelleria il 15 ottobre del 2007.

Nella fattispecie il contribuente aveva contestualmente impugnato: un avviso di pagamento con il quale l'Agenzia delle Dogane aveva determinato a suo carico la cifra dovuta, maggiorata di interessi ed indennità di mora; il contestuale atto di contestazione della

violazione con l'irrogazione della sanzione pecuniaria; la cartella di pagamento ed infine la decisione della Direzione Regionale dell'Agenzia delle dogane che aveva respinto il ricorso amministrativo. Occorre osservare che la fattispecie oggetto di giudizio ha avuto origine anteriormente alla riforma del 2001 per cui era ancora in vigore la norma che dava la possibilità al contribuente di esperire il ricorso amministrativo prima della possibilità di adire il giudice.

Nel caso de quo, sia la commissione tributaria provinciale che quella regionale, dichiaravano inammissibile il ricorso contro tutti gli atti ad esclusione del provvedimento della direzione regionale. La commissione tributaria regionale escludeva, però, che quest'ultimo atto fosse impugnabile non rientrando nel novero degli atti contemplati dal Decreto Legislativo n. 546/92, all'art. 19.

I Giudici di legittimità, ribaltando il pensiero dei giudici di merito, hanno statuito che il loro iter argomentativo era errato, in quanto non aveva pregio ritenere che la determinazione di vertice (Direzione Regionale) dell'Agenzia delle dogane non sarebbe stata ricompresa tra gli atti espressamente elencati, quali impugnabili, dal D. Lgs. n. 546 del 1992, anche perché una lettura dell’articolo 19 di tale decreto, incentrata sull'elencazione tassativa degli atti che consentono l'accesso al controllo giudiziario doveva ormai ritenersi

superata alla luce dell'evoluzione legislativa (L. n. 248/2005 e L. n. 248/2006) dell'orientamento della stessa Corte (Cass., SS.UU., sent. n. 7388/2007 e n. 11082/2007) che ha annoverato nella nozione ogni atto, anche di natura “provvedimentale”, che esprima in via definitiva, la volontà autoritativa dell'ente pubblico nelle materie previste dal’art. 2 del D.Lgs. n. 546/92.

Inoltre, in questa decisione, la corte rammenta che “anche in prospettiva comunitaria per decisione dell'autorità doganale deve intendersi qualsiasi determinazione che intervenga su un caso particolare in funzione impositiva o provvedimentale. Non conta il nomen iuris utilizzato, purché l'atto, nel suo contenuto sostanziale, risulti idoneo a portare a conoscenza la pretesa dell'amministrazione e a rendere possibile l'esercizio del diritto di difesa: quindi anche le deliberazioni risolutive della controversia amministrativa, quale quella di specie, diversamente risultando viziato il principio di effettività della tutela giurisdizionale che va sempre assicurata avanti all'autorità preposta alla tutela dei diritti soggettivi”.

Con la sentenza n. 18008 del 9 agosto 2006121, i giudici di

legittimità hanno riconosciuto la natura di atto impugnabile, sussumendo nella lettera g) dell'art. 19 D. L.gs. n. 546/92 - che menziona il rigetto della domanda di definizione agevolata di

rapporti tributari - una nota con cui veniva denegato l'accoglimento della domanda di condono.

In questo caso, infatti, il contribuente aveva lamentato che quell'atto non fosse uno di quelli elencati nell'art. 19 in quanto nessun provvedimento formale era stato mai notificato (col quale veniva rigettata l'istanza di condono). Infatti, a suo dire, era stato notificato solo una nota che conteneva una risposta, a titolo informativo, alla richiesta del contribuente. I giudici della Corte di Cassazione, in questo caso, invece, hanno stabilito che tale nota era un atto impugnabile in quanto con la stessa nella specie era stata negata la definizione agevolata. Pertanto, attribuendo alla nota in questione la natura di atto amministrativo esplicante la volontà negativa dell'amministrazione, rispetto alla richiesta del contribuente, ritenevano il ricorso avverso la stessa ammissibile, secondo quando era correttamente stato affermato dalla commissione tributaria regionale.

