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4.1. Il principio di tassatività degli atti impugnabili. Evoluzione giurisprudenziale.

Dalla disamina delle pronunce portate in rassegna nel capitolo precedente, abbiamo potuto notare che la giurisprudenza ha superato gli angusti limiti segnati dalla tassatività degli atti impugnabili nel processo tributario al fine di assicurare una piena e maggiore tutela al contribuente consentendogli la possibilità di impugnare immediatamente “qualsiasi atto” con il quale l'ente

impositore o l'agente della riscossione portino a sua conoscenza una “pretesa tributaria ormai definita”.

Si ribadisce, che la predeterminazione normativa è frutto di quanto sancito nell'articolo 19 del D. Lgs. n. 546/92. Anzi nell'assetto di tale norma, oltre alla elencazione degli atti autonomamente impugnabili di cui al primo comma, ritroviamo nel secondo comma l’inciso che ci ricorda che: “gli atti espressi di cui al comma primo devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 20”, al terzo comma invece viene sancito un principio di chiusura con il quale si prescrive che: “gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo”. Considerando tale assetto normativo la prima riflessione logica che viene da fare è quella che sembra chiaro che per l'ingresso dinanzi al giudice tributario sono idonei solo gli atti indicati dallo stesso art. 19 citato o quelli espressamente indicati come impugnabili da altre specifiche disposizioni di legge. Teoricamente ciò significa, pertanto, che il contribuente è legittimato a ricorrere in commissione tributaria

solo a seguito della notifica di uno degli atti previsti dal legislatore152.

Sennonché, fin da subito non si è asserito di tassatività degli atti impugnabili perché abbiamo visto, già sotto la vigenza del vecchio d.p.r. sul contenzioso, ma anche successivamente a seguito dell'emanazione del D. Lgs. n. 546/92, non si è mai parlato di tassatività bensì di “predeterminazione normativa degli atti impugnabili” o di manifestazione di un principio di “tipicità degli atti impugnabili”, così (fin dal principio) escludendo che con tale elencazione si alludesse ad una enumerazione chiusa e immutabile degli atti con i quali era possibile proporre ricorso. Difatti, fin da subito, la giurisprudenza si è accostata al principio che non bisogna guardare la forma o il nomen iuris dell'atto, bensì la natura e la sua funzione.

Così ponendo rimedio al rigido teorema della tassatività degli atti impugnabili che per l'assurdo porterebbe alla conseguenza, da un lato, di dare il diritto al contribuente all'esame del merito in tutti i casi in cui viene impugnato uno degli atti elencati, indipendentemente dal suo contenuto effettivo e, dall'altro,

152Che la notifica sia essenziale ai fini della certa conoscibilità dell'atto, che incide unilateralmente della sfera giuridica del contribuente, è sancito dal successivo art. 21, D. Lgs. n. 546/92 (termine per la proposizione del ricorso) il quale al primo comma, recita: “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro 60

giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.

escluderebbe la possibilità dell'esame del merito di un atto non tassativamente elencato ancorché il contenuto fosse identico a quello di un atto tipico.

Il prospettato controllo legislativo dei momenti di accesso alla giurisdizione tributaria, già vacillante a seguito delle interpretazioni estensive che negli anni sono state date degli atti impugnabili al fine di garantire il diritto di difesa dei contribuenti, è entrato in crisi a seguito delle recenti evoluzioni dei modelli di attuazione dei tributi anche a causa dell'ampliamento della giurisdizione tributaria ai tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, nonché ai canoni e alle tariffe. Da ultimo, vi è da ricordare, che nella coscienza dei giudici di legittimità, ma ancor prima dei giudici di merito, è forte l'esigenza di dare una tutela immediata ai contribuenti (allorquando ricorrono le possibilità che andremo ad analizzare) a fronte dei poteri, tanto più invasivi ed incisivi, che negli ultimi anni sono stati assegnati all’agente della riscossione.

A seguito dell'ampliamento della giurisdizione tributaria, come abbiamo visto, sono state molteplici e svariate le sentenze dei giudici tributari che hanno ritenuto impugnabili atti che fino a qualche tempo addietro sarebbe stato impensabile, o quanto meno difficile, ritenere impugnabili dinanzi le commissioni tributarie.

In effetti dalle modifiche legislative che hanno ampliato la giurisdizione delle commissioni tributarie i giudici di legittimità hanno tratto tre argomenti ai fini del superamento degli angusti limiti di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 546/92: innanzitutto, a seguito delle modifiche apportate all'art. 2 dello stesso decreto sul contenzioso tributario, la Corte ritiene che la giurisdizione tributaria sia stata trasformata in una giurisdizione generale per cui è avvenuto il superamento del sistema chiuso di tutela stabilito dal primo comma dell'art. 19; in secondo luogo, i giudici di legittimità ricordano che il principio di tassatività degli atti impugnabili, sancito con la riforma del 1981 e poi ripreso dal legislatore del 1992, era stato elaborato sulla base delle caratteristiche degli atti impositivi attraverso cui si manifestava la pretesa tributaria in quell'epoca in cui la giurisdizione speciale era limitata. La trasformazione in giurisdizione generale, pertanto, fa sì che deve rileggersi nuovamente tale principio di tassatività anche in relazione alla varietà di nuovi tributi e alla necessità di apprestare una tutela ai contribuenti nei confronti degli stessi.

Infine, e non da ultimo, la Corte di Cassazione ritiene che il principio di tassatività degli atti impugnabili deve essere anche rapportato alla stregua degli artt. 24 e 53 della Costituzione, i quali valorizzano a tale livello, l'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale