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La guerra di Troia: un paradigma mitico “propagandistico”

5.3 Isocrate: «il contagio epico»

Nel corso di questo lavoro è stata evidenziata a più riprese la prossimità dei discorsi di Isocrate alle opere dei poeti, con i quali l’oratore condivide una ‘missione’ paideutica nei confronti del proprio uditorio (Antidosi §§46-47). Anche per questo, si è osservato, Isocrate ritiene di essere relativamente libero di impiegare miti narrati da Omero e portati in scena dagli autori tragici, poiché adatti non solo a formare l’élite dei suoi studenti, ma anche ad intrattenere e persuadere le masse (cfr. Ad Nic. 49)368. Pure, l’oratore si propone di non manipolare la verità e non abbellire gli exempla tratti

366 Sulla peculiarità di Isocrate, che sceglie talora una versione elogiativa del conflitto cfr. Gotteland (2001 : 229): «(…) ce n’est pas un hasard si l’orateur qui exploite cette version, Isocrate, est justement un homme qui sent que la rivalité entre les cités grecques est un obstacle majeur à leur survie politique, qui les engage donc à oublier leurs différends, qui prône une reprise de la lutte contre la Perse dans un cadre panhellénique, et qui n’hésite pas à chercher s’il faut hors d’Athènes l’homme capable de réunir sous son autorité l’ensemble des troupes grecques». Esemplifica perfettamente questa ‘doppia modalità’ l’uso del paradigma nel Filippo (§§111-112), dove l’oratore sminuisce la spedizione di Troia, confrontandola con la cosiddetta ‘prima guerra di Troia’, quella guidata da Eracle contro Laomedonte (su cui cfr. Apollod. 2.5.9 e 2.6.4): ποιησάμενος γὰρ στρατείαν ἐπὶ Τροίαν, ἥ περ εἶχε τότε μεγίστην δύναμιν τῶν περὶ τὴν Ἀσίαν, τοσοῦτον διήνεγκε τῇ στρατηγίᾳ τῶν πρὸς τὴν αὐτὴν ταύτην ὕστερον πολεμησάντων. ὅσον οἱ μὲν μετὰ τῆς τῶν Ἑλλήνων δυνάμεως ἐν ἔτεσι δέκα μόλις αὐτὴν ἐξεπολιόρκησαν, ὁ δ᾽ ἐν ἡμέραις ἐλάττοσιν ἢ τοσαύταις καὶ μετ᾽ ὀλίγων στρατεύσας ῥᾳδίως αὐτὴν κατὰ κράτος εἷλεν. Si osservi ancora una volta la medesima costruzione (τοσοῦτον… ὅσον), un verbo che indica superiorità (διήνεγκε), l’opposizione mediante correlazione di μέν e δέ e soprattutto il contrasto sulla durata della spedizione, la portata di questa e le forze dispiegate per l’assedio. La prima guerra di Troia viene invece impiegata come paradigma protrettico per Filippo, che deve allora ispirarsi a Eracle nel guidare una spedizione di tutti i Greci contro i barbari, risolvendo prima i conflitti tra le varie πόλεις. Infatti, fu solo dopo aver sedato le lotte interne che l’eroe riuscì a portare i Greci a Troia: σκέψαι δ᾽ ὅτι σε τυγχάνω παρακαλῶν, ἐξ ὧν ποιήσει τὰς στρατείας οὐ μετὰ τῶν βαρβάρων ἐφ᾽ οὓς οὐ δίκαιόν ἐστιν, ἀλλὰ μετὰ τῶν Ἑλλήνων ἐπὶ τούτους πρὸς οὓς προσήκει τοὺς ἀφ᾽ Ἡρακλέους γεγονότας πολεμεῖν (§115). Le due funzioni (denigratoria e celebrativa) risultano quindi coniugate.

367 Prendo in prestito l’espressione di Nouhaud («contagion épique» 1962: 16), quando parla dell’estensione con cui viene impiegato il paradigma della guerra di Troia. Sull’impiego del ciclo omerico da parte di Isocrate cfr. in particolare Alexiou (1998).

dalla preistoria mitica, più esposta alle alterazioni369: egli è perciò più affidabile dei

poeti, che talora inventano del tutto i propri racconti. In questo contesto il ricordo di episodi e personaggi della guerra di Troia, narrata attenendosi alla «verità dei fatti» (cfr. Evagora §66 εἰ τοὺς μύθους ἀφέντες τὴν ἀλήθειαν σκοποῖμεν), per Isocrate non trova posto soltanto come parallelo negativo delle imprese successive, ma acquista una sua autonomia e autorità in quanto exemplum protrettico rivolto ai Greci tutti.370 Suggestivo allora il modo in cui Isocrate viene presentato da Cicerone nel De

oratore: Ecce tibi est exortus Isocrates, magister istorum omnium, cuius e ludo tamquam ex equo Troiano meri principes exierunt (Cic. De oratore 2.94)371, perché si può notare incidentalmente quanta fortuna abbia anche nei secoli successivi l’impresa di Troia come paradigma; in questo caso esso viene impiegato da Cicerone per enfatizzare l’ottima qualità degli studenti della scuola di Isocrate, nonché la loro apparizione inattesa nella storia. E proprio Isocrate a sua volta adopera gli eroi,

principes omerici, come modelli imperituri di virtù per i suoi studenti. Così che

l’opera di Omero viene considerata dall’oratore un esempio per i giovani, dai connotati e risvolti politici (Panegirico §159):

οἶμαι δὲ καὶ τὴν Ὁμήρου ποίησιν μείζω λαβεῖν δόξαν, ὅτι καλῶς τοὺς πολεμήσαντας τοῖς βαρβάροις ἐνεκωμίασε, καὶ διὰ τοῦτο βουληθῆναι τοὺς προγόνους ἡμῶν ἔντιμον αὐτοῦ ποιῆσαι τὴν τέχνην ἔν τε τοῖς τῆς μουσικῆς ἄθλοις καὶ τῇ παιδεύσει τῶν νεωτέρων, ἳνα πολλάκις ἀκούοντες τῶν ἐπῶν ἐκμανθάνωμεν τὴν ἔχθραν τὴν ὑπάρχουσαν πρὸς αὐτούς, καὶ ζηλοῦντες τὰς ἀρετὰς τῶν στρατευσαμένων τῶν αὐτῶν ἔργων ἐκείνοις ἐπιθυμῶμεν.

Ritengo anzi che la poesia di Omero detenga una fama maggiore, poiché essa ha elogiato in modo splendido coloro che combatterono contro i barbari, e per questo i nostri padri vollero che l’arte di quel poeta avesse un posto d’onore tra

369 È opportuno ricordare, con Nicolai, che sebbene storia antica e storia recente siano messe sullo stesso piano (così nel §8 del Panegirico), «comunanza di funzioni non implica ovviamente identità di statuto».

370 Bearzot (1981: 108 ss.) osserva che Isocrate propone exempla mitici tanto ad individui singoli, come il paradigma di Eracle a Filippo (§§113-115), o ad Archidamo (§8), quanto all’intera comunità. Il paradigma della guerra di Troia rappresenterebbe allora (ivi, 111) un «esempio morale da proporre, anziché ad un individuo, ad un intero popolo: il che apre enormi possibilità sul piano propagandistico». Cfr. Calame (2015: 78): «l’orateur et philosophe Isocrate attribue aux hymnes et aux tragédies qui chantent les héros de la guerre de Troie une valeur éducative ; celle-ci se réalise dans le plaisir que procurent, auprès d’un auditoire populaire, la narration épique récitée ou la mise en scène dramatique d’actions héroïques».

i certami poetici e nell’educazione dei giovani, perché ascoltando spesso quei versi, noi imparassimo a memoria l’odio che sussiste contro di loro, e perché, spinti dall’ammirazione delle virtù di coloro che combatterono allora, noi ne emulassimo le gesta.

È stato solo perché Omero ha scelto di elogiare i Greci nello scontro con i barbari che ha ottenuto una fama maggiore rispetto ad altri autori che non hanno narrato lo stesso tema. Viene espressa qui chiaramente la funzione educativa della poesia: i contenuti del poema omerico sono stati infatti impiegati dagli antenati per istruire i più giovani all’odio contro i barbari, che si è allora mantenuto nel tempo non solo a causa della situazione politica (conflitto tra Greci e Persiani nel primo V secolo), ma anche per merito della recitazione di Omero.372 Il presupposto è quindi ancora una volta l’interpretazione della guerra di Troia come primo scontro panellenico; in questo caso, tuttavia, essa non viene posta in relazione alle guerre persiane, ma viene considerata di per sé, nel suo valore esemplare, in quanto «capace di suscitare nei Greci l’imperativo morale alla guerra contro il barbaro»373, ed indurre nel contempo

all’emulazione della virtù (τῶν αὐτῶν ἔργων ἐκείνοις ἐπιθυμῶμεν).

Allo stesso modo, nei paralleli successivi proposti da Isocrate, non vige il confronto tra la guerra di Troia e i conflitti posteriori, bensì tra l’episodio epico e la situazione attuale: i contemporanei devono cioè prendere spunto dalla prima spedizione panellenica e dai suoi eroi374; come del resto fecero gli antenati già all’epoca della colonizzazione dell’Asia Minore (Panatenaico §42)375:

οἱ μὲν τοίνυν ἡμέτεροι πρόγονοι φανήσονται τήν τε πρὸς τοὺς Ἕλληνας ὁμόνοιαν καὶ τὴν πρὸς τοὺς βαρβάρους ἔχθραν, ἣν παρέλαβον ἐκ τῶν Τρωικῶν, διαφυλάττοντες καὶ μένοντες ἐν τοῖς αὐτοῖς. 372 Cfr. Alexiou (1998: 289) 373 Bearzot (1981: 110)

374 Si osservi che nel menzionare la funzione educativa dell’episodio omerico, Isocrate ne giustifica l’inserimento nella propria orazione per la stessa finalità. Cfr. Too (1995: 138): «With this statement the rhetorician provides us with justification for celebrating his own prose».

375 L’obiettivo del Panatenaico (342-339 a.C. ca.) è in primo luogo la gloria di Atene, posta a confronto con Sparta: gli antenati (οἱ πρόγονοι) sono in questo passo gli Ateniesi, che secondo Isocrate presero spunto dalla guerra di Troia sin dall’epoca della colonizzazione dell’Asia Minore (cfr. Paneg. §34); gli Spartani, invece, in quello stesso periodo si astennero da una politica del genere, «cioè dal combattere contro i Barbari e intervenire in aiuto dei Greci» (Λακεδαιμόνιοι δὲ περὶ τὸν αὐτὸν χρόνον τοσοῦτον ἀπέσχον τοῦ πράττειν τι τῶν αὐτῶν τοῖς ἡμετέροις καὶ τοῦ τοῖς μὲν βαρβάροις πολεμεῖν τοὺς δ᾽ Ἕλληνας εὐεργετεῖν Panath. §45). Sull’interpretazione complessa del Panatenaico si vedano Schäublin (1982); Natoli (1991); Codoñer (1998); Ghirga e Romussi (1998: 411-414).

Risulterà chiaro che i nostri antenati conservarono e mantennero la concordia verso i Greci e l’odio nei confronti dei barbari, che ereditarono dai fatti di Troia.

Anche in questo caso gli eventi di Troia costituiscono l’exemplum primo della concordia (ὁμόνοια) tra i Greci e dell’odio (ἔχθρα) contro i barbari, due concetti chiave della proposta politica isocratea376; essi sono infatti già presenti nel Panegirico, composto poco dopo la Pace di Antalcida, che privava Atene delle sue mire imperialistiche.377 Questo trattato, avverte Isocrate nella sua orazione, è stato concluso totalmente a favore dei barbari (§§176-177); in esso non è stato riservato alcun riconoscimento ad Atene, né a Sparta (νῦν δὲ τῇ μὲν ἡμετέρα πόλει καὶ τῇ Λακεδαιμονίων οὐδεμίαν τιμὴν ἀπένειμαν §178), ma, al contrario, i patti hanno reso i barbari signori e padroni di tutta l’Asia (τὸν δὲ βάρβαρον ἁπάσης τῆς Ἀσίας δεσπότην κατέστησαν §178). Così, al termine del suo discorso, Isocrate impiega più chiaramente la guerra di Troia come un precedente che impone un’analoga, o migliore, condotta in una situazione di evidente gravità (Panegirico §§181-182):

καὶ γὰρ αἰσχρὸν (…) καὶ τοὺς μὲν περὶ τὰ Τρωικὰ γενομένους μιᾶς γυναικὸς ἁρπασθείσης οὕτως ἅπαντας συνοργισθῆναι τοῖς ἀδικηθεῖσιν, ὥστε μὴ πρότερον παύσασθαι πολεμοῦντας πρὶν τὴν πόλιν ἀνάστατον ἐποίησαν τοῦ τολμήσαντος ἐξαμαρτεῖν, ἡμᾶς δ᾽ ὅλης τῆς Ἑλλάδος ὑβριζομένης μηδεμίαν ποιήσασθαι κοινὴν τιμωρίαν, ἐξὸν ἡμῖν εὐχῆς ἄξια διαπράξασθαι. (…)

ed è una vergogna (…) anche che i contemporanei della guerra di Troia, per il rapimento di una sola donna, si indignarono tutti, solidali con chi aveva subito l’oltraggio, così che non cessarono di combattere prima di aver raso al suolo la città del temerario colpevole, e che noi, invece, ora che tutta la Grecia è

376 Cfr. Paneg. 3: ἥκω συμβουλεύσων περί τε τοῦ πολέμου τοῦ πρὸς τοὺς βαρβάρους καὶ τῆς ὁμονοίας τῆς πρὸς ἡμᾶς αὐτούς; Panath. 13: ἐμὲ δὲ τῶν λόγων ἡγεμόνα τούτων γεγενημένον, τῶν παρακαλούντων τοὺς Ἕλληνας ἐπί τε τὴν ὁμόνοιαν τὴν πρὸς ἀλλήλους καὶ τὴν στρατείαν τὴν ἐπὶ τοὺς βαρβάρους. L’idea dell’eredità torna anche per definire i barbari, che sono appunto «nemici naturali ed ereditari» (οἱ καὶ φύσει πολέμοι καὶ πατρικοὶ ἐχθροί §184).

377 Secondo Perlman (1976: 27) Isocrate nel Panegirico (380 a.C.) non ha in mente il superamento della struttura delle πόλεις e di fatto la ricerca dell’ὁμόνοια sarebbe strumentale alla necessità di ripristinare l’egemonia ateniese: «action against Persia would also stop quarrels among the Greek cities. The anti-Persian propaganda and the attack on the King's Peace in Panhellenic spirit was part of a political plan to change the position of Athens and to bring peace and freedom to the Greek poleis themselves». Per Green (1996: 21) il Panellenismo di Isocrate è «genuine enough », ma l’oratore guarda pur sempre agli interessi della πόλις ateniese e dei proprietari terrieri («property owners »): «pack the troublemakers off overseas to fight as a "volunteer" army, with land as the bait, and security for bien-pensants at home as the real goal».

oltraggiata, non la vendichiamo affatto tutti insieme, pur potendo compiere azioni degne dei nostri auspici. (…)

Già ai paragrafi 83-84 l’oratore aveva richiamato l’exemplum della guerra di Troia: in quel caso esso era funzionale a mettere in luce la superiorità delle guerre persiane. Come osserva Sophie Gotteland, il confronto tra i paragrafi 83-84 e 181-182 è «extrêmement instructive», perché prova ancora una volta come Isocrate pieghi il mito ai propri fini persuasivi.378 Nel secondo passo, infatti, la guerra di Troia è presentata come un modello da imitare, tanto più che le motivazioni che ora dovrebbero spingere ad una spedizione panellenica hanno un peso maggiore di quelle che indussero gli eroi omerici alla loro impresa.Questa volta, infatti, sono le cause del conflitto a costituire l’oggetto della comparazione: i Greci del passato furono oltraggiati per il rapimento di Elena, quelli di ora sono offesi da una pace ignominiosa, che ha reso i firmatari schiavi dei barbari (cfr. §175); per il ratto di un’unica donna i Greci si unirono tutti, per la sottrazione della libertà nessuno si è ancora mosso a vendetta.

In questa occasione, quindi, la volontà di Isocrate non è sminuire gli eventi di Troia, ma presentarli piuttosto come un esempio protrettico che traduca i consigli politici che egli ha distribuito per tutta l’orazione. Si noti infatti la differenza tra questo passaggio ed uno molto simile, presente ancora in Iperide (6, 36):

κἀκεῖνοι μὲν ἕνεκα μιᾶς γυναικὸς ὑβρισθείσης ἤμυναν, ὁ δὲ πασῶν τῶν Ἑλληνίδων τὰς ἐπιφερομένας ὕβρεις ἐκώλυσεν, μετὰ τῶν

συνθαπτομένων νῦν αὐτῷ ἀνδρῶν.

Loro (scil. i Greci che combatterono a Troia) vendicarono l’oltraggio subito da una sola donna, egli (scil. Leostene), invece, assieme agli uomini che ora sono sepolti con lui impedì i soprusi rivolti a tutte le donne greche.

È significativo che tanto nel Panegirico quanto nell’Orazione funebre di Iperide il parallelo si basi sulle motivazioni del conflitto, originato dal rapimento di Elena. In Iperide, tuttavia, la menzione del fatto che i Greci abbiano condotto la spedizione a Ilio per vendicare l’oltraggio subito dalla Spartana è ancora volta a dimostrare la superiorità di Leostene, che, con la sua impresa, ha liberato non una, ma tutte le donne greche dal rischio dei soprusi ad opera del nemico barbaro. Le gesta degli eroi omerici

risultano così nuovamente svalutate, perché generate da una causa dappoco se posta in relazione a quella che motivò l’agire di Leostene. In Isocrate il senso della comparazione è differente: il fatto che i Greci abbiano assediato Troia per ben dieci anni, per il solo motivo di vendicare una donna, dovrebbe esortare i contemporanei a fare altrettanto, pena la vergogna (αἰσχρόν) di non aver seguito l’esempio degli antenati; tanto più che, adesso, l’onta subita va al di là di fatti di donne.379

In effetti, con il rapimento di Elena, i Greci della spedizione a Troia si sdegnarono proprio come se fosse stata saccheggiata tutta la patria (Elena 49):

τίς δ᾽ ἂν τὸν γάμον τὸν Ἑλένης ὑπερεῖδεν, ἧς ἁρπασθείσης οἱ μὲν Ἕλληνες οὕτως ἠγανάκτησαν ὥσπερ ὅλης τῆς Ἑλλάδος πεπορθημένης, οἱ δὲ βάρβαροι τοσοῦτον ἐφρόνησαν, ὅσον περ ἂν εἰ πάντων ἡμῶν ἐκράτησαν. δῆλον δ᾽ ὡς ἑκάτεροι διετέθησαν· πολλῶν γὰρ αὐτοῖς πρότερον ἐγκλημάτων γενομένων περὶ μὲν τῶν ἄλλων ἡσυχίαν ἦγον, ὑπὲρ δὲ ταύτης τηλικοῦτον συνεστήσαντο πόλεμον οὐ μόνον τῷ μεγέθει τῆς ὀργῆς ἀλλὰ καὶ τῷ μήκει τοῦ χρόνου καὶ τῷ πλήθει τῶν παρασκευῶν ὅσος οὐδεὶς πώποτε γέγονεν.

Chi dunque avrebbe disprezzato le nozze con Elena, per il rapimento della quale i Greci si sdegnarono proprio come se fosse stata saccheggiata tutta quanta la Grecia, mentre i barbari si inorgoglirono a tal punto, come se avessero assunto il potere su tutti noi. È chiaro che gli uni e gli altri erano così disposti: infatti, sebbene anche prima ci fossero motivi di dissenso tra loro, per tutti gli altri mantennero la pace, per lei invece generarono una guerra tale quale mai nessuna era stata, non solo per la violenza dell’ira, ma anche per la durata e l’ampiezza dei mezzi.

