SVILUPPO ED ATTUAZIONE DEL MODELLO ECONOMICO ISLAMICO
4. L’INSERIMENTO DELLA FINANZA ISALMICA NEL MONDO OCCIDENTALE
4.5 Italia: un caso ancora incompiuto
Attualmente in Italia non vi sono esperienze concrete di finanza islamica, ma un numero crescente di iniziative è stato intrapreso dalle autorità col fine di analizzare il suo potenziale di espansione e definire le condizioni di intervento sulla normativa vigente per permettere a tale settore di operare e svilupparsi nel nostro paese.
Nel valutare le potenzialità del mercato italiano nell’offerta di prodotti e servizi
shari’a compliant, va presa in considerazione l’interessante dinamica socio-
demografica che la comunità islamica italiana presenta: dal punto di vista demografico, in Italia vi sarebbero circa 1.5 milioni di musulmani - 2.6% della popolazione – ed è previsto che raggiungano i 3 milioni entro il 2030 (Pew Research Center, 2010); dal punto di vista sociale, la comunità musulmana sta crescendo anche in termini di disponibilità economiche, creandosi così nuovi bisogni finanziari legati alla presenza della seconda generazione di immigrati e allo sviluppo di attività imprenditoriali (Giallombardo, 2010; Banca Monte dei Paschi di Siena, 2012).
Fino ad ora la domanda e l’offerta si sono concentrate prevalentemente sui servizi di money transfer - rimesse o strumenti di pagamento - forniti perlopiù da operatori specializzati o dal canale postale, ma visti i suddetti sviluppi quantitativi e qualitativi della comunità musulmana, il mercato italiano dovrebbe articolare l’offerta in termini di operazioni bancarie retail volte a soddisfare le nuove esigenze di “liquidità, investimento, finanziamento per acquisto abitazione e beni strumentali per lo svolgimento di attività produttive” (Giallombardo, 2010), oltre che per l’acquisto di beni di consumo. Secondo stime di mercato, i depositi bancari retail islamici delle comunità musulmane della penisola potrebbero infatti raggiungere i 5.8$ miliardi e generare entrate di 218$ milioni entro il 2015, e rispettivamente i 33.4$ e 1.2$ miliardi entro il 2050 (Di Mauro & al., 2013). Nell’ambito, invece, delle operazioni bancarie wholesale vi sono alcune istituzioni attive nel mercato di capitali islamico tramite uffici o filiali estere; vi sono poi diverse banche italiane presenti nella regione del GCC e un numero di legami commerciali bilaterali tra Italia e istituzioni GCC che hanno introdotto prodotti assicurativi islamici a beneficio dei dipendenti (ibid.).
Tuttavia, l’effettivo sviluppo di un sistema bancario islamico in Italia e di un’offerta di prodotti e servizi shari’a compliant è strettamente condizionato dalla
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predisposizione di un quadro legislativo favorevole sia in termini civilistici, “poiché la banca islamica non raccoglie e presta denaro secondo gli schemi contrattuali di deposito e credito” (Hamaui & Mauri, 2009:104), sia in termini fiscali, vista la doppia imposta di registro da pagare in una transazione immobiliare basata su un contratto muràbaha o la deducibilità fiscale degli oneri finanziari di una ijàra immobiliare (deducibilità fiscale che si applica agli interessi passivi di un mutuo) (ibid.; Giallombardo, 2010). Nello specifico, sarebbe quindi necessario intervenire sull’attuale testo unico bancario (TUB) riguardo in particolare l’interpretazione dell’art.11 che dice “la raccolta del risparmio è l’acquisizione di fondi con l’obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”, e in generale l’inclusione della definizione dei prodotti e servizi islamici e la regolamentazione dell’attività bancaria Shari’a compliant (ibid.).
A tal proposito proliferano, come già accennato, iniziative quali ad esempio l’organizzazione di convegni e l’avvio di progetti di ricerca volti a discutere le sfide e le opportunità poste dall’industria finanziaria islamica e a definire le condizioni normative, fiscali e regolamentari per integrarla nel quadro normativo vigente. Nel 2006 è stata costituita l’Assaif (Associazione per lo sviluppo di strumenti alternativi e di innovazione finanziaria) finalizzata a sviluppare progetti di finanziamento alternativi utilizzabili all’interno del sistema giuridico e fiscale italiano da investitori mediorientali e dagli immigrati residenti in Italia; nel 2007, l’Associazione bancaria italiana (Abi) - che attualmente coordina un gruppo di lavoro per l’emissione di
sukùk (Di Mauro & al., 2013) - ha siglato un memorandum d’intesa con l’Unione
banche arabe al fine di stabilire una piattaforma di collaborazione tra i sistemi bancari delle due sponde del Mediterraneo (Hamaui & Mauri, 2009). Nel 2009 e nel 2013, la Banca d’Italia ha indetto due importanti seminari internazionali sulla finanza islamica che hanno visto la partecipazione di rappresentati di banche centrali, autorità di controllo, ministeri degli esteri e delle finanze, organismi internazionali, accademici ed esperti del settore (Banca d'Italia, 2009; Banca d'Italia, 2013); sempre nel 2013, l’Aiaf (Assciazione italiana degli analisti finanziari) ha organizzato il convegno “Investimenti esteri in Italia: le opportunità per gli investimenti islamici” per mettere in luce i vantaggi che le aziende italiane potrebbero trarre guardando alla finanza islamica come valida alternativa alla finanza convenzionale (AdvisorWorld,
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2013). Parallelamente, la SIMEST – Società Italiana per le Imprese all’Estero –, azienda che sostiene lo sviluppo delle aziende italiane che investono all’estero, sta progettando di istituire un “Mediterranean Partnership Fund”, parte del quale sarà conforme alla shari’a, per promuovere la crescita delle PMI della regione MENA tramite forme miste di finanziamento (equità o semi equità) e dovrebbe coinvolgere l’Unione delle Banche Arabe, diversi governi arabi e le Banche Islamiche di Sviluppo (Banco di Sicilia, 2011; Di Mauro & al., 2013). Infine, altra iniziativa degna di nota è stata la creazione nel 2012 dell’ “Osservatorio sulla finanza islamica” sia a scopo formativo, di far conoscere il fenomeno della finanza islamica attraverso pubblicazioni scientifiche, sia a scopo operativo, di attirare investimenti e fare da mediatore tra le imprese italiane e i fondi sovrani dei paesi musulmani interessati a investire nei mercati esteri (Parola, La finanza del Corano si insegna sotto la Mole pensando al business, 2013).
Concludendo con le parole dell’attuale Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, pronunciate in occasione del seminario internazionale sulla finanza islamica organizzato dall’Islamic Financial Services Board lo scorso anno a Roma,
l’opportunità di attrarre capitale straniero per sostenere il progresso economico, da un lato, e l’intensità dei rapporti commerciali e finanziari con la sponda meridionale del Mediterraneo, dall’altro, rendono sempre più importante per il nostro paese e il suo sistema finanziario di dotarsi degli strumenti conoscitivi e operativi necessari a interagire con sistemi finanziari conformi ai principi della shari’a. [Specialmente ora che] nei paesi dove hanno avuto luogo le rivolte arabe e sono saliti al governo partiti politici islamisti, dopo la caduta dei precedenti regimi autoritari, lo sviluppo della finanza islamica sta prendendo nuovo slancio. (Visco, 2013:3).