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19 Giovanni Battista Cavalvaselle, Disegno con Pieve, dominata dalla sua chiesa, indicati i paesi di

Contràs e Pozzale, la chiesa di San Dionisio e le cime del Trànego, Antelào, Marmarole e Tudàio; Veduta di Valle e Tai fino al ponte e la strada per Peraròlo, disegno capovolto nel bas de page. Foglio datato

19 dicembre 1865. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, ms. It. IV , 2031 (=12272), fasc. 1, f. 106v.

20, 21 Giovanni Antonio Barnabò, Historia della Provincia di Cadore. Tomo unico diviso in XIX libri

composto negli anni 1729 e 30 terminato l’anno 1732,Vittorio Veneto, Biblioteca del Seminario Vesco-

vile, ms. 12.B.5, 1729-1732, Libro XI, frontespizio, c. 490.

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della palla maggiore fatta dall’insigne pittore Vittore Cergratio [a margine: Carpaccio] l’anno 1519 coetaneo del famoso Titiano; et la croce maggiore che è d’argento di bella fattura e grande a proportione» (figg. 22, 23).6La segnalazione è preziosa quanto rara, perché attesta finalmente

la perfetta coscienza locale dell’importanza dell’opera, su cui si è fondato l’attaccamento dei Pozzalini per essa. Altra cosa è trovarla citata in trattati a stampa. Non si tiene conto di questi aspetti nel manoscritto Il Cadore compendiato, composto dal notaio Giannantonio Talamini Boluzzi circa il 1780, nel quale si riserva poco spazio a Pozzale, villaggio osservato nell’ottica della sua posizione economica e sociale anziché storica, un taglio d’indagine scelto anche per descrivere il resto della provincia.7

Una premessa importante per la conoscenza del Carpaccio cadorino è quindi attribuibile, in se- guito, a Taddeo Jacobi (Pieve di Cadore 1753-1841), ma si deve arrivare ormai ai primi decenni dell’Ottocento (doc. 2).8Come buona parte dei suoi fondamentali lavori, di accuratezza im-

peccabile per conoscenza ed erudizione, anche la memoria su di un’opera specifica rimane re- legata fra i vastissimi appunti manoscritti. Segno della sensibilità del momento e indicatore dello stato conservativo in cui allora si osservava il dipinto è il contenuto dell’unica annotazione ‘critica’: «L’opera [è] piuttosto di maniera secca, e per niente vivace, ed attualmente annerita». L’importanza, comunque, della testimonianza di Jacobi si ritiene doversi riconoscere indubbia nel fatto che i suoi lavori furono un vademecum per la perlustrazione del Cadore di Giovanni Battista Cavalcaselle, tramite il quale finalmente vengono a ricevere una svolta metodologica

22, 23 Tiziano Aspetti il Giovane (bottega?), Croce astile, già Pozzale, chiesa parrocchiale di San Tom- maso Apostolo, riproduzione da Moschetti, 1932, pp. 94-95, figg. 67, 68. Il Crocifisso (perduto), i quattro

evangelisti, nel recto; Madonna con il Bambino, i santi Tommaso apostolo, Rocco, Sebastiano, Dionisio vescovo, nel verso.

e di informazioni conoscitive non solo il grande capitolo tizianesco, com’è universalmente noto, ma altresì le pagine riservate alle pitture di Medioevo e Rinascimento, in termini destinati a rimanere fondamentali, cioè attualissimi per molti aspetti.9Per quanto riguarda la notizia del

‘polittico’ di Carpaccio egli deriva l’informazione dal manoscritto Jacobi per lui appositamente sunteggiato, e non dai testi editi di Ticozzi e Cadorin che gli sono altre volte basilari.10