La situazione passata e quella odierna sembrano quindi paragonabili, ma le circostanze attuali sono comunque più gravi: i barbari di allora (i Troiani) si comportavano come se avessero assunto il potere sui Greci (ὅσον περ ἂν εἰ πάντων ἡμῶν ἐκράτησαν), quelli di ora (i Persiani) lo hanno realmente ottenuto. I Greci, pertanto, dovrebbero essere piuttosto grati a Elena (Elena §67):

(...) χωρὶς γὰρ τεχνῶν καὶ φιλοσοφιῶν καὶ τῶν ἄλλων ὠφελειῶν, ἃς ἔχοι τις ἂν εἰς ἐκείνην καὶ τὸν πόλεμον τὸν Τρωϊκὸν ἀνενεγκεῖν, δικαίως ἂν

379 Bearzot (1981: 111) giustamente parla di «un’adesione fattiva in mancanza della quale, da modello esemplare, si trasforma in paragone umiliante e vergognoso (αἰσχρόν).

καὶ τοῦ μὴ δουλεύειν ἡμᾶς τοῖς βαρβάροις Ἑλένην αἰτίαν εἶναι νομίζοιμεν. εὑρήσομεν γὰρ τοὺς Ἕλληνας δι᾽ αὐτὴν ὁμονοήσαντας καὶ κοινὴν στρατείαν ἐπὶ τοὺς βαρβὰρους ποιησαμένους, καὶ τότε πρῶτον τὴν Εὐρώπην τῆς Ἀσίας τρόπαιον στήσασαν: (…)

A parte le arti e gli studi filosofici e tutti gli altri benefici che uno potrebbe riferire a lei e alla guerra di Troia, sarebbe giusto che giudicassimo Elena la causa per cui non siamo schiavi dei barbari. Troveremo infatti che grazie a lei i Greci si accordarono e fecero una spedizione comune contro questi ultimi, e allora per la prima volta l’Europa impose un trofeo sull’Asia: (…)

Secondo Kennedy, l’Elena deve essere valutato più come un elogio della Grecità che della stessa Elena e costituirebbe in questo senso la controparte del Panegirico380. Come quest’ultimo, infatti, anche l’orazione dedicata ad Elena, considerata tradizionalmente un esercizio stilistico, proporrebbe invece un messaggio politico che anticiperebbe i contenuti dell’orazione che Isocrate indirizzò a tutti i Greci nel 380 (o ne sarebbe contemporaneo)381; l’offesa ricevuta da Elena portò infatti i Greci ad unirsi

contro i barbari per la prima volta, in una guerra senza precedenti per portata di forze coinvolte e per durata382; da allora gli antenati continuarono a estendere i propri

domini affermandosi sugli avversari: μετὰ δ᾽ ἐκεῖνον τὸν πόλεμον τοσαύτην ἐπίδοσιν τὸ γένος ἡμῶν ἔλαβεν ὥστε καὶ πόλεις μεγάλας καὶ χώραν πολλὴν ἀφελέσθαι τῶν

380 Kennedy (1958: 80): «I should like to apply the hypothesis that the work is to be regarded as a praise of Hellenism rather than Helen throughout». Secondo Kennedy, in particolare, l’encomio di Elena sarebbe «a fanciful counterpart to the Panegyricus, designed to show that a rhetorical exercises taught and practised by educators need not to be trivial but may (...) contain serious political thought» e non piuttosto un παίγνιον.

381 L’Encomio di Elena viene datato ad un periodo compreso tra il 395 e il 390 (cfr. Ghirga e Romussi 1993: 76), insieme al Busiride e all’orazione Contro i Sofisti. La datazione però è incerta. Anche Zajonz (2002: 58-59) collocherebbe il testo tra il 393/2 e il 380 («man sich mit der groben Datierung zwischen 393/2 und 380 wird begnügen müssen»). Per Zajonz il terminus post quem è la fondazione della scuola isocratea, dato che nel proemio dell’Elena ci sono molti elementi di contatto con l’orazione Contro i Sofisti, e nell’Antidosis (15, 193) Isocrate dice di aver composto quest’ultima orazione all’inizio della sua carriera (ὅτ᾽ ἠρχόμην περὶ ταύτην εἶναι τὴν πραγματείαν); il terminus ante

quem sarebbe invece costituito dal Panegirico (380 a.C.) in quanto difficilmente dopo un’opera di

ampio respiro quale il Panegirico Isocrate sarebbe tornato a discorsi programmatici come l’Elena: «Nach der Behandlung der großen politischen Themen wird sich Isokrates kaum auf das Niveau von Musterreden nach Art der Helena zurückbegeben haben».

