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Da “Isola del mito” a baluardo della Fortezza Europa

4.1. Terra di partenza, luogo di arrivo: le ragioni storiche dell’immigrazione in Sicilia

Nel passaggio da movimenti demand-oriented a movimenti supply-oriented – «più duttili dei precedenti e capaci di espandersi anche in situazioni ambientali poco propizie al loro sviluppo»1 –, le migrazioni hanno dimostrato di saper interpretare le peculiarità del territorio e di adeguarsi alle caratteristiche strutturali che lo connotano, sfruttandone al meglio le opportunità anche quando scarse e precarie2. Trattandosi di fenomeni “complessi” e “totali” 3

, che coinvolgono i diversi aspetti degli assetti societari e produttivi, gli spostamenti umani sono rivelatori sia dell’organizzazione sociale, politica ed economica di ciascuna società, sia delle sue relazioni con le altre società4. Da questo punto di vista, la mobilità migratoria verso il contesto regionale siciliano rappresenta un caso davvero emblematico.

La Sicilia si configura come un avamposto dell’Europa nel Mediterraneo, costituendone il suo confine più meridionale ed anche quello maggiormente esposto agli ingressi dalle coste africane5. In virtù di questa sua cruciale posizione geografica, l’Isola è stata investita dal fenomeno sin dalle prime fasi storiche che hanno collocato l’Italia – e, più in generale, gli stati dell’Europa del Sud – nello scenario degli spostamenti di popolazione, accompagnandone il noto passaggio da paese di emigrazione a bacino (anche) di immigrazione. Da quando la regione ha sperimentato l’arrivo dei primi nord-africani nella

1

C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna 1998, p. 89.

2

E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna 2002.

3

L. Perrone, Porte chiuse. Culture e tradizioni africane attraverso le storie di vita, Liguori, Napoli 1995.

4

A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002 (ed. or. 1999), p. X.

5

T. Consoli (a cura di), Il fenomeno migratorio nell’Europa del Sud. Il caso siciliano tra stanzialità e

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provincia trapanese6, l’immigrazione è stata interpretata come una “disgrazia sociale”, «un flusso da controllare per mezzo di circolari contraddittorie e da reprimere ciclicamente con gli strumenti normativi offerti dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza datato 1931»7, in una duplice tensione tra un rifiuto formale della forza lavoro migrante ed una sua inclusione di fatto nel tessuto produttivo locale. In tale direzione, l’Isola costituisce il “luogo” privilegiato dal quale analizzare le forme con le quali si è evoluto il modello nazionale ed europeo di governance delle migrazioni internazionali. Riflettere analiticamente sugli elementi che hanno contraddistinto, sin dagli anni Settanta, la gestione siciliana dei movimenti dei popoli dalle coste sud del Mediterraneo può infatti aiutarci a comprendere meglio le contraddizioni che si accompagnano al securitarismo delle attuali politiche migratorie, ma anche il forte spirito adattivo che connota i percorsi di inserimento sociale ed occupazione dei cittadini stranieri nella nostra penisola.

4.1.1. L’immigrazione in Sicilia tra vincoli costrittivi e scelte soggettive dei cittadini stranieri

La Sicilia, da circa un quarantennio, è stata oggetto di molteplici ricerche e rappresenta ancora oggi un’area di particolare interesse in ragione delle caratteristiche che l’insediamento di alcune comunità di immigrati ha assunto nei diversi contesti territoriali.

6

Per un approfondimento sui primi studi sulle migrazioni in Sicilia si rimanda a: A. Cusumano, Il ritorno

infelice. I tunisini in Sicilia, Sellerio, Palermo 1976; G. Corsentino, Gli arabi paesani. Inchiesta sui giovani oggi, Celebes, Palermo 1977; R. Rovelli, Le immigrazioni nordafricane (1968-1977) e la realtà socio- economica del trapanese, in «Il Ponte», Vol. 34, n. 5, 1978, pp. 497-509; C. Caldo, Immigrati arabi in Sicilia, Eurostudio, Palermo 1981; Ministero dell’Interno, L’immigrazione araba in Italia e in Sicilia,