Per inciso va tenuto conto, entro la frammentarietà delle voci bibliografiche specifiche di primo Ottocento, della citazione del polittico cadorino nella trascuratissima «monografia» su Carpac- cio di Vincenzo De Castro, data alle stampe presso Naratovich a Venezia alla data significativa del 1848: «altra [tavola dopo quella di Spinea] in Pieve di Cadore con Maria Vergine e i santi Tommaso, Dionisio, Rocco e Sebastiano colla data del 1518».11Forse egli deriva la notizia da

Ridolfi, tanto più che ne ripete l’errore sull’ubicazione, ma dimostra di saper citare corretta- mente rispetto a quest’ultimo i santi rappresentati. Viene a porsi pertanto l’interrogativo se egli avesse a disposizione una fonte bibliografica recente, di certo meglio informata rispetto agli «elogi» più retorici dati alle stampe sul modello di quello di Carrer, oppure se avesse verificato in prima persona tale notizia di Ridolfi.12La dedizione a Carpaccio del giovane scrittore deriva

dall’avere le sue origini a Pirano, e difatti s’impegna logicamente a sostenerne i natali istriani sulla linea di pensiero propugnata da Stancovich nel 1829.13De Castro tuttavia conduce i suoi

studi a Treviso, dove si trasferisce da giovane, e a Padova dove si laurea nel 1835, pertanto può entrare a contatto e misurarsi ben presto con gli studiosi di ambito veneto di ‘belle arti’ del Rinascimento e nella fattispecie di Carpaccio.

Se si ritorna ora a Crowe e Cavalcaselle e si osserva la citazione nella History edita nel 1871, di primo acchito il contenuto potrà sembrare esiguo e persino contraddittorio o incerto: «Poz- zale, Virgin and child between StsThomas and Dionisius in niches, above wich are half-lenghts

of StsRoch and Sebastian, in very bad condition, wood, inscribed ‘Victor Carpathius Venetus

pinxit MDXVIIII’. Very feeble, the StThomas recalling Diana; the Virgin and Child reminiscent

of Luigi Vivarini, StRocco a type common with Marescalco. A child with a flower sits on the

step of the throne».14

Una volta constatato lo stato di conservazione cattivo, di un dipinto ritenuto su tavola anziché su tela, i riferimenti stilistici indicati si dimostrano eterogenei: si suscitano i nomi di Alvise Vivarini, Benedetto Diana, Giovanni Buonconsiglio detto il Marescalco, i primi due per l’aspetto stilistico, l’ultimo per quello tipologico. È il contesto critico generale nel quale que- st’opera è inclusa ad avere notevole significato, come si esaminerà in seguito; in esso anche le annotazioni specifiche trovano la giusta comprensione. Si tratta di osservare una certa debolezza che accomuna in questo momento la pala di Pirano al ‘polittico’ di Pozzale, a giustificare la quale si menziona l’intervento del figlio Benedetto.

La valutazione sintetica del 1871 assume, indubbiamente, più valore se si considera che essa deriva da un approccio squisitamente conoscitivo. Com’è scontato che sia in tale metodo, di cui proprio Cavalcaselle è il ‘pioniere’, le maggiori indicazioni si raccolgono dal disegno e dagli appunti del suo quaderno (fig. 24).15Attraverso la loro lettura si può immaginare Caval-

caselle a Pozzale, davanti all’opera di Carpaccio, nel dicembre 1865. Il suo vivo interesse è at- testato dal rilievo accurato, prima a matita poi ripassato a penna in ogni dettaglio, con aggiunte e modifiche nel testo, una tipologia diversa dal suo tipico abbozzo veloce.16Nel leggere le an-

notazioni, dapprima si possono individuare quelle di carattere tipologico e conservativo. Si tratta giustamente di «tela tirata sopra tavole»; la cornice presenta un «ornato rilevato sopra azzurro»; già a tale data si riscontrano le mancanze e la ricomposizione della cornice come do- cumenta la riproduzione in eliotipia eseguita da Carlo Jacobi edita da Molmenti nel 1893, tratta

24 Nelle pagine precedenti, Giovanni Battista Cavalvaselle, Disegno e appunti sul polittico di Vittore

Carpaccio a Pozzale, «1 miglio sopra Pieve»; Appunti e disegno di stendardo con l’immagine di San

Tommaso. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, ms. It. IV, 2031 (=12272), fasc. 1, cart. D, ff. 88v-89r.