382 Si osservi ancora che l’espressione ‘innalzare un trofeo sui barbari’ (τότε πρῶτον τὴν Εὐρώπην τῆς Ἀσίας τρόπαιον στήσασαν) viene qui impiegata a proposito della guerra di Troia, quando invece altrove essa ricorre a proposito delle guerre persiane. In particolare negli Epitafi: Menesseno 240d: πρῶτοι στήσαντες τρόπαια τῶν βαρβάρων, Lys. 2.25: ἔστησαν μὲν τρόπαιον ὑπὲρ τῆς Ἑλλάδος τῶν βαρβάρων ἐν τῇ αὑτῶν. Come si è visto, infatti, molto spesso l'esempio della guerra di Troia negli epitafi viene omesso a tutto vantaggio delle guerre persiane. Così anche in Isocr. 4.87, Lyc.1.73.

βαρβάρων (§68). Quale che sia l’obiettivo dell’Encomio di Elena383, questa ‘esegesi

panellenica’ della vicenda narrata da Omero sussiste a prescindere da una lettura politica o in chiave puramente retorica dell’orazione. Inoltre, proprio come nel

Panegirico (§159), viene ribadita l’osservazione secondo la quale fu grazie ai suoi

contenuti che il poema di Omero divenne così famoso; Elena infatti apparve ad Omero chiedendogli di rendere omaggio ai Greci deceduti a Troia (Elena §65) :

Dicono anche alcuni degli Omeridi che, apparsa ella di notte ad Omero (ὡς ἐπιστᾶσα τῆς νυκτὸς Ὁμήρῳ), gli chiese di comporre un poema su coloro che avevano combattuto a Troia (προσέταξε ποιεῖν περὶ τῶν στρατευσαμένων ἐπὶ Τροίαν), volendo rendere la loro morte più invidiabile della vita degli altri (ζηλωτότερον ἢ τὸν βίον τὸν τῶν ἄλλων καταστῆσαι): e in parte per l’arte di Omero, ma soprattutto grazie a lei, il suo poema è così ricco di fascino ed è divenuto tanto noto presso tutti gli uomini (καὶ μέρος μέν τι καὶ διὰ τὴν Ὁμήρου τέχνην, μάλιστα δὲ διὰ ταύτην οὕτως ἐπαφρόδιτον καὶ παρὰ πᾶσιν ὀνομαστὴν αὐτοῦ γενέσθαι τὴν ποίησιν).

La guerra senza precedenti diviene quindi un precedente a cui ispirarsi, anche in considerazione della sua fama (Panegirico §186):

φήμην δὲ καὶ μνήμην καὶ δόξαν πόσην τινὰ χρὴ νομίζειν ἢ ζῶντας ἕξειν ἢ τελευτήσαντας καταλείψειν τοὺς ἐν τοῖς τοιούτοις ἔργοις ἀριστεύσαντας; ὅπου γὰρ οἱ πρὸς Ἀλέξανδρον πολεμήσαντες καὶ μίαν πόλιν ἑλόντες τοιούτων ἐπαίνων ἠξιώθησαν, ποίων τινῶν χρὴ προσδοκᾶν