Ricerche, Documentazione e Studi della Direzione generale dei servizi civili, Roma 1981; E. Piazza, La

comunità tunisina di Mazara del Vallo, in «Affari Sociali Internazionali», n. 4, 1982; V. Guarrasi (a cura di), Studio sulla presenza dei lavoratori stranieri in Sicilia, Cris, Palermo 1983; S. Miceli, La comunicazione negata. I tunisini a Mazara, Quaderni del Laboratorio Antropologico dell’Università di Palermo, Palermo

1984; H. Slama, …e la Sicilia scoprì l’immigrazione tunisina, Inca-Cgil, Palermo 1986; S. Sgroi, Due

continenti, un territorio: l’immigrazione tunisina in Sicilia, in «Sociologia urbana e rurale», n. 27, 1988, pp.

43-76; S. Sgroi, L’immigrazione tunisina in Sicilia: condizioni e rappresentazioni sociali, in «Sociologia urbana e rurale», n. 29, 1989, pp. 141-166; M.G. Giacomarra, Immigrati e minoranze. Percorsi di

integrazione in Sicilia, La Zisa, Palermo 1994.

7

A. Cusumano, Quando il Sud diventa Nord. Le ragioni di una migrazione, in «Archivio Antropologico Mediterraneo», Anno I, n. 1, 1997, p. 23.

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Anche se le indagini sulle migrazioni internazionali hanno prodotto una mole ormai considerevole di riflessioni e di risultati empirici, rimane ancora oggi forte l’esigenza di studiare i mutamenti che la presenza degli stranieri ha contribuito ad avviare nel sistema economico e culturale italiano ed i processi storici che hanno fatto da sfondo al loro radicamento.

Considerate spesso solo “migrazioni di ripiego”8, indotte dalla porosità dei confini marittimi e dalla prossimità spaziale dell’Isola con gli stati dell’Africa settentrionale, i movimenti umani verso la regione andrebbero in realtà interpretati alla luce dell’antico legame istituitosi già a partire dal Cinquecento tra le due sponde del Mediterraneo9. Se è vero, infatti, che – come è stato osservato – una «emigrazione non è mai spontanea né casuale»10, né può essere concepita come una semplice risposta meccanica ai condizionamenti strutturali provenienti dall’esterno, è altrettanto vero che la graduale stabilizzazione dei fenomeni di immigrazione in una terra, come la Sicilia, segnata da una secolare esportazione di manodopera richieda una spiegazione che vada ben oltre i soli vincoli costrittivi frappostisi alle scelte dei migranti11. Nella ricerca dei fattori che presiedono alla genesi degli spostamenti migratori verso la regione, particolare attenzione deve essere dedicata alla storia degli scambi culturali, economici e commerciali istituitisi

8

L. Perrone, L’immigrazione sulle coste del Sud, in Lunga vita a Sancho Panza. Immigrati clandestini. Le

politiche degli altri, le politiche nostre, le politiche umane e lungimiranti, numero monografico di «Isig»,

Trimestrale di Sociologia Internazionale, Anno X, n. 2-3, settembre, 2001, p. 13.

9

Tra gli altri, confronta F. Gabrieli, U. Scerrato, Gli arabi in Italia. Cultura, contatti e tradizioni, Garzanti- Scheiwiller, Milano 1979; G. Bonaffini, Sicilia e Maghreb tra Sette e Ottocento, Sciascia, Caltanissetta- Roma 1991.

