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Le obbligazioni islamiche e il mercato dei capitali shari’a compliant

3. Il sistema bancario islamico e i principali strumenti finanziar

3.2 Le obbligazioni islamiche e il mercato dei capitali shari’a compliant

Se per lungo tempo la finanza islamica si è concentrata sullo sviluppo del settore bancario, negli ultimi anni, parallelamente allo sviluppo finanziario convenzionale, ha iniziato a prendere in considerazione anche strumenti di mercato come le obbligazioni e le azioni e ad elaborarne versioni coerenti con i principi islamici. Le due aree che hanno riportato una maggiore crescita e hanno migliori prospettive di sviluppo sono appunto quella dei sukùk – bond o obbligazioni islamiche – e quella degli investimenti azionari16.

I Sukùk. Il termine sukùk è il plurale della parola araba sakk che significa

“certificato” ed è affine alla parola europea cheque (assegno) (Hamaui & Mauri, 2009). Secondo la legge islamica, le obbligazioni classiche17 - i titoli di stato o le obbligazioni societarie (corporate bonds) - basate sul tasso di interesse, non possono accettarsi perché non coerenti con il divieto di ribà’. La finanza islamica ha così elaborato degli strumenti obbligazionari shari’a compliant che riproducono gli stessi flussi di cassa di un bond - il pagamento di cedole e il rimborso del capitale a scadenza - avendo però alla base attività reali, per cui il rendimento non si considera

16 In questa sezione ci si soffermerà sul funzionamento di tali strumenti; per una stima delle tendenze di mercato attuali, si rimanda al terzo capitolo.

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Consistono in operazioni di cartolarizzazione (securitization), ossia nella cessione di crediti o di altre attività non negoziabili da parte di un soggetto (originator) e nella loro contestuale conversione in titoli negoziabili sui mercati regolamentati (Treccani). I prestiti obbligazionari prevedono il pagamento di un tasso di interesse determinato.

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un interesse a fronte di un prestito, bensì un profitto derivante da un investimento in un progetto ben determinato (generalmente di natura infrastrutturale o immobiliare).

Lo studio della Banca D’Italia (Gomel & al., 2010:15) raggruppa le tipologie di

sukùk18 esistenti in due categorie. La prima include i sukùk asset backed/asset based, che hanno come asset sottostanti attività che generano un rendimento predeterminato (ad es. ijàra sukùk). Non sempre però il rendimento e il rischio dipendono esclusivamente dall’andamento del progetto (asset backed); in alcuni casi (asset

based), il rischio è strettamente collegato al rischio di insolvenza del debitore (rischio

di credito) e sono quindi molto simili alle obbligazioni tradizionali. La seconda categoria è definita equity-based sukùk, per i quali il rendimento dell’attività sottostante non è predeterminato, bensì basato su una logica partecipativa – PLS (ad es. mushàraka o mudàraba sukùk).

Nello specifico, un’emissione di sukùk è così strutturata. L’originator (colui che ha bisogno di fondi) vende parte degli asset reali del proprio patrimonio ad un veicolo (Special purpose vehicle - Spv) dotato di propria soggettività giuridica e generalmente domiciliato in un paese con un regime fiscale favorevole. A fronte degli asset, lo SPV emette sul mercato titoli negoziabili, certificati (sukùk notes) che verranno sottoscritti dagli investitori. I fondi raccolti serviranno a finanziare progetti

shari’a compliant. Gli investitori sono i proprietari pro quota degli asset e lo Spv

stipula con l’originator un contratto islamico (ijàra, mushàraka, mudàraba, ecc.) per loro conto; naturalmente, in base alla struttura contrattuale islamica utilizzata, si avrà la relativa tipologia di sukùk. La forma più utilizzata sia tra le società che dalle autorità governative è quella dei sukùk al-ijàra19. In questo caso, lo Spv riaffitta gli asset all’emittente, il quale continuerà a gestirli come project manager pagando un canone di locazione che è legato alla performance dei beni sottostanti e che costituisce la remunerazione dei sottoscrittori delle obbligazioni. Alla scadenza la proprietà dell’asset reale sottostante è nuovamente trasferita all’originator e lo Spv, con gli introiti della vendita, rimborsa il capitale agli investitori ad un prezzo

18 L’Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institutions (Aaoifi), che emette standard in materia di contabilità, auditing e governance, ha riconosciuto 14 differenti tipi di sukùk (Gomel & al., 2010).