383 L’interpretazione dell’Elena è infatti molto discussa. Oltre alla lettura di Kennedy, è possibile dar conto di quella di Poulakos (1986), secondo cui è necessario porre l’accento sulla bellezza di Elena come elemento unificante del discorso, il quale avrebbe allora un valore simbolico: come Elena era stata una donna bellissima che aveva indotto l’unione dei Greci in un’impresa comune, così l’eloquenza è il bel discorso capace di attrarre e influenzare gli uomini, e il bel discorso per eccellenza è quello di Isocrate. Giuliani (1998: 43 n. 45) rifiuta questa «lettura schematizzante» e si dice più vicino alla posizione di Papillon (1996), per il quale l’interesse nell’oratore sta nel costruire un’Elena capace di creare «action and reaction » (ivi, 385) e in particolare: «Helen is to be commended, for by offering an image of beauty (as in Poulakos) she brings unity (as in Kennedy), encourages noble action by those around her, and pro-motes Isocrates' idea of the need for a "Persian" destruction». L’obiettivo di Isocrate sarebbe ciòè l’encomio di un grande personaggio; se poi questo porta con sé un messaggio panellenico «all the better» (ivi, 386). Ritengo appropriata nel contesto di questo lavoro l’osservazione di Zagagi (1985: 76): «The speech Ἑλένης Ἐγκώμιον by Isocrates may have had political implications in his own time. (...) Whatever the truth of the matter, whether we are concerned here with a bright rhetorical exercise in mythology, or with a treatise with an implicit political vein, Helen's figure bears much more charm when reflected in the mirror of history than in the mirror of tragedy». Sull’uso del paradigma della Guerra di Troia nell’Elena cfr. Zajonz (2002: 32 e pp. 37-57 per il problema interpretativo dell’orazione).

ἐγκωμίων τεύξεσθαι τοὺς ὅλης τῆς Ἀσίας κρατήσαντας; τίς γὰρ ἢ τῶν ποιεῖν δυναμένων ἢ τῶν λέγειν ἐπισταμένων οὐ πονήσει καὶ φιλοσοφήσει βουλόμενος ἅμα τῆς θ᾽ αὑτοῦ διανοίας καὶ τῆς ἐκείνων ἀρετῆς μνημεῖον εἰς ἅπαντα τὸν χρόνον καταλιπεῖν;

Quale fama, ricordo, gloria bisogna credere che otterranno da vivi o lasceranno di sé una volta morti gli uomini che primeggiarono in simili imprese? Infatti se coloro che combatterono contro Alessandro e conquistarono una sola città meritarono tali lodi, quali elogi dobbiamo aspettarci che guadagnino i dominatori dell’intera Asia? Chi infatti, tra i poeti e gli oratori, non si metterà all’opera ed escogiterà il modo per lasciare un monumento imperituro del suo ingegno e del loro valore?

Nel caso in cui né l’esortazione alla vendetta degli oltraggi subiti, né la minaccia dell’onta derivante dal non aver saputo prendere a modello i propri avi (§§181-182) fossero motivazioni sufficienti, Isocrate dà qui un ulteriore incentivo ai suoi contemporanei perché muovano guerra contro la Persia: imitare i Greci che combatterono a Troia (e superarli) significa infatti anche ottenere la loro stessa fama, se non addirittura una fama maggiore. L’argomento ricorda quello di Pericle nell’Epitafio, nella misura in cui entra in gioco la promessa della gloria poetica; lo stratega ateniese contrapponeva tuttavia la fama procurata agli eroi dalla poesia di Omero e dall’opera dei logografi alla rinomanza immortale conseguita dagli Ateniesi nelle lotte contro i Persiani in epoca più recente. Isocrate suggerisce invece la possibilità di aspirare a lodi simili, anzi di riceverne di maggiori, e per di più non solo in poesia, ma anche nelle orazioni. Ancora, l’antitesi ‘una sola città’ (μίαν πόλιν ἑλόντες) / ‘l’Asia intera’ (τοὺς ὅλης τῆς Ἀσίας κρατήσαντας), già presente nelle orazioni funebri ma anche in Evagora e nello stesso Panegirico, contribuisce a convincere i contemporanei della possibilità di una gloria addirittura superiore e davvero imperitura. La promessa infatti è che se gli antenati, per aver espugnato un’unica città, sono divenuti tanto celebri, i loro discendenti possono giustamente aspettarsi lodi ancora maggiori dalla conquista dell’Asia intera. Il paradigma della guerra di Troia diviene pertanto un metro a cui fare riferimento: come osserva Alexiou «per un grado ancora maggiore [di fama] sono necessari nuovi successi».384

384 Alexiou (1996: 292): «Η εξύμνηση του Τρωικού πολέμου είναι το μέτρο των επαινων που σε πολλαπλάσιο βαθμό θα αναμένει τις νέες επιτυχίες. Ο Ισοκράτης προαναγγέλλει τη δεσμευση των