10

A. Cusumano, Quando il Sud diventa Nord. Le ragioni di una migrazione, cit., p. 19.

11

Con ciò non intendiamo negare il ruolo dei condizionamenti esercitati in questo specifico periodo storico sulle scelte di mobilità dei migranti. Come abbiamo già messo in luce nei capitoli 1 e 2, lo shock petrolifero del 1973 ed il consequenziale blocco delle frontiere da parte degli stati dell’Europa industrializzata hanno, tra le altre cose, stimolato l’emergere di nuove rotte migratorie, spingendo i migranti a scegliere come meta per i propri progetti di vita e di lavoro all’estero i paesi a Sud del Mediterraneo, «mai interessati dalla mobilità di forza lavoro straniera industriale e pertanto privi di legislazioni restrittive in materia di immigrazione» [M.A. Pirrone, Migrazioni e globalizzazione in Sicilia, in Id. (a cura di), Crocevia e trincea. La Sicilia come

frontiera mediterranea, XL, Roma 2007, p. 39]. Oltre a questi fattori, è tuttavia importante considerare che

l’arrivo dei primi cittadini stranieri in Sicilia è il riflesso di un legame antico, consolidatosi già nei secoli precedenti, che va tenuto nella giusta considerazione se si vuole riflettere analiticamente sui processi sociali, storici ed economici sottesi ai fenomeni migratori.

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tra la Tunisia e la Sicilia, tanto da far sentire la prima come «il naturale prolungamento della penisola e delle isole»12 per i siciliani costretti a lasciare la propria terra natale nel periodo post-risorgimentale13, mentre la seconda come una sorta di «America sotto casa»14

12

R. Paris, L’Italia fuori l’Italia, in Storia d’Italia, Vol. IV, Dall’Unità a oggi, t. 1, Einaudi 1975, p. 574.

13

Come è stato evidenziato, l’Unità d’Italia, alla quale aveva partecipato attivamente la Sicilia, non ha favorito lo sviluppo e l’emancipazione di questa regione. Al contrario, essa ha aggravato le condizioni economico-sociali della gran parte dei cittadini autoctoni, accentuando lo squilibrio tra il Nord e il Sud della penisola (cfr. N. Dalla Chiesa, Il potere mafioso, Mazzotta, Milano 1978, pp. 41-58). L’intensificarsi del movimento di emigrazione siciliana in Tunisia va inquadrata proprio nell’ambito di questo contesto storico. Di fronte alla miseria e alla povertà, coloro che non potevano consentirsi di affrontare le spese di viaggio per emigrare oltreoceano, si trasferirono nella vicina Tunisia, facendo seguito ai flussi dei pescatori di Sicilia trasferitisi nelle città costiere del paese maghrebino nella prima parte del XIX secolo. Con l’inizio del Protettorato francese, il fenomeno subì un’ulteriore accelerazione: «Nel 1881, con l’inizio del Protettorato francese si accentua il passaggio dall’emigrazione elitaria a quella di massa che viene richiamata dall’Italia dagli investimenti francesi nelle opere pubbliche che richiedono un ampio utilizzo di manodopera. In quell’anno i francesi sono appena 700, mentre gli italiani sono 25mila» (F. Pittau, La presenza italiana in

Tunisia: spunti storici e prospettive, in «Dialoghi Mediterranei», n. 13, maggio 2015, in

http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-presenza-italiana-in-tunisia-spunti-storici-e-prospettive/). Si trattava per lo più di «emigranti poveri, che giungevano dalla Sicilia in barche con una o due famiglie a bordo, con mobili e masserizie varie a volte trasportati da un’altra imbarcazione che faceva prima o poi lo stesso viaggio» [F. Giordano, Sicilia e Tunisia, tracce di un lungo incontro, in M.C. Ruta (a cura di), Le parole dei

giorni. Scritti per Nino Buttitta, Vol. 2, Sellerio, Palermo 2005, p. 1203. Lo stesso saggio era già stato

pubblicato qualche anno prima in E. Gianotti, G. Miccichè, R. Ribero (a cura di), Migrazioni nel

Mediterraneo. Scambi, convivenze e contaminazioni tra Italia e NordAfrica, L’Harmattan, Torino 2002].