19 Dei differenti tipi di sukùk emessi nel periodo 2001-2007, i sukùk al ijàra hanno costituito il 43.6% del totale seguiti dai sukùk al-mushàraka (27.5%) e al-mudàraba (18.5%) (Hamaui & Mauri, 2009:116)

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prestabilito. La struttura di tale operazione risulterebbe conforme alla shari’a poiché permette di trasformare le cedole (illecite) in canoni di affitto (leciti).

Nel 2008, l’Aaoifi ha emanato nuove linee guida proprio al fine di regolare e uniformare il rimborso a scadenza dei sukùk in maniera da essere totalmente coerenti con i principi islamici. Nel caso dei sukùk al-mushàraka e al-mudàraba, il rimborso del capitale non può avvenire al valore nominale dell’emissione ma al prezzo di mercato in modo da rispettare il principio di PLS alla base di questi contratti. Altrimenti un rimborso al valore nominale risulterebbe come una garanzia sul capitale che non è compatibile con la natura giuridica di tali strutture contrattuali. Solo nel caso di sukùk al-ijàra il rimborso può essere alla pari dell’emissione. Inoltre, non è consentito al manager dell’emissione offrire prestiti agli obbligazionisti qualora la remunerazione scenda sotto il livelli previsti, ma è possibile costituire delle riserve a tal fine purché sia sottoscritto nel contratto (Hamaui & Mauri, 2009:117).

In sintesi, i bond convenzionali e i sukùk rispondono alle stesse esigenze economiche (necessità di finanziamento e liquidità), ma presentano alcune differenze in relazione all’obbligo, per i secondi, di conformarsi alle prescrizioni della legge islamica. Si è già evidenziato che l’economia islamica si caratterizza per uno stretto legame fra gli strumenti finanziari e le attività reali sottostanti: mentre l’obbligazionista tradizionale è titolare di un diritto finanziario a un flusso di cassa, il possessore di un sukùk è titolare di un diritto di proprietà su una parte del bene o un insieme dei beni sottostanti l’emissione. Ne deriva che mentre la cedola di un bond è indipendente dalla performance degli asset sottostanti, il rendimento di un sukùk ne dovrebbe essere strettamente dipendente20. Inoltre, mentre la determinazione del prezzo di un bond tradizionale dipende dalle previsioni sui movimenti dei tassi di interesse, quella di un bond islamico è legata al ritorno atteso del progetto finanziato. Dal punto di vista giuridico, il rapporto tra emittente e investitore in un bond è un rapporto esclusivamente debitore-creditore; in un sukùk il rapporto dipende dalla struttura contrattuale utilizzata (di leasing o partecipativa). Inoltre, in un bond convenzionale l’emittente non ha alcun limite all’utilizzo dei fondi raccolti; in un’obbligazione islamica, invece, assieme al contratto di emissione vi è un contratto

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di gestione con il quale viene nominato il project manager che deve gestire gli asset in base alle indicazioni degli investitori21. Infine, così come nell’attività bancaria, anche nell’industria dei servizi finanziari è presente lo shari’a board, il quale giudica la struttura iniziale dell’emissione e ne effettua il monitoraggio anche durante la sua durata, assicurando anche che le attività sottostanti non siano haràm (ibid.:112-4).

È opportuno sottolineare che per emettere sukùk non sia necessario essere una società shari’a compliant o un governo musulmano da un lato, né essere musulmani per sottoscriverli dall’altro22. Ciò rappresenta un’importante opportunità per l’espansione sia della domanda che dell’offerta di tali strumenti. Espansione che non potrà tuttavia prescindere da una maggiore standardizzazione e omogeneità contrattuale, dallo sviluppo di rating ampiamente accettati, da una maggiore liquidità del mercato secondario e dall’innovazione e diversificazione dei prodotti (ibid.).