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da una fotografia, della quale si è avuto la fortuna di individuare una stampa presso la Fototeca dell’Istituto Germanico di Firenze (fig. 1). Le osservazioni di sintesi di Cavalcaselle sono le seguenti «… rozzo; quadro di colore mangiato e divenuto sporco di più è nero - ed inegualmente pulito - color opaco; toni slavati - e decisi - finge velature; intarsio - rossi-vino». Nei dettagli delle figure correttamente indicate si trova l’aggettivo «angolari» per le pieghe della veste di san Tommaso; «rosso a corpo» per la veste della Vergine; «zupa - vino» per il piviale di san Dionisio; «cangiante/ lumi rossi/ ombre aggiunte» per la veste dell’angelo musico. Sul piano dei riferimenti stilistici oltre che tipologici, il richiamo a Vivarini riguarda la figura della Ver- gine, quello al Marescalco il san Rocco. Si aggiunge, per l’aspetto generale, il cenno a «Buon- signori/ Montagna fratelli». Il cartellino è riportato con scrupolo, si ribadisce che la data è il 1519; a fronte di questa certificazione di paternità il conoscitore esprime infine la personale valutazione complessiva: «Mi pare Carpaccio scolare di Gentil Bell(ini) e maestro dei Monta- gna». Entro questi parametri, difatti, Cavalcaselle e Crowe fondano il moderno profilo di Car- paccio. Nell’ambito di una fortuna critica e della presenza autorevole di Cavalcaselle in Cadore non si vuole trascurare un’annotazione sul contesto della visita. La data in cui questa avviene è riportata su di un foglio nel quale egli delinea una veduta ‘grandangolare’ dei luoghi: «Dal castello di Pieve 19 dicembre 1865» (fig. 19).17Sopra Pieve, dominata dalla sua chiesa con

l’alto campanile cuspidato, si indicano Contràs e Pozzale, la chiesa di San Dionisio e il Trànego, il profilo dell’Antelào innevato e delle Marmarole, fino a quello del Tudàio. Non è solo il ri- scontro di un momento ‘contemplativo’ di Cavalcaselle, di distrazione dal lavoro filologico, un semplice divertissement o, più banalmente, una sua cartolina dal Cadore. Questo rilievo che si compone con la veduta verso Valle e Tai fino al ponte e la strada per Perarolo, e che trova un corrispettivo più sintetico in altro foglio (fig. 25), avrà una sua elaborazione letteraria e questa,

25 Giovanni Battista Cavalvaselle, Disegno con la veduta di Pieve di Cadore da Revìs, con i paesi cir-

costanti e il fondale dolomitico. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, ms. It.

si direbbe, di valore addirittura critico.18Il miglior commento a tali disegni, rivelatore della

loro funzionalità, è contenuto in quello che Cavalcaselle (con Crowe) scrive nella vita di Tiziano sui «caratteri fisici del distretto», mostrandosi attratto dall’ineffabile bellezza, compreso dal sentimento del sublime che è proprio della contemplazione della montagna: «Alle brulle e sterili cime, ora mestamente cineree o nere sotto un cielo rannuvolato e minaccioso, ora riflettenti le tinte porporine del tramonto, fanno contrapposto le verdeggianti e amenissime falde, offrendo allo sguardo uno spettacolo così grande nella infinita sua varietà di colori e di linee, che nessuna descrizione varrebbe a darne un’idea anche lontana».19Quale giustificazione conferire alla pa-

gina letteraria? Risponde Cavalcaselle: «Ci siamo diffusi alquanto sui caratteri naturali del Ca- dorino per la ragione che Tiziano, il quale vi passò i primi anni e spesso vi tornava nell’età matura, amava riprodurli nelle sue tele non meno delle distese pianure; né si può dubitare che la loro sublimità lasciasse una durevole impressione nell’animo suo, predisponendolo a quel culto della natura che spicca in tutte le sue opere, ed al quale ei va debitore del titolo del più gran paesista della Scuola veneziana».20