Date le favorevoli condizioni economiche e politiche della Tunisia, «agli inizi del XX secolo la comunità italiana oltrepassava le 80.000 unità. Si trattava in gran parte di siciliani, che andarono a stabilirsi nelle “Piccole Sicilie” (Petites Siciles) delle principali agglomerazioni tunisine, ma che erano presenti anche nelle città di minore importanza e nei territori delle regioni agricole» [D. Melfa, Migrando a sud. Coloni italiani in

Tunisia (1881-1939), Aracne, Roma 2008]. Ai siciliani emigrati per motivi economici si aggiunsero anche

numerosi «fuorusciti in seguito a vari movimenti rivoluzionari [che] trovavano agevole rifugiarsi in una regione vicina, che offriva tra l’altro la possibilità di mantenere i contatti con chi, parente o compatriota, era rimasto in Italia» [F. Giordano, op. cit., p. 1201]. Un’altra componente di questa emigrazione fu inoltre rappresentata da ceti emergenti, imprenditori borghesi che riuscirono ad imporsi sul piano culturale ed economico. Oltre ai testi citati, si rimanda anche a: H. Slama, …e la Sicilia scoprì l’immigrazione tunisina, cit., pp. 48-54; W. Barbero, I siciliani a Tunisi, in G. D’Agostino (a cura di), Tunisia Sicilia. Incontro di due

culture, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Servizio Museografico, Atti e

Materiali, n. 3, Arti e Grafiche Siciliane, Palermo 1995; M. Brondino, Un incontro di culture: la stampa

italiana in Tunisia, in G. D’Agostino (a cura di), op. cit.; M. Brondino, Il ruolo della stampa nell’antifascismo in Tunisia ovvero la lotta libertaria contro l’imposizione di una cultura imperialista, in E.

Gianotti, G. Miccichè, R. Ribero (a cura di), op. cit. Sul tema della presenza italiana in Tunisia si segnala, altresì, l’interessante documentario curato da Enrico Montalbano e Laura Verduci dal titolo Kif Kif. Italiani

di Tunisia, visibile su http://filmvento.blogspot.it/p/kif-kif-siciliani-di-tunisia.html. In termini conclusivi,

vale la pena di evidenziare come le difficoltà economiche e sociali sperimentate dalla Sicilia dopo l’Unità d’Italia fossero molto simili a quelle che conoscerà la Tunisia prima e dopo l’indipendenza nazionale. Sono proprio tali difficoltà a spingere i siciliani ad emigrare in modo massiccio in Tunisia e, successivamente, ad indurre i tunisini a trasferirsi in Sicilia.

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per gli emigrati tunisini decisi a tentare un progetto di lavoro all’estero a partire dagli anni Sessanta del XX secolo. In questa prospettiva, è proprio la chiave storica

per prima a fornire una logica e un senso alla «illogicità» e alla «assurdità» che, secondo la opinione di molti, caratterizzano il fenomeno dell’immigrazione dei Tunisini in Sicilia; fenomeno che trova spiegazione anche nel flusso migratorio attraverso le due sponde del Mediterraneo, che ha consentito agli individui, nel tempo, di trovare vicendevole rifugio in caso di eventi e vicende che determinarono situazioni di emergenza15.

Non deve dunque soprendere che la «dipendenza economica e l’interpenetrazione sociale ed umana delle due comunità»16 abbiano costituito la base sulla quale si è radicata la «presenza degli immigrati tunisini in una regione di emigrazione come la Sicilia»17, nel solco di quell’unità del mondo mediterraneo caratterizzato da un flusso ininterrotto di relazioni e di migrazioni tra le due opposte rive18. Non a caso, ad ulteriore testimonianza di una vicinanza antropologica tra questi due gruppi, l’immigrazione maghrebina nell’Isola ha messo in contatto popoli già accomunati da specifiche peculiarità nelle strutture linguistiche e parentali, nella toponomastica e nell’architettura, nelle tradizioni alimentari e nelle credenze popolari19, al punto che essa

ci ricorda come i mai interrotti scambi di uomini e beni tra la riva europea del Mediterraneo e quella africana risalgano, com’è noto, a tempi remoti. Anche le continue incursioni dei corsari barbareschi diedero il loro contributo a questo mescolamento, portando in quella regione come schiavi numerosi meridionali, specie siciliani e abitanti delle isole che si trovano tra le due sponde, alcuni dei quali finivano per convertirsi all’Islam mentre altri, pur mantenendo la propria condizione di non liberi, tuttavia si inserivano attivamente e stabilmente nella vita sociale ed economica di quelle zone20.