I mercati azionari shari’a compliant e i fondi islamici. La prima caratteristica di

un investimento azionario islamico è il divieto di investire in società quotate che svolgano direttamente o indirettamente attività proibite dalla shari’a: produzione e vendita di alcolici; allevamento; lavorazione e vendita di carne di maiale; traffico d’armi; produzione e vendita di tabacco; gestione di casinò e night club; industria pornografica; servizi finanziari che violano il divieto di ribà’ e i servizi assicurativi tradizionali. Mentre per alcune attività il divieto è assoluto, per altre non vi è consenso unanime ed è a discrezione del singolo shari’a board valutare l’accettabilità o meno dei possibili investimenti. Inoltre, nel caso in cui attività haràm siano strettamente connesse con attività halàl, si applica il principio di maggioranza in base al quale il giudizio di conformità alla shari’a tiene conto di quale attività (lecita o illecita) prevalga (in termini di contributo alle vendite o ai profitti). In ogni caso, tutti gli eventuali guadagni illeciti devono essere sottoposti a “purificazione”, ossia devoluti in beneficienza; qualora non fosse possibile separarli dai guadagni complessivi, si stabilisce una “percentuale di purificazione”. Questo elemento esprime l’auspicata eticità e responsabilità sociale alla base dell’economia islamica.

21 Nel caso questa figura coincidesse con l’emittente, egli può esserne estromesso dalla gestione qualora non fosse più ritenuto idoneo dagli obbligazionisti, visto che dal lavoro del primo dipende la remunerazione dei primi (legata al rendimento degli asset) (Hamaui & Mauri, 2009:114).

22 Lo si vedrà nei capitoli successivi in relazione all’emissione di titoli obbligazionari islamici da parte di società e governi occidentali.

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Allo screening settoriale, che comporta un’analisi non solo formale del business della società selezionata ma una verifica sostanziale di tutte le sue attività, si aggiunge lo screening finanziario, che valuta se la struttura finanziaria della società rispetta il divieto di ribà’ e il legame tra attività finanziaria e attività reale. Ciò significa che, in teoria, sarebbe precluso l’investimento in aziende che ricorrono al debito pagando interessi o che concedono crediti incassando interessi implicando un eccesso di liquidità in bilancio invece che allocata nel processo produttivo. Vista l’inevitabilità, nella prassi corrente, di fare ricorso al debito, gli economisti islamici hanno stabilito dei ratios (criteri) finanziari per discernere tra le situazioni ammissibili e non23.

A tal proposito, anche nel mercato azionario è fondamentale il ruolo dello

shari’a board. Questo è incaricato di individuare i possibili investimenti sulla base di screening settoriali e finanziari che vanno periodicamente aggiornati dai gestori al

fine di verificare eventuali cambiamenti. Se, a seguito di eventi societari (fusioni o acquisizioni) che modificano la natura del business o la struttura finanziaria, lo

shari’a board valuta che l’investimento non è più coerente con i principi islamici, i

gestori devono provvedere a disinvestire. Inoltre, la supervisione dello shari’a board è centrale anche per valutare se i titoli di una società possano o meno essere inseriti negli indici specializzati in prodotti finanziari islamici.

Nell’ultimo decennio, a dimostrazione della crescente importanza che sta assumendo l’industria dei capitali islamica, sono infatti nati alcuni indici azionari islamici per sintetizzare l’andamento degli investimenti azionari shari’a compliant. Il principale indice islamico di borsa è il Dow Jones Islamic Market Index (DJIMI), creato nel 1999.

Venendo ai fondi islamici, questi sono in prevalenza di tipo azionario, non potendo includere attività finanziarie che prevedono il pagamento di un interesse fisso o determinabile; valgono inoltre le considerazioni relative agli investimenti azionari per la selezione delle attività in cui i fondi possono essere investiti. In questo

23 Questi si basano essenzialmente sui rapporti tra debito e totale del passivo e tra asset che generano interessi e il totale dell’attivo (Gomel & al., 2010:14).

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senso l’industria dei fondi islamici è affine a quella dei fondi etici o Socially Responsible Investing (Sri) Fund nati sia in Europa che negli Stati Uniti24.

Dal punto di vista organizzativo, le forme più diffuse sono due: mudàraba e

wakàla. Nel primo caso il gestore del fondo agisce in qualità di mudàrib e viene

remunerato in base agli utili del fondo; nel secondo caso il gestore agisce come wakìl (agente) per conto dei sottoscrittori a fronte del pagamento di una commissione stabilita in anticipo, generalmente in percentuale del valore del fondo.