La scoperta del Carpaccio di Pozzale per merito di Giovanni Battista Cavalcaselle avviene, dunque, nel contesto in cui il Cadore da «paese ruinoso», secondo l’espressione di Girolamo da Porcia del 1567, diviene «Titian’s country», così definito nella visione di Josiah Gilbert che dà alle stampe a Londra nel 1869 il suo testo con tale titolo inequivocabile.21Anche quest’ultimo

libro di diffusione internazionale è una testimonianza, sotto un’ottica particolare, dell’interesse per l’ambiente cadorino, la sua storia e l’arte, questa condensata in quella insuperabile di Ti- ziano. L’intreccio fra osservazione del vero e sentimento del sublime alla visione di cime e valli dolomitiche è visualizzato nell’apparato illustrativo dell’opera di Gilbert, le cui tavole li- tografiche annoverano tra le prime l’emblematica visione dell’Antelào dalla laguna di Venezia nella traduzione di un disegno di John Ruskin. È quanto si immagina che il Cadorino potesse nostalgicamente vedere per trarre ispirazione, in un improbabile momento atmosferico favore- vole, affacciandosi dalla sua casa ai Biri presso Fondamenta Nòve. Si alternano poi nelle altre tavole le vedute dei luoghi ai dettagli più ‘dolomitici’ individuati nei fondali paesistici dei dipinti di Tiziano, questo per indurre a cogliere una verisimiglianza o la genuinità d’ispirazione del grande maestro.

Quando Cavalcaselle poneva le premesse per queste pagine, nel dicembre 1865, era di ritorno da Pietroburgo dove compì i suoi studi nel mese di settembre. Ai cospicui materiali di questo soggiorno russo si aggiungono quelli delle soste nel viaggio di ritorno verso l’Italia, alla fine di quel mese, a Dresda, Praga e Vienna; vengono dunque di seguito, ravvicinati, quelli nume- rosissimi del Cadore, raccolti fra dicembre e gennaio, comprensivi della puntata a Pozzale.22

Per quanto sintetica, la scheda di Cavalcaselle e Crowe del 1871 (nel 1873 in edizione tedesca) dovette essere il punto di riferimento per la fortuna critica successiva del ‘polittico’ cadorino nell’ambito della valorizzazione moderna del suo autore.23Un richiamo ancor più accessibile

alla cultura storico artistica e ai metodi di indagine degli studiosi italiani fu quello compreso nel primo saggio di Pompeo Molmenti che risale al 1885, poiché vi trova la giusta considera- zione anche quest’opera d’ubicazione defilata: «Nella chiesa di Pozzale in Cadore v’è del Car- paccio una tavola in cinque spartimenti: nel mezzo, per tutta l’altezza dell’ancona, la Madonna col bambino; nei due angoli i busti di san Rocco e di san Sebastiano e ai due lati le intere figure di san Tommaso apostolo e san Tommaso da Villanova. Ai piedi della vergine un angioletto e sui gradini un cartello con la seguente scritta: Victor Carpaccio Pinxit anno MDXVIII. V’è una rigidità stentata di disegno assai rara nel maestro, e nondimeno dal quadro, guasto dal tempo, tralucono lo spirito e il carattere della fine arte carpaccesca, o, per dirla col Blanc, quel fiore di coscienza cristiana che le età posteriori non trovarono più».24Si può obiettare che vi è un errore

nel riconoscimento del san Tommaso apostolo e nella data riportata (1518 anziché 1519, indi- cazione purtroppo destinata spesso a ripetersi), tuttavia si aggiunge al giudizio sull’aspetto for- male e lo stato di conservazione quello positivo della ‘tipicità’ quanto allo stile. Poche parole attestano comunque un’attenzione vigile ed esprimono una valutazione in sostanza corretta,

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specie per quella stagione della critica carpaccesca.