15

H. Slama, …e la Sicilia scoprì l’immigrazione tunisina, cit., p. 15.

16

Ivi, p. 55.

17

Ibid.

18

F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, vol. I, Einaudi, Torino 1976, p. 238.

19

Per un confronto si rimanda a G. D’Agostino (a cura di), op. cit. Vedi anche F. Gabrieli, U. Scerrato, op.

cit. Per un ulteriore approfondimento si veda anche S. Allievi, L’Islam italiano. Viaggio nella seconda religione del paese, Einaudi, Torino 2003.

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Da questo punto di vista, il “ritorno”21 delle popolazioni nordafricane in Sicilia fornisce l’occasione per «dilatare lo sguardo al di là dei confini nazionali, scorgere connessioni nuove, nuovi vicini e nuovi lontani»22.

Sebbene l’antico legame storico tra le due sponde del Mediterraneo metta ben in evidenza una parte delle motivazioni sottese all’ingresso dei primi maghrebini nelle coste siciliane, esso da solo non può essere in grado di spiegare perché l’immigrazione si sia radicata nel corso di pochi anni nel territorio regionale e nazionale, fino a configurarsi come una vera e propria componente strutturale del sistema demografico e produttivo della penisola italiana. Per cogliere le ragioni profonde del trasferimento di gruppi sempre più consistenti di cittadini stranieri nei contesti provinciali dell’Isola, oltre alle istanze di carattere culturale, è importante tenere nella giusta considerazioni anche le dinamiche economiche e sociali che hanno agito da richiamo per i movimenti umani provenienti dall’estero, alimentando l’incontro tra l’offerta di manodopera migrante e la domanda dei mercati del lavoro locali. Come mostreremo nelle pagine di questo capitolo, l’immigrazione in Sicilia si è inserita in un contesto storico particolarmente complesso, segnato dal passaggio da un sistema di produzione basato sull’agricoltura e sul settore primario ad un modello di sviluppo fondato, invece, sulla cosiddetta “terziarizzazione improduttiva”:

21

Sul solco di una visione di “lunga durata” della storia, Antonino Cusumano ha definito l’immigrazione nordafricana come un “ritorno”: «il ritorno dei gruppi berberi arabizzati in Sicilia alla distanza di undici secoli dalla loro invasione nell’Isola. Non si tratta più di una nuova invasione violenta. Ma forse del tutto pacifica non è, se si pensa che ciascuno di questi immigrati deve ancora lottare per vivere» (A. Cusumano, Il

ritorno infelice. I tunisini in Sicilia, cit., p. 21). Come riporta ancora l’autore «Dall’antica Ifriqiya (l’odierna

Tunisia) salparono infatti i primi berberi alla volta dell’Isola. Era il 17 giugno dell’827, quando questi “pionieri dell’immigrazione”, con a capo Asab Ibn al-Furat, sbarcarono proprio a Mazara, che costituì l’avamposto per la conquista di tutta l’Isola. Essi vi lasciarono tracce profonde e resistenti della propria presenza, informando dello spirito della loro civiltà gran parte della tipografia e toponomastica della città, ancora oggi persistenti, la formazione linguistica e le tradizioni folkloriche […] È al loro insediamento che si deve l’importazione di nomi, vocaboli e nuove colture agricole, nuove tecniche di irrigazione, di canalizzazione, di pesca. Il glorioso passato non è più che un ricordo per questi poveri emigranti […] l’amara e annichilante realtà del presente soverchia e vanifica l’energia del nostalgico passato e l’invasione d’allora è oggi la diaspora di diseredati e Mazara non è più un fortilizio da conquistare e civilizzare ma l’estrema spiaggia di una minima fonte di guadagno» (Ivi, p. 33).

