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2. IL DISTRETTO E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE: LETTERATURA

2.3 Ipotesi di ricerca

La letteratura esaminata fornisce validi argomenti in favore del distretto come organizzazione economica in grado di incrementare la produttività e l’efficienza delle piccole e medie imprese, quindi la loro capacità di competere a livello internazionale. Nonostante l’effetto del distretto sulla performance esportativa delle imprese localizzate al suo interno sia ormai assodato, la sua capacità di influenzare positivamente i processi di internazionalizzazione più articolati, come gli investimenti diretti esteri, appare invece poco chiara.

Una delle motivazioni di questo risultato potrebbe derivare dal fatto che il fenomeno viene quasi sempre analizzato da un punto di vista generale, senza prendere in considerazione le differenze tra i distretti. Ognuno di essi infatti presenta caratteristiche particolari che vanno ad influire sui comportamenti strategici delle aziende e che perciò dovrebbero essere tenute maggiormente in considerazione. Tra queste le più importanti sono la proiezione internazionale del distretto, la dimensione media aziendale, la presenza di grandi gruppi industriali nazionali ed esteri, e soprattutto il settore di specializzazione produttiva. Quest’ultima caratteristica è particolarmente rilevante poiché il contenuto tecnologico della produzione potrebbe incidere sulla capacità innovativa delle imprese distrettuali e modificarne le strategie di internazionalizzazione. Fin dal principio, infatti, la teoria economica sulle attività internazionali ha sempre considerato la tecnologia come un vantaggio competitivo che permette alle aziende di migliorare la propria performance sia a livello domestico che internazionale.

Secondo la teoria del ciclo di vita del prodotto di Vernon (1966), la capacità delle aziende di penetrare nuovi mercati dipende dalla loro abilità nel realizzare innovazioni di processo o di prodotto, che sono legate al settore produttivo in cui operano. Sfruttando le caratteristiche di unicità dei beni che producono, infatti, le aziende acquisiscono un vantaggio competitivo nei confronti delle loro concorrenti straniere quindi possono espandere le loro quote di mercato a livello internazionale. Al contrario, quando il bene prodotto diventa maturo e imitabile, l’impresa perde questo vantaggio e per rimanere competitiva deve necessariamente tagliare i costi ricorrendo a forme di delocalizzazione produttiva o di outsourcing verso paesi meno sviluppati che forniscono risorse a buon mercato. Riguardo alla spiegazione delle forme più complesse di internazionalizzazione, Buckley e Casson (1976) confermano che quando un’azienda possiede vantaggi competitivi firm-specific, come una particolare tecnologia produttiva, ma i costi di transazione sono elevati, tende a internalizzare le relazioni di

mercato attraverso gli investimenti diretti esteri. Inoltre, come visto in precedenza, Magee (1977) sostiene che quando un’impresa possiede una tecnologia avanzata preferisce espandersi all’estero attraverso gli investimenti diretti per due ragioni principali: difendere la tecnologia in questione dai comportamenti imitativi dei concorrenti e dal rischio di azzardo morale dei partner commerciali stranieri, e incrementare il guadagno attraverso lo sfruttamento diretto del proprio vantaggio competitivo.

Nel caso delle imprese distrettuali operanti in settori innovativi, l’investimento diretto può essere scelto per evitare di vendere quel know how che è il risultato delle relazioni di lungo periodo stabilite con gli altri partner del network. Il vantaggio competitivo di queste imprese, infatti, è basato sulla cooperazione tra le parti e la condivisione della tecnologia, con i fornitori che spesso sviluppano prodotti innovativi per soddisfare le esigenze dei clienti, quindi deve essere protetto dai competitors stranieri. Le imprese che basano il loro vantaggio sulle conoscenze tecnologiche non possono quindi ricorrere a forme intermedie di internazionalizzazione, come le joint ventures o gli accordi di fornitura transnazionale, poiché in questo modo perderebbero la fonte stessa della loro competitività: le relazioni con gli altri membri del network domestico. Al contrario, le imprese localizzate in distretti tradizionali, caratterizzati da produzioni mature e labour intensive, saranno maggiormente propense a delocalizzare parte della produzione all’estero tramite rapporti di subfornitura. Nonostante anche queste aziende traggano numerosi benefici dall’agglomerazione distrettuale, la loro posizione competitiva è messa a dura prova dalla concorrenza proveniente dai paesi a basso costo del lavoro, quindi sono costrette a adottare strategie di contenimento dei costi basate sulla frammentazione internazionale della produzione. Alcune ricerche empiriche considerano queste operazioni come il primo passo verso la distruzione del modello tradizionale e la conseguente creazione di un distretto transnazionale sviluppato e coordinato da imprese leader che replicano su scala internazionale le relazioni tipiche del