Questa prima attenzione giustifica il fatto che l’opera trovi ancora spazio nel saggio mono- grafico su Carpaccio che Molmenti pubblica nel 1893 in lingua francese, nel quale riporta so- stanzialmente i contenuti della scheda precedente, dopo aver ancora dibattuto vecchie e sorpassate attribuzioni come quelle della tavola, in realtà manifestatasi di Cristoforo Caselli (per chi scrive indubbiamente) del duomo di Noale o delle portelle d’organo, poi riconosciute a Francesco da Milano, della prepositurale di Santa Maria Nova di Serravalle (V ittorio Veneto).25In tal caso il vero contributo di novità consiste nella prima riproduzione in eliotipia

dell’opera, come sopra ricordato, che reca la firma di Carlo Jacobi, il quale si avvale di una fotografia la cui stampa originale non reca la referenza (fig. 1). Pertanto, nel 1893 il Carpaccio cadorino risulta definitivamente noto anche in immagine fotografica.26

Molmenti, questa volta assieme a Ludwig, ha poi occasione di richiamare l’attenzione sul po- littico di Pozzale polemizzando con Nicolò Del Bello sostenitore della tesi che Carpaccio in fase tarda avesse aperta la sua bottega a Capodistria, da dove licenziava per Venezia e le località periferiche, come Pozzale, le sue ultime opere: il polittico Cadorino ritenuto del 1518 seguiva la pala con data del 1516 per la cattedrale della città in cui egli sarebbe stato operativo.27

Molmenti e Ludwig opportunamente sottolineano in modo un poco colorito la problematica dei viaggi delle opere per mari e per monti: «Ma perché non può il pittore aver dipinto a Venezia i suoi quadri, e averli spediti in Istria sopra una di quelle tante navi, che avevano così frequenti relazioni di commercio tra le due opposte sponde dell’Adriatico? Non ammette lo stesso ano- nimo [Del Bello] che nel 1518, quando cioè il pittore si sarebbe trovato in Istria, il Carpaccio abbia dipinto per la chiesa di Pozzale in Cadore una tavola in cinque scomparti? In qualche modo deve quest’opera essere stata mandata in Cadore. E il viaggio era assai più malagevole che quello da Venezia all’Istria. Si aggiunga che nel 1520 il Carpaccio dipinse per Chioggia il quadro rappresentante San Paolo».28

Nella monografia destinata a rimanere a lungo fondamentale per la conoscenza di Carpaccio, edita da Ludwig - Molmenti nel 1906 in lingua italiana, alla quale seguirono a distanza di pochi anni le traduzioni in inglese e francese, il ‘polittico’ di Carpaccio è menzionato come opera dell’età «provetta» e, ancora una volta, è riprodotto utilizzando la foto già edita nel 1893.29

Nell’arco di tempo delineato dalla menzione dell’opera da parte di Cavalcaselle e Crowe nel 1871, fino all’illustrazione di Molmenti e Ludwig nel 1906, le segnalazioni in ambito cadorino si trovano unicamente nelle guide del territorio, attente sia agli aspetti naturalistici che a quelli storico-artistici, ma che non offrono nulla di più di una citazione.30

Nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche, il fatto che il dipinto sia firmato e datato facilita l’inclusione di rito nei repertori e regesti dell’opera di Carpaccio, come quelli di Milanesi (1878), Magni (1901), von Hadeln (19122) e Adolfo Venturi (1915).31