Successivamente, con la sentenza n. 27385122 depositata in

cancelleria il 18 novembre 2008, i giudici di Piazza Cavour, hanno ritenuto impugnabile quale atto di classamento una visura catastale. In questo caso, i giudici della Suprema Corte hanno stravolto la decisione assunta dai giudici della commissione tributaria regionale, i

quali avevano dichiarato inammissibile il ricorso, essendo lo stesso proposto avverso la visura per consultazione di partita catastale (tramite la quale il contribuente aveva appreso l'entità della rendita catastale attribuita ad un immobile da lui acquistato).

La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto ammissibile il ricorso avverso la visura catastale affermando “la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati all'ente impositore che con l'esplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19, atteso in questo caso l’indubbio sorgere dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c a chiarire con una pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabile la sua posizione in ordine alla stessa e quindi di invocare una tutela giurisdizionale, ormai esclusiva del giudice tributario, comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico”. Con tale motivazione il Supremo Collegio si è espresso favorevolmente all'impugnabilità della visura catastale.

Sempre in tema di notizie e note si è recentemente tornata ad esprimere la Corte di Cassazione con la sentenza n. 285

depositata il 12 gennaio 2010123.

I supremi giudici hanno ritenuto impugnabile la comunicazione, ossia la nota, con cui l'ufficio aveva revocato la sospensione (della procedura di riscossione) concessa in attesa di verificare il diritto allo sgravio in quanto, in sostanza, aveva emesso un provvedimento riconducibile ad un diniego di sgravio.

Diniego ritenuto impugnabile perché rientrante quale atto amministrativo idoneo a esplicare la volontà negativa dell'ufficio rispetto all'istanza avanzata dal contribuente, nella previsione dell'articolo 19 comma 1 lettera h), trattandosi, nella fattispecie, di un diniego che il giudice tributario di merito considerava esplicito. Inoltre, sempre nel 2010 è stato ritenuto impugnabile dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, un atto con il quale era stato richiesto il pagamento a titolo di Tarsu. Con la sentenza 14373124,

depositata in cancelleria il 15 giugno 2010, la Corte ricalcando

l'orientamento delle Sezioni Unite che hanno affermato che nel processo tributario sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ha ritenuto

123 In banca dati “Fiscalitax o.l.”. 124 In banca dati “Fiscalitax o.l.”.

impugnabile tale atto, dando conferma alle motivazioni addotte in sentenza dalla commissione tributaria regionale, confermando che nell'ambito di questa impostazione di diritto l’ente impositore non può riedificare a suo piacimento dichiarando non impugnabili atti che impugnabili sono e spetta al giudice di merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono esaminando gli aspetti sostanziali dell'atto. Sottolineando, altresì, che nel caso in questione, la comunicazione impugnata conteneva la determinazione dell'esatta somma dovuta dal contribuente, l’indicazione che in mancanza del suo pagamento sarebbe seguita l'iscrizione a ruolo e che per richieste di sgravio e di rimborso il contribuente poteva rivolgersi all'ente impositore. Tutti questi elementi, secondo la Corte fanno desumere che si trovi di fronte alla comunicazione una pretesa impositiva di guisa che l'atto si atteggia come avere propria liquidazione dell'imposta, che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente.

Infine, con l’ordinanza n. 15946125 del 26 maggio 2010 depositata

in cancelleria il 6 luglio 2010, la Sezione Tributaria, della Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile un ricorso proposto avverso una visura effettuata presso il concessionario del servizio riscossione tributi, dalla quale risultava che erano state emesse (e notificate)

delle cartelle di pagamento nei confronti di un contribuente (il quale asseriva di non averle mai ricevute).

I giudici del Supremo Collegio hanno ritenuto che l'estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall'art. 19 D. Lgs. n. 546/ 92.

Tale ordinanza dei giudici di legittimità segue l’orientamento della

sentenza n. 724/2010126 che, poco tempo prima, aveva di già

riconosciuto la possibilità di impugnare un estratto di ruolo che il contribuente aveva richiesto presso l'agente della riscossione.

3.6 La TIA (tariffa di igiene ambientale) e le pronunce