network domestico, mantenendo le funzioni principali all’interno del cluster originario e

creando, allo stesso tempo, un vasto sistema di subfornitura con partners locali e stranieri che realizzano la maggior parte della produzione (Corò, Volpe, 2004; Chiarvesio, Di Maria, Micelli, 2004). Per Majocchi (2000) inoltre, le imprese leader potrebbero incoraggiare i loro fornitori principali a seguirle all’estero, dando luogo a comportamenti imitativi di altre aziende che, replicando le strategie dei precursori, porterebbero all’internazionalizzazione dell’intero distretto.

Altri studi, inoltre, hanno dimostrato che la capacità innovativa delle imprese distrettuali è una variabile fondamentale per spiegare la loro performance internazionale, soprattutto a

livello di intensità esportativa (Cainelli, Guerrieri, 2005). Se infatti i benefici derivanti dall’agglomerazione distrettuale sono sufficienti ad aumentare la competitività di un’azienda, quindi la probabilità che questa ricorra all’esportazione, la capacità di innovare può rafforzare ulteriormente la sua posizione concorrenziale consentendole di incrementare le percentuale di vendite ottenute sui mercati esteri rispetto al totale fatturato. Secondo la classificazione dei distretti realizzata da Belussi e Pilotti (2002) tale capacità sembra essere fortemente correlata alla specializzazione produttiva del distretto: i clusters operanti in settori tradizionali vengono definiti come weak learning systems perchè le opportunità di innovare sono pressoché inesistenti, mentre quelli impegnati in produzioni ad elevato contenuto tecnologico vengono denominati dinamic evolutionary systems perché necessitano di un processo di innovazione costante che permetta loro di rimanere competitivi.

Sintetizzando si può quindi concludere che il distretto è una forma organizzativa che aumenta la competitività delle imprese che ne fanno parte, permettendo anche alle PMI di intraprendere processi di espansione internazionale. Le modalità di internazionalizzazione scelte dalla aziende non dipenderanno però esclusivamente dalle loro caratteristiche interne, ma anche dalle peculiarità del distretto in cui operano. Le imprese localizzate in cluster tradizionali sfrutteranno i loro vantaggi competitivi principalmente attraverso l’esportazione oppure cercheranno di risparmiare sui costi di produzione estendendo i rapporti di fornitura verso paesi che presentano risorse a prezzi inferiori alla madrepatria, mentre quelle operanti in distretti tecnologici tenteranno di difendere il know how su cui basano il proprio successo tramite forme di internazionalizzazione ad elevato coinvolgimento che consentano il presidio diretto dei nuovi mercati, come gli investimenti diretti esteri. Inoltre, il vantaggio derivante dalla capacità innovativa permetterà alle imprese localizzate nei distretti più avanzati di realizzare performance esportative migliori rispetto a quelle operanti nei settori maturi. Applicando queste considerazioni al contesto italiano, caratterizzato da un elevato numero di distretti che presentano differenti specializzazioni produttive, è possibile delineare le seguenti ipotesi di ricerca:

1. Le imprese distrettuali beneficiano di una serie di vantaggi che consente loro di ricorrere agli investimenti diretti esteri in misura maggiore rispetto alle loro concorrenti non distrettuali.

2. Il contenuto tecnologico della produzione influenza la capacità innovativa delle imprese e le loro strategie di internazionalizzazione consentendo alle aziende localizzate nei distretti high tech di ricorrere maggiormente agli investimenti diretti rispetto alle aziende operanti nei distretti tipici del Made in Italy.

3. I vantaggi derivanti dall’agglomerazione distrettuale e dalla capacità innovativa incidono sulla probabilità che un’impresa investa all’estero, ma non sull’intensità di tale investimento che dipende essenzialmente dalla dotazione di risorse economiche, finanziarie e manageriali a disposizione della società.

4. La capacità innovativa rappresenta comunque un ulteriore vantaggio competitivo per le imprese distrettuali, quindi quelle specializzate in produzioni high tech saranno caratterizzate da una maggiore intensità esportativa rispetto a quelle impegnate in comparti tradizionali.