Una breve segnalazione apparsa nel 1911 in un periodico bellunese di larga diffusione, da ri- conoscersi a don Floriano Perin (doc. 3), è utile, pur assommando più imprecisioni, per la te- stimonianza circa i danneggiamenti sofferti dal dipinto a causa dell’incendio che devastò la nuovissima chiesa di Pozzale nel 1844, così da giustificare lo stato di conservazione cattivo in cui lo valuta Cavalcaselle e che ancora è attestato dalla fotografia edita da Molmenti nel 1893.32

Tale segnalazione è utile, altresì, perché riporta la notizia dell’intervento di restauro messo in progetto nel 1909 e compiuto nel 191 1 da Giovanni Zennaro, grazie al sussidio finanziario governativo e al concorso alle spese della popolazione di Pozzale.33La nota di Perin così de-

scrive l’intervento di Zennaro: «con vera delicatezza e cognizione d’arte, dopo aver ripulita la tela dalla polvere rimise con piena somiglianza di colore le croste distaccate, lasciando così intatto l’originale senza portare offesa od alterazione all’opera primitiva dell’artista».34Lo

stato in cui si giudicava l’opera nel primo Novecento è testimoniato dalle fotografie degli Ar- chivi Fotografici Fiorentini e Caprioli che si sono reperite presso la Fototeca dell’Istituto Ger- manico di Firenze.35

guarda il valore riconosciutogli in sede locale che si manifesta in un geloso attaccamento, così come si coglie nell’atteggiamento dei Pozzalini al momento di farla ‘sfollare’ in previsione dell’avanzata degli austriaci, dopo la disfatta di Caporetto nello scenario della Grande Guerra. La testimonianza è del giovane Andrea Moschetti incaricato di sovrintendere a tali operazioni in Cadore il quale, timoroso delle reazioni della popolazione, racconta come il mattino del 5 novembre 1917: «… mi rivolsi a Pozzale per il quadro di Vettor Carpaccio firmato e datato 1519. Non opposizione, no, come si temeva, ma spontanea pronta consegna del prezioso dipinto già accuratamente avvolto in tele e in coperte, e di due croci astili di cui una cinquecentesca assai bella. Anche lì popolazione tutta sulla piazza, in attesa ansiosa ma dolorosamente rasse- gnata agli eventi inevitabili».36

Nel riannodare i fili di una fortuna critica la descrizione diretta più approfondita delle peculiarità e valori pittorici del ‘polittico’ di Pozzale, dopo quella contenuta negli appunti e disegni di Ca- valcaselle, si ravvisa indubbiamente nel commento affatto trascurato (e difatti apparso in una sede inconsueta) di Filippo De Pisis af fidato a «La Gazzetta di Venezia» del 1926, a quanto consta non più preso in considerazione in seguito, che si ritiene quindi importante valorizzare nell’appendice documentaria (doc. 4).37Il pittore soggiornava d’agosto con la madre in quel di

Pozzale e fu questa l’occasione per l’incontro con le opere d’arte del territorio per progettarne l’apposita illustrazione, mai realizzata dopo l’uscita del testo nel giornale veneziano diretto da Gino Damerini.38

Riprendendo con i pronunciamenti espressi nelle sedi scientifiche proprie, si deve considerare la prima delle monografie su Carpaccio di Giuseppe Fiocco, edita nel 1931, nella quale è offerto un commento assai parco sul suo ‘polittico’ per Pozzale «ove l’artista, per accontentare i gusti montanini, ritorna alle antiche spartiture»; si precisa che l’opera «È nella chiesa di Pozzale di Cadore, non nella Pieve di Cadore ove lo cita il Ridolfi […] Rugginosa di tinte anche a causa dei ristauri e non senza intervento della bottega».39La nota di interesse consiste nel ribadire

l’intervento della bottega, opinione destinata ad avere largo assenso, anche se in termini piut- tosto formulari, come si potrà vedere in seguito. Un punto problematico della posizione di