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L A C ITTÀ MONDO E IL M ONDO

Questo processo di inclusione di spazi altri nella narrativa si può riscontrare non soltanto in questo frammento, ma nell’intero romanzo. Sebbene focalizzato sulla dimensione paulistana, Eles eram muitos cavalos contempla anche luoghi diversi da São Paulo, instaurando una dialettica tra la metropoli, intesa come città-mondo, e il mondo al di fuori di essa. In un’opera che si propone come narrativa di São Paulo, luogo dell’urbano per eccellenza, notiamo uno speciale interesse di Ruffato nell’annettere al romanzo (citandoli, nominandoli, descrivendoli) gli ambienti rurali da cui provengono i migranti che si spostano verso la metropoli124. Si potrebbe spiegare questo interesse, se si volesse assecondare il biografismo, riconducendolo all’esperienza personale dell’autore, che da una cittadina dello stato di Minas Gerais si è trasferito e stabilito a São Paulo. Crediamo, tuttavia, che ciò che spinge Ruffato ad includere questi luoghi nella narrativa sulla grande metropoli, sia l’intenzione di far cadere le barriere e le distinzioni nette che ancora esistono nel discorso su ambiente urbano e ambiente rurale. Ruffato mostra come quest’ultimo non sia estraneo ai processi di modernizzazione e

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È un tema costante in tutta la scrittura di Luiz Ruffato, così come si può riscontrare nei racconti di (os

sobreviventes) e nella pentalogia di Inferno provisório (Hossne 2007:20). Spesso le speranze dei migranti

che compaiono nelle opere di Ruffato vengono brutalmente frustrate. Il trasferimento verso la grande città in cerca di una nuova vita non solo sarà stato inutile, ma avrà contribuito a peggiorare le loro condizioni economiche e sociali.

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urbanizzazione che hanno creato l’attuale metropoli ma come, al contrario, ne costituisca parte integrante125. Nel romanzo la città diventa dunque metafora della crisi dell’intero Paese, metafora di un progetto di modernizzazione fallito, che ha causato effetti devastanti sull’ambiente e sulle popolazioni, distruggendo il tessuto sociale sia nelle città che nelle campagne.

L’inclusione dell’ambiente rurale nel romanzo avviene attraverso le voci di chi ha attraversato la frontiera tra i due ambienti, compiendo viaggi estenuanti in sordidi autobus o pau de arara126. Questo è il racconto che ne fa il protagonista del frammento n.41 “Taxi”:

Saí de casa muito cedo, menino ainda. Desci do norte num pau-de-arara. Se o senhor soubesse o que era aquilo... Um caminhão velho, lonado, umas tábuas atravessadas na carroceria servindo de assento, a matula no bornal, rapadura e farinha, dias e dias de viagem, meu deus do céu! Mas posso reclamar não. São Paulo, uma mãe pra mim (Ruffato 2012:85).

Il tassista Claudionor, nonostante le difficoltà riscontrate durante il viaggio e nei primi tempi di permanenza a São Paulo, non rimpiange l’aver abbandonato la sua terra. Al contrario, dopo tanti anni, guardandosi indietro, può dichiarare di non aver più niente a che fare con il luogo da cui è partito: «(...) nem eu tenho mais a ver com aquilo. (...) A única coisa que resta é a memória da gente, mas o quê que é a memória da gente? (Ruffato 2012:86)». Spesso, tuttavia, la città delude le aspettative di chi cercava in essa condizioni di vita migliori, distrugge le speranze e frantuma i vincoli familiari e sociali. Restano solo lo sconforto e, come giustamente afferma il tassista, la memoria. Nel frammento n.48, intitolato “Minuano”, ritorna il tema della memoria legato ad un luogo d’origine abbandonato e ormai perduto. Il frammento, senza punteggiatura, quasi un discorso indiretto libero della protagonista, si presenta come la descrizione di una scena bucolica. Una bambina di sette anni, i campi di soia verdissimi, gli amici di scuola, la famiglia riunita intorno al fuoco la sera. Capiamo che si tratta di un ricordo quando,

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«Quem pretende tratar do urbano no Brasil há de, forçosamente, sob pena de um olhar iludido, entender urbanização como algo que não diz respeito apenas às metrópoles, mas também às conseqüências para a sociabilidade dos efeitos sofridos e gestados na transformação de zonas tradicionalmente rurais em cidades à margem da economia globalizada (Hossne 2007:21)».

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I pau de arara sono automezzi sui quali viaggiavano, in condizioni spaventose, gli emigranti delle zone più povere del Nord-est brasiliano per raggiungere le grandi città. Il nome deriva, per associazione, dal trespolo dove si appollaiano i pappagalli (arara).

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improvvisamente, alla scena di piena felicità si contrappone l’immagine di una scena di solitudine e disperazione in un ambiente inequivocabilmente urbano:

(...) no décimo terceiro andar de um edifício em cerqueira césar jogada no chão quase bêbada desesperadamente reconhece mas meu deus como deixara escapar aquela felicidade em que momento da vida ela tinha se esfarelado em suas mãos em que lugar fora esquecida quando meu deus quando (Ruffato 2012:102).

Il frammento n.6 “Mãe”, invece, sembra cogliere il processo di passaggio da un ambiente rurale a quello urbano nel momento stesso in cui si realizza. È il racconto di una donna che compie un lungo viaggio in bus, dal Pernambuco fino a São Paulo, per ritrovare il figlio che non vede da tanti anni. Non sappiamo se la donna rifarà lo stesso percorso a ritroso per far ritorno alla sua terra o se, come molti altri, si fermerà nella cidade grande. Come il frammento n.16, analizzato precedentemente, anche questo presenta voci diverse che si intrecciano nella narrazione e che corrispondono a grafie diverse. All’impazienza della donna e alle sue osservazioni si contrappone il rumore del motore e il paesaggio che sfila fuori dal finestrino:

E

as cercas de arame farpado, as achas, o capim, o cupim, carcaças de boi, urubus, céu azul, cobras, seriemas, garrinchas, caga-sebos, fuscas, charretes, cavalos, bois, burros, bestas, botinas, brejos, beirais, bodes, bosta, baratas, bichos, bananeiras, bicicletas, arvrinhas, árvores, árvores, árvores,

O motor zunindo em-dentro do ouvido (zuuuummmm) E

a caatinga, os campos, a corda, o corgo, o rio, o riacho (Ruffato 2012:16)

Notiamo come la descrizione del paesaggio avvenga attraverso un elenchismo, come se si registrasse indistintamente tutto ciò che la donna vede durante il viaggio. In questi lunghi elenchi, disposti in un ordine pressoché alfabetico, ricchi di reminiscenze poetiche e di assonanze (o capim, o cupim e, più avanti nel testo a bola, abelha, a bilha

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e ancora o sol o sol, anzol), il discorso narrativo cede il passo alla parola pura, al nome delle cose, all’immagine in sé. La scrittura di Ruffato preferisce mostrarci la realtà piuttosto che raccontarla. Come in una sequenza cinematografica, il lettore vede scorrere le immagini una dopo l’altra, accompagnando così lo sguardo della donna.