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Venutasi a trovare incapsulata in un’area di espansione capitalistica, con strutture economiche rimaste inalterate rispetto a un passato feudale […], essa [la Sicilia] ha subito e assorbito tutte le lusinghe del consumismo. Da qui lo spopolamento delle campagne, lo svuotamento dei centri minori, la crescita patologica di quelli maggiori, la terziarizzazione forzata, la fuga verso i santuari del neocapitalismo. Così mentre migliaia di giovani si incanagliscono nella ricerca di un posto in un ufficio qualunque di un qualunque ente o istituzione, in diversi settori manca la mano d’opera. Molte attività tradizionali si sono spente non per caduta della domanda ma per mancanza della forza lavoro. A poco a poco gli spazi lasciati vuoti dai siciliani diventati paraintellettuali disoccupati, impiegati o emigrati: la pesca, l’agricoltura, il commercio ambulante e così via, vengono riempiti dai tunisini con profitto non indifferente per i datori di lavoro che tra l’altro servendosi di mano d’opera straniera glissano gli oneri sociali. È una vicenda nota di sfruttamento di cui i primi a soffrirne sono stati spesso gli stessi lavoratori siciliani emigrati23.

Nell’ambito di tale quadro, è facile intuire perché la presenza dei lavoratori stranieri non si sia posta in contraddizione con gli elevati livelli di disoccupazione interni all’Isola, ma abbia al contrario costituito la diretta conseguenza dei vuoti di manodopera registratisi dalla fine degli anni Sessanta nei comparti più tradizionali e dequalificati del mercato del lavoro siciliano. A fronte dello scarto qualitativo tra le aspirazioni professionali degli autoctoni e le richieste effettive del tessuto produttivo regionale, la disponibilità dei cittadini migranti ha quindi rappresentato una risorsa preziosa che ha assicurato «continuità di esercizio e larga produzione di reddito e di ricchezza in ambiti lavorativi destinati altrimenti al decadimento»24.

4.2. La genesi e lo sviluppo dell’immigrazione in Sicilia: alcune chiavi di lettura

A seguito della fine della guerra fredda e del crollo del bipolarismo geopolitico, dalla seconda metà del XX secolo il Mediterraneo è tornato ad essere un’area di cruciale importanza nello scenario degli spostamenti di popolazione, configurandosi come epicentro delle rotte dei movimenti migratori internazionali dalle regioni dell’Africa verso

23

A. Buttitta, Prefazione, cit., p. 10.

24

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i paesi del Vecchio Continente25. Come è stato evidenziato, relativamente alle traiettorie ed alle direzioni dei flussi,

l’immigrazione nei paesi del Mediterraneo è anche e soprattutto immigrazione da altri paesi del Mediterraneo. C’è un rapporto molto forte tra sponda sud e sponda nord, che è all’origine di questi flussi […] In conclusione nelle migrazioni interne al bacino mediterraneo va considerato il ruolo importante della prossimità geografica, che per altro è potenziato quando ai fattori di spinta di tipo economico si sommano quelli di tipo politico-sociale, in particolare gli effetti degli eventi bellici o delle persecuzioni nei paesi di provenienza26.

In tal senso, gli squilibri economici, «“amplificati” dalle forti disparità demografiche»27 e politico-istituzionali, costituiscono importanti fattori utili a spiegare perché, in un certo momento della storia, l’Italia si sia trasformata in meta di spostamenti migratori sempre più consistenti dal bacino mediterraneo28. Inizialmente «polo di attrazione e di acculturazione»29, esso è stato attraversato negli anni più recenti da spinte fortemente contraddittorie. Alla richiesta di mobilità dei popoli ha fatto da contraltare la tendenza degli stati a barricarsi entro i confini della Fortezza Europa, con la conseguenza di trasformare il Mediterraneo in una pericolosa frontiera che separa il Nord dal Sud del mondo.

Nell’ambito di questi nuovi assetti geopolitici, la Sicilia ha assunto una posizione degna di attenzione. Prima regione italiana ad essere stata investita dall’arrivo di lavoratori

25

A. Cusumano, Interdipendenza senza integrazione e cittadini senza cittadinanza, in «Archivio Antropologico Mediterraneo», Anno III-IV, n. 3-4, 2000-2001, p. 30.

26

E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, cit., pp. 97-98.

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